N. 311 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 ottobre 2006

Ordinanza  emessa  il 26 ottobre 2006 dalla Corte dei conti - Sezione
giurisdizionale  d'appello  per  la  Regione  Siciliana  sull'appello
proposto da Ingrassia Antonino contro il Procuratore regionale presso
la Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana.

Corte  dei  conti - Giudizio di responsabilita' - Soggetti condannati
  per  fatti  commessi  prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge
  censurata   -  Fase  di  appello  -  Possibilita'  di  chiedere  la
  definizione  del  giudizio  mediante  il pagamento di una somma non
  inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno
  quantificato  nella  sentenza  di  primo  grado  - Irrazionalita' -
  Violazione   del   principio   di  buon  andamento  della  pubblica
  amministrazione   -  Interferenza  sulla  funzione  giurisdizionale
  contabile,   con   specifico   riguardo   al  principio  di  libero
  convincimento del giudice - Violazione del principio di separazione
  del potere legislativo dal potere giudiziario.
- Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 231.
- Costituzione, artt. 3, 24, 97, 101, 103 e 111.
Corte  dei  conti - Giudizio di responsabilita' - Soggetti condannati
  per  fatti  commessi  prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge
  censurata - Fase di appello - Possibilita' della sezione di appello
  della  Corte  dei conti, in caso di accoglimento della richiesta di
  definizione  del  giudizio, di determinare la riduzione della somma
  dovuta   in  misura  non  superiore  al  30  per  cento  del  danno
  quantificato  nella  sentenza  di  primo  grado  - Irrazionalita' -
  Lesione  del  diritto di difesa e dei principi del giusto processo,
  con  riferimento alla compressione del ruolo del pubblico ministero
  contabile  -  Violazione  del  principio  di  buon  andamento della
  pubblica    amministrazione    -    Interferenza   sulla   funzione
  giurisdizionale  contabile,  con specifico riguardo al principio di
  libero convincimento del giudice.
- Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 232.
- Costituzione, artt. 3, 24, 97, 101, 103 e 111.
Corte  dei  conti - Giudizio di responsabilita' - Soggetti condannati
  per  fatti  commessi  prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge
  censurata - Fase di appello - Previsione che il giudizio si intende
  definito  a  decorrere  dalla  data  di  deposito della ricevuta di
  versamento  presso  la  segreteria  della  sezione di appello della
  somma  dovuta  dal  condannato  -  Irrazionalita'  - Violazione del
  principio  di  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione  -
  Interferenza   sulla   funzione   giurisdizionale   contabile,  con
  specifico   riguardo  al  principio  di  libero  convincimento  del
  giudice.
- Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 233.
- Costituzione, artt. 3, 24, 97, 101, 103 e 111.
(GU n.18 del 9-5-2007 )
                         LA CORTE DEI CONTI

    Ha  emesso  la  seguente ordinanza 63/A/2006/ORD, nel giudizio in
materia  di responsabilita' amministrativa iscritto al n. 1861/A/RESP
del  registro  di  segreteria e promosso dal sig. Antonino Ingrassia,
col  patrocinio  dell'avv.  Giovanni  Lentini,  avverso  la  sentenza
n. 2585/2005 della Sezione giurisdizionale per a Regione Siciliana.
    Visti gli atti e i documenti di causa.
    Uditi,  nella  camera  di  consiglio  del  26  settembre 2006, il
relatore, consigliere Salvatore Cilia, e il Vice Procuratore Generale
Diana Calaciura; non rappresentato l'appellante.

