N. 300 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 novembre 2006
Ordinanza emessa il 28 novembre 2006 dal tribunale amministrativo regionale della Sicilia - Sezione staccata Catania - sul ricorso proposto da Zeno Renata Maria contro Presidenza del Consiglio dei ministri ed altri Giustizia amministrativa - Tribunali amministrativi regionali - Controversie relative alla legittimita' delle ordinanze e dei conseguenziali provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 - Competenza, in via esclusiva, in primo grado, attribuita al Tribunale amministrativo regionale del Lazio - sede di Roma - Irragionevole deroga al principio della competenza del Tribunale amministrativo regionale della Regione in cui il provvedimento e' destinato ad avere incidenza - Violazione del diritto di difesa - Violazione dei principi del giudice naturale e del giusto processo - Violazione del principio del decentramento territoriale della giurisdizione amministrativa - Violazione della norma statutaria che attribuisce al Tribunale amministrativo regionale Sicilia le controversie di interesse regionale. - Decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245, art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, introdotti dalla legge 27 gennaio 2006, n. 21. - Costituzione, artt. 3, 24, 25, 111, primo comma e 125; Statuto della Regione Siciliana, art. 23.(GU n.17 del 2-5-2007 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, comma 2, legge n. 87/1953, sul ricorso n. 6164/04 R.G., proposto da Zeno Renata Maria, rappresentata e difesa dagli avv. Gaetano e Luigi Tafuri, ed elettivamente domiciliata presso lo studio degli stessi, sito in Catania, via Umberto n. 296; Contro, la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente pro tempore; il Ministero della protezione civile, in persona del Ministro pro tempore; la Giunta regionale della Regione Sicilia, in persona dell'assessore pro tempore; il Dipartimento regionale della protezione civile, in persona del legale rappresentante pro tempore; tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria ex lege; il Sindaco di Catania quale Commissario delegato della P.C.m., non costituito in giudizio; il Comune di Catania, in persona del legale rappresentante pro tempore; rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Patane', dell'Avvocatura dell'Ente, ed elettivamente domiciliato presso la sede dell'Avvocatura dell'Ente, sita in via G. Oberdan, n. 141; l'Ufficio speciale emergenza traffico e sicurezza tecnica del Comune di Catania, in persona del direttore pro tempore, non costituito in giudizio; per l'annullamento: Con ricorso principale: dell'o.P.C.m. n. 2436/1996 sconosciuta; del Piano di rimodulazione approvato dalla Giunta regionale Sicilia con delibera n. 219 dell'8 maggio 2001 sconosciuta; dell'atto 1645 del 28 giugno 2001 dell'assessore alla presidenza Regione Siciliana sconosciuto; dell'o.P.C.m. n. 3259/2002 sconosciuta chenomina il Sindaco di Catania commissario delegato; del provvedimento del sindaco commissario delegato di Catania n. 15 SIND dell'1 luglio 2004 con il quale si approva il progetto generale «Parcheggio Scambiatore Due Obelischi»; del detto progetto e delle determinazioni sindacali sconosciute n. 6/2003 e 17/2003; del decreto dirigenziale n. 207/XB/2004 del 10 novembre 2004 del direttore ufficio speciale con il quale si determina l'indennita' provvisoria di espropriazione e si dispone l'occupazione d'urgenza del tratto di area di proprieta' della ricorrente in Catania contrada Barriera e dell'atto di avviso dell'immissione in possesso del 29 novembre 2004. Con ricorso per motivi aggiunti: del Piano di rimodulazione approvato dalla Giunta regionale Sicilia con delibera n. 219 dell'8 maggio 2001, sconosciuto, gia' impugnato con il ricorso al Tribunale amministrativo regionale notificato in data 18 dicembre 2004 dalla odierna ricorrente; dell'o.P.C.m. n. 3259/2002 che nomina il Sindaco di Catania commissario delegato per l'attuazione degli interventi volti a fronteggiare l'emergenza determinatasi nella citta' di Catania in relazione alla situazione del traffico e della mobilita' e per gli interventi di riduzione del rischio sismico connessi e funzionali, gia' impugnata con il ricorso al Tribunale amministrativo regionale sopra citato; del d.P.C.m. del 29 novembre 2002 con il quale si dichiara lo stato di emergenza ambientale determinatosi nel settore traffico e della mobilita' della citta' di Catania, impugnato in via autonoma con l'odierno ricorso per motivi aggiunti. Visto