N. 402 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 gennaio 2007
Ordinanza emessa il 11 gennaio 2007 dal G.U.P. del Tribunale di Modena nel procedimento penale a carico di Cosentino Concetta Immacolata Reati e pene - Circostanze del reato - Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti - Divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze inerenti alla persona del colpevole nel caso previsto dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. (recidiva reiterata) - Violazione del principio di legalita' - Lesione del principio della funzione rieducativa della pena. - Codice penale, art. 69, comma quarto, come modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251. - Costituzione, artt. 25, comma secondo, e 27, comma terzo.(GU n.22 del 6-6-2007 )
IL TRIBUNALE 1.-All'esito delle indagini preliminari il pubblico ministero chiedeva il rinvio a giudizio di Cosentino Concetta Immacolata per il reato cli cui all'art. 73, d.P.R. n. 309/1990 per avere detenuto, in concorso con soggetto separatamente giudicato, per uso non esclusivamente personale a fini di illecita cessione a terzi gr. 3,9 di sostanza stupefacente tipo eroina, con un principio attivo pari a 2,8 gr, utile per il confezionanaento di 19 dosi secondo il vigente sistema tabellare. All'udienza preliminare l'imputata chiedeva procedersi con rito abbreviato e di sollevare altresi' questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma 4 c.p., modificata dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251. La norma da ultimo richiamata, novellando per l'appunto la norma codicistica, stabilisce che «Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, esclusi i casi previsti dall'art. 99, quarto comma, nonche' dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi e' divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato». 2.-Il tenore letterale della disposizione sopra riportata appare chiaro nell'introdurre una limitazione al potere del giudice di formulare il giudizio di prevalenza di eventuali circostanze attenuanti in presenza della recidiva reiterata, derogando in tal modo al disposto generale dell'art. 69, comma 4, c.p. introdotto dall'art. della legge 6 del d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 1974, n. 220. In particolare, non puo' convenirsi sulla fondatezza della diversa opinione, pure prospettata al fine di circoscrivere la portata applicativa della disposizione di legge, che il divieto di prevalenza possa essere limitato alle sole circostanze attenuanti inerenti la persona del colpevole, posto che in tal caso si finirebbe per escludere la praticabilita' del giudizio di prevalenza soltanto alle attenuanti previste agli artt. 89, 91, 95, 96, 98 c.p. con esiti del tutto marginali, rispetto alla finalita' conclamata di inasprimento del trattamento sostanziale e processuale del recidivo reiterato, e finanche irragionevoli (in via esemplificativa, potrebbe essere riconosciuta la prevalenza sulla recidiva reiterata dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 2 c.p. e non della seminfermita' mentale). Nemmeno appare praticabile la soluzione ermeneutica che poggia sulla distinzione tra la generica locuzione «attenuanti» di cui all'inciso e le attenuanti «qualificate» della seconda parte del comma, per farne discendere la limitazione del divieto di prevalenza alle sole attenuanti comuni (art. 62 c.p.) e non alle attenuanti ad effetto speciale ovvero a quelle che prevedono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato, posto che, a prescindere dalla debolezza del dato letterale al quale dovrebbe affidarsi il compito di marcare una consapevole scelta di campo del legislatore (che, interpolando l'art. 69, comma 4 c.p. nella formulazione previgente, ben potrebbe avere adottato, nell'inciso, un termine volutamente omnicomprensivo) non appare scevra anche in questo caso da profili di irragionevolezza consentendo la possibilita' di riservare un trattamento sanzionatorio di maggior favore proprio al recidivi che, ad esempio, potrebbero lucrare l'effetto di prevalenza dell'attenuante di cui all'art. 648, comma 2 c.p., e non quella dell'art. 62, n. 4 c.p.. Non ignora poi lo scrivente che l'ordinamento contempla l'esistenza di disposizioni di legge che, derogando al principio dell'art. 69, comma 4 c.p., introducono limitazioni al giudizio di comparazione delle circostanze eterogenee. Si allude, in particolare, all'art. 1, comma 3 del d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, convertito nella legge 6 febbraio 1980, n. 15 per i reati commessi con finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico; all'art. 7, comma 2 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni nella legge 12 luglio 1991, n. 203 per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p. o al fine di agevolare le associazioni di stampo mafioso; all'art. 3, comma 2 del d.l. 