N. 298 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 novembre 2006

Ordinanza  emessa  il  14  novembre 2006 dal tribunale amministrativo
regionale  della  Sicilia - Sezione staccata di Catania - sul ricorso
proposto  da  comune  di  Messina  contro  Commissario  delegato  per
l'emergenza idrica in Sicilia ed altri.

Giustizia  amministrativa  -  Tribunali  amministrativi  regionali  -
  Controversie  relative  alla  legittimita'  delle  ordinanze  e dei
  conseguenziali  provvedimenti  commissariali  adottati  in tutte le
  situazioni  di  emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1,
  della   legge   24 febbraio  1992,  n. 225  -  Competenza,  in  via
  esclusiva,  in  primo grado, attribuita al Tribunale amministrativo
  regionale  del  Lazio  -  sede  di  Roma  - Irragionevole deroga al
  principio  della  competenza del Tribunale amministrativo regionale
  della  Regione  in  cui  il  provvedimento  e'  destinato  ad avere
  incidenza  -  Violazione  del diritto di difesa e del principio del
  giudice  naturale  -  Violazione  del  principio  del decentramento
  territoriale  della giurisdizione amministrativa - Violazione della
  norma   statutaria  che  attribuisce  al  Tribunale  amministrativo
  regionale Sicilia le controversie di interesse regionale.
- Decreto-legge  30 novembre 2005, n. 245, art. 3, commi 2-bis, 2-ter
  e 2-quater, introdotti dalla legge 27 gennaio 2006, n. 21.
- Costituzione,   artt. 3,  24,  25  e  125;  Statuto  della  Regione
  Siciliana, art. 23.
(GU n.17 del 2-5-2007 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, comma
2,  legge  n. 87/1953,  sul  ricorso  2208/2006 da Comune di Messina,
rappresentato e difeso da Scuderi avv. Andrea con domicilio eletto in
Catania   via  V.  Giuffrida,  presso  Scuderi  avv.  Andrea,  contro
Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri;  Presidente  della Regione
Sicilia   -  Commiss.  delegato  emergenza  idrica  -  Pres.  Regione
Siciliana,  rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura dello Stato con
domicilio  eletto  in Catania, via Vecchia Ognina, 149, presso la sua
sede   Commissario  ad  acta  dell'A.T.O.  3  di  Messina;  provincia
regionale di Messina; Conferenza dei sindaci dell'A.T.O. 3 - Messina;
prov.  reg.  di  Messina  -  Segr.  tecn. ambito terr. ott. A.T.O. 3;
Comune   di   Brolo   (Messina);   Comune  di  Nirto  (Messina),  per
l'annullamento:
        della  delibera  23 maggio 2006, n. 1, con cui il Commissario
ad  acta ha revocato le precedenti delibere della Conferenza d'Ambito
dell'A.T.O.   3  di  Messina  nn. 1/2005,  2/2005,  3/2005  e  4/2005
scegliendo  quale  forma di gestione del Servizio idrico integrato la
concessione a terzi;
        del disciplinare di gara per l'affidamento in concessione del
servizio  idrico integrato nell'A.T.O. 3 di Messina, pubblicato nella
G.U.R.S.  del  1°  giugno 2006, e relativa convenzione di gestione ad
esso allegata; di tutti gli altri atti e provvedimenti, antecedenti o
successivi,  comunque  connessi, presupposti e/o consequenziali anche
non   conosciuti   ivi  compresi  i  provvedimenti  di  ammissione  e
valutazione  delle offerte eventualmente presentate dai concorrenti e
di  aggiudicazione  della  gara,  nonche' la relativa approvazione la
stipula del contratto.
    Visto il ricorso introduttivo del giudizio;
    Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
    Vista   la   domanda   di   sospensione   della   esecuzione  del
provvedimento impugnato;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio della Presidenza del
Consiglio  dei  ministri  e  del  Presidente  della regione Sicilia -
Commissario delegato per l' emergenza idrica nella regione Sicilia;
    Udito nella Camera di consiglio del 14 settembre 2006 il relatore
cons. Pancrazio Maria Savasta;
    Uditi gli avvocati come da verbale;
    Vista la documentazione tutta in atti;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Ai  sensi  dell'art.  1  del  d.p.Reg.  Sic. del 7 agosto 2001, i
comuni  e  le province regionali ricompresi nel territorio di ciascun
ambito   territoriale   ottimale,   come   determinato  con  d.p.Reg.
n. 114/gr.IVS.G.  del  16 maggio 2000, organizzano il servizio idrico
integrato utilizzando una delle seguenti forme di cooperazione:
        a)   stipulare   una   convenzione   nella   forma   prevista
dall'art. 30 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
        b)  costituire  un consorzio ai sensi dell'art. 31 del d.lgs.
18 agosto 2000, n. 267.
    I  comuni  della  provincia  di  Messina, e ricadenti nell'Ambito
territoriale  ottimale 3 - Messina, sceglievano di organizzarsi nella
forma  della  «Convenzione  di  Cooperazione», sottoscritta in data 8
luglio 2002, «... che riserva, tra l'altro, all'Assemblea dei sindaci
la  competenza  a deliberare la scelta delle modalita' di affidamento
del servizio idrico integrato ed ogni altra determinazione connessa e
consequenziale a tale scelta».