                              F a t t o

    Con  atto  di citazione, ritualmente depositato in segreteria, la
procura   regionale   ha  convenuto  in  giudizio  il  sig.  Antonino
Ingrassia, messo comunale, chiedendone la condanna al pagamento della
somma complessiva di euro 20.958,29 in favore della Regione Siciliana
per effetto della sentenza n. 43/2003 dell'8 maggio 2003 con la quale
il  Tribunale di Marsala - Sezione distaccata di Castelvetrano, aveva
accolto   il  ricorso  della  sig.ra  Maria  Teresa  Cottone  avverso
l'ordinanza-ingiunzione  n. 6/2002  emessa dal Distretto minerario di
Palermo  per  il  pagamento  della  sanzione  amministrativa  di Euro
20.658,28 (condannando anche l'Amministrazione regionale al pagamento
delle  spese  processuali,  liquidate in Euro 300,00); l'accoglimento
era  basato  sul  ritardo  con  cui  il verbale infrazione emesso dal
predetto  Distretto  minerario  (ex  art.  9  della  legge  regionale
n. 127/1980) era stato notificato (appunto, dal sig. Ingrassia).
    Con  la  sentenza n. 2585/2005, la Sezione giurisdizionale - dopo
avere individuato l'obbligo giuridico del convenuto di procedere alla
notifica dell'atto dell'amministrazione regionale, dell'art. 1, comma
1,  del d.m. 14 marzo 2000 - ha sancito la gravita' del comportamento
del  sig.  Ingrassia,  il  quale «non solo ebbe contezza dell'atto da
notificare   con   ampio   margine  rispetto  al  termine  utile  per
l'adempimento, ma, inoltre, pur avendo piu' volte tentato la notifica
nelle  forme  ordinarie,  non provvide mai ad attivare le particolari
procedure  previste  dall'art.  140  c.p.c.»,  pronunciando  peraltro
condanna   per  la  somma  di  Euro  5.000,00  (compresa  valutazione
monetaria),  oltre  interessi  legali,  mediante  un  «ampio uso» del
potere  riduttivo  (peraltro ipotizzato anche dal pubblico ministero)
«in  considerazione  della  circostanza  che  non  risultano  in atti
precedenti specifici a carico dello stesso convenuto».
    Con  atto di appello, notificato il 21 dicembre 2005 e depositato
in  segreteria  il  21  gennaio  2006,  l'avv.  Giovanni  Lentini  ha
articolato  la  difesa  su diversi punti: 1) difetto di giurisdizione
della   Corte,  stante  che  il  rapporto  di  servizio  (presupposto
indefettibile   e  della  giurisdizione)  si  e'  instaurato  fra  il
Distretto  minerario e il comune di Campobello di Mazara (il quale ha
individuato  il soggetto che avrebbe dovuto eseguire la notifica solo
dopo  la  richiesta  dell'ente  impositore, ai sensi dell'art. 60 del
d.P.R.  n. 600/1973 e s.m.i.), cosi' come risulterebbe da una copiosa
giurisprudenza  (vengono  citate  alcune  sentenze); 2) insussistenza
dell'obbligo  di  notifica,  stante  che il citato art. 60 del d.P.R.
n. 600/1973  si riferisce all'amministrazione finanziaria dello Stato
e   non  si  puo'  estendere  analogicamente  a  tutti  gli  atti  di
«qualsivoglia  altra  amministrazione pubblica» e, nella specie, alla
Regione  Siciliana,  cui appartiene il Corpo regionale delle miniere;
3) mancanza di responsabilita' per assenza di dolo e colpa grave, sia
perche'  «l'Ingrassia  ricevette  dal  comune di Campobello di Mazara
l'atto  da  notificare  solamente  il 4 gennaio 2002, ovverosia venti
giorni  prima  della  data  in  cui lo stesso atto perdeva efficacia,
mentre  il  comune  l'aveva gia' incamerato il 14 dicembre 2002»; sia
perche'  il convenuto non ha utilizzato l'art. 140 cod. proc. civ. in
quanto  «era  ben consapevole del fatto che una notifica effettuata a
mani  garantisce  la certezza della conoscenza dell'atto notificato»;
4)  insussistenza  del danno, considerato che il ricorso della sig.ra
Cottone  si  basava,  principalmente, su ragioni di merito le quali -
anche  alla  luce  dell'esito  del  giudizio penale -, erano fondate;
conseguentemente,  non  si potrebbe addebitare al convenuto una somma
che   sicuramente   non   era   dovuta  dal  soggetto  passivo  della
contravvenzione;  5) in via subordinata, misura del risarcimento, nel
senso   che,   se  anche  la  condanna  in  primo  grado  ha  ridotto
notevolmente  l'addebito iniziale, lo stesso pagamento della somma di
Euro  5.000,00  «avrebbe  ripercussioni  negative  sull'intero nucleo
familiare che fa affidamento quasi esclusivamente sullo stipendio che
percepisce  l'appellante»,  tenendo  conto  anche  delle  consistenti
esposizioni  finanziarie  del  sig. Ingrassia; con la conseguenza che
l'eventuale  condanna  dovrebbe  procedere  ad  una  piu' consistente
riduzione,  commisurando  il  risarcimento  ad una misura «equa con i
fatti  esposti  e sopportabile in ragione delle condizioni economiche
precarie vissute dall'Ingrassia».
