N. 240 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 febbraio 2006

Ordinanza  emessa  il  10  febbraio  2006 dal tribunale di Napoli nel
procedimento  civile  promosso  da  Cernese  Vincenzo contro Pressano
Gennaro ed altri

Societa'  -  Controversie  in  materia  di  diritto  societario  e di
  intermediazione  finanziaria  - Procedimento di primo grado dinanzi
  al tribunale in composizione collegiale - Disciplina introdotta dal
  Legislatore  delegante  -  Mancata  o  insufficiente indicazione di
  principi   e   criteri  direttivi  nella  legge  di  delegazione  -
  Illegittimita' derivata della disciplina introdotta dal Legislatore
  delegato.
- Legge  3 ottobre  2001, n. 366, art. 12; «per derivazione», decreto
  legislativo  17 gennaio  2003,  n. 5, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
  10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17.
- Costituzione, art. 76.
In via  subordinata:  Societa'  -  Controversie in materia di diritto
  societario e di intermediazione finanziaria - Procedimento di primo
  grado  dinanzi al tribunale in composizione collegiale - Disciplina
  introdotta  dal  Legislatore  delegato - Difformita' dai principi e
  criteri  direttivi  posti  dalla  legge  n. 366/2001  -  Eccesso di
  delega.
- Decreto  legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7,
  8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17.
- Costituzione,  art. 76, in relazione all'art. 12 della legge delega
  3 ottobre 2001, n. 366.
(GU n.16 del 18-4-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha   pronunciato   la  seguente  ordinanza  nella  causa,  avente
nrg. 24135/05,   tra   Cernese  Vincenzo  elettivamente  domiciliato,
rappresentato  e  difeso  come  in  atti, attore, e Pressano Gennaro,
rappresentato,  difeso  ed  elettivamente  domiciliato  come in atti,
convenuto,  Banca Caboto S.p.A., in persona del legale rappresentante
pro  tempore, rappresentata, difesa ed elettivamente domiciliata come
in  atti,  convenuto,  Banca  Generali  S.p.A., in persona del legale
rappresentante pro tempore, convenuta contumace;
    Reputa   il  collegio  opportuno  preliminarmente  affrontare  la
questione  di  costituzionalita' conseguente alle problematiche poste
dall'introduzione   del  novello  rito  societario  (per  vero,  gia'
sollevata,  oltre  che  dal Tribunale di Brescia, da quest'ufficio in
data 6 aprile 2005).
    Ed  invero,  l'art. 12  della legge di delega n. 366/2001 prevede
che:
        «1.  -  Il  Governo e' inoltre delegato ad emanare norme che,
senza  modifiche della competenza per territorio e per materia, siano
dirette  ad  assicurare  una  piu'  rapida ed efficace definizione di
procedimenti nelle seguenti materie:
          a) diritto societario, comprese le controversie relative al
trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali;
          b)  materie disciplinate dal testo unico delle disposizioni
in   materia  di  intermediazione  finanziaria,  di  cui  al  decreto
legislativo  24  febbraio  1998, n. 58, e successive modificazioni, e
dal  testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui
al  decreto  legislativo  1°  settembre  1993,  n. 385,  e successive
modificazioni.
        2.  - Per il perseguimento delle finalita' e nelle materie di
cui  al comma 1, il Governo e' delegato a dettare regole processuali,
che in particolare possano prevedere:
          a)  la  concentrazione  del procedimento e la riduzione dei
termini processuali;
          b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie di
cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi
eccezionali  di  giudizio  monocratico in considerazione della natura
degli interessi coinvolti;
          c)  la  mera  facoltativita' della successiva instaurazione
della  causa  di  merito dopo l'emanazione di un provvedimento emesso
all'esito  di  un  procedimento  sommario cautelare in relazione alle
controversie  nelle  materie  di  cui  al comma 1, con la conseguente
definitivita'   degli   effetti   prodotti  da  detti  provvedimenti,
ancorche'  gli  stessi non acquistino efficacia di giudicato in altri
eventuali giudizi promossi per finalita' diverse;
          d)   un  giudizio  sommario  non  cautelare,  improntata  a
particolare   celerita'   ma   con  il  rispetto  del  principio  del
contraddittorio,  che  conduca  afla  emanazione  di un provvedimento
esecutivo anche se privo di efficacia di giudicato;
          e)  la  possibilita' per il giudice di operare un tentativo
preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi
essenziali,  assegnando eventualmente un termine per la modificazione
o  la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso
di    mancata    conciliazione,    tenendo    successivamente   conto
dell'atteggiamento  al  riguardo  assunto  dalle  parti ai fini della
decisione sulle spese di lite;
          f)  uno  o  piu'  procedimenti  camerali, anche mediante la
modifica degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile
ed  in  estensione  delle  ipotesi  attualmente  previste  che, senza
compromettere  la  rapidita'  di  tali  procedimenti,  assicurino  il
rispetto dei principi del giusto processo;
          g)  forme  di  comunicazione  periodica  dei  tempi medi di
durata  dei  diversi  tipi  di  procedimento  di  cui  alle  lettere,
precedenti  trattati  dai  tribunali,  dalle Corti di appello e dalla
Corte di cassazione».
