N. 308 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 dicembre 2006

Ordinanza  emessa  il  12  dicembre  2006  dal  giudice  tutelare del
tribunale di Treviso nel procedimento relativo a C.T.

Aborto   e   interruzione  volontaria  della  gravidanza  -  Gestante
  minorenne   -   Possibilita'  di  interrompere  volontariamente  la
  gravidanza  nei  primi novanta giorni su autorizzazione del giudice
  tutelare   -   Sussistenza   di   seri  motivi  che  impediscono  o
  sconsigliano la consultazione delle persone esercenti la potesta' o
  la  tutela  -  Omessa  previsione  in  capo al giudice tutelare del
  potere-dovere   di  riscontrare  l'effettiva  consapevolezza  della
  scelta  operata  dalla  minore e di negare, in caso di accertamento
  negativo,    l'autorizzazione    all'interruzione   volontaria   di
  gravidanza    -    Carattere    irragionevolmente   vincolato   del
  provvedimento   autorizzatorio  demandato  al  giudice  tutelare  -
  Asserito  contrasto  della  giurisprudenza  costituzionale  con  il
  tenore   letterale   della   disposizione  impugnata  -  Denunciata
  violazione   dell'obbligo   costituzionale   di   motivazione   dei
  provvedimenti giurisdizionali.
- Legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12.
- Costituzione, art. 111, comma sesto.
(GU n.18 del 9-5-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Nel  procedimento  n. 1844/2006  V.G.  promosso da: C.T., nata in
Moldavia  il  6 luglio  1989, riguardante richiesta di autorizzazione
alla I.V.G. ex art. 12 legge n. 194/1978.
    Premesso  che: con provvedimento in data 23 novembre 2006, questo
giudice   tutelare   autorizzava   la  minore  C.T.  all'interruzione
volontaria  della  gravidanza,  sulla  base dei presupposti di cui al
combinato   disposto  degli  artt. 4,  5,  e  12  legge  n. 194/1978,
«...ritenuti  fondati  i motivi che rendono sconsigliabile consultare
gli esercenti la potesta' genitoriale...»;
        che  tale  provvedimento,  tuttavia, e' stato assunto, seppur
con   tale  motivazione,  stante  il  rifiuto  della  minore  stessa,
nonostante  i ripetuti solleciti ed inviti in tale senso avanzati sia
dal  G.T. che dagli organi del consultorio competente, di considerare
l'opportunita'  di informare i genitori esercenti la patria potesta',
atteso  che  la  situazione  familiare  della  minore non appariva di
particolare  complessita',  ne'  i rapporti della minore stessa con i
genitori  e  la  sua  maturita',  apparivano tali da giustificare una
«sostituzione» degli organi pubblici alla potesta' genitoriale;
        che  pertanto  tale provvedimento e' stato assunto in realta'
solo  sul  presupposto  della  volonta'  della  minore  e soprattutto
dell'urgenza  di  concedere  l'autorizzazione per l'approssimarsi del
termine ultimo utile per la I.V.G., cosi' come imposto dalla legge.
        che  tale situazione, in particolare per cio' che concerne il
provvedimento  autorizzativo  del  G.T.,  appare  contrastare  con  i
principi  dell'ordinamento  e soprattutto con l'art. 111 sesto Cost.,
che  esige  che: «Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere
motivati» per tali motivi:
          dall'esame    delle   precedenti   pronunce   della   Corte
costituzionale,    assunte   con   riferimento   all'art. 12,   legge
n. 194/1978  (n. 109/1981 - n. 196/1987 - n. 463/1988 - n. 293/1993 -
n. 76/1996  -  n. 514/2002),  si  evince  che  la Corte ha piu' volte
dichiarato  inammissibili  i giudizi di illegittimita' costituzionale
sotto  diversi  profili  (art. 3, 2, 21, 19 e 32 Cost.), ritenendo in
particolare  che: «... il provvedimento del giudice tutelare risponde
ad una funzione di verifica in ordine alla esistenza delle condizioni
nelle  quali  la  decisione  della minore possa essere presa in piena
liberta'  morale...»;  e  come  «...la  decisione  di interrompere la
gravidanza  sia  rimessa  esclusivamente  alla  responsabilita' della
donna,  anche  se minore di eta', si' che, in quest'ultima ipotesi il
provvedimento  del  giudice  costituisce  solo  uno  dei  presupposti
dell'articolato  procedimento, che si inizia con la richiesta rivolta
al  consultorio  familiare  o  alla  struttura socio-sanitaria o a un
medico  di  fiducia della donna stessa; che il detto presupposto puo'
anche   mancare,   per  esempio  allorche'  sia  accertata  l'urgenza
dell'intervento,   cui   si  procede  ugualmente,  anche  in  assenza
dell'autorizzazione  del  giudice;  che  in  ogni caso il giudice non
potrebbe  discostarsi  dagli  accertamenti  compiuti  ai  sensi degli
artt. 4  e  5  i quali si pongono percio' come antefatto specifico di
carattere  tecnico;  che, non essendo consentito al giudice censurare
norme  di  cui  non  deve  fare  concreta applicazione, non puo' egli
impugnare  gli  artt. 4  e  5;  onde  resta priva di rilievo anche la
questione   riferita  all'art.  12,  sul  quale  palesemente  non  si
appuntano le doglianze del rimettente...».