il ricorso principale ed il ricorso per motivi aggiunti con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione delle amministrazioni resistenti; Visti gli atti tutti della causa; Udito nella Camera di consiglio dell'11 maggio 2006 il relatore cons. Pancrazio Maria Savasta; Uditi gli avvocati come da verbale; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: In fatto Con provvedimento n. 15 SIND del 1° luglio 2004, il Sindaco di Catania, nella qualita' di commissario delegato per l'ingerenza connessa al rischio sismico mediante lo studio e la progettazione dei connessi interventi (art. 2 della legge 31 dicembre 1991, n. 433) ha approvato il progetto generale «Parcheggio Scambiatore Due Obelischi». Con decreto dirigenziale n. 207/XB/2004 del 10 novembre 2004 del direttore ufficio speciale e' stata determinata l'indennita' provvisoria di espropriazione e si e' disposta l'occupazione d'urgenza di un tratto di area di proprieta' della ricorrente sita in contrada Barriera. Successivamente, con avviso del 29 novembre 2004, e' stata disposta l'immissione in possesso. La ricorrente ha impugnato tutti i detti atti, ivi compresi l'o.P.C.m. n. 2436/1996, il Piano di rimodulazione approvato dalla Giunta regionale Sicilia con delibera n. 219 dell'8 maggio 2001, l'atto 1645 del 28 giugno 2001 dell'assessore alla presidenza Regione Siciliana e, infine, l'o.P.C.m. n. 3259/2002 che la quale si e' proceduto alla predetta nomina quale commissario delegato del Sindaco di Catania. Con successivo ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente ha altresi' impugnato il d.P.C.m. del 29 novembre 2002 con il quale si dichiara lo stato di emergenza ambientale determinatosi nel settore traffico e della mobilita' della citta' di Catania. Costituitasi, l'Avvocatura di Stato per il Presidente del Consiglio dei ministri - Dipartimento regionale protezione civile Sicilia Orientale, per la Giunta regionale Sicilia e per l'Assessorato regionale alla Presidenza, ha concluso per l'incompetenza funzionale di questo tribunale, a favore del Tribunale regionale del Lazio, mentre il Comune di Catania ha concluso per l'infondatezza del gravame. Nella Camera di consiglio dell'11 maggio 2006 il ricorso e' stato trattenuto per la decisione. Diritto I) Parte ricorrente con i ricorsi in esame (principale e per motivi aggiunti) ha impugnato espressamente l'o.P.C.m. n. 3259/2002, con la quale si e' proceduto alla nomina del Sindaco di Catania quale commissario delegato per l'emergenza connessa al rischio sismico mediante lo studio e la progettazione dei connessi interventi. Detta ordinanza, come chiarito nelle stesse premesse, richiama l'art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225. Pertanto, il Collegio deve affrontare la questione, espressamente eccepita dalla difesa erariale, relativa alla competenza inderogabile del Tribunale amministrativo regionale del Lazio a conoscere della vicenda. Tale competenza sorge per effetto della norma di cui alla legge n. 21/2006, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 23 del 28 gennaio 2006, che, all'art. 3, per quel che qui rileva dispone: omissis ... «2-bis. In tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, la competenza di primo grado a conoscere della legittimita' delle ordinanze adottate e dei consequenziali provvedimenti commissariali spetta in via esclusiva, anche per l'emanazione di misure cautelari, al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma. 2-ter. Le questioni di cui al comma 2-bis, sono rilevate d'ufficio. Davanti al giudice amministrativo il giudizio e' definito con sentenza succintamente motivata ai sensi dell'art. 26, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, trovando applicazione i commi 2 e seguenti dell'art. 23-bis della stessa legge. 2-quater. Le norme di cui ai commi 2-bis e 2-ter si applicano anche ai processi in corso. L'efficacia delle misure cautelari adottate da un tribunale amministrativo diverso da quello di cui al comma 2-bis permane fino alla loro modifica o revoca da parte del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma, cui la parte interessata puo' riproporre il ricorso». Osserva il Collegio che la fattispecie in esame e' attratta nell'applicazione della citata legge n. 21/2006, art. 3, in quanto il Sindaco di Catania ha agito in qualita' commissario delegato, regolando una fattispecie rientrante nel novero delle situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, cosi' come emerge dall'espresso richiamo di detta disposizione nel