N. 260 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 marzo 2006

Ordinanza  emessa  il 21 marzo 2006 dal Magistrato di sorveglianza di
Ancona sui reclami riuniti proposti da Cannella Vincenzo ed altri

Ordinamento penitenziario - Reclami dei detenuti in materia di lavoro
  -  Competenza  esclusiva  del  magistrato  di sorveglianza, secondo
  l'interpretazione  della  Corte  di  cassazione  -  Violazione  del
  principio  di uguaglianza e del principio di parita' tra le parti -
  Lesione  del  diritto  di  difesa  -  Preclusione  del  ricorso  in
  Cassazione per l'amministrazione-datore di lavoro.
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 69, comma sesto.
- Costituzione, artt. 3, 24, commi primo e secondo, e 111.
(GU n.1000 del 26-4-2007 )
                    IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA

    Letti  gli atti relativi ai procedimenti chiamati all'udienza del
14  marzo  2006  e instaurati ai sensi degli artt. 69 e 14-ter, legge
n. 354/1975  e  succ.  mod.  in tema di reclamo in materia di lavoro,
preliminarmente  riuniti  per  ragioni  di connessione soggettiva nei
confronti  di  Cannella  Vincenzo, nato il 13 settembre 1950 a Nocera
Inferiore,  ristretto nella C.R. Fossombrone; Freni Alfio, nato il 30
aprile 1971 a Catania, ristretto nella C.R. Fossombrone; De Riccardis
Franco,  nato  il  18  luglio 1949 a Lizzanello, ristretto nella C.R.
Fossombrone;  Lin  Xiaokei, nato il 25 maggio 1978 in Cina, ristretto
nella  C.C.  Ancona; Zhang Xian Fu, nato il 27 novembre 1969 in Cina,
ristretto nella C.C. Lanciano;