    Con tali motivazioni, contenute nell'ultima ordinanza della Corte
(n. 514/2002),  ma gia' evidenziate anche nelle precedenti decisioni,
si  e'  dunque  ritenuo  che:  «... in tale contesto, la funzione del
giudice tutelare costituisce strumento di garanzia circa la effettiva
consapevolezza  della  scelta della minore nella valutazione dei beni
in  gioco,  in  un sistema che vede coinvolti tutti gli interventi di
carattere  sociale  a  tutela  della  maternita'  e  della  vita  del
concepito, potendo il giudice negare l'autorizzazione quando escluda,
nel  suo  prudente  apprezzamento,  tale  consapevolezza...»;  1)  La
dottrina   ha   riconosciuto   in   tale  orientamento  una  modifica
concettuale  rispetto  alle pronunce meno recenti, evidenziando come:
«...L'intervento  del  giudice  tutelare abbandona l'angusto ruolo di
strumento  di integrazione della volonta' di un soggetto incapace per
assumere  il  piu'  complesso  significato di una «verifica in ordine
all'esistenza  delle condizioni nelle quali la decisione della minore
possa essere presa in piena liberta' morale». Il che non significa un
piatto  e  ripetitivo riferimento all'autodeterminazione della donna,
in  tempi  meno  recenti proclamata come scelta obbligata di liberta'
per  la  donna  e  come  scelta  di  autonomia della donna minore. La
liberta' morale deve passare, secondo la Corte, per la piu' difficile
via  della  conoscenza  e  valutazione di tutti i «fattori (di natura
economica,  sociale  e  giuridica)  che  l'ordinamento  e'  tenuto  a
predisporre a favore della maternita»... 2)
    Ora,  appare  evidente,  a parere di questo giudice, l'insanabile
contrasto  tra una tale interpretazione della norma in questione (che
nega  di  fatto  ogni  potere  discrezionale al G.T.), con la lettera
della   norma   stessa,  laddove  riporta  che  il  giudice  tutelare
«...sentita la donna e tenuto conto della sua volonta', delle ragioni
che  adduce  e  della  relazione  trasmessagli,  puo'  autorizzare la
donna... a decidere l'interruzione della gravidanza».
    Infatti,  delle  due  l'una:  o  il  giudice tutelare conserva un
effettivo  potere  discrezionale  autorizzativo  e  integrativo della
volonta'  della donna, basato su elementi di fatto che egli stesso (e
non  altri organi) e' portato ad acquisire e valutare e, nel caso non
ritenga giustificato il rifiuto della donna a informare gli esercenti
la  potesta'  genitoriale, neghi tale autorizzazione «quando escluda,
nel  suo prudente apprezzamento, ...la effettiva consapevolezza della
scelta della minore nella valutazione dei beni in gioco...» [ma nella
realta'  concreta tale potere non e' di fatto esercitatile, in quanto
comunque   la   minore  viene  sentita  dal  giudice  tutelare  e  il
provvedimento  di  questi  e'  richiesto  solo  quando  i termini per
interrompere  la  gravidanza  sono  ormai trascorsi e di fatto non e'
piu'   possibile   ne'   «tornare  indietro»,  ne'  richiedere  altre
valutazioni];   oppure   il   g.t.,   non  conservando  alcun  potere
discrezionale   (ed   infatti   non  puo'  considerarsi  tale  quello
costituito  dalla  semplice «attestazione» della consapevolezza della
donna),  come  appare  ritenere la Corte (... il giudice non potrebbe
discostarsi  dagli  accertamenti  compiuti  ai  sensi degli artt. 4 e
5...), non fa altro che assumere una decisione del tutto immotivata e
immotivabile,  poiche'  sia  che  ritenga effettivamente «liberamente
manifestata»  la  volonta' della donna, sia che non lo ritenga, e' di
fatto  obbligato ad emettere il provvedimento, non potendo certamente
assumersi  in  proprio la decisione di non interrompere la gravidanza
della  donna,  non  avendo  piu'  il  tempo  materiale  (oltre che la
facolta',  secondo  la  Corte) di svolgere una adeguata «istruttoria»
sulla  situazione  della  minore,  sul  suo  nucleo famigliare, sulle
motivazioni  che  l'hanno condotta alla decisione e addirittura sulle
possibili  situazioni  che l'abbiano (eventualmente) «costretta» alla
decisione  (come  nei casi, sempre possibili, di pressioni, ricatti e
violenze da parte, ad esempio, del futuro padre del bambino).