    Con  delibera  n. 1  del 22 gennaio 2004, l'Assemblea dei sindaci
dell'A.T.O.    3   di   Messina   (Conferenza   d'ambito)   disponeva
l'affidamento del servizio mediante «concessione a terzi».
    Consequenzialmente,   veniva   bandita   la  gara  d'appalto  per
l'affidamento del servizio in concessione a terzi che, per due volte,
rimaneva deserta.
    Con  deliberazione n. 1 del 9 giugno 2005, la Conferenza d'ambito
dell'A.T.O.  3  Messina revocava la predetta deliberazione n. 1/2004,
nella  parte  in cui si era operata la scelta di affidare il servizio
di  gestione  in  «concessione  a  terzi»  e disponeva di affidare la
gestione  del servizio idrico integrato dell'A.T.O. n. 3 - Messina ad
una societa' a capitale interamente pubblico partecipata da tutti gli
enti  locali  dell'A.T.O. n. 3 Messina, costituita fra i 108 comuni e
la  provincia  regionale  di  Messina  ed  avente  ad oggetto la c.d.
gestione «in house».
    Con deliberazione n. 2 del 24 giugno 2005, la Conferenza d'ambito
dell'A.T.O.  3 Messina approvava lo statuto della societa' per azioni
Messina  Acque  S.p.A.,  da  costituire  quale  soggetto  gestore del
servizio   idrico   integrato,   ed  impegnava  ciascun  ente  locale
convenzionato,  ad  approvarne,  nei rispettivi consigli comunali, lo
statuto.
    Con deliberazione n. 3 del 24 giugno 2005, la Conferenza d'ambito
dell'A.T.O.  3  approvava  lo  schema  di convenzione di servizio tra
Autorita'  e  soggetto  gestore dell'A.T.O. n. 3 Messina con relativo
disciplinare  tecnico  ed impegnava ciascun ente locale convenzionato
ad  approvare,  nei rispettivi consigli comunali, la sopra richiamata
convenzione di servizio, in conformita' all'art. 18 della Convenzione
di cooperazione istitutiva dell'Autorita' d'Ambito.
    Con  deliberazione  n. 4  del  27  settembre  2005, la Conferenza
d'Ambito  dell'A.T.O.  3  Messina  dava  mandato ai consulenti, ad un
gruppo  di sindaci e ad un notaio di verificare in tempi ridottissimi
le   possibili   soluzioni   atte  a  pervenire  sollecitamente  agli
adempimenti preliminari alla costituzione della societa' pubblica.
    Con decreto n. 596 del 4 aprile 2006, il Presidente della regione
siciliana,   sempre   nella  qualita'  di  Commissario  delegato  per
l'emergenza   idrica   nel   territorio   della   regione  Siciliana,
avvalendosi  dei  poteri  sostitutivi  e  derogatori  previsti  dalle
Ordinanze  n. 3189/2002  e  n. 3299/2003,  incaricava 1'avv. Giovanni
Immordino  di  recarsi  presso  l'Autorita'  d'Ambito dell'A.T.O. 3 -
Messina  con  il  compito  di  provvedere,  in  via sostitutiva della
Conferenza  dei  sindaci e del Presidente della provincia di Messina,
al  compimento  delle procedure per l'affidamento del servizio idrico
integrato nell'Ambito territoriale ottimale di Messina.
    Indi,  con  delibera  23  maggio  2006,  il  commissario  ad acta
nominato  riteneva  di  scegliere  la  «concessione  a  terzi» fra le
possibili  diverse forme di affidamento del Servtzio idrico integrato
ed,  inoltre,  revocava  le precedenti delibere n. 1/2005, n. 2/2005,
n. 3/2005  e n. 4/2005 adottate dalla conferenza d'Ambito dell'A.T.O.
3  di  Messina, scegliendo, quale forma di gestione, la concessione a
terzi.
    A  tal  fine,  con  bando e disciplinare di gara pubblicato nella
G.U.R.S.  1°  giugno  2006 n. 126, indiceva una selezione ad evidenza
pubblica  per  assegnare la detta concessione, con termine ultimo per
presentare  le  offerte  28 luglio 2006, mentre lo stato di emergenza
idrica sarbbe venuto meno il 30 giugno 2006.
    Con  il  ricorso  in  epigrafe, il comune ricorrente ha impugnato
detti atti.
    Costituitasi  per  il  Presidente  della regione Sicilia e per la
Presidenza del Consiglio dei ministri, la difesa erariale ha concluso
per  l'incompetenza  funzionale  di  questo  tribunale  a  favore del
Tribunale amministrativo regionale Lazio, Roma.
    Alla  Camera  di  consiglio  del  14  settembre 2006, la causa e'
passata in decisione per la fase cautelare.

