N. 232 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 novembre 2006

Ordinanza  emessa  il  4  novembre  2006 dal tribunale di Perugia nel
procedimento penale a carico di Saba Giuseppe

Reati  e  pene  -  Circostanze  del  reato  - Concorso di circostanze
  aggravanti  e  attenuanti - Divieto di prevalenza della circostanza
  attenuante  di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309/1990 (in
  materia  di traffico e detenzione illeciti di stupefacenti nel caso
  di  imputato  recidivo  - Violazione del principio di uguaglianza -
  Lesione del principio della funzione rieducativa della pena.
- Codice  penale,  art. 69, comma quarto, come modificato dall'art. 3
  della legge 5 dicembre 2005, n. 251.
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.
(GU n.16 del 18-4-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti  del procedimento n. 11584/2006 a carico di Saba
Giuseppe, nato a Gonnesa (Cagliari) il 15 dicembre 1965, imputato del
reato  di  cui all'art. 73, comma 1-bis, d.P.R. n. 309/1990, per aver
in  data  30  ottobre  2006  in  Perugia detenuto a fini di spaccio 6
stecche  di  hashish  all'interno della propria vettura nonche' nella
propria abitazione un ulteriore pezzo di hashish del peso di circa 15
grammi,  unitamente  ad  una  bilancia di precisione, reato aggravato
dalla recidiva reiterata ex 99, quarto comma c.p.;
    Considerato che l'imputato ha chiesto la definizione del processo
con    giudizio    abbreviato    condizionato   all'acquisizione   di
documentazione,  rito  cui  il  predetto  e'  stato  in  data odierna
ammesso;
    Rilevato  dunque  che il processo puo' essere definito allo stato
degli  atti,  a  fronte  dei  gravi  indizi  di colpevolezza ritenuti
sussistere  all'esito  dell'udienza di convalida del 30 ottobre 2006,
allorche' e' stata applicata al Saba la misura cautelare dell'obbligo
di dimora con prescrizioni;
    Atteso  che,  valutate  le  modalita'  del fatto, la quantita' di
stupefacente  detenuta, pari complessivamente a g. 0,434 di principio
attivo,  sufficiente per la preparazione di circa 17 dosi droganti, e
la  concreta offensivita' della condotta, risulta in atto applicabile
l'attenuante di cui all'art. 73, quinto comma d.P.R. n. 309/1990, che
prevede  una  pena  oscillante  da  anni  uno  di  reclusione ed euro
3.000,00  di  multa  ad  anni  sei di reclusione ed euro 26.000,00 di
multa  in  luogo della pena edittale oscillante tra un minimo di anni
sei  di  reclusione  ed  euro 26.000,00 di multa e un massimo di anni
venti di reclusione ed euro 260.000,00 di multa;
    Considerato  che  ai  sensi dell'art. 69, quarto comma c.p., come
modificato  dall'art. 3,  legge  n. 251/2005,  essendo ravvisabile la
recidiva  reiterata,  l'attenuante  potrebbe  al piu' essere reputata
equivalente,  con la conseguenza che per il fatto dovrebbe in sede di
condanna  irrogarsi una pena minima di anni sei di reclusione ed euro
26.000,00  di multa, da ridursi solo di un terzo per la diminuente di
cui all'art. 442 c.p.p.;
    Considerato  che il riformulato art. 69, quarto comma c.p. sembra
porsi in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost.,

                        Osserva quanto segue

    1.  -  Il  Legislatore  dispone  di  ampia discrezionalita' nella
determinazione  delle  pene,  mentre  il  giudice  deve  a  sua volta
procedere  alla  determinazione  della  pena  da irrogare in concreto
entro   i   limiti   stabiliti   e   nell'esercizio  della  sfera  di
discrezionalita' riservatagli.
    Ma tanto il Legislatore quanto il giudice non possono prescindere
dalla  considerazione  delle  finalita'  della  pena, in primis della
necessaria  destinazione  della sanzione penale alla rieducazione del
condannato.
    Ed  invero, a coronamento di una lenta evoluzione interpretativa,
la  Corte  costituzionale ha rilevato nella sentenza n. 313/1990 che,
se  la  pena  non puo' non avere un contenuto afflittivo e se ad essa
ineriscono  caratteri  di  difesa  sociale e di prevenzione generale,
tuttavia   non   puo'   in  alcun  modo  pregiudicarsi  la  finalita'
rieducativa espressamente consacrata dall'art. 27, terzo comma Cost.,
non essendo consentito strumentalizzare l'individuo per fini generali
di  politica  criminale  o  privilegiare  la soddisfazione di bisogni
collettivi di stabilita' e sicurezza.