    In  altre  parole,  cosa  succede  quando  il  giudice  tutelare,
nell'espressione  della  sua  (in  questo  caso  presunta)  capacita'
decisionale  e  valutazione  discrezionale,  ritenga  che la volonta'
manifestata  dalla  donna  non  sia  affatto libera? Cioe' che la sua
valutazione dei motivi che l'hanno spinta a non consultare le persone
esercenti la patria potesta' non sia adeguata alla situazione e cio',
in  ipotesi,  risulti  anche  dalla  relazione  del  consultorio?; il
giudice  tutelare,  di  fatto,  non  puo'  fare nulla, perche' non ha
possibilita'   alcuna   di   intervenire   nella   valutazione  delle
circostanze  che  giustificano da un lato la scelta (che sia libera o
meno)  della  donna  di  interrompere  la  gravidanza e dall'altro la
scelta della mancata richiesta di assenso da parte degli esercenti la
potesta' genitoriale.
    Tutto  cio',  a  parere  di  questo giudice, contrasta in maniera
stridente  con il carattere discrezionale del provvedimento richiesto
al  Giudice  dalla  legge  e  quindi con il principio dell'obbligo di
motivazione dello stesso di cui all'art. 111, sesto comma Cost.
    C'e'  un  altro aspetto da considerare, che del resto e' semplice
corollario  del  precedente:  la  norma  di  cui  all'art. 12,  legge
n. 194/1978   collega   l'intervento   del  giudice  tutelare,  nella
procedura  di  interruzione  della  gravidanza,  alla verifica di tre
condizioni: «...La prima e' costituita dalla presenza di «seri motivi
che   impediscano   o  sconsiglino  la  consultazione  delle  persone
esercenti  la  potesta' o la tutela». Rientrano tra i seri motivi che
«impediscono»  la consultazione ipotesi di particolare gravita' come,
ad  esempio,  rotture di rapporti tra genitori e figlia, irriducibili
contrasti,  precedenti  di condotta dei genitori pregiudizievole alla
figlia,  provata  ostilita'  o  palese  disinteresse del tutore per i
problemi  di  natura  personale  della minore. Rientrano invece tra i
seri  motivi  che  «sconsigliano» la consultazione ipotesi assai piu'
sfumate,  come,  ad  esempio,  pericolo  di  traumi  nei rapporti tra
genitori  e figlia, possibile pregiudizio di una convivenza futura e,
piu'  genericamente,  tutte  quelle  ipotesi che consiglino la tutela
della  riservatezza della minore all'interno della famiglia. Non meno
interessante  e'  la  seconda  ipotesi  che  legittima  il ricorso al
giudice  tutelare:  quella  di  rifiuto  dell'assenso  da  parte  dei
genitori  o del tutore. Il potere di controllo, consentito al giudice
tutelare,  e'  qui  ancora  piu'  significativo  ed  esteso di quelli
previsti  dal  codice  civile,  ed  in particolare dall'art. 333. Non
occorre  infatti  che dalla condotta dei genitori derivi un obiettivo
pregiudizio  per  la  minore:  il rifiuto di prestare l'assenso e' da
solo  sufficiente  a  giustificare l'intervento del giudice tutelare,
anche  se  questo  intervento non potra' non avere la funzione di far
emergere  eventuali  fondati  motivi  di  quel  rifiuto.  E'  infatti
evidente  che  il  secondo  comma  dell'art.  12  tende  non tanto ad
eliminare  il  pregiudizio  per  la minore - come avviene ex art. 333
c.c.  -  quanto  ad impedire che un pregiudizio possa verificarsi. Il
giudice  non dovra' quindi controllare - ed eventualmente censurare -
il  comportamento  dei  genitori:  dovra'  invece valutare le ragioni
addotte  dalla minore a sostegno della propria richiesta e le ragioni
addotte  dai  genitori  a  sostegno  del  proprio  rifiuto.  Analoghe
considerazioni  merita  anche la terza ipotesi che prevede il ricorso
al  giudice  tutelare:  quella in cui i genitori esprimono pareri tra
loro  difformi.  La  soluzione  appare  anche qui dissimile da quella
offerta  dal  codice civile, all'art. 316: il giudice non sceglie tra
le  soluzioni  proposte dai genitori, ma valuta l'opportunita' di dar
corso o meno alla volonta' della figlia...» 3)
    Come si e' gia' detto, il verificarsi di queste tre condizioni e'
del  tutto  sottratto al controllo del giudice tutelare, (ma, come si
vedra',  anche  degli  altri  organi), in quanto lasciata di fatto al
tipo  di  decisione  assunta  dalla minore prima ancora di recarsi al
consultorio: questo perche', evidentemente, la minore si rivolge alle
strutture  pubbliche  perche' non le e' consentito decidere da sola e
nonostante  la  decisione  finale (cosi' dice la Corte) spetti solo a
lei.