    Con  atto  conclusionale  depositato  in  segreteria il 22 giugno
2006,  la procura generale, dopo avere rilevato che l'atto di appello
risulta notificato (21 dicembre 2005) tardivamente rispetto alla data
di  notifica  della  sentenza  di  primo  grado  (12  ottobre  2005),
contesta,  nel  merito,  punto  per  punto,  le  varie argomentazioni
sviluppate    dall'avv.    Lentini,    chiedendo    la   declaratoria
dell'inammissibilita'  dell'appello, e, comunque, il suo rigetto, con
conferma della sentenza, appellata.
    A  margine  dell'udienza  del  29 giugno 2006, l'avv. Lentini, ha
depositato  una  istanza  di  definizione agevolata del giudizio, ai,
sensi  dei  commi 231, 232 e 233 dell'art. 1 della legge n. 266/2005,
per  cui il Presidente, al fine acquisire il parere di competenza del
pubblico ministero, rinvia la Camera di consiglio all'11 luglio 2006.
In  tale  parere (depositato in segreteria il 7 luglio 2006), il vice
procuratore   generale,   dopo   avere  reiterato  l'eccezione  (gia'
formulata  con l'atto conclusionale) di inammissibilita' dell'appello
per  la sua tardivita' rispetto alla notifica della sentenza di primo
grado  12  ottobre  2005/21  dicembre  2005,  ipotizza, da una parte,
l'inammissibilita'  dell'istanza di definizione agevolata, la quale -
in  tal modo - risulta proposta «in assenza di sentenza impugnabile»,
e,  dall'altra,  che,  in  ogni  caso, l'istanza stessa non potrebbe,
essere  accolta  in  guanto  «appare  quantomeno inopportuna qualsiai
ulteriore riduzione dell'addebito stante l'ampio esercizio del potere
riduttivo da parte del giudice di primo grado».
    Nella  Camera  di  consiglio  del  26 settembre 2006 (fissata dal
residente  della  Sezione  per effetto della dichiarazione, da parte,
dell'avv. Lentini, di adesione alla astensione delle udienze per l'11
luglio  2006),  il  V.P.G.  ha  confermato  le richieste formulate on
l'atto scritto appena citato.

                            D i r i t t o

    In  via pregiudiziale, la Sezione, nell'affrontare l'eccezione di
difetto  di giurisdizione di questa Corte formulata dall'avv. Lentini
nell'atto  di  appello, perviene agevolmente al suo rigetto in quanto
l'art. 60 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dopo avere evocato le
disposizioni  contenute  negli  articoli 137 e seguenti del codice di
procedura  civile  per  «la  notificazione degli avvisi e degli altri
atti che per legge devono essere notificati al contribuente», dispone
espressamente  -  fra l'altro - che «la notificazione e' eseguita dai
messi  comunali»,  ne consegue che non appare fondata la tesi secondo
cui  il  rapporto  di  servizio  si  e'  instaurato  fra il Distretto
minerario e il comune di Campobello di Mazzara in quanto e proprio la
legge  a  creare  direttamente il rapporto di servizio (indefettibile
per la giurisdizione di responsabilita' della Corte dei conti) fra il
predetto organo regionale e il messo comunale-convenuto.