                            D i r i t t o

    Come  chiarito  in  punto di fatto, l'asserito pregiudizio per il
comune  ricorrente  deriva,  tra  l'altro,  dal  decreto n. 596 del 4
aprile  2006,  con  il  quale  il Presidente della Regione Siciliana,
nella  qualita'  di  commissario  delegato per l'emergenza idrica nel
territorio   della   regione   Siciliana,   avvalendosi   dei  poteri
sostitutivi  e  derogatori  previsti  dalle  ordinanze n. 3189/2002 e
n. 3299/2003,  ha  incaricato  l'avv. Giovanni  Immordino  di recarsi
presso l'Autorita' d'Ambito dell'A.T.O. 3 - Messina con il compito di
provvedere,  in  via  sostitutiva  della Conferenza dei sindaci e del
Presidente  della provincia di Messina, al compimento delle procedure
per   l'affidamento   del   servizio   idrico  integrato  nell'Ambito
Territoriale Ottimale di Messina.
    Lamenta,    inoltre,   il   ricorrente   l'illegittimita'   della
consequenziale  attivita' amministrativa del commissario delegato dal
presidente  della  regione,  nella  predetta qualita', che, in quanto
delegata  (sub  specie  di  delega ad un soggetto gia' delegato), non
puo', invero, non essere che ricondotta al soggetto delegante.
    In  altri  termini,  l'attivita' del commissario ad acta delegato
dal   commissario   delegato   emergenza   rifiuti  va  ricondotta  a
quest'ultimo,  essendo  il  primo espressione del potere delegato del
secondo.
    I)   Pertanto,  il  Collegio  deve  affrontare  la  pregiudiziale
questione   relativa   alla  competenza  inderogabile  del  Tribunale
amministrativo regionale del Lazio a conoscere della vicenda.
    Tale  competenza  sorge per effetto della norma di cui alla legge
n. 21/2006,  pubbl.  nella  Gazzetta  Ufficiale  n. 23 del 28 gennaio
2006, che, all'art. 3, per quel che qui rileva dispone:
        omissis  ...«2-bis.  In  tutte  le  situazioni  di  emergenza
dichiarate  ai  sensi  dell'art.  5, comma 1, della legge 24 febbraio
1992,  n. 225,  la  competenza  di  primo  grado  a  conoscere  della
legittimita'   delle   ordinanze   adottate   e   dei  consequenziali
provvedimenti  commissariali  spetta  in  via  esclusiva,  anche  per
l'emanazione   di   misure  cautelari,  al  Tribunale  amministrativo
regionale del Lazio, con sede in Roma.
        2-ter.  Le  questioni  di  cui al comrna 2-bis, sono rilevate
d'ufficio.  Davanti al giudice amministrativo il giudizio e' definito
con  sentenza  succintamente  motivata  ai sensi dell'art. 26., della
legge  6  dicembre  1971, n. 1034, e successe modificazioni, trovando
applicazione  i  commi  2  e  seguenti  dell'art. 23-bis della stessa
legge.
        2-quater. Le norme di cui ai commi 2-bis e 2-ter si applicano
anche  ai  processi  in  corso.  L'efficacia  delle  misure cautelari
adottate  da  un tribunale amministrativo diverso da quello di cui al
comma  2-bis  permane  fino  alla loro modifica o revoca da parte del
Tribunale  amministrativo  regionale del Lazio, con sede in Roma, cui
la parte interessata puo' riproporre il ricorso».
    Osserva  il  Collegio  che  la  fattispecie  in esame e' attratta
nell'applicazione della citata legge n. 21/2006, art. 3, in quanto il
Presidente  della  regione ha agito in qualita' commissario delegato,
regolando  una  fattispecie rientrante nel novero delle situazioni di
emergenza  dichiarate  ai  sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24
febbraio  1992,  n. 225,  cosi' come emerge dall'espresso richiamo di
detta  disposizione  nel  preambolo  del  decreto n. 596 del 4 aprile
2006.
    Il  Collegio,  pertanto,  ritenendola  rilevante  ai  fini  della
decisione  da assumere in ordine alla predetta trasmisione degli atti
al  Tribunale  amministrativo  regionale  Lazio  e non manifestamente
infondata,  solleva  questione  di  legittimita'  costituzionale  del
predetto  art.  3,  e segnatamente del comma 2 nelle sottonumerazioni
bis,  ter,  quater,  come sara' esposto nei seguenti paragrafi e come
gia'  fatto  in  ordine  ad altra fattispecie per la cui decisione e'
venuta   in  rilievo  la  medesima  norma  (Tribunale  amministrativo
regionale  Catania,  I,  Ord.  n. 90  del  7  marzo  2006)  e per una
ulteriore  questione,  (Tribunale  amministrativo  regionale Catania,
Ord.  n. 145  del  4  aprile  2006  -  cfr.,  altresi', C.G.A. per la
Sicilia, ordd. nn. 235 e 236/2006).
    I)  La  rilevanza  della  questione  ai  fini  della decisione da
assumere e' di tutta evidenza. Il Collegio sarebbe tenuto, sulla base
della  normativa espressa dalla richiamata legge n. 21/2006 - ove non
dubitasse  della  incostituzionalita'  di essa e quindi non ritenesse
necessario  investire il giudice delle leggi della relativa questione
-  a trasmettere gli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio
e  cio'  per  espressa  disposizione  della  nuova  disciplina che ne
prescrive l'applicazione.
