N. 247 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 novembre 2006

Ordinanza  emessa  il  2  novembre  2006  dal tribunale di Torino nel
procedimento penale a carico di Ama Ba

Straniero   e  apolide  -  Espulsione  amministrativa  -  Delitto  di
  trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel  territorio dello
  Stato,  in  violazione  dell'ordine di allontanamento impartito dal
  questore  -  Reclusione  da  uno  a  quattro  anni  Violazione  del
  principio  di  ragionevolezza  e  di  proporzionalita' della pena -
  Disparita' di trattamento rispetto a fattispecie analoghe - Lesione
  del principio della finalita' rieducativa della pena.
- Decreto  legislativo  25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter,
  prima parte, sostituito dall'art. 1, comma 5-bis, del decreto-legge
  14 settembre 2004, n. 241, convertito con modificazioni nella legge
  12 novembre 2004, n. 271.
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.
(GU n.1000 del 26-4-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza
    Letti  gli  atti  del  procedimento penale n. 25941/06 R.G. n. R.
contro  Ama  Ba, nato a Dakar (Senegal) il 12 dicembre 1973, imputato
del  reato  di  cui  all'art. 14  comma  5  ter  primo  periodo, come
modificato  dalla  legge  12 novembre 2004 n. 271, perche', cittadino
straniero,  destinatario  di  provvedimento  del  Questore di Torino,
(notificatogli  il  9  agosto 2006 a seguito di decreto di espulsione
del  Prefetto  fondato sui motivi di cui alla lettera b) dell'art. 13
comma   2   d.lgs.  citato),  con  intimazione  di  allontanarsi  dal
territorio   entro   cinque  giorni,  non  ottemperava  alla  stessa,
trattenendosi nello Stato ove veniva reperito.
    Accertato in Torino il 30 ottobre 2006.

                            O s s e r v a

    L'imputato,  tratto  in  arresto  in  data  30  ottobre  2006 per
violazione  all'art. 14,  comma 5-ter, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286,
modificato  dall'art. 1, commi 5-bis e 6 della legge 12 novembre 2004
n. 271, veniva presentato dal pubblico ministero, per la e' convalida
dell'arresto ed il conseguente giudizio direttissimo, all'udienza del
2  novembre  2006.  Convalidato  l'arresto  e disposta la liberazione
dell'Ama,  non  avendo  il  p.m.  richiesto  l'applicazione di alcuna
misura cautelare, il medesimo presentava istanza di applicazione pena
ex  art. 444  c.p.p. cui seguiva il consenso del p.m. All'esito della
discussione  questo  giudice riteneva di dover sollevare incidente di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  comma  5-bis legge citata
nella  parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro
anni  per lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel
territorio  dello  Stato  in  violazione  dell'ordine  impartito  dal
questore  ai sensi del comma 5-bis, in riferimento agli artt. 3 e 27,
terzo  comma  della  Costituzione,  pena  edittale che consente anche
l'adozione  delle  misure  cautelari  di  cui  agli artt. 280 e segg.
c.p.p..
    La  rilevanza  della  questione risiede nel fatto che, qualora si
dovesse pervenire alla applicazione della pena proposta concordemente
dalle  parti,  all'Ama  sarebbe  applicata la sanzione prevista dalla
norma  della  cui  legittimita'  costituzionale  si  dubita ed al cui
riguardo si svolgono i seguenti rilievi.
    La  permanenza  in  Italia  dello  straniero  «senza giustificato
motivo»  e  nonostante  il  provvedimento del questore di lasciare il
territorio nazionale entro cinque giorni in caso di impossibilita' di
trattenimento presso un centro di permanenza temporanea o di scadenza
del  termine di permanenza senza esecuzione dell'espulsione nel testo
originario  dell'art. 14, d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 era sprovvista
di  specifica sanzione, pur essendo controverso se fosse sanzionabile
penalmente col ricorso alla disposizione generale di cui all'art. 650
c.p.  La  legge  30  luglio 2002 n. 189 ha introdotto una fattispecie
contravvenzionale  ad  hoc  punibile  con l'arresto da sei mesi ad un
anno,  con  arresto  obbligatorio del contravventore e sua espulsione
eseguita  tramite  accompagnamento coattivo alla frontiera. Caduta la
porzione della norma che prevedeva l'arresto obbligatorio per effetto
della  sentenza  della  Corte  costituzionale  in data 15 luglio 2004
n. 223 che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 14
comma  5-quinquies per contrasto con gli articoli 3 e 13 Cost. «nella
parte in cui stabilisce che per il reato previsto dal comma 5-ter del
medesimo  art. 14  e'  obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto»,
interveniva  il  legislatore  con  la  legge 12 novembre 2004 n. 271,
operando  un  ampio  rimaneggiamento  della  norma  e  reintroducendo
l'arresto obbligatorio per le fattispecie trasformate in delitto.
