N. 395 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 novembre 2006

Ordinanza  emessa  il  10  novembre  2006  dalla  Corte di appello di
Palermo nel procedimento penale a carico di Baiamonte Salvatore

Processo  penale  -  Appello  - Modifiche normative - Limitazione del
  potere  di appello del pubblico ministero alle sentenze di condanna
  - Possibilita' per il pubblico ministero di proporre appello contro
  le  sentenze  di  proscioglimento  soltanto  nelle  ipotesi  di cui
  all'art. 603,  comma 2,  se la nuova prova e' decisiva - Ricorso in
  cassazione  contro  la  sentenza  di  primo  grado - Violazione del
  principio   di   ragionevolezza   -  Ingiustificata  disparita'  di
  trattamento,  tra  pubblico  ministero  e imputato - Ingiustificata
  estensione  dei  poteri  valutativi  della  Corte  di  cassazione -
  Violazione  del  principio  dell'obbligo  di motivazione di tutti i
  provvedimenti  giurisdizionali  -  Violazione  dei  principi  della
  parita'  delle parti nel contraddittorio e della ragionevole durata
  del   processo   -  Lesione  del  principio  della  obbligatorieta'
  dell'azione penale.
- Codice  di  procedura penale, art. 593, come sostituito dall'art. 1
  della legge 20 febbraio 2006, n. 46.
- Costituzione, artt. 3, 111, commi secondo, sesto e settimo, e 112.
Processo   penale  -  Appello  -  Modifiche  normative  -  Disciplina
  transitoria   -   Inammissibilita'   dell'appello   proposto  prima
  dell'entrata  in  vigore della novella - Contrasto con il principio
  di  ragionevolezza  -  Violazione  del  principio di buon andamento
  dell'attivita'    giudiziaria    -    Violazione    del   principio
  costituzionale in tema del ricorso in cassazione.
- Legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10.
- Costituzione, artt. 3, 97 e 111, comma settimo.
(GU n.22 del 6-6-2007 )
                         LA CORTE DI APPELLO

    Riunita  in  Camera di consiglio ha emesso la seguente ordinanza,
nel processo a carico di Baiamonte Salvatore, nato ad Agrigento il 19
marzo  1968,  definito con sentenza emessa dal Tribunale di Agrigento
in  composizione  monocratica  con  la  quale il predetto imputato e'
stato  assolto  dalle imputazioni di truffa aggravata e falso perche'
il fatto non sussiste;
    preso  atto dell'appello ritualmente e tempestivamente interposto
avverso   la   predetta   sentenza  dal  procuratore  generale  della
Repubblica  di  Palermo,  ha  richiesto,  previa  affermazione  della
colpevolezza  del suddetto imputato in ordine ai reati per i quali e'
stato assolto, la condanna dello stesso alle pene di legge;
    rilevato  che  all'udienza  odierna  il  procuratore  generale ha
sollevato  eccezione di illegittimita' costituzionale degli artt. 1 e
10 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 per violazione degli artt. 3 e
111 comma 2 Cost.; 3 e 112 Cost. in relazione agli artt. 73 e 74 ord.
giud.; 97 Cost.; 3, 111, 101 e 104 Cost.; 111, comma 7 Cost.;
    sentito  il  difensore dell'imputato, il quale nulla ha osservato
in ordine alla eccezione proposta dal procuratore generale;

                            O s s e r v a

    Questa  Corte  e'  chiamata  a  pronunciarsi  sulla manifesta non
infondatezza  della  questione di compatibilita' costituzionale degli
artt. 1  e  10  della  legge  20  febbraio 2006, n. 46 che ha, tra le
altre, modificato la disposizione di cui all'art. 593, comma 1 c.p.p.
prevedendo   la  possibilita'  dell'appello  da  parte  del  pubblico
ministero e dell'imputato soltanto avverso le sentenze di condanna.