    Nella realta', tuttavia, la minore si rivolge al consultorio solo
(o  pressoche' sempre) quando non se la sente di informare i genitori
(o  uno  di  questi,  in  genere, da un punto di vista statistico, il
padre)  della  gravidanza,  chiedendo  di  essere aiutata non gia' (o
quasi   mai)  per  affrontare  il  problema  della  «informazione  ai
genitori»,  ma  piu' semplicemente per «scavalcarlo», avendo gia' lei
deciso  di  non  consultarli;  pertanto,  la seconda e la terza delle
ipotesi  previste dalla legge di fatto non si verificano mai, perche'
quando  la  minore  ha  deciso  di  non  informare i genitori, ne' al
consultorio,  ne'  tanto  meno  al  giudice tutelare e' consentito di
verificare   concretamente   se  vi  sono  effettive  condizioni  che
sconsiglino   la   consultazione   (dovendosi   basare   solo   sulle
informazioni ricevute dalla minore stessa, che poi sono quelle che il
giudice e' tenuto a prendere in esame al momento del provvedimento) e
di  conseguenza  nemmeno di sapere quale sia effettivamente il parere
degli   esercenti   la  patria  potesta',  che  egli  e'  chiamato  a
sostituire;  nella  generalita' dei casi, al consultorio e al giudice
e' consentito solo di tentare (quando ce n'e' il tempo) una «opera di
convincimento»  della minore ad informare almeno uno dei genitori, ma
non certo di consultarli senza «l'autorizzazione» di questa.
    Pertanto,  anche a voler ritenere che il potere discrezionale del
giudice  sia limitato al solo fatto di «ritenere completa la volonta'
gia   manifestata   dalla  donna»,  come  visto,  gli  e'  negata  la
possibilita'  di esprimersi nel senso di non ritenerla completa (dopo
aver   sentito   la   minore   al  termine  della  procedura  di  cui
all'art. 12),  perche'  di fatto cio' coinciderebbe o con informare i
genitori  contro  la  sua  volonta', oppure con il negare addirittura
l'interruzione della gravidanza e costringere la donna a partorire o,
peggio   ancora,   a  cercare  alternative  alla  interruzione  della
gravidanza  consentita  dalla  legge. Cio' e' ancor piu' grave ove si
consideri   che  tali  ipotesi  possono  verificarsi  anche  in  casi
(fortunatamente  diversi  da  quelli  esaminati nel caso di specie da
questo  giudice) di «donne» di eta' molto giovane (anche minori di 14
anni)  per  le  quali  parlare di «completa volonta' gia' manifestata
dalla donna» appare quanto meno azzardato.
    Appare pertanto ancor piu' evidente la estrema contraddittonieta'
di una norma che da un lato richiede un provvedimento giurisdizionale
discrezionale  (che  per volere della Costituzione deve essere sempre
motivato)  e  dall'altro impone (cosi' come e' stato interpretato) un
mero  provvedimento  autorizzativo  svincolato  da  qualsiasi  potere
discrezionale del giudice.
          1) Corte cost. n. 293/1993.
          2) F. Giardina, nota a Corte cost. n. 76/1996.
          3) F. Giardina, cit.
                              P. Q. M.
    Solleva  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 12,
legge  22  maggio 1978 n. 194, in relazione all'art. 111, sesto comma
Cost.
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza.
        Treviso, addi' 11 dicembre 2006
                          Il g.t.: Biagetti
07C0570