    In  sostanza  non  potrebbe  questo  giudicante  adottare  alcuna
decisione,  neanche  sulla correttezza della procedura ed in punto di
ammissibilita'  del  ricorso,  in  quanto  ostacolato  dalla puntuale
disposizione  che  stabilisce  la competenza funzionale del Tribunale
amministrativo  regionale  Lazio,  ogniqualvolta  si tratti, come nel
caso  di specie, di gravami volti a censurare provvedimenti afferenti
situazioni  di  emergenza  dichiarate  ai sensi dell'art. 5, comma 1,
della legge 24 febbraio 1992, n. 225.
    Non  vale  a  mutare  la superiore considerazione il fatto che il
giudizio sia stato chiamato ad essere trattato in camera di consiglio
per  la sua sola domanda cautelare, posto che la chiara dizione delle
disposizioni  in  esame  non  lascia adito a dubbi e, per effetto del
combinato  disposto  di  cui agli artt. 21 e 26 della legge Tribunale
amministrativo  regionale  ivi  richiamato, in sede della trattazione
cautelare  il  Collegio  dovrebbe  con  sentenza  breve dichiarare la
competenza  del Tribunale amministrativo regionale Lazio e concludere
il  giudizio,  salva  la  riassunzione  di esso a cura delle parti di
fronte    al    Tribunale    amministrativo   regionale   competente,
normativamente prevista.
    II)  Circa  la  non manifesta infondatezza e le ragioni che fanno
sospettare  le  norme  in  esame  di  incostituzionalita', osserva il
collegio  che  la  normativa introdotta dal legislatore con l'art. 3,
comma   2,  da  bis  a  quater,  della  legge  n. 21/2006,  contrasta
innanzitutto con l'art. 125 della Costituzione, e segnatamente con il
principio  della articolazione su base regionale degli organi statali
di  giustizia  amministrativa  di  primo  grado  ivi espressa («Nella
Regione  sono  istituiti  organi di giustizia amministrativa di primo
grado,  secondo  l'ordinamento  stabilito da legge della Repubblica»)
che  implica  il  rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di
competenza dei singoli organi predetti.
    Non  appaiono,  all'evidenza,  manifeste  o  comunque sufficienti
ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera
di  competenze  costituzionalmente  garantita  nella  materia  di cui
trattasi  quando,  come  nel  caso in esame, le singole situazioni di
emergenza   hanno   rilievo   spiccatamente  locale  con  conseguente
efficacia  locale  dei  relativi  provvedimenti adottati dai soggetti
delegati  alla  cura  delle  varie  situazioni emergenziali, anche se
(arg.  ex  art.  2,  comma  1,  lett.  c)  della  legge  n. 225/1992,
richiamato  dall'art.  5, comma 1, legge cit.) essi sono adottati per
fare  fronte  a  situazioni che «per intensita' ed estensione debbono
essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari».
    II.a)   Anzi,   sotto   questo  aspetto,  la  norma  e'  altresi'
contraddittoria  ed  irrazionale  in  quanto  sottopone  al  medesimo
trattamento  processuale  situazioni  disparate  e  differenti tra di
loro.
    In questo quadro, l'art. 5, comma 1 della legge 24 febbraio 1992,
n. 225, richiama, ai fini della applicazione dell'intera disposizione
normativa,  i  casi  in cui (ex art. 2, comma 1, lett. c) della legge
n. 225/1992)   sia   necessario   fare  fronte  con  mezzi  e  poteri
straordinari  alle  calamita' naturali, catastrofi o gli altri eventi
che  richiedano  tale  intervento  per  intensita'  ed estensione. La
previsione  di  cui  alla  legge  n. 21/2006 radica la competenza del
Tribunale  amministrativo  regionale Lazio in tutti i casi in cui sia
dichiarato  lo  stato  di  emergenza ai sensi del comma 1 dell'art. 5
appena  citato  e  quindi  con  esclusione  dei casi di intervento di
protezione  civile  per  gli  eventi  che  possano  essere affrontati
mediante  interventi  attuabili  dai  singoli  enti e amministrazioni
competenti  in  via  ordinaria  (art. 2,  lett.  a)  e  di quelli che
richiedano intervento coordinato di questi ultimi (art. 2, lett. b).
    Quindi,  il sistema della Protezione civile e' articolato in vari
livelli  di  intervento,  contraddistinti dal corrispondente grado di
ampiezza  della  situazione  emergenziale.  Ne  deriva  che  per ogni
tipologia  territoriale e «qualitativa» della situazione di emergenza
e'  chiamato  ad  intervenire  in merito il «livello» di governo piu'
vicino  alla  concreta  dimensione  delle  comunita'  colpite e della
natura dell'emergenza, secondo un chiaro criterio di sussidiarieta' e
senza  escludere  -  funzionalmente e residualmente - che determinate
funzioni  siano «trasversali» ossia comprendano le competenze di piu'
amministrazioni o livelli di governo.