    Secondo   la   Corte   costituzionale  in  pratica  la  finalita'
rieducativa non e' estranea alla legittimazione e alla funzione della
pena.
    La circostanza che, secondo il tenore della norma costituzionale,
la  pena debba tendere alla rieducazione sta ad indicare una qualita'
essenziale di essa nel suo contenuto ontologico, a partire dalla fase
della  previsione  fino  a  quella  della  sua  estinzione, dovendosi
correlare   al  verbo  «tendere»  la  concreta  possibilita'  di  una
divaricazione  tra  la finalita' e l'adesione ad essa del soggetto da
rieducare.
    In  pratica,  tutto  cio'  implica  che  la finalita' rieducativa
rilevi  non  solo  nella  fase  dell'esecuzione,  come  affermato  in
precedenti  e  anche  remote  sentenze della Corte costituzionale (si
consideri  ad  es.  la  sentenza n. 12/1966), ma piu' in generale, in
quanto  connaturata  alla  pena,  in ogni fase, compresa quella della
previsione  e  della  sua  irrogazione,  dovendosi  ritenere  che  il
precetto  dell'art. 27,  terzo comma Cost. vincoli sia il Legislatore
sia   il  giudice  della  cognizione,  prima  che  il  giudice  della
sorveglianza.
    Del   resto   sul   piano   della   disciplina  positiva  si  era
concretamente  stabilito  che  la  finalita'  risocializzante dovesse
essere tenuta presente dal giudice gia' in sede di sostituzione della
pena detentiva agli effetti degli artt. 53 e segg. legge n. 689/1981,
segno  evidente  di una diretta influenza, per cosi' dire ontologica,
della rieducazione e della risocializzazione.
    2.  -  Va  a  questo  punto  aggiunto  che,  pronunciandosi sulla
questione,  in  parte  diversa,  della legittimita' costituzionale di
pene  fisse,  la  Corte  costituzionale  ha piu' volte rilevato (cfr.
sentenze  n. 50/1980  e  n. 299/1992) che l'individualizzazione della
pena,  in  modo  da  tenere  conto  dell'effettiva  entita'  e  delle
specifiche   esigenze   dei  singoli  casi,  si  pone  come  naturale
attuazione  e  sviluppo  dei  principi costituzionali tanto di ordine
generale  (principio  di  uguaglianza)  quanto attinenti direttamente
alla  materia penale, tanto piu' che lo stesso principio di legalita'
della  pena  ex  art. 25,  secondo  comma  Cost.  si  inserisce in un
sistema,  in cui si esige la differenziazione piu' che l'uniformita'.
In  tale  quadro,  si  e'  osservato  che  ha  un  ruolo  centrale la
discrezionalita'  giudiziale,  nell'ambito  dei criteri segnati dalla
legge.
    L'adeguamento  della  pena  ai  casi concreti contribuisce cosi',
secondo   la  Corte  costituzionale,  a  rendere  il  piu'  possibile
personale  la  responsabilita'  penale, in ossequio a quanto previsto
dall'art. 27, primo comma Cost., e ad assicurare una pena quanto piu'
possibile  finalizzata,  nella  prospettiva dell'art. 27, terzo comma
Cost.
    Il  soddisfacimento  di  tali  presupposti  e  di  tali finalita'
costituisce  anche uno strumento per l'attuazione dell'uguaglianza di
fronte  alla  pena,  intesa come proporzione della pena rispetto alle
personali   responsabilita'  e  alle  esigenze  di  risposta  che  ne
conseguono.
    La  sentenza  n. 299/1992 aggiunge anche che l'individuazione del
disvalore  oggettivo dei fatti-reato tipici e quindi del loro diverso
grado di offensivita' spetta al Legislatore, competendo al giudice di
valutare  la particolarita' del caso singolo onde individualizzare la
pena, stabilendo quella adeguata al caso concreto nella cornice posta
dai limiti edittali.