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993, n. 205 per i delitti commessi per finalita' di discriminazione o di odio etnico, nazionale, religioso; all'art. 12, comma 3-quater del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, introdotto dall'art. 11, comma 1, lett. c) della legge 30 luglio 2002, n. 189, per i delitti di introduzione illegale di cittadini extracomunitari. Con la prima delle disposizioni sopra citate veniva disposto che «le circostanze attenuanti concorrenti con l'aggravante di cui al primo comma (ossia la finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico: n.d.e.) non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa ed alle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa o ne determina la misura in modo indipendente da quella ordinaria del reato»; La norma ebbe a superare il vaglio di costituzionalita' per l'asserita violazione dell'art. 3, avendo il giudice delle leggi ritenuto che la preclusione del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti non avrebbe necessariamente impedito la loro applicazione, dal momento che il venir meno della obbligatorieta' del giudizio di bilanciamento - determinato proprio dalla limitazione del potere discrezionale del giudice imposto dall'art 1, comma 3 - avrebbe consentito il recupero del principio generale sancito dall'art. 63, comma 3 c.p., con la conseguente possibilita' di calcolare la diminuzione di pena una volta applicata (obbligatoriamente) l'aggravante (sentenza. 38/1985). In altri termini, la corretta interpretazione della disposizione avrebbe posto il giudice nell'alternativa tra effettuare il giudizio di bilanciamento riconoscendo carattere di prevalenza all'aggravante - unico epilogo consentito in questo caso - ovvero escluderlo e dare luogo all'aumento per l'aggravante ed alla diminuzione per l'attenuante o le attenuanti riconosciute. Di tenore sostanzialmente analogo le ulteriori disposizioni sopra richiamate che, con formulazione non dissimile prevedono il divieto di equivalenza o prevalenza delle circostanze attenuanti, diverse da quella di cui all'art. 98 c.p., rispetto alle aggravante da esse introdotte, stabilendo altresi' che «le diminuzioni di pena si operano sulla quantita' di pena risultante dall'aumento conseguente alla... aggravante». La rottura dell'obbligatorieta' del giudizio di bilanciamento delle circostanze, evidenziata da parte della dottrina, affermata dalla sentenza 38/1985 con riferimento all'aggravante della finalita' di terrorismo, sostanzialmente ripresa e puntualizzata dalle successive disposizioni derogatrici, potrebbe indurre a ritenere che anche nel caso di specie l'interpretazione costituzionalmente orientata imponga una lettura dell'art. 69, comma 4 c.p. su una duplicita' di piani, scindendo l'ipotesi in cui il giudice intenda procedere al bilanciamento - nel qual caso la rilevanza della recidiva reiterata imporrebbe di pervenire ad un giudizio di prevalenza o di equivalenza - da quella in cui ritenga prevalenti le attenuanti, nel qual caso l'effetto della norma in questione si risolverebbe nell'imporre l'applicazione, a questo punto obbligatoria, dell'aggravante sulla pena risultante dalla comparazione tra attenuanti diverse dalla recidiva reiterata. Reputa tuttavia chi scrive che una simile interpretazione non possa ricavarsi ne' dal testo normativo, ne' per via sistematica. In primo luogo, e' il caso di constatare che l'art. 3 della legge n. 251 e' intervenuto direttamente sul testo dell'art. 69 c.p., cio' che pare assumere effetti conformativi della disciplina del concorso di circostanze eterogenee, modellandola in via generale nel senso di precludere uno dei possibili esiti dell'esplicazione del potere discrezionale del giudice, quello cioe' della prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata. In altri termini, l'interpolazione del testo codicistico parrebbe riaffermare, vincolandone gli esiti giudiziali, il principio del bilanciamento di