                     Osserva in fatto e diritto

    I  soggetti  in  epigrafe  presentavano  reclami a questa a.g. ai
sensi  dell'art.  69,  comma  6,  lett.  a)  o.p.  lamentando che, in
relazione  alle mansioni lavorative espletate durante la carcerazione
in  vari  istituti di pena, sono state loro corrisposte remunerazioni
non  esatte  e  di  importo  inferiore  al  dovuto,  che hanno subito
disparita'  di  trattamento  rispetto ad altri detenuti-lavoratori ed
altro,  sempre  in  relazione all'attivita' lavorativa interna (v. in
dettaglio dichiarazioni di reclamo in atti).
    In  ordine  ai  diritti  connessi  all'attivita'  lavorativa  del
detenuto,  qualche  pronuncia  della  giurisprudenza  di  merito  (v.
sentenza Corte appello Roma - Sezione lavoro, pronunciata all'udienza
di discussione del 3 giugno 2004 nella causa civile n. 5215/2002 R.G.
in  grado  di  appello  contro  la  sentenza  del 22 ottobre 2001 del
Tribunale   di   Roma)  ha  sostenuto  che  oltre  al  magistrato  di
sorveglianza,  l'interessato puo' sempre adire il giudice del lavoro,
per una tutela giurisdizionale piena e specifica.
    Per contro la Corte di cassazione (Cass. pen., sez. u., 21 luglio
1999,  n. 490 e Cass. civ., sez. lavoro, 7 giugno 1999, n. 5605; piu'
recentemente,  sentenza 23 aprile 2004 della sez. lavoro, ric. Rodano
e  sentenza  14  ottobre  2004  della  I sez. penale, ric. Arcara) ha
stabilito   che   la   competenza  del  giudice  del  lavoro  per  le
controversie  relative  al  lavoro  carcerario, prestato dal detenuto
all'interno  od  all'esterno  dello  stabilimento  detentivo a favore
dell'amministrazione    penitenziaria    oppure   all'esterno,   alle
dipendenze   di   altri   datori   di  lavoro,  pur  se  assimilabile
all'ordinario  lavoro  subordinato,  deve ritenersi derogata a favore
del  magistrato  di  sorveglianza,  per  effetto  dell'attribuzione a
quest'ultimo  dei  reclami  dei  detenuti  concernenti l'attribuzione
della   qualifica   lavorativa,  la  mercede,  la  remunerazione,  lo
svolgimento  delle  attivita' di tirocinio e lavoro, le assicurazioni
sociali.
    Preso atto percio' che l'interpretazione largamente maggioritaria
e  piu'  autorevole  attribuita  all'art.  69, comma 6 o.p., peraltro
condivisa anche da questa a.g., costituisce oggi il «diritto vivente»
cui   far   riferimento,   questa   a.g.  dubita  della  legittimita'
costituzionale della norma citata.
    In   effetti,   come   accennato,  per  un  verso  e'  senz'altro
condivisibile  la  diversa  competenza in ordine alle controversie in
materia di lavoro (magistrato di sorveglianza per i detenuti, giudice
del  lavoro  per  gli  altri lavoratori), data la diversa condizione,
quanto   a   status  libertatis,  delle  due  categorie  predette,  e
soprattutto data la diversa natura e ratio del lavoro da esse svolto:
in   particolare   il   lavoro   svolto   in   carcere  per  incarico
dell'amministrazione    penitenziaria    ha   finalita'   prettamente
rieducative  e  trattamentali,  cosi'  che  l'amministrazione puo' in
parte  decidere  di  far  lavorare  i  detenuti anche senza una reale
necessita'  propria (valutata in termini di costi sopportati-benefici
conseguiti), applica di regola il metodo turnario per far lavorare un
po'   tutti   (senza   che   si  possa  applicare  la  normativa  sui
licenziamenti,  ecc.),  ha  un  potere  di  vigilanza sul lavoro (con
relativo  potere  disciplinare) ben piu' ampio di quello riconosciuto
al  datore  di  lavoro  nei  confronti  del  lavoratore, ecc. ecc. In
considerazione   delle   differenze   evidenziate  appare  del  tutto
ragionevole  che ad occuparsi delle controversie in materia di lavoro
dei detenuti sia il magistrato di sorveglianza.
    Per  altro  verso  sorgono  forti  perplessita'  in  ordine  alle
garanzie    ed    all'effettivita'   della   tutela   giurisdizionale
riconosciute ai soggetti coinvolti in tali controversie.
    Basti  osservare che la procedura ex art. 14-ter o.p. non prevede
la  partecipazione  reale  di una delle parti del rapporto di lavoro,
quella  che  potrebbe  all'esito  del procedimento esser riconosciuta
debitrice di somme di denaro (cioe' il Ministero della giustizia, che
puo' solo presentare memorie e non ha diritto ad essere rappresentato
da  un difensore; inoltre, non essendo «parte», non puo' impugnare la
decisione   ad  essa  sfavorevole),  non  prevede  la  partecipazione
personale  dell'interessato  (che puo' solo presentare memorie, anche