preambolo dell'o.P.C.m. 20 dicembre 2002, n. 3259, di conferimento dei poteri straordinari, che, a sua volta, richiama l'altra o.P.C.m. 29 novembre 2002, n. 3254, emanata di seguito al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 ottobre 2002, n. 25106, con il quale, in espresso ossequio alla predetta disposizione legislativa, e' stato dichiarato lo stato di emergenza in ordine ai gravi fenomeni eruttivi connessi all'attivita' vulcanica dell'Etna nel territorio della provincia di Catania ed agli eventi sismici concernenti la medesima area. Il Collegio, pertanto, ritenendola rilevante ai fini della decisione da assumere in trasmissione degli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio e non manifestamente infondata, solleva questione di legittimita' costituzionale del predetto art. 3, e segnatamente del comma 2 nelle sottonumerazioni bis, ter, quater, come sara' esposto nei seguenti paragrafi e come gia' fatto in ordine ad altra fattispecie per la cui decisione e' venuta in rilievo la medesima norma (Tribunale amministrativo regionale Catania, I, ord. n. 90 del 7 marzo 2006) e per una ulteriore questione, invece, pressoche' identica (Tribunale amministrativo regionale Catania, ord. n. 145 del 4 aprile 2006, - cfr., altresi', C.G.A. per la Sicilia, ordd. nn. 235 e 236/2006). II) La rilevanza della questione ai fini della decisione da assumere e' di tutta evidenza. Il Collegio sarebbe tenuto, sulla base della normativa espressa dalla richiamata legge n. 21/2006 - ove non dubitasse della incostituzionalita' di essa e quindi non ritenesse necessario investire il giudice delle leggi della relativa questione - a trasmettere gli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio e cio' per espressa disposizione della nuova disciplina che ne prescrive l'applicazione. In sostanza non potrebbe questo giudicante adottare alcuna decisione, neanche sulla correttezza della procedura ed in punto di ammissibilita' del ricorso, in quanto ostacolato dalla puntuale disposizione che stabilisce la competenza funzionale del Tribunale amministrativo regionale Lazio, ogniqualvolta si tratti, come nel caso di specie, di gravami volti a censurare provvedimenti afferenti situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225. III) Circa la non manifesta infondatezza e le ragioni che fanno sospettare le norme in esame di incostituzionalita', osserva il Collegio che la normativa introdotta dal legislatore con l'art. 3, comma 2, da bis a quater, della legge n. 21/2006, contrasta innanzitutto con l'art. 125 della Costituzione, e segnatamente con il principio della articolazione su base regionale degli organi statali di giustizia amministrativa di primo grado ivi espressa («Nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica») che implica il rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di competenza dei singoli organi predetti. Non appaiono, all'evidenza, manifeste o comunque sufficienti ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera di competenze costituzionalmente garantita nella materia di cui trattasi quando, come nel caso in esame, le singole situazioni di emergenza hanno rilievo spiccatamente locale con conseguente efficacia locale dei relativi provvedimenti adottati dai soggetti delegati alla cura delle varie situazioni emergenziali, anche se (arg. ex art. 2, comma 1, lett. c) della legge n. 225/1992, richiamato dall'art. 5 comma 1, legge cit.) essi sono adottati per fare fronte a situazioni che «per intensita' ed estensione debbono essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari». III.a) anzi sotto questo aspetto, la norma e' altresi' contraddittoria ed irrazionale in quanto sottopone al medesimo trattamento processuale situazioni disparate e differenti tra di loro. In questo quadro, l'art. 5, comma 1 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, richiama, ai fini della applicazione dell'intera disposizione normativa, i casi in cui (ex art. 2, comma 1, lett. c) della legge n. 225/1992) sia necessario fare fronte con mezzi e poteri straordinari alle calamita' naturali, catastrofi o gli altri eventi che richiedano tale intervento per intensita' ed estensione. La previsione di cui alla legge n. 21/2006 radica la competenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio in tutti i casi in cui sia dichiarato lo stato di emergenza ai sensi del comma 1 dell'art. 5 appena citato e quindi con esclusione dei casi di intervento di protezione civile per gli eventi che possano essere