    Altra  questione pregiudiziale concerne l'eccezione della procura
generale  in ordine alla inammissibilita' dell'istanza di definizione
agevolata  in  quanto,  essendo  stato  l'appello notificato oltre il
termine  di  60  giorni previsto dall'art. 5-bis del decreto-legge 15
novembre 1993, n. 453, convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19,
introdotto  con  l'art.  1 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543,
convertito nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, tale definizione non
puo'  operare  nei confronti di una sentenza passata in giudicato; ma
anche  tale eccezione non e' fondata. Infatti, dagli atti risulta che
l'ufficiale  giudiziario,  in data 9 dicembre 2005 (e cioe' prima del
decorso  del  termine  dei 60 giorni), aveva tentato di effettuare la
notifica  dell'appello  (la  quale non fu possibile disporla, perche'
gli  uffici  della procura generale e della procura regionale, presso
la  Sezione  giurisdizionale della Corte dei conti «erano chiusi alle
ore  16»).  il che dimostra ad abundantiam che, prima della scadenza,
l'appellante  aveva  consegnato  all'ufficiale  giudiziario l'atto da
notificare;   ne   deriva   che  -  in  applicazione  della  pacifica
giurisprudenza   della  Corte  costituzionale  (sentenze  n. 69/1994,
n. 358/1996,  n. 477/2002,  n. 28/2004, n. 97/2004 e n. 154/2005), la
quale  ha  sancito  che «le norme in materia di notificazione di atti
processuali  vanno  interpretate  nel  senso  che la notificazione si
perfeziona, nei confronti del notificante, al momento, della consegna
dell'atto  all'ufficiale  giudiziario»  -  l'eccezione  della procura
generale deve essere rigettata.
    A questo punto il Collegio deve rilevare che l'art. 1 della legge
23 dicembre 2005, n. 266, pone - ai commi 231, 232 e 233 - i seguenti
(nuovi) meccanismi sostanziali e processuali applicabili, nei giudizi
di responsabilita' dinanzi alla Corte dei conti per i fatti, commessi
antecedentemente  alla  data di entrata in vigore della legge stessa:
1)  «i  soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata, sentenza di
condanna possono chiedere alla competente sezione di appello, in sede
di  impugnazione,  che  il  procedimento  venga  definito mediante il
pagamento  di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore
al  20  per  cento  del  danno  quantificato  nella sentenza»; 2) «la
sezione  di  appello,  con decreto in camera di consiglio, sentito il
procuratore  competente, delibera in merito alla richiesta e, in caso
di accoglimento, determina la somma dovuta in misura non superiore al
30  per  cento  del danno quantificato nella sentenza di primo grado,
stabilendo  il termine per il versamento»; 2) «il giudizio di appello
si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta
di versamento presso la segreteria della sezione di appello».
    Tali  disposizioni,  in  sostanza,  introducono,  nella  fase  di
appello,  un procedimento camerale diretto alla definizione «agevola»
del  giudizio  di  responsabilita'  innanzi la Corte dei conti; ma la
sezione  dubita  della  legittimita'  costituzionale del complesso di
tali  disposizioni,  per violazione degli artt. 3, 24, 97, 101, 103 e
111 della Costituzione.