    Tale  intervento  ha determinato un effetto pirotecnico nel magma
indifferenziato  della previgente fattispecie, che sanzionava in modo
identico  le  permanenze  ingiustificate nel territorio in violazione
dei  provvedimenti del questore che davano esecuzione a provvedimenti
di  espulsione  ministeriali  o  prefettizi.  Ora  la stessa condotta
diventa  un  delitto  ovvero  rimane  una  contravvenzione ovvero non
configura   alcun   illecito  penale  (esiste  soltanto  la  sanzione
amministrativa  dell'accompagnamento  alla frontiera) a seconda della
provenienza  e  della  natura  dell'espulsione presupposta. Pertanto,
permane  l'illiceita'  penale  nel caso di espulsione pronunciata dal
prefetto  cui  e'  data  esecuzione da parte del questore. Se essa e'
stata  disposta  per  ingresso  illegale sul territorio nazionale «ai
sensi  dell'art. 13, comma 2, lettere a) e c)» ovvero per aver omesso
di richiedere il permesso di soggiorno nel termine di legge, il reato
di inottemperanza, senza giustificato motivo, all'ordine del questore
e'  un  delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni; se il
motivo  che  ha  determinato l'espulsione e' la mancata richiesta del
rinnovo del permesso di soggiorno scaduto da piu' di sessanta giorni,
resta  l'illecito  contravvenzionale punito con l'arresto da sei mesi
ad  un  anno.  Se  l'ingiunzione  del  questore  e'  attuativa di una
espulsione  disposta  dal Ministro dell'interno «per motivi di ordine
pubblico  o  di  sicurezza  dello stato» (es. espulsione per i motivi
suddetti  di  donna  incinta  di  cui  si  ignora  la nazionalita' e,
pertanto,    non    suscettibile    di   esecuzione   immediata   con
accompagnamento alla frontiera), la sua inosservanza non e' assistita
dalla  tutela  penale  in quanto le ragioni dell'espulsione avvengono
per tipologie non omologhe a quelle per le quali e' dato ricorrere da
parte  del  prefetto  (cui  nell'esempio  citato  sarebbe precluso il
rinvio  della  straniera  allo  stato  di  appartenenza), ne' e' dato
avvalersi  di  operazioni  ermeneutiche basate sull'analogia, vietata
nel campo penale.
    Il reato per cui e' stata tratto in arresto Ama Ba e per il quale
il  p.m.  ha  proceduto  con giudizio direttissimo configura, in base
alla nuova normativa, una delle ipotesi delittuose che hanno avuto un
notevole  inasprimento  di  pena  e che, ad avviso di questo giudice,
presenta  profili  di  incostituzionalita'  con riferimento ai citati
articoli della costituzione.
    E'  insegnamento  costante di codesta Corte che uno scrutinio che
investa   direttamente  il  merito  delle  scelte  sanzionatorie  del
legislatore  e' possibile soltanto ove «l'opzione normativa contrasti
con  il  principio  di  eguaglianza,  sotto  il profilo dell'assoluta
arbitrarieta'  o  della  manifesta irragionevolezza» (sentenze n. 206
del  2003, n. 287 del 2001 e n. 313 del 1995 nonche' ordinanze n. 323
del  2002,  n. 110  del  2002,  n. 144  del  2001  e n. 58 del 1999).
Occorre,  in altri termini, interrogarsi «sul perche' una determinata
disciplina     operi,    all'interno    del    tessuto    egualitario
dell'ordinamento,  quella  specifica equiparazione (oppure, a seconda
dei casi, quella specifica distinzione), traendone, quindi, le debite
conclusioni in punto corretto uso del potere normativo.
    Solo  nel  caso  in cui una siffatta verifica dovesse evidenziare
una  carenza  di  causa  o ragione della disciplina introdotta potra'
dirsi realizzato un vizio di legittimita' costituzionale della norma,
proprio   perche'   fondato   sulla   irragionevole  omologazione  di
situazioni  diverse»  (sentenze  n. 5 del 2.000 e n. 89 del 1996). Il
giudizio  presuppone  l'individuazione  di  un tertium comparationis,
rappresentato  da  fattispecie omologhe a quella prevista dalla norma
censurata,  ricavabili  da  norme  incriminatici poste a tutela degli
stessi interessi (individuati nell'ordine e nella sicurezza pubblica)
e  strutturanti  con  modalita'  identiche o, quantomeno, analoghe la
condotta  (sentenze  n. 409  del 1989 e n. 341 del 1994). Nel caso in
argomento sono ipotizzabili due raffronti della norma che si censura:
uno  ristretto  alle  fattispecie  previste dall'art. 14, comma 5-ter
d.lgs.  n. 286/1998,  l'altro  con  fattispecie non contemplate dalla
disciplina sull'immigrazione.