affrontati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria (art. 2, lett. a) e di quelli che richiedano intervento coordinato di questi ultimi (art. 2, lett. b). Quindi, il sistema della Protezione civile e' articolato in vari livelli di intervento, contraddistinti dal corrispondente grado di ampiezza della situazione emergenziale. Ne deriva che per ogni tipologia territoriale e «qualitativa» della situazione di emergenza e' chiamato ad intervenire in merito il «livello» di governo piu' vicino alla concreta dimensione delle comunita' colpite e della natura dell'emergenza, secondo un chiaro criterio di sussidiarieta' e senza escludere - funzionalmente e residualmente - che determinate funzioni siano «trasversali» ossia comprendano le competenze di piu' amministrazioni o livelli di governo. A fronte di questa multiformita' possibile di manifestazioni concrete dell'esercizio del potere, la regola generale di ripartizione delle competenze delineata dagli artt. 2 e ss. della legge Tribunale amministrativo regionale appresta una tutela coerente con l'art. 125 della Costituzione: derogando ad essa, l'art. 3 della legge n. 21/2006, contraddittoriamente ed immotivatamente assegna ex lege rilevanza nazionale a qualsiasi controversia insorga nell'esercizio del potere di protezione civile, facendo leva solo sulla necessita' che esso presupponga l'intervento extra ordinem e quindi a dispetto dell'articolazione di potere previsto dalla legge 225/1992, posto che assegna in maniera indiscriminata la competenza funzionale a conoscere delle relative questioni al Tribunale amministrativo regionale Lazio. In altri termini, la norma in esame il Legislatore, sul semplice presupposto della necessita' di interventi di protezione civile extra ordinem, pare abbia cristallizzato una valutazione di rilevanza nazionale degli stessi, a prescindere, come sembra apparire nel caso di specie, dalla loro eventuale incidenza meramente periferica. Appare utile rilevare, in questa sede, come la giurisprudenza della Corte costituzionale abbia espressamente riconosciuto che: con l'art. 5 della legge n. 225 del 1992 e' attribuito al Consiglio dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza in ipotesi di calamita' naturali, ed a seguito della dichiarazione di emergenza, e per fare fronte ad essa, lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri o, su sua delega, il Ministro dell'interno possano adottare ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico; l'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), a sua volta, chiarisce che tali funzioni hanno rilievo nazionale, escludendo che il riconoscimento di poteri straordinari e derogatori della legislazione vigente possa avvenire da parte di una legge regionale; queste ultime due previsioni, inoltre, sono gia' state ritenute dalla Corte costituzionale (sentenza n. 327 del 2003) come espressive di un principio fondamentale della materia della protezione civile, sicche' deve ritenersi che esse delimitino il potere normativo regionale, anche sotto il nuovo regime di competenze legislative delineato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione). Alla luce di quanto sopra ricordato, la Corte ha dichiarato illegittimo l'art. 4, comma 4, della legge della Regione Campania n. 8 del 2004, nella misura in cui essa ha attribuito al Sindaco di Napoli i poteri commissariali dell'ordinanza n. 3142 del 2001 del Ministro dell'interno, dopo la scadenza della emergenza alla cui soluzione tale ordinanza era preordinata, in quanto in contrasto con l'art. 117, terzo comma, della Costituzione (Corte cost. n. 82/2006). Tale ragionamento comporta che, in relazione alla legge n. 225/1992 ed all'art. 107, comma 1, lettere b), e c), d.lgs. n. 112/1998, possiedono rilievo nazionale «solamente» il potere di dichiarare lo stato di emergenza e quello, distinto dal primo seppure ad esso finalisticamente connesso, di derogare a norme dell'ordinamento. Ne consegue dunque che, sotto questo profilo, la norma in esame e' irragionevole per contraddittorieta' e disparita' di trattamento processuale, poiche' utilizza lo stesso trattamento per situazioni del tutto differenti quanto ad ambito territoriale e livello e qualita' degli interessi pubblici coinvolti, nonche' per contrasto con l'art. 117 della Costituzione, poiche' implicitamente, finisce per attribuire rilievo nazionale anche alle questioni riservate alla competenza regionale. III.b) Ancora, l'aggravio della tutela giurisdizionale, soprattutto ove, come nella specie, esso non sia giustificato da una