    Piu'  specificamente,  le  norme che si assumono incostituzionali
attengono, quanto alla prima di esse (art. 593, codice di rito), alla
limitazione  del  potere  di  appello  del pubblico ministero, adesso
circoscritto   alle   sole   sentenze  di  condanna;  alla  residuale
possibilita'  di  esercitare  siffatto potere soltanto in presenza di
una  prova  decisiva  da  articolare ed assumere secondo le modalita'
indicate  nell'art. 603,  comma  2  c.p.p.;  alla declaratoria in via
preliminare  di  inammissibilita' dell'appello con ordinanza da parte
del  giudice, ove non venga disposta la rinnovazione del dibattimento
ed  alla  correlata  possibilita' - per le parti - di propone ricorso
per  cassazione  contro  la  sentenza  di  primo grado nel termine di
giorni  quarantacinque decorrente dalla notificazione della ordinanza
di inammissibilita' dell'appello.
    Un primo, preliminare esame riguarda la rilevanza delle questioni
proposte:
        rilevanza  nel caso in esame pacificamente sussistente, posto
che  non  essendo  state  dedotte  da parte del p.m. appellante prove
nuove  sopravvenute nei limiti temporali previsti per la proposizione
dell'appello  e  trovando applicazione - per effetto della disciplina
transitoria  -  la previsione normativa di cui all'art. 1 della legge
n. 46/06,  ne deriverebbe la necessaria pronuncia di inammissibilita'
dell'appello ai sensi dei commi 2 e 3 dell'art. 10, in relazione alla
previsione  di  carattere  generale  contenuta nell'art. 593, comma 2
c.p.p.
    La rilevanza della questione appare evidente poiche' si tratta di
una  diversa  disciplina  del  presente  processo  conclusosi con una
sentenza  di  assoluzione  per  entrambi gli imputati in virtu' della
quale  il  pubblico  ministero  appellante,  per  un  verso  vedrebbe
precluso  il  proprio  potere  di appello e, per altro verso, sarebbe
costretto  in  tempi  peraltro assai ristretti, a propone ricorso per
cassazione avverso la sentenza di primo grado.
    Tanto  premesso,  ritiene la Corte di dovere fare una ulteriore e
preliminare  puntualizzazione, propedeutica all'esame delle eccezioni
sollevate dal procuratore generale.
    Secondo  le indicazioni contenute nell'art. 134 Cost., e' rimessa
alla   Corte   Costituzionale   la  risoluzione  delle  questioni  di
legittimita'  costituzionale  dileggi (o atti ad essa equiparati) che
siano  state  sollevate di ufficio ovvero eccepite da una delle parti
nel  corso  del  giudizio,  con  l'unico,  preclusivo  limite,  della
eventuale   manifesta  infondatezza  delle  questioni,  ritenuta  dal
giudice.
    E'   dunque  evidente  che  nel  caso  della  proposizione  della
questione  di  legittimita'  costituzionale competa al giudice che ne
sia  investito  da  una delle parti, effettuare una prima valutazione
della  rilevanza  della  questione  e  della  sua eventuale manifesta
infondatezza  in  stretta sequenza temporale e logica, nel senso che,
una  volta positivamente risolto il problema concernente la rilevanza
della  questione,  dovra' essere affrontato il problema relativo alla
eventuale manifesta infondatezza di essa.
    Tale  ultimo  esame  non  implica,  tuttavia, ad avviso di questa
Corte,  un'analisi  approfondita e particolareggiata dei vari profili
di  illegittimita' prospettati, nel caso in esame, peraltro, non solo
numerosi,  ma  soprattutto  complessi  ed estremamente articolati: se
cosi'  operasse,  la  Corte  finirebbe  con  il  travalicare i propri
compiti,  interferendo sui compiti propri della Corte Costituzionale,
unico  giudice  deputato - per legge costituzionale (art. 134 cit.) -
ad  esprimere il richiesto giudizio di legittimita' costituzionale di
quelle norme che si assumono violate.
    Siffatta soluzione attribuisce al giudice chiamato ad operare una
valutazione  per  cosi'  dire  «preliminare»,  il doveroso compito di
rimettere  alla  Corte  costituzionale  unicamente  la risoluzione di
quelle   questioni   che,   oltre  ad  essere  rilevanti,  non  siano
manifestamente  infondate,  intendendosi con tale ultima espressione,
l'insussistenza  o  la  mera apparenza dei dubbi di costituzionalita'
prospettati dalle parti.