se,  contrariamente  all'amministrazione,  e'  rappresentato  dal suo
difensore).
    Inoltre  il  magistrato  di  sorveglianza  puo' solo pronunciarsi
sulla   fondatezza   o   meno  del  reclamo,  ma  non  puo'  emettere
provvedimenti  di  condanna: cio' si desume chiaramente dal fatto che
l'ordinanza emessa all'esito del procedimento ex art. 14-ter o.p. non
puo'  costituire titolo esecutivo, dato che non e' una sentenza e non
le  e' attribuita espressamente dalla legge efficacia esecutiva (cfr.
art. 474 c.p.c.).
    Non  vi  e' dubbio che il procedimento in esame sia deteriore con
riguardo  al  diritto  di difesa anche per l'assenza di idonei poteri
istruttori  in  capo  al  magistrato di sorveglianza. Tali differenze
rispetto al processo del lavoro non possono essere giustificate sulla
base  delle differenze sopra sottolineate tra il lavoro carcerario ed
il  lavoro  in  genere:  la  peculiarita'  del  primo  e  la  sua non
assimilabilita'  al  secondo  giustificano  una differente competenza
giurisdizionale,   un   diverso   rito   ed   una  diversa  normativa
sostanziale,  ma  non  una minore capacita' del giudice di appurare i
fatti  ne'  la  non eseguibilita' della pronuncia giurisdizionale (in
sostanza l'esecuzione della decisione ad essa sfavorevole e' lasciata
alla buona volonta' dell'amministrazione).
    L'art.    69,    comma    6    dell'ordinamento    penitenziario,
nell'interpretazione  che  ad  esso  da'  la  consolidata  e pacifica
giurisprudenza   di  legittimita',  appare  in  contrasto  con  varie
disposizioni  costituzionali, inerenti i principi di eguaglianza e di
parita'  tra  i  soggetti processuali ed il diritto fondamentale alla
difesa: con l'art. 3 della Carta costituzionale, perche' e' stridente
e  discriminatorio il raffronto tra il procedimento che viene posto a
disposizione del detenuto-lavoratore e la diversa e ben piu' efficace
tutela  processuale che viene riconosciuta al lavoratore non detenuto
nell'ambito  del  rito  del  lavoro,  al  di la' di quelle differenze
riconducibili,    come    detto,   alla   peculiarita'   del   lavoro
penitenziario;  con  l'art.  24,  in quanto il contraddittorio tra le
parti  puo' avvenire solo in forma cartolare ed in quanto al detenuto
e'  sottratto  il  diritto di partecipare personalmente all'udienza e
l'amministrazione   penitenziaria  si  vede  addirittura  privata  di
qualsiasi  tutela  processuale  rispetto  al  procedimento in corso e
soprattutto rispetto all'ordinanza che lo concludera'; con l'art. 111
perche',   come  detto,  se  il  detenuto  lavoratore  puo'  comunque
ricorrere,  sia  pure  in  Cassazione,  contro l'ordinanza emessa dal
magistrato  di  sorveglianza, all'amministrazione-datore di lavoro e'
certamente negato tale diritto.
    Nel  caso  di  cui  trattasi,  i  vizi  denunciati  si appalesano
rilevanti  in  ordine  all'oggetto  del  giudizio, poiche' in caso di
assunzione  di  una determinazione conclusiva da parte di questa a.g.
si  andrebbe  inevitabilmente  a  riservare  al  lavoratore  ma anche
all'amministrazione penitenziaria una forma di tutela sostanzialmente
ridotta,  con  riferimento, nei termini sopra chiariti, alla limitata
partecipazione    delle    parti,    all'istruttoria    sui    fatti,
all'impugnabilita' della decisione ed all'eseguibilita' della stessa.
                              P. Q. M.
    Visti gli articoli 134 Cost. e 23, legge 11 marzo 1953, n. 87.
    Rileva d'ufficio nel procedimento sopraindicato la rilevanza e la
non   manifesta   infondatezza   della   questione   di  legittimita'
costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 commi primo e secondo
e  111 Cost., dell'art. 69, comma 6 o.p., nella parte in cui prevede,
secondo   l'orientamento   ormai  costante  della  suprema  Corte  di
cassazione,  la  competenza  del magistrato di sorveglianza in ordine
alle questioni da tale disposizione indicate.
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale   e   sospende  il  giudizio  in  corso  (relativo  ai
5 procedimenti  previamente  riuniti  per  identita'  delle questioni
trattate).
    Dispone   altresi'  che  la  presente  ordinanza  sia  notificata
all'interessato,  al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
sede  ed  al  Presidente  del Consiglio dei ministri e sia comunicata
dalla cancelleria ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Ancona,  cosi'  deciso nella Camera di consiglio del 14 marzo
2006.
              Il magistrato di sorveglianza: Scapellato
07C0508