    A  fronte  di  questa  multiformnita' possibile di manifestazioni
concrete   dell'esercizio   del   potere,   la   regola  generale  di
ripartizione  delle  competenze  delineata  dagli artt. 2 e ss. della
legge Tribunale amministrativo regionale appresta una tutela coerente
con  l'art. 125 della Costituzione: derogando ad essa, l'art. 3 della
legge  n. 21/2006, contraddittoriamente ed immotivatamente assegna ex
lege    rilevanza   nazionale   a   qalsiasi   controversia   insorga
nell'esercizio  del  potere  di  protezione civile, facendo leva solo
sulla  necessita'  che  esso presupponga l'intervento extra ordinem e
quindi  a dispetto dell'articolazione del potere previsto dalla legge
n. 225/1992,   posto   che   assegna  in  maniera  indiscriminata  la
competenza   funzionale  a  conoscere  delle  relative  questioni  al
Tribunale amministrativo regionale Lazio.
    In  altri  termini,  con  la  norma in esame, il Legislatore, sul
semplice  presupposto  della  necessita'  di interventi di protezione
civile  extra  ordinem,  pare abbia cristallizzato una valutazione di
rilevanza nazionale degli stessi, a prescindere, come sembra apparire
nel   caso  di  specie,  dalla  loro  eventuale  incidenza  meramente
periferica.
    Appare  utile  rilevare,  in  questa sede, come la giurisprudenza
della Corte costituzionale abbia espressamente riconosciuto che:
        con  l'art.  5  della  legge n. 225 del 1992 e' attribuito al
Consiglio  dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza
in ipotesi di calamita' naturali, ed a seguito della dichiarazione di
emergenza,  e  per  fare  fronte  ad  essa,  lo stesso Presidente del
Consiglio  dei  ministri  o,  su sua delega, il Ministro dell'interno
possano  adottare  ordinanze  in deroga ad ogni disposizione vigente,
nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico;
        l'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo
31   marzo   1998,   n. 112   (Conferimento  di  funzioni  e  compiti
amministrativi  dello  Stato  alle  regioni  ed  agli enti locali, in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), a sua volta,
chiarisce  che  tali funzioni hanno rilievo nazionale, escludendo che
il   riconoscimento   di   poteri  straordinari  e  derogatori  della
legislazione vigente possa avvenire da parte di una legge regionale;
        queste  ultime  due  previsioni,  inoltre,  sono  gia'  state
ritenute  dalla  Corte costituzionale (sentenza n. 327 del 2003) come
espressive   di   un   principio  fondamentale  della  materia  della
protezione  civile,  sicche'  deve  ritenersi  che esse delimitino il
potere normativo regionale, anche sotto il nuovo regime di competenze
legislative  delineato  dalla  legge  costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione).
    Alla  luce  di  quanto  sopra  ricordato,  la Corte ha dichiarato
illegittimo  l'art.  4,  comma  4, della legge della Regione Campania
n. 8  del  2004, nella misura in cui essa ha attribuito al Sindaco di
Napoli  i  poteri  coramissariali dell'ordinanza n. 3142 del 2001 del
Ministro  dell'interno,  dopo  la  scadenza  della emergenza alla cui
soluzione  tale ordinanza era preordinata, in quinto in contrasto con
l'art.  117,  terzo  comma,  della Costituzione (Corte costituzionale
82/2006).
    Tale   ragionamento   comporta   che,  in  relazione  alla  legge
n. 225/1992  ed  all'art.  107  comma  1,  lettere  b)  e  c)  d.lgs.
n. 112/1998,  possiedono  rilievo  nazionale «solamente» il potere di
dichiarare lo stato di emergenza e quello, distinto dal primo seppure
ad    esso   finalisticamente   connesso,   di   derogare   a   norme
dell'ordinamento.
    Ne  consegue  dunque che, sotto questo profilo, la norma in esame
e'  irragionevole  per contraddittorieta' e disparita' di trattamento
processuale,  poiche'  utilizza  lo stesso trattamento per situazioni
del  tutto  differenti  quanto  ad  ambito  territoriale  e livello e
qualita'  degli  interessi  pubblici coinvolti, nonche' per contrasto
con  l'art.  117  della Costituzione, poiche' implicitamente, finisce
per  attribuire rilievo nazionale anche alle questioni riservate alla
competenza regionale.