effettiva natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei provvedimenti sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale amministrativo regionale Lazio, comporta indubbia violazione dell'art. 24 della Costituzione, in particolare della possibilita' di tutela dei propri diritti ed interessi enunciata al primo comma; detta tutela ne risulta minorata, per la evidente maggiore difficolta' di esercitare le relative azioni presso il Tribunale amministrativo regionale del Lazio piuttosto che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti. Cio' vale sia per la fase transitoria in cui i giudizi pendenti trasmigrano al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sia per le future nuove controversie che secondo la nuova normativa dovrebbero essere ab initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale Anche l'art. 25 della Carta costituzionale risulta vulnerato dalla normativa denunciata dal Collegio; e se ne trae conferma da una recente decisione della Corte costituzionale, che, sebbene in relazione a disciplina totalmente diversa, ha avuto modo di affermare un principio generale, che e' quello della appartenenza della competenza territoriale alla nozione del giudice naturale precostituito per legge. Precisamente, la sentenza n. 41 del 2006 afferma, anzi, ribadisce (come testualmente essa si esprime, citando sentenze precedenti in termini), che «alla nozione del giudice naturale precostituito per legge non e' affatto estranea la "ripartizione della competenza territoriale tra giudici, dettata da normativa nel tempo anteriore alla istituzione del giudizio"» (sentenze n. 251 del 1986 e n. 410 del 2005); IV) Da ultimo, secondo un aspetto diverso che si riconnette ancora al tema del giudice naturale, la norma in esame viola l'art. 23 dello statuto della Regione Sicilia (legge costituzionale n. 2 del 26 febbraio 1948) a norma del quale: «Gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione. Le Sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti svolgeranno altresi' le funzioni, rispettivamente, consultive e di controllo amministrativo e contabile. I magistrati della Corte dei conti sono nominati, di accordo, dai Governi dello Stato e della Regione. I ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal presidente della regione sentite le sezioni regionali del Consiglio di Stato». Tale norma e' stata «interpretata» dall'art. 5 del d.lgs. 6 maggio 1948, n. 654, contenente norme per l'esercizio delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato nella Regione Sicilia, il quale prevede che il Consiglio di giustizia esercita le attribuzioni devolute dalla legge al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale nei confronti di atti e provvedimenti definitivi «dell'amministrazione regionale e delle altre autorita' amministrative aventi sede nel territorio della regione». Osserva il Collegio che gia' con «la sentenza della Corte cost. in data 12 marzo 1975, n. 61, dichiarando l'illegittimita' costituzionale delle limitazioni poste dall'art. 40, legge 6 dicembre 1971 n. 1034, alla competenza del Tribunale amministrativo regionale Sicilia, e' stato ritenuto che siano state a quest'ultimo conferite tutte le controversie d'interesse regionale considerate tali dall'art. 23, comma 1, d.l. 15 maggio 1946, n. 455, comprendendosi in tale categoria le controversie sorte da impugnazione di atti amministrativi di autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale ovvero concernenti pubblici dipendenti in servizio nella Regione Siciliana» (Consiglio Stato, sez. VI, 26 luglio 1979, n. 595). Quindi la legge n. 21/2006, in esame, e' costituzionalmente illegittima anche nella sua parte in cui, in violazione dell'art. 23 dello statuto regionale, sia nella sua formulazione letterale, che nella interpretazione pacifica che di esso ha maturato la giurisprudenza, anche costituzionale, non riserva al Consiglio di giustizia amministrativa ed in primo grado al Tribunale amministrativo regionale Sicilia, la competenza a conoscere circa le controversie sorte da impugnazione di atti amministrativi di autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale. V) Il Collegio ritiene di dover evidenziare altri profili di incostituzionalita' delle norme in esame. L'aggravio della tutela giurisdizionale, soprattutto ove, come nella specie, non sia giustificato da una effettiva natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei provvedimenti sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale amministrativo