    Nel  caso  in  esame,  questa  Corte,  attesi  i  profili, invero
complessi  e tra loro intimamente collegati, delle questioni proposte
dal  Procuratore  Generale,  ritiene  le  stesse  non  manifestamente
infondate alla luce delle seguenti considerazioni.
    Una   prima   questione   concerne   la  presunta  illegittimita'
costituzionale dell'art. 1 della legge in esame rispetto all'art. 111
comma  20  della  Costituzione,  a  tenore del quale, il processo si'
svolge  nel  contraddittorio  delle  parti, in condizioni di parita',
davanti  ad un giudice terzo e imparziale, con una ragionevole durata
assicurata dalla legge.
    Ritiene  la  Corte  che  i  rilievi  prospettati  dal Procuratore
Generale  non  solo con riferimento all'art. 111 sopra richiamato, ma
anche   con   riguardo   all'art. 3   cost.,   siano   meritevoli  di
considerazione,  profilandosi  -  per  un  verso - una ingiustificata
compressione della parita' delle parti nel processo, che va inteso in
una  accezione  ampia,  comprensiva  anche delle fasi successive alle
indagini  prehminan,  sino  alla  sua completa definizione; per altro
verso, profilandosi una irragionevole disparita' tra la posizione del
p.m.  e  quella dell'imputato, solo apparentemente superata dal nuovo
testo normativo.
    Infatti,   quanto   al  significato  da  attribuire  alla  parola
«processo»,   e'  evidente  che  la  Costituzione  intende  riferirsi
all'intero percorso che dalla notitia criminis perviene alla sentenza
definitiva, in armonia con quanto previsto all'art. 24, comma 2 Cost.
    Ora,  a  fronte  del legittimo potere riconosciuto all'imputato e
costituzionalmente  tutelato  ex  art. 24  Cost.,  di  esercizio  del
proprio diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento, non
vi  e'  dubbio  che anche il p.m. e' chiamato a esercitare la propria
pretesa  puniiiva  in  ossequio  al  principio  della obbligatorieta'
dell'azione  penale  (garantita attraverso l'art. 112 Cost.), al fine
di   vedere   affermata  la  responsabilita'  penale  di  colui  che,
assoggetto al processo, venga riconosciuto colpevole.
    Trattasi   di  una  pretesa  punitiva  di  rango  costituzionale,
riconoscendosi  in  capo  al p.m. la funzione di Organo preposto alla
realizzazione  degli  interessi  generali  della  giustizia, come del
resto, previsto dagli artt. 73 e 74 ord. giud.
    Ora,  se  e'  indubitabile  la  previsione di limiti al potere di
impugnazione  del  p.m. non e', di per se', in contrasto con la Carta
fondamentale   tanto   e'   vero   che,   in   tema  di  sentenze  di
proscioglimento  a  seguito  di giudizio abbreviato, tali limiti sono
stati  ritenuti compatibili con il dettato costituzionale (da ultimo,
ord.  Corte  cost.  n. 421/01),  e'  tuttavia da rilevare come tra la
speciale  disciplina  prevista  in  materia  di  giudizio  abbreviato
(dettata  anche  da  evidenti ragioni di politica giudiziaria sottese
alla  premialita' del rito) e quella oggi prevista dal nuovo art. 593
c.p.p., vi siano sensibili differenze.
    Manca,   infatti,   in   quest'ultimo   caso   qualsiasi  ragione
giustificativa  per  una limitazione del potere di appello, avvertita
dallo  stesso  Presidente  della  Repubblica  nel  suo messaggio alle
Camere  del  20  gennaio  2006  con  il quale era stata rinviata alle
Camere la prima stesura della legge.
    Il  Presidente della Repubblica aveva. infatti, segnalato che «la
soppressione  dell'appello delle sentenze di proscioglimento, a causa
della  disorganicita'  della  riforma, fa si' che la stessa posizione
delle  parti  nel  processo  venga  ad  assumere  una  condizione  di
disparita'  che  supera  quella  compatibile  con la diversita' delle
funzioni svolte dalle parti stesse nel processo».