    II.b)    Ancora,   l'aggravio   della   tutela   giurisdizionale,
soprattutto  ove, come nella specie, esso non sia giustificato da una
effettiva  natura  accentrata  (o  dall'efficacia  estesa  a tutto il
territorio)   dei   provvedimenti   sui  quali  deve  esercitarsi  la
cognizione  del  Tribunale  amministrativo  regionale Lazio, comporta
indubbia  violazione  dell'art. 24 della Costituzione, in particolare
della   possibilita'  di  tutela  dei  propri  diritti  ed  interessi
enunciata  al  primo  comma; detta tutela ne risulta minorata, per la
evidente maggiore difficolta' di esercitare le relative azioni presso
il  Tribunale amministrativo regionale del Lazio piuttosto che presso
gli organi giurisdizionali localmente istituiti. Cio' vale sia per la
fase  transitoria  in cui i giudizi pendenti trasmigrano al Tribunale
amministrativo   regionale   del  Lazio,  sia  per  le  future  nuove
controversie  che  secondo  la  nuova  normativa dovrebbero essere ab
initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale
    Anche  l'art.  25  della  Carta  costituzionale risulta vulnerato
dalla normativa denunciata dal collegio; e se ne trae conferma da una
recente   decisione  della  Corte  costituzionale,  che,  sebbene  in
relazione a disciplina totalmente diversa, ha avuto modo di affermare
un  principio  generale,  che  e'  quello  della  appartenenza  della
competenza   territoriale   alla   nozione   del   giudice   naturale
precostituito  per  legge.  Precisamente,  la sentenza n. 41 del 2006
afferma,  anzi, ribadisce (come testualmente essa si esprime, citando
sentenze  precedenti  in  termini),  che  «alla  nozione  del giudice
naturale   precostituito  per  legge  non  e'  affatto  estranea  "la
ripartizione  della  competenza  territoriale tra giudici, dettata da
normativa   nel   tempo  anteriore  alla  istituzione  del  giudizio"
(sentenze n. 251 del 1986 e n. 410 del 2005)».
    III)  Da  ultimo,  secondo  un  aspetto diverso che si riconnette
ancora  al  tema del giudice naturale, la norma in esame viola l'art.
23 dello Statuto della Regione Sicilia (legge costituzionale n. 2 del
26  febbraio  1948)  a  norma  del quale: «Gli organi giurisdizionali
centrali  avranno  in  Sicilia  le  rispettive sezioni per gli affari
concernenti  la  regione.  Le  sezioni del Consiglio di Stato e della
Corte  dei  conti  svolgeranno altresi' le funzioni, rispettivamente,
consultive  e  di  controllo amministrativo e contabile. I magistrati
della  Corte  dei  conti sono nominati, di accordo, dai Governi dello
Stato  e  della  Regione. I ricorsi amministrativi, avanzati in linea
straordinaria  contro  atti  amministrativi regionali, saranno decisi
dal  Presidente  della  Regione  sentite  le  sezioni  regionali  del
Consiglio  di  Stato». Tale norma e' stata «interpretata» dall'art. 5
del  d.lgs.  6  maggio  1948 n. 654, contenente norme per l'esercizio
delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato nella Regione Sicilia,
il   quale   prevede  che  il  Consiglio  di  giustizia  esercita  le
attribuzioni  devolute  dalla  legge  al  Consiglio  di Stato in sede
giurisdizionale  nei  confronti  di  atti  e provvedimenti definitivi
«dell'amministrazione    regionale    e    delle    altre   autorita'
amministrative aventi sede nel territorio della regione».
    Osserva  il  Collegio  che  gia'  con  «la  sentenza  della Corte
costituzionale   in   data   12   marzo   1975   n. 61,   dichiarando
l'illegittimita'  costituzjonale delle limitazioni poste dall'art. 40
legge   6   dicembre  1971  n. 1034  alla  competenza  del  Tribunale
amministrativo regionale Sicilia, e' stato ritenuto che siano state a
quest'ultimo  conferite  tutte  le controversie d'interesse regionale
considerate  tali  dall'art. 23, comma 1, d.l. 15 maggio 1946 n. 455,
comprendendosi   in   tale   categoria   le   controversie  sorte  da
impugnazione  di  atti  amministrativi  di  autorita' centrali aventi
effetti  limitati al territorio regionale ovvero concernenti pubblici
dipendenti  in  servizio  nella  regione siciliana» (Consiglio Stato,
sez. VI, 26 luglio 1979, n. 595).
    Quindi  la  legge  n. 21/2006,  in  esame,  e' costituzionalmente
illegittima  anche nella sua parte in cui, in violazione dell'art. 23
dello  Statuto  regionale,  sia nella sua formulazione letterale, che
nella   interpretazione   pacifica   che   di  esso  ha  maturato  la
giurisprudenza,  anche  costituzionale,  non  riserva al Consiglio di
giustizia   amministrativa   ed   in   primo   grado   al   Tribunale
amministrativo  regionale Sicilia, la competenza a conoscere circa le
controversie   sorte  da  rimpugnazione  di  atti  amministrativi  di
autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale.