circostanze, piuttosto che implicarne la rottura. In secondo luogo la disposizione in oggetto non prevede, a differenza delle norme di legislazione speciale, il richiamo alla disciplina del concorso eterogeneo stabilita dall'art. 63 c.p., e tale scelta non sembra priva di significato, dal momento che la formulazione delle deroghe al principio ricavabile dall'art. 69 c.p. appariva giustificarsi proprio in ragione dell'adesione all'opzione interpretativa della Corte che si adisce, e della necessita' di dissolvere le ambiguita' interpretative cui aveva dato luogo la norma capostipite. In altri termini, la nuova formulazione dell'art. 69 c.p. sembra imporsi come consapevole limitazione del potere discrezionale del giudice di procedere al giudizio di bilanciamento in tutte le possibili esplicazioni attraverso la preclusione di uno dei possibili esiti (il giudizio di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata). 3.-Cio' premesso, poiche' appare assolutamente non controverso che la disposizione di cui all'art. 73 comma 5 d.P.R. 309/1990 integri una circostanza attenuante ad effetto speciale, e' di tutta evidenza che a fronte della contestazione della recidiva reiterata sarebbe precluso il giudizio di prevalenza della prima che, al piu', potrebbe incidere, unitamente ad altre attenuanti - ad esempio le generiche - a fondare un giudizio di equivalenza. Da cio' discenderebbe che fatti di contenuta rilevanza sotto il profilo oggettivo, tanto per modalita' dell'azione quanto per entita' del dato ponderale, destinati di norma a trovare la risposta sanzionatoria nell'area di applicabilita' dell'ipotesi attenuata, ove consumati da recidivi reiterati (ed indipendentemente dalla natura della recidiva) dovrebbero necessariamente essere puniti a termini del ben piu' severo art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990, vale a dire con una pena minima edittale di anni 6 di reclusione ed Euro 26.000,00 di multa. Piu' in generale, il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti, c.d. ad effetto ordinario e ad effetto speciale, priverebbe il giudice della possibilita' di inquadrare il trattamento sanzionatorio nell'ambito valutativo della minor gravita' in tutti quei casi di riconoscimento normativo - attraverso l'introduzione di ipotesi attenuate - del minor disvalore del fatto (e' il caso, in via meramente esemplificativa degli artt. 609-bis u.c. c.p. 648, comma 2 c.p. o, con riguardo alle attenuanti ad effetto ordinario o comune, 323-bis c.p.). L'interpretazione dell'art. 69, comma 4 c.p. come modificato dall'art. 3 della legge n. 251/2005 sopra prospettata, che si ritiene la sola praticabile, sia sotto il profilo letterale che sotto quello sistematico, non sembra sottrarsi a fondati dubbi di legittimita' costituzionale per violazione degli art. 25, secondo comma e 27, terzo comma. La giurisprudenza della Corte che si adisce ha da tempo fissato le coordinate che segnano la dimensione ontologica e finalistica del trattamento sanzionatorio secondo i precetti costituzionali ricavabili dall'art. 3 dai commi primo e terzo dell'art. 27. La personalita' della responsabilita' penale, in particolare, e' assicurata soltanto da un trattamento sanzionatorio che sia proporzionato rispetto al disvalore del fatto concreto, e tale proporzione diviene altresi' misura della uguaglianza dei consociati rispetto alla pena, la cui applicazione viene in tal modo ad affrancarsi da connotazioni tali da privilegiare, in tutto o in parte, finalita' di difesa sociale spesso discendenti da moti di opinione non sempre rispondenti a criteri di razionalita'. Difatti, «l'adeguamento delle risposte punitive ai casi concreti - in termini di uguaglianza e/o differenziazione di trattamento - contribuisce da un lato a rendere quanto piu' possibile "personale" la responsabilita' penale, nella prospettiva segnata dall'art. 27, primo comma; e nello stesso tempo e' strumento per una determinazione della pena quanto piu' possibile "finalizzata", nella prospettiva dell'art. 27, terzo comma, Cost... L'uguaglianza di fronte alla pena viene a significare, in definitiva, "proporzione" della pena rispetto alle "personali" responsabilita' ed alle esigenze di risposta che ne conseguano, svolgendo una funzione che e' essenzialmente di giustizia e anche di tutela delle posizioni individuali e di limite della potesta' punitiva statale» (sent. 50/1980, richiamata dalle sentenze 299/1992, 306/1993). Sotto