    3. - Orbene, pur dovendosi riconoscere che, anche nel caso in cui
sia  preclusa,  come  ora  previsto  per  i  recidivi  reiterati  dal
riformulato  art. 69,  quarto  comma  c.p.,  la  formulazione  di  un
giudizio  di prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti, permane un
residuo margine di graduabilita' della pena, deve pur sempre esigersi
che   tale  graduabilita'  sia  idonea  ad  assicurare  la  finalita'
rieducativa   e   nel   contempo  sia  connotata  da  razionalita'  e
proporzionalita',  intesi  quali parametri per il soddisfacimento del
principio di uguaglianza.
    Cosi',  venendo  al  caso  in  cui per valutazioni afferenti alla
concreta  offensivita'  del  reato  di  cui all'art. 73, primo comma,
d.P.R.  n. 309/1990,  quest'ultimo  possa  considerarsi come di lieve
entita', pare incongruo precludere con riguardo al recidivo reiterato
la  formulazione  di un giudizio di prevalenza dell'attenuante di cui
al  comma  5 di quella norma, giacche' in tal modo, sulla base di una
mera  presunzione, svincolata dall'apprezzamento del fatto concreto e
dall'effettiva  personalita'  del reo, il quale, proprio come risulta
nella  specie,  potrebbe  essere  gravato  da  precedenti  di natura,
consistenza  e  indole  non omogenee (il Saba in particolare e' stato
condannato per lesioni colpose, resistenza a pubblico ufficiale e per
falsa  attestazione  a  pubblico  ufficiale,  oltre che due volte per
guida  in  stato  di  ebbrezza,  condanne queste ultime non influenti
sulla  recidiva,  stante  la  natura contravvenzionale dei reati), si
imporrebbe    l'irrogazione    di    un   trattamento   sanzionatorio
corrispondente  a  quello che il Legislatore ha, com e' sua facolta',
determinato invece in rapporto al disvalore-oggettivo del reato nella
sua dimensione ordmaria.
    In  questo  caso  l'impossibilita'  di  modulare la pena entro il
minimo   e   il   massimo   previsto   per  il  caso  di  concessione
dell'attenuante  di  cui all'art. 73, quinto comma d.P.R. n. 309/1990
sembra  produrre  un risultato irrazionale, comportante una rilevante
disparita'  di  trattamento,  non  essendo giustificabile la siderale
distanza  intercorrente  tra l'irrogazione di una pena minima di anni
uno  di reclusione e multa e quella di una pena minima di anni sei di
reclusione e multa, solo per il rito ridotta ad anni quattro e multa,
derivante dalla formulazione, al piu', di un giudizio di equivalenza.
    Inoltre  poiche'  puo'  tendere ad una finalita' rieducativa solo
una   pena   che   sia  intrinsecamente  avvertibile  come  giusta  e
proporzionata  e  che  tenga  conto delle molteplici peculiarita' del
caso concreto, il limite alla formulazione del giudizio di prevalenza
appare  in  contrasto,  oltre  che  con  l'art. 3  Cost.,  anche  con
l'art. 27, terzo comma Cost.
    In   conclusione   si  appalesa  nella  specie  rilevante  e  non
manifestamente  infondata,  per contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo
comma    Cost.,   la   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 69,  quarto  comma c.p., come modificato dall'art. 3, legge
n. 251/2005, nella parte in cui non consente di formulare un giudizio
di prevalenza dell'attenuante di cui all'art. 73, quinto comma d.P.R.
n. 309/1990,  nel  caso di imputato recidivo ex art. 99, quarto comma
c.p.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23, legge n. 87/1953;
    Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata per contrasto
con  gli artt. 3 e 27, terzo comma Cost. la questione di legittimita'
costituzionale   dell'art. 69,  quarto  comma  c.p.  come  modificato
dall'art. 3,  legge  n. 251/2005,  nella parte in cui non consente di
formulare   un   giudizio   di   prevalenza  dell'attenuante  di  cui
all'art. 73,  quinto  comma  d.P.R. n. 309/1990, nel caso di imputato
recidivo reiterato ex art. 99, quarto comma c.p.
    Sospende  il  processo  e  ordina la trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale.
    Dispone  che  l'ordinanza, di cui e' data lettura in udienza alle
parti,  sia  notificata  al  Presidente  del Consiglio dei ministri e
comunicata ai Presidenti della Camera e del Senato della Repubblica.
        Perugia, addi' 4 novembre 2006
                       Il giudice: Ricciarelli
07C0471