    Il   ragionamento   della  sezione  prende  le  mosse  da  quella
giurisprudenza  costituzionale  fra  le  altre  sentenze n. 681/1971,
n. 63/1973  e  n. 1032/1988)  in base alla quale la concreta garanzia
dei  principi  costituzionali di eguaglianza, di buon andamento e del
controllo   contabile   sia   sostanzialmente   affidata  alla  legge
ordinaria,   nel   senso   che   sono   riservate   al  discrezionale
apprezzamento  del  legislatore  non  solo  la  determinazione  e  la
graduazione  dei  tipi  e  dei  limiti  di  responsabilita'  che - in
relazione   alle  varie  categorie  di  dipendenti  pubblici  o  alle
particolari  situazioni regolate - appaiono come le forme piu' idonee
a   garantire   l'attuazione  dei  predetti  principi  costituzionali
(sentenza   n. 411/1988   e   ordinanza  n. 549/1988  nonche'  -  con
riferimento  all'art.  28 Cost. - le sentenze n. 2/1968, n. 123/1972,
n. 164/1982  e  n. 26/1987), ma anche la possibilita' di stabilire un
limite  patrimoniale  della responsabilita', amministrativa (sentenza
n. 340/2001).
    Cio'  sta  a  significare,  in definitiva, da una parte, che, per
quanto  non  sia  possibile trarre da taluni parametri costituzionali
(in  particolare,  artt.  97  e  103, comma 2, Cost.) un principio di
inderogabilita'  delle  comuni regole, della responsabilita', si puo'
tuttavia  ricavare dagli stessi parametri, la regola secondo la quale
la  discrezionalita' del Legislatore, per essere considerata corretta
nel suo esercizio, deve determinare e graduare, caso per caso, i tipi
e   i  limiti  della  responsabilita'  in  riferimento  alle  diverse
categorie  di dipendenti pubblici e alle diverse situazioni concrete,
fissando,  per  ciascuna  di esse, le forme piu' idonee a garantire i
principi  del  buon  andamento  e  del  controllo contabile (sentenza
n. 371/1998); e, dall'altra, che, in sede di giudizio di legittimita'
costituzionale,   le   leggi  disciplinanti  la  responsabilita'  dei
pubblici  dipendenti  sono  sindacabili,  in riferimento ai parametri
invocati, solo sotto il profilo della ragionevolezza della disciplina
adottata   e   delle   diversita'  introdotte  (cioe',  in  relazione
all'art. 3 Cost.).
    Conseguentemente,   pur   non   potendosi  negare,  in  linea  di
principio,  la  possibilita' di un intervento legislativo del tipo di
quello  esaminato in questa sede, e' tuttavia pur sempre necessita, o
che   l'intervento  stesso  sia  strettamente  (e  irragionevolmente)
collegato  alle  specifiche  peculiarita'  del  caso  in modo tale da
escludere  qualsiasi  ipotesi  di arbitrio nella fase di sostituzione
della  disciplina  generale  con  una (successiva) eccezionale (Corte
cost.,  sentenza  n. 14/1999, e altre precedenti ivi citate) sotto il
profilo tanto del rispetto del principio di eguaglianza, quanto della
tutela  del  buon  andamento  e  della  salvaguardia  della  funzione
giurisdizionale   da   indebite  interferenze  da  parte  del  potere
legislativo.
    Se  nonche',  rispetto alle norme di cui si sta trattando, appare
alquanto  problematica  l'individuazione della ratio che le sorregge,
che  non  sia  quella - puramente e semplicemente - della limitazione
del risarcimento patrimoniale del soggetto condannato in primo grado,
circostanza  che,  proprio  per  questo,  caratterizza  l'innovazione
normativa per la sua irrazionalita' e - conseguentemente - per la sua
arbitrarieta'.