altro ma connesso profilo, superando la concezione restrittiva che voleva il principio rieducativo destinato ad operare soltanto nella fase esecutiva, si e' riconosciuto che la finalita' enunciata dall'art. 27, comma 3 contiene un precetto rivolto allo stesso legislatore, segnalando «una delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si' estingue» (sent. 313/1990). Il divieto del giudizio di prevalenza della circostanze attenuanti rispetto alla recidiva reiterata implicherebbe una vera e propria eterogenesi dei fini, sovvertendo la finalita' rieducativa in favore di esigenze di difesa sociale, ossia «sacrificando il singolo attraverso l'esemplatita' della sanzione» (sent. 313/1990). Difatti, l'incidenza obbligatoriamente riconosciuta alla recidiva specifica nella dosimetria della pena si presta ad alterare la proporzione tra fatto e sanzione, connotando quest'ultima di un plusvalore rappresentativo di finalita' eccedenti la funzione stessa della pena. Se e' vero che il contenuto del principio costituzionale sancito dall'art. 27, comma 3, come rilevato dalla piu' aggiornata dottrina, non puo' spingersi oltre la possibilita' di riappropriazione dei valori fondamentali della convivenza, tra i quali quello di prestare osservanza ai precetti dell'ordinamento penale, e' di immediata evidenza la necessita' che il destinatario percepisca il disvalore del reato commesso e l'esistenza di un rapporto di immanente proporzione tra fatto e sanzione. Diversamente, la rottura del punto di equilibrio finirebbe per ingenerare sentimenti di insofferenza e ribellione ad una pena percepita, nella sua connotazione di esemplarita', come ingiustificatamente affittiva. E' quanto accade nel caso di specie in cui, proprio per effetto della preclusione del giudizio di prevalenza, fatti di contenuto, se non addirittura modesto disvalore (si pensi, per l'appunto alla detenzione per uso non esclusivamente personale di un quantitativo di stupefacente di poco eccedente i limiti tabellari, o della ricettazione di beni di scarso valore) verrebbero ad essere sottoposti, se commessi da qualsiasi recidivo reiterato, ad un trattamento sanzionatorio manifestamente sproprorzionato, dal momento che e' lo stesso legislatore a ritagliare un area di condotte meritevoli di una risposta sanzionatoria variabilmente piu' mite. Sotto altro profilo, calibrando la comminatoria della pena anche in funzione della pericolosita' sociale espressa dal recidivo reiterato secondo un giudizio sostanzialmente presuntivo (posto che nessun rilievo viene riconosciuto alla natura della recidiva ed alla qualita' della capacita' criminale da essa espressa) il legislatore finirebbe per evocare aperture verso un diritto penale dell'autore, in evidente contrasto con l'art. 25, secondo comma Cost., che connette indefettibilmente la responsabilita' penale - ed il trattamento sanzionatorio che ne consegue - alla consumazione di un «fatto» nella sua materialita'. La questione appare quindi non manifestamente infondata per la violazione sia dell'art. 27, terzo comma, sia dell'art. 25, secondo comma Cost. 4.-Essa e' infine rilevante nel presente processo in quanto la prevenuta, pur dovendo rispondere di un fatto connotato da gravita' riconducibile all'ambito di applicazione dell'ipotesi lieve ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, al cospetto della constatazione della recidiva reiterata (la stessa risulta gravata da due precedenti specifici e da un precedente per falsa testimonianza di data recente) si vedrebbe applicato, in ipotesi di condanna, il piu' severo trattamento sanzionatotio previsto dal comma 1 dello stesso articolo.
P. Q. M. Visti gli artt. 136 Cost. 1, legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1, 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 25, secondo comma e 27, terzo comma Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma 4 c.p., come modificato dall'art. 3, legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze inerenti la persona del colpevole nelle ipotesi previste dall'art. 99, comma 4 c.p. Sospende il presente giudizio e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che copia della presente ordinanza sia notificata al Presidente della Camera dei deputati, al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente del Consiglio dei ministri. Manda la cancelleria per quanto di competenza Modena, addi' 11 gennaio Il giudice: Ziraldi 07C0709