regionale Lazio, comporta, come gia' ritenuto, indubbia violazione dell'art. 24 della Costituzione, in particolare della possibilita' di tutela dei propri diritti ed interessi enunciata al primo comma; detta tutela, come gia' detto, ne risulta minorata per la evidente maggiore difficolta' ed il maggior dispendio anche economico di esercitare le relative azioni presso il Tribunale amministrativo regionale del Lazio piuttosto che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti. Cio' vale sia per la fase transitoria in cui i giudizi pendenti trasmigrano al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sia per le future nuove controversie che secondo la nuova normativa dovrebbero essere ab initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale La Corte ha ritenuto, in un caso in cui il legislatore aveva disposto l'estinzione ope legis di giudizi pendenti (art. 10, comma primo, legge n. 425/1984), che siffatta disposizione, in quanto «preclude al giudice la decisione di merito imponendogli di dichiarare d'ufficio l'estinzione dei giudizi pendenti, in qualsiasi stato e grado si trovino alla data di entrata in vigore della legge sopravvenuta», percio' stesso «viola il valore costituzionale del diritto di agire, in quanto implicante il diritto del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza onerose reiterazioni» (Corte costituzionale, sentenza n. 123 del 1987). Sebbene la fattispecie in esame sia diversa da quella oggetto della citata pronuncia, il principio tuttavia, ad avviso del Collegio, e' nello stesso modo applicabile. Accade, infatti, posto che la norma in esame equipara la pendenza del giudizio alla successiva introduzione, che chi abbia gia' un giudizio pendente davanti al Tribunale amministrativo regionale locale, ed addirittura abbia ottenuto una decisione cautelare, debba proseguire altrove nella propria iniziativa giudiziaria, addirittura (se ne parlera' piu' diffusamente infra) rimanendo esposto ad una seconda pronuncia cautelare sollecitata dalla parte soccombente davanti al giudice adito prima dell'entrata in vigore della legge in questione. VI) Altro profilo di incostituzionalita' va ravvisato, inoltre, nella violazione, sotto diverso profilo rispetto a quanto gia' rappresentato, del principio del giudice naturale precostituito per legge, di cui all'art. 25 della Costituzione. La norma costituzionale ora citata, stabilendo che «nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge», esclude, come la stessa Corte costituzionale afferma, «che vi possa essere una designazione tanto da parte del legislatore con norme singolari che deroghino a regole generali, quanto da altri soggetti, dopo che la controversia sia insorta (sentenze n. 419 del 1998; n. 460 del 1994 e n. 56 del 1967); il principio e' in tali termini, e con tali citazioni dei precedenti, richiamato nella sentenza della Corte n. 393 del 2002». Come la Corte ha insegnato, perche' tale principio possa considerarsi rispettato occorre che «... la regola di competenza sia prefissata rispetto all'insorgere della controversia» (sentenza n. 193 del 2003); e basta scorrere le numerose decisioni della Corte costituzionale in materia di principio del giudice naturale per rilevare che e' proprio la preesistenza della regola che individua la competenza rispetto al giudizio il criterio fondamentale in base al quale sono state valutate le questioni sollevate. Tale profilo di incostituzionalita' si apprezza particolarmente, ad avviso del Collegio, nella parte della disciplina in questione (comma 2-quater), che non solo ne dispone l'applicazione ai processi pendenti, ma addirittura consente una riforma dei provvedimenti assunti, in sede cautelare, in tali giudizi pendenti, e cio' ad opera di un organo giurisdizionale pariordinato a quelli di provenienza (trattasi di giudici tutti di primo grado, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio non essendo un «super-Tribunale amministrativo regionale»). Cosi' facendo, in sostanza, il legislatore ha introdotto un rimedio inedito, che non e' di secondo grado e che finisce per costituire un doppione del gia' espletato giudizio (cautelare) di primo grado, senza alcuna possibilita' di inquadramento tra i rimedi noti e tipizzati (appello, revocazione, reclamo). Pertanto, anche l'art. 25 della Carta costituzionale risulta vulnerato dalla normativa denunciata dal Collegio. Per altro, atteso che il principio del doppio grado di giudizio nella giustizia amministrativa, sia in sede cautelare sia in sede di merito, riceve garanzia