    In  merito,  potrebbe  essere utile richiamare due esempi, tratti
alla  normativa, che - pur eventualmente «criticabili» sul piano lato
sensu «politico» - presentano una ratio che consente di superare, sul
piano  giuridico,  i  dubbi  di  irrazionalita' e arbitrarieta': uno,
concerne  il c.d. «condono fiscale» che, pur attivabile «dinanzi alle
commissioni  tributarie  od  al  giudice  ordinario in ogni grado del
giudizio  e  anche  a seguito di rinvio (da ultimo, art. 16, legge 27
dicembre 2002, n. 289), e' chiaramente finalizzato all'incremento - e
in  termini  brevi  -  delle  entrate fiscali, oltre a deflazione, in
qualche  misura,  il contenzioso tributario; un altro, concernente la
«applicazione  della  pena  su richiesta delle parti» (ai sensi degli
artt.  444  e  segg. cod. proc. pen.), che, potendo essere richiesta,
nel  giudizio ordinario, fino alla presentazione delle conclusioni di
cui  agli  artt. 421, comma 3, e 422, comma 3 (e, in caso di giudizio
direttissimo,  fino alla dichiarazione di apertura di dibattimento di
primo  grado), e' chiaramente finalizzata a deflazionare il carico di
lavoro  del giudice penale per i reati meno rilevanti e, al contempo,
a  limitare  drasticamente  le  pene  detentive e quindi limitare gli
accessi alle carceri, notoriamente superaffollate.
    Conseguentemente,  raffrontando  le citate situazioni con il caso
che  interessa  in  questa  sede,  a  giudizio della sezione appaiono
violati    gli    artt.    97    (principio    di    buon   andamento
dell'amministrazione  pubblica)  e  103,  comma 2,  Cost.  (controllo
contabile) stante che le norme sottoposte a scrutinio costituzionale,
da   una   parte,  non  incidono  minimamente  (in  senso  riduttivo)
sull'entita'  del  contenzioso  contabile  (considerato  che le norme
stesse  operano  esclusivamente in sede di appello, nel cui ambito il
sostituire  una  pubblica  udienza  con una camera di consiglio e una
sentenza  con  un  decreto  e'  sicuramente  di  piccolo momento), e,
dall'altra,  che  producono  (quasi  sicuramente,  facendo astrazione
ovviamente dall'ipotesi di condanna in sede di appello ordinario) una
minore  entrata  (fra  il  90  per  cento e il 70 per cento del danno
quantificato  nella sentenza di primo grado), per cui rimane soltanto
l'irrazionale  e  incongruo  «effetto  premiale»  (nei  confronti del
convenuto  condannato),  che,  in  quanto tale, si appalesa del tutto
ingiustificato.
    D'altra   parte,   la   sezione   ritiene   che   tali  parametri
costituzionali  siano violati anche sotto un altro profilo. Infatti -
premesso che nel sistema vigente l'attenuazione della responsabilita'
amministrativo-contabile  e'  rimessa,  nei  singoli  casi, al potere
riduttivo   del   giudice,   che,  a  tal  fine,  puo'  tenere  conto
(fondamentalmente)    del    comportamento    e    del   livello   di
responsabilita',  ma  anche  delle  capacita' economiche del soggetto
responsabile  -,  appare  assolutamente  irragionevole  (e, in questo
senso,   viene   implicato   anche  l'art.  3  Cost.)  una  riduzione
predeterminata  e pressoche' automatica della responsabilita' e della
misura  del risarcimento, lasciando al giudice una valutazione minima
in   ordine   al   comportamento   complessivo   dell'agente   (Corte
costituzionale,  sentenza  n. 340/2001); con la ulteriore conseguenza
che  il complesso normativo esaminato potrebbe incidere (limitandolo)
sul  principio del «libero convincimento del giudice», violando cosi'
l'art.  101  Cost., limitandolo anche nel senso che l'inciso «in caso
di accoglimento» della richiesta del soggetto condannato (comma 232),
non  contenendo  alcun  criterio  di  orientamento  per  il  giudice,
comporta  -  in  conclusione  e  in sostanza - l'assenza di qualsiasi
«discrezionalita»  nell'an  (per  cui  il procedimento, in certo qual
modo  diventa  «obbligatorio»  con  la  conseguenza,  fra l'altro che
l'ipotesi  formulata  dalla  Procura  Generale, di «inaccoglibilita»,
nella  specie,  della  richiesta,  promanante dalla parte privata, di
«definizione  agevola,  del  giudizio»,  non potrebbe essere recepita
dalla  Sezione  proprio  per  la  mancanza di qualsiasi parametro cui
collegare il predetto inciso «in caso di accoglimento»).