    In  relazione alla struttura che il Legislatore delegato e' stato
chiamato a delineare per il processo ordinario - e con esclusione del
riferimento  ai  principi  dettati  in tema di giudizio cautelare che
concernono  profili  non  rilevanti in questo giudizio - dal disposto
dell'art. 12  della  legge  n. 366  del  2001  sono  estrapolabili  i
seguenti   principi:   1)   divieto   di  modifica  della  competenza
territoriale  e  per  materia;  2)  necessita' di assicurare una piu'
rapida  ed  efficace  definizione di procedimenti; 3) possibilita' di
dettare  regole processuali, che in particolare possano prevedere: a)
la  concentrazione  del  procedimento  e  la  riduzione  dei  termini
processuali; b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie
di  cui  al  comma  1  al  tribunale in composizione collegiale salvo
ipotesi  eccezionali  di giudizio monocratico in considerazione della
natura  degli  interessi coinvolti; c) la possibilita' per il giudice
di  operare  un  tentativo preliminare di conciliazione, suggerendone
espressamente  gli  elementi  essenziali, assegnando eventualmente un
termine  per  la modificazione o la rinnovazione di atti negoziali su
cui  verte  la  causa  e,  in  caso di mancata conciliazione, tenendo
successivamente  conto  dell'atteggiamento  al riguardo assunto dalle
parti ai fini della decisione sulle spese di lite.
    Nella legge n. 366/2001 il Legislatore, dunque, si e' limitato ad
indicare  le  materie  nelle  quali  il  governo  poteva intervenire,
l'obiettivo  di  tendere  piu'  rapida ed efficace la definizione dei
procedimenti,  il divieto di modificare la competenza per territono e
materia,   la   rendenziale   collegialita'   del   procedimento,  la
possibilita'  di  valutare  l'atteggiamento  delle  parti  in sede di
tentativo  di  conciliazione  e la possibilita' di dettare regole che
favorissero   la  riduzione  dei  termini  e  la  concentrazione  del
procedimento.
    L'assoluta  genericita'  e  parzialita' dell'indicazione relativa
alle  modalita'  da  seguire,  per  la  realizzazione  dell'obiettivo
dichiarato   di   voler   assicurare  una  piu'  rapida  ed  efficace
definizione  di  procedimenti  nelle materie individuate, ha di fatto
lasciato  libero  il  Legislatore delegato di creare un nuovo modello
processuale  che  esula  completamente  dallo schema del procedimento
ordinario disciplinato dal codice di procedura civile.
    A  fronte della situazione di fatto venutasi a creare che vede da
un lato una legge delega che nulla o quasi dice in ordine ai principi
direttivi  che  avrebbero  dovuto  ispirare il Legislatore delegato e
dall'altro   un   decreto  legislativo  che  crea  un  nuovo  modello
processuale,  sovvertendo,  nelle  materie  indicate  dalla  legge di
delega,  i  tradizionali  canoni  che governano il processo civile, a
questo  collegio  si  pongono  due opzioni interpretative che in ogni
caso  conducono  ad  un  dubbio  di  costituzionalita'  in  relazione
all'art. 76 della Costituzione.
    La  prima  opzione  interpretativa,  sia  in ordine logico sia di
scelta  che  questo  collegio  reputa  piu'  consona allo spirito del
complesso  normativo  costituito  dalla  legge  delega  e dal decreto
legislativo,  e'  quella di ritenere che il Legislatore delegante non
abbia  indicato  con  sufficiente determinazione i principi e criteri
nonnativi  che  avrebbero  dovuto  guidare  l'operato del Legislatore
delegato  e che quindi l'art. 12 della legge n. 366/2001 non soddisfi
il  precetto  dell'art. 76  della Costituzione che consente la delega
dell'esercizio  della  funzione  legislativa  al  Governo solo previa
determinazione di principi e criteri direttivi.