    Con riferimento al primo profilo si osserva che la norma in esame
non  mira  a  reprimere  la  semplice  clandestinita', che continua a
restare  penalmente  irrilevante,  ma  quella  qualificata dal previo
ordine  del questore di lasciare il territorio nazionale. Pertanto si
vuole  combattere  il  fenomeno  della  irregolare  permanenza  dello
straniero  nel  territorio  dello  stato, di per se' considerato come
lesivo  dell'ordine  pubblico.  Ora,  se  questa e' la funzione della
comminatoria penale, gia' non si' comprende perche' alcune ipotesi di
irregolare  permanenza  (e  si tratta di casi di alto allarme sociale
perche'  riferibili a stranieri espulsi dal Ministro dell'interno per
motivi  di  ordine  pubblico  e  sicurezza pubblica), diversamente da
quanto  accadeva  in precedenza, non configurino ora alcun reato. Non
solo,  altre condotte che parimenti si sostanziano in inosservanza di
omologhi provvedimenti della stessa autorita' (questore), sono puniti
in forma differenziata nonostante ledano lo stesso interesse.
    Si e' gia' osservato che l'elemento differenziatore prescelto dal
legislatore  non  e'  la  condotta, ma il fatto che ha determinato il
provvedimento  di espulsione. Lo straniero regolarmente soggiornante,
il  cui  permesso  sia scaduto senza che sia stato chiesto il rinnovo
nei  sessanta  giorni  successivi alla scadenza, fruisce di un doppio
trattamento  di  favore: la sua espulsione non viene in prima battuta
eseguita  coattivamente,  ma riceve soltanto l'intimazione a lasciare
il territorio nazionale entro quindici giorni dalla notificazione del
provvedimento;  inoltre,  se  si  trattiene in spregio all'ordine del
questore  di  lasciare  il  territorio  dello  stato,  e'  punito con
l'arresto  da  sei  mesi  ad  un anno. Viceversa lo straniero che sia
stato  espulso  o perche' entrato in Italia sottraendosi ai controlli
di  frontiera e non e' stato respinto, o perche' si e' trattenuto nel
territorio  dello  Stato  senza aver chiesto il permesso di soggiorno
nel  termine  prescritto,  salvo  che  il ritardo sia dipeso da forza
maggiore,  ovvero quando il permesso di soggiorno e' stato revocato o
annullato  o  perche'  appartiene  a  taluna delle categorie indicate
nell'art. 1  della  legge  27  dicembre 1956 n. 1423, come sostituito
dall'art. 2  della  legge  3  agosto 1988 n. 327, o nell'art. 1 della
legge 31 maggio 1965 n. 575, come sostituito dall'art. 13 della legge
13 settembre 1982 n. 646 e' punito con la reclusione da uno a 4 anni.
    Ne  discende  che condotte analoghe a quella contravvenzionale in
precedenza indicata sono sanzionate, non solo a titolo di delitto, ma
con  una  pena  il  cui  minimo  e' parametrato al massimo dell'unica
fattispecie rimasta di natura contravvenzionale. Ora, se il principio
di  uguaglianza esige che «la pena sia proporzionata al disvalore del
fatto illecito commesso in modo che il sistema sanzionatorio adempia,
nel  contempo,  alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela
delle  posizioni  individuali»  (sentenza n. 409 del 18 luglio 1989),
tutte  le  condotte  di  trattenimento dello straniero nel territorio
italiano ledono con modalita' oggettive identiche lo stesso bene. E',
infatti,  dalla  inosservanza  dell'ordine  del  questore di lasciare
entro   cinque  giorni  il  territorio  nazionale  che  prende  avvio
l'aggressione  al  bene  giuridico tutelato ed in cui si sostanzia la
colpevolezza   dell'autore   del   fatto.   Differenziare   identiche
fattispecie  (talune  penalmente  indifferenti,  altre punite in modo
lieve,  altre  in modo estremamente pesante) in base a situazioni che
precedono  la  condotta  e non rivelano una reale dannosita' sociale,
significa disancorare il giudizio di offensivita' (che costituisce la
sintesi  della  relazione  sussistente tra il bene giuridico protetto
dalla  norma  incriminatrice e il fatto) dal fatto stesso; significa,
in  ultima  analisi,  sanzionare  in  modo  differenziato, e percio',
arbitrario ed irragionevole, situazioni omologhe.