    IV)  Tanto  premesso,  il  Collegio  ritiene di dover evidenziare
altri profili di incostituzionalita' delle norme in esame, seppur non
immediatamente  rifluenti  sul  giudizio  in  esame,  che,  in quanto
introdotto successivamente alla pubblicazione della legge n. 21/2006,
non   puo'   definirsi,  quindi,  «pendente»  al  momento  della  sua
pubblicazione.  L'aggravio  della tutela giurisdizionale, soprattutto
ove,  come  nella  specie, esso non sia giustificato da una effettiva
natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei
provvedimenti  sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale
amministrativo   regionale   Lazio,  comporta,  come  gia'  ritenuto,
indubbia  violazione  dell'art. 24 della Costituzione, in particolare
della   possibilita'  di  tutela  dei  propri  diritti  ed  interessi
enunciata  al  primo comma; detta tutela, come gia' detto, ne risulta
minorata per la evidente maggiore difficolta' ed il maggior dispendio
anche  economico di esercitare le relative azioni presso il Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio piuttosto che presso gli organi
giurisdizionali  localmente  istituiti.  Cio'  vale  sia  per la fase
transitoria  in  cui  i  giudizi  pendenti  trasmigrano  al Tribunale
amministrativo   regionale   del  Lazio,  sia  per  le  future  nuove
controversie  che  secondo  la  nuova  normativa dovrebbero essere ab
initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale
    La  Corte  ha  ritenuto,  in  un caso in cui il legislatore aveva
disposto  l'estinzione  ope legis di giudizi pendenti (art. 10, comma
primo,  legge  n. 425/1984),  che  siffatta  disposizione,  in quanto
«preclude   al   giudice  la  decisione  di  merito  imponendogli  di
dichiarare  d'ufficio l'estinzione dei giudizi pendenti, in qualsiasi
stato  e  grado si trovino alla data di entrata in vigore della legge
sopravvenuta»,  percio'  stesso  «viola  il valore costituzionale del
diritto  di  agire,  in quanto implicante il diritto del cittadino ad
ottenere  una  decisione di merito senza onerose reiterazioni» (Corte
costituzionale, sentenza n. 123 del 1987).
    Sebbene  la  fattispecie  in  esame sia diversa da quella oggetto
della   citata  pronuncia,  il  principio  tuttavia,  ad  avviso  del
collegio,  e'  nello  stesso modo applicabile. Accade, infatti, posto
che  la  norma  in  esame  equipara  la  pendenza  del  giudizio alla
successiva  introduzione,  che  chi  abbia  gia' un giudizio pendente
davanti  al Tribunale amministrativo regionale locale, ed addirittura
abbia  ottenuto  una  decisione  cautelare,  debba proseguire altrove
nella  propria  iniziativa  giudiziaria,  addirittura (se ne parlera'
piu'  diffusamente  infra) rimanendo esposto ad una seconda pronuncia
cautelare  sollecitata  dalla  parte  soccombente  davanti al giudice
adito prima dell'entrata in vigore della legge in questione.
    V)  Altro  profilo  di incostituzionalita' va ravvisato, inoltre,
nella  violazione,  sotto  diverso  profilo  rispetto  a  quanto gia'
rappresentato,  del  principio del giudice naturale precostituito per
legge, di cui all'art. 25 della Costituzione. La norma costituzionale
ora  citata, stabilendo che «nessuno puo' essere distolto dal giudice
naturale  precostituito  per  legge»,  esclude,  come la stessa Corte
costituzionale  afferma,  «che vi possa essere una designazione tanto
da  parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a regole
generali,  quanto  da  altri  soggetti,  dopo che la controversia sia
insorta (sentenze n. 419 del 1998; n. 460 del 1994 e n. 56 del 1967»;
il principio e' in tali termini, e con tali citazioni dei precedenti,
richiamato nella sentenza della Corte n. 393 del 2002). Come la Corte
ha  insegnato,  perche'  tale principio possa considerarsi rispettato
occorre  che  «...  la  regola  di competenza sia prefissata rispetto
all'insorgere della controversia» (sentenza n. 193 del 2003); e basta
scorrere  le numerose decisioni della Corte costituzionale in materia
di  principio  del  giudice  naturale  per rilevare che e' proprio la
preesistenza  della  regola  ehe  individua la competenza rispetto al
giudizio  il  criterio  fondamentale  in  base  al  quale  sono state
valutate le questioni sollevate.
    Tale  profilo di incostituzionalita' si apprezza particolarmente,
ad  avviso  del  collegio,  nella parte della disciplina in questione
(comma  2-quater), che non solo ne dispone l'applicazione ai processi
pendenti,  ma  addirittura  consente  una  riforma  dei provvedimenti
assunti, in sede cautelare, in tali giudizi pendenti, e cio' ad opera
di  un  organo  giurisdizionale  pariordinato a quelli di provenienza
(trattasi   di   giudici   tutti   di   primo   grado,  il  Tribunale
amministrativo regionale del Lazio non essendo un «super-tar»). Cosi'
facendo,  in  sostanza,  il  legislatore  ha  introdotto  un  rimedio
inedito,  che non e' di secondo grado e che finisce per costituire un
doppione  del  gia'  espletato  giudizio  (cautelare) di primo grado,
senza  alcuna  possibilita'  di  inquadramento  tra  i  rimedi noti e
tipizzati (appello, revocazione, reclamo) - Pertanto, anche l'art. 25
della   Carta   costituzionale   risulta  vulnerato  dalla  normativa
denunciata dal collegio.