    Non  ignora  questo  tribunale  come, per giurisprudenza costante
della  Corte costituzionale, i principi direttivi che l'art. 76 Cost.
richiede  alla legge delega non escludono la possibilita' di lasciare
al   Legislatore   delegato  un  ampio  margine  di  discrezionalita'
nell'individuazione  delle  modalita'  attraverso le quali realizzare
gli  obiettivi prefissati dalla legge delega. Il potere attribuito al
Legislatore   delegato,   pero',  per  quanto  ampio,  non  puo'  mai
travalicare  il  limite della discrezionalita' nel senso che, come la
Corte  costituzionale  insegna, sin da risalenti pronunzie, «la legge
delegante   va   considerata   con   riferimento   all'art. 76  della
Costituzione,  per  accertare se sia stato rispettato il precetto che
ne  legittima  il processo formativo. L'art. 76 indica i limiti entro
cui  puo'  essere  conferito  al  Governo  l'esercizio della funzione
legislativa.  Per quanto la legge delegante sia a carattere normativo
generale, ma sempre vincolante per l'organo delegato, essa si pone in
funzione   di   limite   per  lo  sviluppo  dell'ulteriore  attivita'
legislativa  del  Governo. I limiti dei principi e criteri direttivi,
del  tempo  entro  il quale puo' essere emanata la legge delegata, di
oggetti  definiti,  servono da un lato a circoscrivere il campo della
delegazione  si'  da  evitare  che la delega venga esercitata in modo
divergente  dalle  finalita'  che la determinarono; devono dall'altro
consentire   al  potere  delegato  la  possibilita'  di  valutare  le
particolari  situazioni giuridiche della legislazione precedente, che
nella  legge  delegata deve trovare una nuova regolamentazione. Se la
legge  delegante  non  contiene, anche in parte, i cennati requisiti,
sorge   il  contrasto  tra  norma  dell'art. 76  e  norma  delegante,
denunciabile  al sindacato della Corte costituzionale, s'intende dopo
l'emanazione della legge delegata» (cfr. Corte cost. 26 gennaio 1957,
n. 3).
    In  particolare,  per  quel  che  rileva in questa sede, nulla ha
detto  la legge delega in ordine allo schema processuale da adottare,
lasciato  non  piu'  alla  scelta  discrezionale, ma all'arbitrio del
Legislatore  delegato,  come  emerge  chiaramente  dal  contenuto del
decreto  legislativo che ha creato un nuovo modello di processo al di
fuori delle regole dettate dal codice di procedura civile.
    Il  nuovo  rito societario previsto per il processo di cognizione
davanti  al tribunale costituisce infatti, come indicato dalla stessa
relazione  della  commissione  ministeriale,  un vero e proprio nuovo
modello  processuale,  che  si  distacca  volutamente sia dal modello
processuale  del 1942, sia da quello del processo del lavoro del 1973
ed  infine  anche  da  quello delineatosi con la riforma del 1990. Il
nuovo  rito  di  cognizione  di  primo  grado davanti al tribunale in
materia  societaria  prevede  tutta  la prima fase del processo senza
rintervento  del giudice; nell'atto di citazione ai sensi dell'art. 2
non  e'  piu'  indicata l'udienza avanti al giudice ed il termine che
l'attore  fissa  al  convenuto per la comunicazione della comparsa di
risposta  e'  stabilito  solo  nel  minimo,  cosi'  nella comparsa di
risposta  ai  sensi dell'art. 4 il convenuto puo' a sua volta fissare
all'attore  per  eventuale  replica  un  termine stabilito ancora una
volta solo nel minimo, e con lo stesso meccanismo l'art. 6 prevede la
possibilita'  di  una  replica  da  parte  dell'attore  e l'art. 7 la
possibilita' di una controreplica da parte del convenuto e poi ancora
ulteriori  repliche  e controrepliche. Solo a seguito dell'istanza di
fissazione  di udienza di cui all'art. 8 interviene il giudice, in un
momento  pero'  in cui sia il thema decidendum che il thema probandum
si sono gia' definitivamente formati, totalmente al di fuori, quindi,
del  controllo  del  giudice.  D'altra  parte  la  stessa  istanza di
fissazione  di  udienza,  con  gli  effetti preclusivi rilevantissimi
stabiliti  dall'art. 10,  e'  uno  strumento  lasciato  nella  totale
disponibilita'  delle  parti  o  anche  di una sola di esse, che puo'
utilizzarlo  a  suo  piacimento, nel momento ritenuto piu' opportuno.