    La  comparazione  si  presenta  fattibile  anche  con altre norme
incriminatici    presenti    in    campi    diversi   dalla   materia
dell'immigrazione.  Cosi'  appare  similare alla fattispecie in esame
quella  prevista  dall'art. 650  c.p.,  laddove punisce con l'arresto
fino  a tre mesi o con l'ammenda l'inottemperanza ad un provvedimento
legalmente  dato  dall'autorita'  per ragioni di sicurezza pubblica o
d'ordine  pubblico. Tutela parimenti tale interesse la violazione del
provvedimento  di  rimpatrio emesso dal questore ai sensi dell'art. 2
della  legge 27 dicembre 1956 n. 1423 e punita con l'arresto da uno a
sei mesi.
    Al riguardo pare interessante notare come con l'entrata in vigore
del  d.l. 30 dicembre 1989 n. 416 la giurisprudenza si fosse posto il
problema se l'inosservanza da parte dello straniero della intimazione
di  lasciare  il  territorio  dello  stato  fosse  rapportabile  alla
violazione dell'art. 650 c.p. e si dovesse applicare la pena prevista
da  tale  norma.  La  risposta  era stata negativa sol perche' si era
osservato   che   per   la   violazione   era  prevista  la  sanzione
amministrativa dell'immediato accompagnamento alla frontiera ai sensi
dell'art. 7,  comma 9 del d.l. citato, disposizione speciale rispetto
alla generica previsione di cui all'art. 650 c.p. (Cass. pen. sez. I,
26  marzo  1998  n. 1229).  Tutto  cio' dimostra la stretta parentela
esistente  tra la norma contenuta nel codice penale e quella speciale
prevista  nel  campo dell'immigrazione, parentela non rinnegata dalla
formulazione  in  termini  di  «reato  di  flagranza», modulata sulla
persistente  illiceita'  del  trattenersi  in  Italia, situazione che
comunque  consegue ad una ingiustificata non attivazione a fronte del
provvedimento di allontanamento del questore.
    Si  deve  ancora  tener  presente  che  l'espulsione  puo' essere
disposta dal prefetto per le stesse categorie di persone destinatarie
del  provvedimento  di  rimpatrio  con  una  comunanza di esigenze di
tutela  della  sicurezza pubblica davvero eclatante. Eppure, a fronte
delle  stesse  esigenze di tutela della collettivita', il trattamento
sanzionatorio   appare   smaccatamente   differenziato   e  ben  piu'
favorevole per il cittadino, che, per quanto pericoloso egli sia, non
puo'  essere allontanato dal territorio nazionale. Non solo, come tra
breve  si  vedra',  la  irragionevole  ed  arbitraria  disparita'  di
trattamento  di  situazioni  omologhe  sfavorisce  lo  straniero e lo
discrimina   dal   cittadino  con  riferimento  ad  uno  dei  diritti
fondamentali (liberta' personale).
    Esiste  stretta  connessione tra il principio di proporzionalita'
della  pena, ricavabile dall'art. 3 Cost., e la finalita' rieducativa
della  sanzione  criminale  sancita  dall'art. 27, terzo comma Cost.,
finalita'  non  limitata alla sola fase dell'esecuzione, essendo «una
delle  qualita'  essenziali e generali che caratterizzano la pena nel
suo   contenuto   ontologico,   e  l'accompagnano  da  quando  nasce,
nell'astratta  previsione  normativa,  fino  a  quando in concreto si
estingue: tale finalita' implica un costante principio di proporzione
tra  qualita'  e  quantita'  della  sanzione, da una parte, e offesa,
dall'altra» (sentenza n. 313 del 1990).
    Pertanto  e'  stato  affermato  che  «la  palese sproporzione del
sacrificio  della  liberta'  personale» provocata dalla previsione di
una  sanzione  penale  manifestamente eccessiva rispetto al disvalore
dell'illecito «produce.. una vanificazione del fine rieducativo della
pena prescritto dall'art. 27, terzo comma Costituzione, che di quella
liberta'  costituisce  una  garanzia  istituzionale in relazione allo
stato  di  detenzione»  (sentenza  343  del  1993). A fronte di cio',
occorre  domandarsi:  a  due  anni  di distanza dall'emanazione della
legge  n. 189/2002  il sensibile inasprimento di pena per molte delle
ipotesi  di  inottemperanza  da  parte dello straniero all'ordine del
questore  e'  almeno  giustificato da finalita' generalpreventive? La
risposta   pare   essere   negativa   se   si   osserva  il  fenomeno
dell'immigrazione   clandestina   nella  sua  dimensione  storica  (e
comunque   i   mutamenti   sanzionatori   non   paiono   rapportabili
all'eventuale modesto incremento dei flussi migratori).
