N. 416 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 ottobre 2006

Ordinanza  emessa  il  23  ottobre  2006  dal G.U.P. del Tribunale di
Catanzaro nel procedimento penale a carico di Ruffa Antonio ed altri

Processo  penale  - Chiusura delle indagini preliminari - Obbligo per
  il  pubblico  ministero,  al  termine  delle indagini, di formulare
  richiesta  di  archiviazione  anche quando la sussistenza dei gravi
  indizi  di  colpevolezza,  di  cui all'art. 273 cod. proc. pen., e'
  stata  esclusa dal tribunale del riesame, e contro la decisione non
  sia   stato  proposto  ricorso  per  cassazione,  ne'  siano  stati
  acquisiti successivamente ulteriori elementi a carico della persona
  sottoposta   a   indagini  -  Mancata  previsione  -  Irragionevole
  disparita'   di   trattamento,   sotto  diversi  profili,  rispetto
  all'ipotesi in cui sia intervenuto un pronunciamento della Corte di
  cassazione  in  ordine  alla  insussistenza  dei  gravi  indizi  di
  colpevolezza.
- Codice   di   procedura  penale,  art. 405,  comma 1-bis,  aggiunto
  dall'art. 3 della legge 20 febbraio 2006, n. 46.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.23 del 13-6-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Esaminati  gli atti del procedimento n. 2586/03 R.G.N.R. a carico
di: 1) Ruffa Antonio, nato a S. Gregorio D'Ippona il 18 ottobre 1957,
difeso  di  fiducia  dagli avv. Giovanni Marafioti e Giovanni Brosio,
del  Foro  di  Vibo Valentia; 2) Fiare' Francesco, nato a Torino il 4
maggio  1971,  difeso  di  fiducia dagli avv. Giancarlo Pittelli, del
Foro  di  Catanzaro,  e  Antonino  Crudo,  del Foro di Vibo Valentia;
3) Fiare'  Filippo,  nato  a  S. Gregorio  D'Ippona il 15 marzo 1957,
difeso  di  fiducia  dagli  avv.  Giancarlo  Pittelli,  del  Foro  di
Catanzaro,  e  Antonio  Galati del Foro di Vibo Valentia; 4) Barbieri
Fortunato,  nato  a  Maierato  il 6 settembre 1942, difeso di fiducia
dagli  avv.  Giancarlo  Puittelli  e  Sergio  Rotundo,  del  Foro  di
Catanzaro;  5) Fiare'  Rosario,  nato  a  S. Gregorio  D'Ippona  l'11
novembre  1948,  difeso di fiducia dagli avv. Giancarlo Pittelli, del
Foro  di  Catanzaro  e  Antonino  Crudo  del  Foro  di Vibo Valentia,
imputati come da allegata richiesta di rinvio a giudizio del pubblico
ministero;
    Decidendo   sulla   eccezione  di  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 405,  comma 1-bis, c.p.p., introdotto con legge 20 febbraio
2006,  n. 46, sollevata in udienza preliminare dai difensori di Ruffa
Antonio   e   Fiare'  Francesco,  per  violazione  dell'art. 3  della
Costituzione,  nella  parte  in  cui  non  prevede  l'obbligo  per il
pubblico ministero, al termine delle indagini, di formulare richiesta
di  archiviazione  anche  quando  la  sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza   di  cui  all'art. 273  c.p.p.  e'  stata  esclusa  dal
tribunale  del  riesame, e contro la decisione non sia stato proposto
ricorso  per  cassazione,  ne'  siano stati acquisiti successivamente
ulteriori elementi a carico della persona sottoposta a indagini;
    Rilevato    che    il   giudizio   non   puo'   essere   definito
indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione  proposta, in
quanto:
        1)  nei  confronti  dei  due imputati e' stata applicata, con
ordinanza  dell'8  luglio 2005, la misura cautelare della custodia in
carcere per il delitto di cui al capo 15 (per Fiare', in concorso con
altri  reati);  la  misura  e' stata revocata per carenza di gravita'
indiziaria dal tribunale del riesame con ordinanze del 29 luglio 2005
e  del  6  agosto  2005, contro le quali il pubblico ministero non ha
proposto  impugnazione,  esercitando  successivamente l'azione penale
per  i  medesimi  fatti,  senza  che fossero stati acquisiti elementi
ulteriori rispetto a quelli gia' valutati in sede cautelare;
        2) a norma dell'art. 405, comma 1-bis, c.p.p., introdotto con
legge  20  febbraio  2006,  n. 46, «il pubblico ministero, al termine
dell'indagine,  formula richiesta di archiviazione quando la Corte di
cassazione  si  e' pronunciata in ordine alla insussistenza dei gravi
indizi  di  colpevolezza,  ai  sensi  dell'art. 273, e non sono stati
acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico della persona
sottoposta alle indagini»;
        3)  contrariamente a quanto ipotizzato da alcuni commentatori
subito  dopo  l'emanazione della controversa disposizione (ovvero che
la  violazione  della  norma  non avrebbe ricadute processuali, ma al
piu'  sarebbe  produttiva  di  conseguenze  disciplinari a carico del
pubblico  ministero inottemperante), non e' dubbio che la legge abbia
inteso  introdurre  un  vero  e  proprio  obbligo  processuale per il
pubblico ministero di richiedere l'archiviazione 1) in presenza delle