    Per  altro,  atteso che il principio del doppio grado di giudizio
nella  giustizia amministrativa, sia in sede cautelare sia in sede di
merito,  riceve  garanzia  costituzionale  dall'art.  125 della Carta
(cfr.  Corte costituzionale, sentenza n. 8 del 1982), si configura un
ulteriore  profilo  di  violazione  di  detta norma. Viene infatti ad
essere  introdotto, per le controversie pendenti, un anomalo percorso
(su  cui  gia'  il  Collegio ha poco prima espresso i propri dubbi di
incostituzionalita)  che  stravolge  l'ordinario iter giudiziario. La
regola  e'  che  ad  un  giudizio  di primo grado segua, ove la parte
soccombente  appelli, un giudizio di secondo grado, sia che si tratti
di  giudizio  cautelare,  sia  che  si  tratti di giudizio di merito;
giammai  e'  prevista  una  doppia  pronuncia sulla stessa materia da
parte  di due diversi giudici di primo grado, uno dei quali abilitato
a  riformare  la  decisione  del primo giudice. Orbene, ad avviso del
Collegio,   siffatta   disciplina  integra  altresi'  violazione  del
principio  del  «giusto  processo», di cui all'art. 111, primo comma,
della  medesima  Carta («La giurisdizione si attua mediante il giusto
processo  regolato  dalla legge»). Sempre con riferimento ai processi
pendenti,  infatti,  la  parte  soccombente  nel  giudizio  cautelare
verrebbe ad essere fornita di uno strumento giurisdizionale anomalo e
atipico  a  tutela della propria (legittima, ma da esercitare in modi
conformi  ai  principi  costituzionali)  aspirazione  ad ottenere una
pronuncia  favorevole  in  secondo grado (che deve tuttavia essere un
vero  giudizio  di  secondo  grado,  e  non, si ribadisce, un inedito
duplicato del giudizio di primo grado).
    Cio' comporterebbe altresi' una evidente violazione del principio
del ne bis in idern, che, se pure non espressamente contemplato dalla
Carta costituzionale, deve ritenersi corollario del medesimo generale
principio del «giusto processo» teste' richiamato.
    VI) Un'ulteriore considerazione appare, infine, opportuna.
    Come  gia' premesso, la possibilita', espressa al comma 4-quater,
di  riproposizione  del  ricorso  presso  il Tribunale amministrativo
regionale Lazio a cura della parte interessata introduce un ulteriore
elemento  di  dissonanza  nel  sistema,  segnatamente  in  disarmonia
all'art.  24  della Costituzione, posto che consente un riesame della
decisione  cautelare  presso  il  Tribunale  amministrativo regionale
centrale   (con   espressa   possibilita'  di  modifica)  proprio  ad
iniziativa anche dell'amministrazione e/o del controinteressato.
    A   dette   parti   processuali,   secondo  la  richiamata  norma
costituzionale, non e' certamente conferito l'impulso processuale (ma
la resistenza a difesa del provvedimento amministrativo), prerogativa
esclusiva  della parte ricorrente, cui pertiene la tutela del diritto
di difesa dei propri interessi e diritti.
    Il    ribaltamento   consentito   dalla   norma   sospettata   di
incostituzionalita',   quindi,  mentre  per  un  verso  introduce  un
allungamento  della  serie  delle  possibili decisioni, in violazione
dell'art.  25  della  Costituzione,  per  un  altro  promuove  un non
consentito  originario  impulso  processuale da parte degli originari
resistenti  in giudizio, con pregiudizio, come chiarito, dell'art. 24
della Costituzione.
    VI)  In  conclusione,  il  Collegio ravvisa la rilevanza e la non
manifesta  infondatezza,  per  violazione degli artt. 3, 125, 24 e 25
della  Costituzione e per contrasto con l'art. 23 dello statuto della
Regione  Sicilia,  della  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 3,   comma   2-bis,  comma  2-ter,  comma  2-quater,  legge
n. 21/2006.
    Va,   pertanto,   disposta   -   ai   sensi  dell'art. 134  della
Costituzione,  dell'art. 1 della legge costituzionale 9 ebbraio 1948,
n. 1  e  dell'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87 - la sospensione del
presente   giudizio   e   la   trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale,  oltre  agli  ulteriori  adempimenti  di legge meglio
indicati in dispositivo.
                              P. Q. M.
    Visti   gli   artt. 134   della   Costituzione,   1  della  legge
costituzionale  9  febbraio  1948,  n. 1  e  23, legge 11 marzo 1953,
n. 87,  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  - per
violazione  degli  artt. 3,  125,  24  e  25 della Costituzione e per
contrasto  con  l'art. 23  dello  statuto  della Regione Sicilia - la
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis,
comma 2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006.
    Sospende  il  presente giudizio sino alla restituzione degli atti
da parte della Corte costituzionale.
    Ordina,  a  norma  dell'art.  23/2, legge n. 87/1953, l'immediata
trasmissione  degli atti alla Corte costituzionale con la prova delle
avvenute notificazioni e comunicazioni di cui al punto seguente.
    Dispone  che,  a cura della segreteria del tribunale, la presente
ordinanza  sia  notificata  alle  parti in causa ed al Presidente del
Consiglio  dei  ministri  ed  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
Parlamento.
        Cosi'  deciso  in Catania, in Camera di consiglio, in data 14
settembre 2006.
                       Il Presidente: Messina
L'estensore: Savasta
07C0560