    In  ogni  caso  non  va  dimenticato  quando  osservato,  in  via
generale,   da   codesta   Corte   e   cioe'  «che  il  principio  di
proporzionalita'..,  nel  campo  del diritto penale equivale a negare
legittimita' alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee
a   raggiungere   finalita'   statuali   di  prevenzione,  producono,
attraverso   la   pena,   danni   all'individuo   (ai   suoi  diritti
fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente  maggiori  dei
vantaggi  ottenuti  (o da ottenere) da quest'ultima con la tutela dei
beni  e valori offesi dalle predette incriminazioni» (sentenza n. 409
del  1989).  Peraltro, leggendo la relazione all'emendamento del d.l.
n. 241/04, che ha introdotto una cosi' elevata sanzione, si nota come
i   relatori  giustifichino  la  modifica  legislativa  soltanto  con
riferimento  alla  necessita'  di adeguarsi alla sentenza della corte
costituzionale  n. 223 del 2004 che aveva ritenuto costituzionalmente
illegittimo l'art. 14 comma 5-quinquies della legge sull'immigrazione
«nella  parte  in  cui stabilisce che per il reato previsto dal comma
5-ter  del medesimo art. 14 e' obbligatorio l'arresto dell'autore del
fatto»  per  la  manifesta  irragionevolezza  della previsione di una
misura  precautelare  non  suscettibile  di sfociare in alcuna misura
cautelare  in  base  al  vigente  ordinamento  processuale.  In altri
termini  la  trasformazione  in  delitto e l'aumento di pena e' stato
dettato   dal  solo  scopo  di  ripristinare  l'arresto  obbligatorio
ritenuto  illegittimo  dalla  Corte;  non  a  caso il limite edittale
massimo  della  pena  e'  fissato  in  quattro  anni  di  reclusione,
presupposto minimo per l'adozione della custodia cautelare in carcere
(art. 280,  comma  2  c.p.p.).  Pertanto la risposta sanzionatoria e'
stata   scollegata   dal  grado  di  offensivita'  della  condotta  e
strumentalizzata  ad  una  finalita' meramente processuale, quella di
giustificare  l'arresto  obbligatorio  in flagranza e di garantire lo
svolgimento  del  giudizio  direttissimo in tutte le ipotesi previste
dal  codice  di procedura penale. Ora, se si ritorna al raffronto tra
la  disciplina  dell'ingiustificato  trattenimento  in  Italia  dello
straniero  e l'inosservanza del provvedimento di rimpatrio si osserva
un  differente ed incomprensibile trattamento del bene della liberta'
personale  nel  caso in cui i destinatari siano le persone pericolose
di  cui  all'art. 1,  legge  n. 1243/1956,  e cio' nonostante codesta
Corte   abbia  affermato  che  «per  quanto  gli  interessi  pubblici
incidenti  sulla  materia  dell'immigrazione  siano  molteplici e per
quanto possano essere percepiti come gravi problemi di sicurezza e di
ordine  pubblico  connessi a flussi migratori incontrollati, non puo'
risultarne   minimamente   scalfito  il  carattere  universale  della
liberta'   personale,  che,  al  pari  degli  altri  diritti  che  la
costituzione  proclama  inviolabili,  spetta ai singoli non in quanto
partecipi  di una determinata comunita' politica, ma in quanto esseri
umani» (sentenza n. 105 del 2001).
    In conclusione, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata
per le ragioni appena esposte la questione sopraindicata.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale   affinche'   valuti   la  questione  di  legittimita'
costituzionale   dell'art. 14,   comma   5-ter  prima  parte,  d.lgs.
n. 286/1998   come  sostituito  dall'art. 1,  comma 5-bis,  legge  12
novembre  2004,  n. 271 (che ha convertito in legge con modificazioni
il d.l. 14 settembre 2004, n. 241) nella parte in cui prevede la pena
della  reclusione  da  uno  a quattro anni per lo straniero che senza
giustificato  motivo  si  trattiene  nel  territorio  dello  Stato in
violazione  dell'ordine  impartito  dal  Questore  ai sensi del comma
5-bis,   in   riferimento  agli  artt. 3  e  27,  terzo  comma  della
Costituzione e sospende il giudizio in corso.
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai
Presidenti delle due Camere.
        Torino, addi' 2 novembre 2006
                          Il giudice: Bosio
07C0495