Ancora   poi   va   segnalato  l'art. 13  in  tema  di  contumacia  o
costituzione   tardiva  del  convenuto,  che  introduce  l'innovativo
principio  (di  cui nella delega non vi e' traccia), per cui nel caso
in cui il convenuto non notifichi la comparsa di risposta nel termine
stabilito o anche solo si costituisca tardivamente «i fatti affermati
dall'attore...  si  intendono  non  contestati  e il tribunale decide
sulla domanda in base alla concludenza di questa».
    Da  quanto  precede  emerge  con  chiarezza  che  il  Legislatore
delegato,  in  forza  di  una  delega  assolutamente carente sotto il
profilo  dell'indicazione  di criteri direttivi, ha potuto creare una
disciplina interamente nuova per il processo societario di cognizione
ordinaria,  anticipando  quel  rito  ordinario  prefigurato dal testo
redatto  dalla  commissione  ministeriale per la riforma del processo
civile.
    Non  reputa  questo tribunale che possa andare esente da dubbi di
costituzionalita' una legge di delega che nel consentire la creazione
di  un  nuovo processo, seppur circoscritto a determinate materie, si
limiti  ad  indicare  un  obiettivo,  quello  di «assicurare una piu'
rapida  ed efficace definizione di procedimenti», tra l'altro nemmeno
particolarmente qualificante in quanto comune a qualsivoglia progetto
di  riforma  del  processo  civile,  un  divieto  di  «modifica della
competenza  territoriale  e  per  materia»,  una  preferenza  per  la
collegialita',  un  rilevante  ruolo del tentativo di conciliazione e
un'indicazione   di   massima  a  favore  della  «concentrazione  del
procedimento e riduzione dei termini processuali»;
    Di   conseguenza   ad   avviso   del   Collegio,  in  quanto  non
manifestamente    infondata,    va    rimessa    la    questione   di
costituzionalita'  dell'art. 12  della  legge n. 336/2001 nella parte
relativa al procedimento ordinario di primo grado e, per derivazione,
degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003.
    La questione e' altresi' rilevante in quanto venendosi in tema di
responsabilita'  dell'intermediatore finanziario il giudizio e' stato
instaurato  nelle  forme previste dal d.lgs. n. 5 del 2003 emanato in
forza  della  predetta legge di delega, e dalla pronunzia della Corte
costituzionale  dipende l'applicabilita' dell'intera nuova disciplina
processuale  alla concreta fattispecie sottoposta al vaglio di questo
Tribunale.
    In  via  subordinata  e  per  l'ipotesi  in  cui la Corte dovesse
ritenere   costituzionalmente   legittimo   l'art. 12   della   legge
n. 366/2001  reputa  questo  collegio  che  non  sia  manifestaniente
infondato  il  dubbio di costituzionalita' degli articoli 2, 3 ,4, 5,
6,  7,  8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17 del decreto legislativo
n. 5  del  2003  per  contrasto  con  l'art. 76 della Costituzione in
quanto  emanati  eccedendo  dai  principi e criteri direttivi dettati
dalla legge n. 366 del 2001.
    Per    evitare    il    sospetto   di   incostituzionalita'   per
indeterminatezza e genericita', si dovrebbe invero compiere lo sforzo
interpretativo   di   leggere   la  legge  n. 366  del  2001  facendo
riferimento  alla  disciplina  del  vigente  processo  di  cognizione
davanti  al tribunale, come contenuta nel libro II, titolo I, c.p.c.,
il  rito  cioe' che sino al 31 dicembre 2003 e' stato applicato anche
alle  controversie  societarie  e  che il Legislatore delegante aveva
davanti   ai   momento   della   concessione   della  delega;  sforzo
interpretativo   gia'   compiuto  da  altri  giudici  ordinari  (cfr.