costituzionale dall'art. 125 della Carta (cfr. Corte cost., sentenza n. 8 del 1982), si configura un ulteriore profilo di violazione di detta norma. Viene infatti ad essere introdotto, per le controversie pendenti, un anomalo percorso (su cui gia' il Collegio ha poco prima espresso i propri dubbi di incostituzionalita) che stravolge l'ordinario iter giudiziario. La regola e' che ad un giudizio di primo grado segua, ove la parte soccombente appelli, un giudizio di secondo grado, sia che si tratti di giudizio cautelare, sia che si tratti di giudizio di merito; giammai e' prevista una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di due diversi giudici di primo grado, uno dei quali abilitato a riformare la decisione del primo giudice. Orbene, ad avviso del Collegio, siffatta disciplina integra altresi' violazione del principio del «giusto processo», di cui all'art. 111, primo comma, della medesima Carta «La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge». Sempre con riferimento ai processi pendenti, infatti, la parte soccombente nel giudizio cautelare verrebbe ad essere fornita di uno strumento giurisdizionale anomalo e atipico a tutela della propria (legittima, ma da esercitare in modi conformi ai principi costituzionali) aspirazione ad ottenere una pronuncia favorevole in secondo grado (che deve tuttavia essere un vero giudizio di secondo grado, e non, si ribadisce, un inedito duplicato del giudizio di primo grado). Cio' comporterebbe altresi' una evidente violazione del principio del ne bis in idem, che, se pure non espressamente contemplato dalla Carta costituzionale, deve ritenersi corollario del medesimo generale principio del «giusto processo» teste' richiamato. VII) Un'ulteriore considerazione appare opportuna. Come gia' premesso, la possibilita', espressa al comma 4-quater, di riproposizione del ricorso presso il Tribunale amministrativo regionale Lazio a cura della parte interessata introduce un'ulteriore elemento di dissonanza nel sistema, segnatamente in disarmonia all'art. 24 Cost., posto che consente un riesame della decisione cautelare presso il Tribunale amministrativo regionale centrale (con espressa possibilita' di modifica) proprio ad iniziativa anche dell'Amministrazione e/o del controinteressato. A dette parti processuali, secondo la richiamata norma costituzionale, non e' certamente conferito l'impulso processuale (ma la resistenza a difesa del provvedimento amministrativo), prerogativa esclusiva della parte ricorrente, cui pertiene la tutela del diritto di difesa dei propri interessi e diritti. Il ribaltamento consentito dalla norma sospettata di incostituzionalita', quindi, mentre per un verso introduce un allungamento della serie delle possibili decisioni, in violazione dell'art. 25 Cost., per un altro promuove un non consentito originario impulso processuale da parte degli originari resistenti in giudizio, con pregiudizio, come chiarito, dell'art. 24 Cost. VIII) In conclusione, il Collegio ravvisa la rilevanza e la non manifesta infondatezza, per violazione degli artt. 3, 125, 24, 25 e 111, primo comma, della Costituzione, e per contrasto con l'art. 23 dello statuto della Regione Sicilia, della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis, comma 2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006. Va, pertanto, disposta - ai sensi dell'art. 134 Cost., dell'art. 1 della legge Cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87 - la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, oltre agli ulteriori adempimenti di legge meglio indicati in dispositivo.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Cost., 1 della legge Cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, Dichiara rilevante e non manifestamente infondata - per violazione degli artt. 3, 125, 24, 25 e 111, primo comma, della Costituzione, e per contrasto con l'art. 23 dello statuto della Regione Sicilia - la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis, comma 2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006. Sospende il presente giudizio sino alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale. Ordina, a norma dell'art. 23/2, legge n. 87/1953, l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale con la prova delle avvenute notificazioni e comunicazioni di cui al punto seguente. Dispone che, a cura della segreteria del tribunale, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Catania, in Camera di consiglio, in data 11 maggio 2006. Il Presidente: Zingales L'estensore: Savasta 07C0562