    Ne'   -   come   rilevato   dal  p.g.  nella  propria  memoria  -
l'inconveniente  risulta  eliminato  attraverso  la  formulazione del
comma2  dell'art. 593  c.p.p.  che prevede la possibilita' di appello
per  il  p.m.  a condizione che venga indicata una prova sopravvenuta
rispetto  alla fase precedente: trattasi, infatti, di una ipotesi del
tutto   residuale   e   marginale   che  di  fatto  rende  la'  norma
sostanzialmente  identica a quella gia' oggetto dei rilievi fonnulati
dal Presidente della Repubblica.
    L'irragionevolezza  della  norma, peraltro, si coglie appieno la'
dove   si  consideri  che,  partendo  dalla  premessa  che  l'appello
rappresenta  una  forma  di  garanzia contro gli errori contenuti nel
giudizio  di  primo  grado,  la limitazione di esso ad una sola delle
parti  impedisce di pervenire al risultato della decisione giusta cui
mira qualsiasi processo.
    Senza   dire  che  apparirebbero  sostanzialmente  vanificate  le
funzioni  di rilievo costituzionale del p.m. come risultano delineate
dagli artt. 73 e 74 ord. giud.
    Ritiene,  ancora,  la  Corte di poter condividere le perplessita'
espresse  dal  p.g.  con riferimento alla violazione del principio di
ragionevolezza,  dal  momento  che  non e' dato comprendere in base a
quale  criterio  al  p.m.  e' dato appellare sentenze di condanna, se
ritenute  troppo  miti rispetto alla gravita' del fatto e non e' dato
appellare  avverso  sentenze  di  assoluzione  del  tutto  incoerenti
rispetto alle risultanze processuali.
    Questione di non poco momento e' poi quella afferente il rapporto
-  che  si  assume  violato - tra l'art. 1 della legge in argomento e
l'art. 111 commi primo, sesto e settimo Cost.
    In  conseguenza delle modifiche apportate con tale legge, risulta
notevolmente  ed  irragionevolmente  estesa  l'area  del  giudizio di
merito   della   Cassazione,   trasformata   quindi   da  giudice  di
legittimita', (anche) a giudice di merito.
    A  norma  dell'art. 111, comma 70 Cost. e' sempre ammesso ricorso
avverso  le  sentenze ed i provvedimenti adottati in tema di liberta'
personale, davanti la Corte di cassazione per violazione di legge: e'
dunque  evidente che l'intero sistema processuale si e' fino a questo
momento  poggiato  sul cd. «doppio giudizio di merito» da parte di un
giudice di primo grado e, di seguito, di un giudice di secondo grado,
mentre  alla  Corte di cassazione e' rimesso il delicatissimo compito
di  riesaminare  il processo solo nei casi tassativamente determinati
di violazione di legge.
    Tale  compito,  correlato  all'obbligo di motivazione di tutti in
provvedimenti    giurisdizionali    contemplato   nel   sesto   comma
dell'art. 111  Cost.,  finisce con l'essere vanificato per effetto di
una  riforma  che  introduce tra i vizi ricorribili per cassazione il
travisamento del fatto non piu' ancorato al testo della decisione, ma
riferito a tutti i dati processuali.
    E'  da  escludere comunque un controllo di merito in via generale
per  le  sentenze  di proscioglimento, posto che non tutti gli errori
contenuti  nella  sentenza  potranno  rientrare  in una delle ipotesi
enunciate nell'art. 606 c.p.p.
    Non  e'  chi  non  veda  in  un  sistema  di tal fatta una palese
irragionevolezza  rappresentata,  oltre  che  da una ingiustificabile
estensione  dei  poteri  valutativi  della  Cassazione  con correlata
indeterminatezza  dei  criteri cui dovra' essere informato il ricorso
per  cassazione,  rimessi  esclusivamente al giudice di legittimita',
anche  da  una  altrettanto  ingiustificato allungamento dei tempi di
definizione  del  processo.  Del  resto  proprio su tali punti si e',
ancora  una  volta,  incentrato  il messaggio del Capo dello Stato in
sede  di  rinvio  della  legge alle Camere che, tuttavia, pare essere
stato ignorato dal legislatore.
    Profili  di  incostituzionalita'  sono,  ancora, rinvenibili, per
quanto  rileva  in  questa  sede,  nell'art. 10 della nuova legge che
regola la disciplina transitoria.