    A  sua  volta,  il  principio di eguaglianza appare ulteriormente
violato nella considerazione che la normativa e' applicabile soltanto
ai  «soggetti  nei  cui  confronti  sia stata pronunciata sentenza di
condanna»,  con  la  conseguenza  che la situazione concreta potrebbe
rilevarsi  negativa  nei confronti dei soggetti che risultino assolti
in  primo  grado  nel  senso che la relativa sentenza potrebbe essere
appellata  dal  pubblico  ministero  e  che  la  sentenza  di appello
potrebbe  essere di condanna, senza che il convenuto possa fruire dei
vantaggi  della  norma «di condono». E' ben vero che nella specie, si
e'  in  presenza  di  soggetti  condannati  in  primo  grado,  con la
conseguenza  che  la prospettazione che precede potrebbe apparire non
rilevante,  ma,  nell'economia  complessiva  della  normativa, appare
comunque  irrazionale  una  previsione  legislativa  che  esclude dai
benefici  quei  soggetti la cui posizione - dopo la sentenza di primo
grado  -  appare  chiaramente  meno «pesante» di quella dei convenuti
condannati;   mentre   difficilmente   potrebbe   pervenirsi  ad  una
interpretazione  «adeguatrice»,  non  solo  perche',  in  tale  caso,
dovrebbe  superarsi  la «lettera» della «condanna» in primo grado, ma
anche  perche' si dovrebbe «creare» il criterio al quale correlare le
percentuali del 10, del 20 o del 30 previste dalla legge.
    Appare violato anche l'art. 24 Cost. (in particolare, il comma 2:
«La  difesa  e'  diritto  inviolabile  in  ogni  stato  e  grado  del
procedimento»)  nella  parte  in  cui il pubblico ministero presso la
Corte,  dei conti viene evocato nel solo comma 232 e solo per «essere
sentito»  in  camera  di  consiglio quando la Sezione di appello deve
deliberare  «in  merito  alla richiesta»; infatti, per tale funzione,
limitata  e  marginale  (che  si  sostanzia  nell'espressione  di  un
«parere»), del pubblico ministero, il procedimento regolato dai commi
231-233   dell'art.   1   della   legge   n. 266/2005   non   assume,
sostanzialmente, carattere bilaterale, per cui la funzione di «parte»
del  pubblico  ministero  contabile  nell'ottica  - anche del «giusto
processo»   -  dell'art.  111  Cost.),  viene,  nella  specie,  quasi
pretermessa  (con  la  conseguenza  - fra l'altro - che, in tal modo,
vengono  pesantemente  compressi  i  diritti  e  gli  interessi della
pubblica   amministrazione,   dei  quali  il  pubblico  ministero  e'
chiaramente     portatore,     in    uno    all'interesse    generale
dell'Ordinamento).
    Le  questioni  di  legittimita' costituzionale che precedono, non
superabili  in  via interpretativa, sono non manifestamente infondate
per i motivi che precedono e rilevanti in quanto le norme denunciate,
ove  venissero  dichiarate  incostituzionali,  non  potrebbero essere
applicabili  nel presente giudizio, che proseguirebbe secondo il rito
ordinario.
                              P. Q. M.
    Dsichiara  rilevante  e non manifestamente infondata la questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  commi 231, 232 e 233
della  legge 23 dicembre 2005, n. 266, in relazione agli artt. 3, 24,
97, 101, 103 e 111 della Costituzione.
    Ordina   l'immediata   trasmissione  degli  atti,  a  cura  della
segreteria,  alla  Corte costituzionale, sospendendo conseguentemente
il    processo   fino   all'esito   del   giudizio   incidentale   di
costituzionalita'.
    Dispone  che,  a cura della segreteria, la presente ordinanza sia
notificata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e alle parti, e
sia  comunicata  ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica.
    Cosi'  provveduto  in  Palermo,  nella Camera di consiglio del 26
settembre 2006.
                       Il Presidente: Sancetta
L'estensore: Cilia
07C0573