Tribunale  Brescia  18  ottobre 2004 che ha rimesso la questione alla
Corte  costituzionale).  La  disciplina  del  processo  di cognizione
davanti al tribunale contenuta nel codice di procedura civile prevede
che  il  processo si svolga attraverso la successione di piu' udienze
fisse  ed  obbligatorie,  in particolare quella di prima comparizione
(art. 180  c.p.c.),  quindi la prima udienza di trattazione (art. 183
c.p.c.),   cui   puo'   seguire   un'udienza  per  la  discussione  e
l'ammissione   delle   prove   (art. 184   c.p.c.)  ed  eventualmente
un'ulteriore  udienza  di  precisazione  delle  conclusioni (art. 189
c.p.c.).  Se  si  volesse  individuare una determinatezza dei criteri
direttivi  nella  legge  di delega dovrebbe necessariamente ritenersi
che    il   Legislatore   delegante   indicando   il   principio   di
«concentrazione   del   procedimento»   abbia   fatto   evidentemente
riferimento   proprio   a  questa  scansione  prevista  nel  processo
ordinario.  Ugualmente  il processo ordinario vigente prevede che tra
il  giorno  della notificazione della citazione e quello dell'udienza
di  comparizione  debbano  intercorrere  termini liberi non minori di
sessanta  giorni,  fissa il termine meramente ordinatorio di quindici
giorni  per  la successione fra le varie udienze (art. 81 delle norme
di  attuazione  c.p.c.),  stabilisce  ai  sensi dell'art. 183 c.p.c.,
quinto  comma  un termine massimo di trenta giorni per il deposito di
memorie  e  di altri trenta per le repliche, non prestabilisce nessun
termine  per  il  deposito  delle  memorie  istruttorie,  ex art. 184
c.p.c.,  primo  comma  seconda parte e prevede il termine di sessanta
giorni  per  il  deposito delle comparse conclusionali e di venti per
eventuali  repliche.  Soltanto  con  il  riferimento  a  tali termini
potrebbe   riempirsi   di   contenuto  la  generica  indicazione  del
Legislatore   delegante   del   principio   «riduzione   dei  termini
processuali».  Solo  questa  lettura,  estremamente  riduttiva  e per
questo  proposta  in via subordinata rispetto all'altra, dei principi
fissati   dal  Legislatore  delegante,  altrimenti  invero  generici,
sarebbe  possibile  per  evitare il dubbio di costituzionalita' della
legge  n. 366  del  2001.  E'  pero'  evidente  che  in  questo  caso
l'articolato contenuto negli artt. da 2 a 17, d.lgs. 17 gennaio 2003,
n. 5,   con   cui   si   e'   inteso  dare  attuazione  alla  delega,
contrasterebbe  con  i principi fissati dal Legislatore delegante per
«eccesso  di  delega», alla luce della caratteristiche del nuovo rito
societario  come gia' sopra sintetizzate. L'operazione effettuata dal
decreto  legislativo  non  e'  stata  quella  di  prevedere  un  rito
concentrato  rispetto  all'attuale  rito ordinario disciplinato dagli
artt. 163  ss.  c.p.c., bensi' quella, che si e' gia' evidenziata, di
introdurre   nell'ordinamento  un'anticipazione  del  rito  ordinario
prefigurato  dal  testo redatto dalla commissione ministeriale per la
riforma del processo civile.
    Anche   la   questione   di  costituzionalita'  proposta  in  via
subordinata  e' rilevante ai fini del presente giudizio per le stesse
ragioni indicate per la questione proposta in via principale.
    Tanto premesso in fatto e diritto, va disposta la sospensione del
presente   giudizio   e   la   trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale  per  la  decisione  sulla  questione pregiudiziale di
legittimita'  costituzionale,  siccome rilevante e non manifestamente
infondata.   Alla  cancelleria  vanno  affidati  gli  adempimenti  di
competenza, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
                              P. Q. M.
    Dichiara   rilevante   per   il  giudizio  e  non  manifestamente
infondata,  in  relazione all'art. 76 della questione costituzionale,
la  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge
n. 366/2001 nella parte in cui, in relazione al giudizio ordinario di
primo  grado,  in  materia societaria non indica i principi e criteri
direttivi  che  avrebbero  dovuto  guidare  le scelte del Legislatore
delegato  e,  per  derivazione,  degli articoli da 2 a 17 del decreto
legislativo n. 5 del 2003.
    In  via  subordinata  il  Tribunale  dichiara  rilevante  per  il
giudizio  e  non  manifestamente  infondata, in relazione all'art. 76
della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale degli
articoli  da  2  a  17  del decreto legislativo n. 5 del 2003 perche'
difformi  dai  principi  e  criteri  direttivi dettati dalla legge di
delega n. 366/2001;
    Ordina  alla  cancelleria  di notificare la presente ordinanza al
Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione
al  Presidente  del  Senato  della  Repubblica ed al Presidente della
Camera dei deputati e alle parti del presente giudizio;
    Dispone  l'immediata  trasmissione  degli atti, comprensivi della
documentazione   attestante   il   perfezionamento  delle  prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale.
    Sospende il giudizio in corso.
    Si comunichi a cura della cancelleria.
    Cosi' deciso in Napoli, nella Camera di consiglio del 1° febbraio
2006.
                     Il Presidente: Taglialatela
07C0480