    Premesso  che  con  tale disciplina si e' di fatto verificata una
sostanziale abrogazione ex lege di tutti gli appelli proposti al p.m.
avverso  le  sentenze  di  proscioglimento, relativamente ai processi
pendenti  alla  data  di  entrata  in vigore della legge, la norma in
esame  appare,  anzitutto, confliggere con l'art. 97 Cost., in quanto
il   rispetto   del   principio   di  buon  andamento  dell'attivita'
giudiziaria   avrebbe   dovuto  impone  la  previsione  di  norme  di
salvaguardia  delle  attivita' processuali compiute dalle parti prima
dell'entrata   in   vigore  della  legge,  per  evitare  il  collasso
dell'intero sistema processuale.
    Ancora piu' grave appare l'inconciliabilita' della norma rispetto
al    principio   costituzionalmente   garantito   all'art. 3   della
ragionevolezza,  essendo  indiscutibile  un effetto retroattivo della
legge processuale.
    E,  seppure  va rimarcata la possibilita' ex art. 25 Cost. di una
retroattivita'  delle  norme processuali, esclusa invece per le norme
di   diritto   penale   sostanziale,   e'   comunque  innegabile  una
interferenza   diretta   delle   leggi   retroattive   sull'attivita'
giurisdizionale,  che  esige  la ragionevolezza della retroattivita',
certamente  non assicurata laddove la scelta legislativa che sta alla
base non abbia alcuna plausibile ragione giustificatrice.
    Come  osservato  dal  p.g., non solo non e' dato rinvenire alcuna
plausibile ragione alla base ditale scelta, ma - come affermato nella
sentenza  n. 525/00  della Corte costituzionale - anche nella materia
processuale  vale  la  regola della tutela dell'affidamento che esige
che  le  parti  conoscano il momento in cui sorgono oneri con effetti
pregiudizievoli  e,  ancor  piu',  confidino  nello  svolgimento  del
giudizio  secondo  le  regole  vigenti all'epoca del compimento degli
atti processuali.
    In ultima analisi, il mutamento improvviso della disciplina per i
processi   in   corso,  senza  alcuna  garanzia  di  tipo  intermedio
dell'effetto  conservativo,  anche per consentire un'entrata a regime
della legge, appare del tutto priva di giustificazione logica.
    Si tratta, ancora una volta, di uno scardinamento del sistema che
urta  contro  diversi  principi  di  rango  costituzionale  e  che il
legislatore  ha  mostrato  di  voler evitare anche per la materia del
diritto  penale  sostanziale,  nonostante la copertura costituzionale
dell'art. 25,  comma  2  Cost. in materia di mutamento dei termini di
prescrizione dei reati, prevedendo opportunamente una «moratoria» per
i  processi  in  corso  il cui dibattimento sia stato aperto in primo
grado.
    A  conclusioni  non  dissimili  sul  piano  della  compatibilita'
costituzionale   deve   giungersi   con   riferimento   al  contenuto
dell'art. 10,  comma  2 della legge in esame che prevede la pronuncia
di  una  ordinanza  non  impugnabile di inammissibilita' dell'appello
proposto dal p.m. avverso la sentenza di proscioglimento: avendo tale
ordinanza  avente  -  per  il  suo  contenuto definitorio - natura di
sentenza, va riconosciuto il potere di ricorrere per Cassazione, pena
la  violazione,  per  un verso, dell'art. 111, comma 7 che prevede la
ricorribilita',  per  violazione di legge, di qualsiasi provvedimento
giurisdizionale e, per altro verso, dell'art. 3 sotto l'aspetto della
irragionevolezza  della  norma  che  sconvolgerebbe  l'intero sistema
delle impugnazioni.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  degli artt. 593 c.p.p., come modificato
dall'art. 1   della  legge  46/06  e  10  della  medesima  legge  per
violazione  degli  artt. 3, 111, secondo, sesto e settimo comma, 97 e
112  Cost.  nei  termini  e  per  le  ragioni esposte in motivazione.
Dispone  l'immediata  trasmissione  degli  atti  relativi  alla Corte
costituzionale, sospendendo il giudizio in corso.
    Dispone  che la presente ordinanza venga notificata, a cura della
cancelleria  al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti
dei due rami del Parlamento.
        Palermo, addi' 10 novembre 2006
                        Il Presidente: Luzio
07C0702