condizioni indicate (valutazione negativa delle risultanze d'indagine
gia'  sancita  in  fase cautelare; mancata sopravvenienza di elementi
nuovi);   condizioni  che  quindi  -  anche  alla  luce  della  ratio
desumibile  dalla  collocazione della norma all'interno dell'art. 405
c.p.p.  (che introduce in generale i possibili sbocchi della chiusura
delle  indagini)  anziche'  all'interno  dell'art. 408 (che regola le
ipotesi   di   archiviazione)   -  precludono  alla  pubblica  accusa
l'esercizio dell'azione penale, e impongono di sanzionare l'eventuale
illegittimo  atto di impulso con una declaratoria di improcedibilita'
per  violazione  dello  specifico  divieto di legge (per essere stata
l'azione  penale  esercitata in violazione dell'art. 405, comma 1-bis
c.p.p.)   ovvero,  secondo  altra  possibile  impostazione,  con  una
declaratoria  di  nullita'  della  richiesta  di  rinvio  a giudizio,
riconducibile alla categoria delle nullita' di ordine generale di cui
all'art. 178,  lett. b) c.p.p. (nullita' concernenti l'iniziativa del
pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale);
    4)  la  questione  proposta  e'  dunque  rilevante  ai fini della
decisione,  poiche'  l'estensione  del  divieto nel senso prospettato
condurrebbe  alla  declaratoria di improcedibiita' dell'azione penale
(o, in ipotesi, di nullita' della richiesta di rinvio a giudizio) nei
confronti  di  tutti  e  due  gli imputati, conformemente a quanto e'
avvenuto   per  altro  soggetto  nell'ambito  del  medesimo  processo
(Cananzi   Gioacchino,   nei   cui  confronti  la  misura  cautelare,
confermata  in sede di riesame, e' stata annullata senza rinvio dalla
Corte  di  cassazione  con motivazione tutta incentrata sulla carenza
indizi);
    5)  la  questione  si  pone  in  termini  identici, e deve essere
sollevata d'ufficio, per gli imputati Fiare' Filippo, in relazione ai
capi 4) e 23), Barbieri Fortunato, limitatamente al capo 1), e Fiare'
Rosario limitatamente al capo 24), posto che, su tali imputazioni, la
gravita'  indiziaria risulta essere stata esclusa rispettivamente dal
Tribunale  del  riesame  (capo 4 ascritto a Fiare' Filippo, ordinanza
del  3  novembre  2005)  e  direttamente  dal  g.i.p.  nell'ordinanza
cautelare  (restanti  capi), e sul punto il pubblico ministero non ha
proposto impugnazione, ne' sono stati acquisiti elementi nuovi;
    Ritenuto  che la questione non e' manifestamente infondata, per i
motivi di seguito esposti.
    1.  -  Scopo  dichiarato della disposizione in esame e' quello di
porre  un  argine alla formulazione di richieste di rinvio a giudizio
fondate  su  un  quadro  indiziario  di  conclamata inconsistenza, in
quanto gia' negativamente valutato in fase cautelare e non arricchito
da ulteriori apporti.
    Di  tale intento, gia' palese nello stesso contenuto della norma,
fornisce   conferma   esplicita   la   relazione  di  accompagnamento
all'originario  disegno  di  legge n. 5301, trasfuso nell'emendamento
che  ha  inserito  la  norma  nel  corpo  della legge 46/2006 (d.d.l.
n. 5301  presentato  alla  Camera  il  28 settembre 2004, in allegato
all'ordinanza).
    Ad  avviso  del legislatore, «la prassi giudiziaria ha dimostrato
che,   nelle   ipotesi   suddette,  i  pubblici  ministeri  formulano
ugualmente  la richiesta di rinvio a giudizio a carico dell'indagato,
anche  in  assenza  di  indagini  suppletive».  Il  rimedio  e' stato
individuato nell'introduzione di una «preclusione per la richiesta di
rinvio  a  giudizio»  che  valga  come  «regola  generale in grado di
evitare  epiloghi  della  indagine  spesso particolarmente bizzarri e
statisticamente   attestati   acriticamente  su  ipotesi  di  nessuna
consistenza indiziaria» (v. relazione al d.d.l. 5301).
    Se  cio'  e'  vero,  appare frutto di irragionevole disparita' di
trattamento  l'avere limitato l'operativita' del rimedio al solo caso
in  cui  l'inconsistenza  degli  indizi  sia  passata  attraverso  il
«qualificato  vaglio»  della  Corte di cassazione, escludendolo per i
casi  in  cui  sia  lo  stesso  pubblico  ministero - evidentemente a
maggior    ragione   persuaso   della   sostanziale   giustezza   del
provvedimento  reiettivo,  al punto di non proporre appello o ricorso
per  cassazione -  a  ritenere  «esaurito  compiutamente  il percorso
relativo  alla  valutazione dei gravi indizi di colpevolezza» (ancora
la  relazione  al  d.d.l.  5301);  e cio' nonostante, senza acquisire
nuovi  elementi, avanzi richiesta di rinvio a giudizio, reputando che
cio'  che  (evidentemente  a  buona  ragione) non era bastato in fase
cautelare,  sia sufficiente a sviluppare quel «progetto di prova» che
dovrebbe portare alla condanna.
    La  norma  di cui si discute ha dato luogo a severe critiche, per
il  vincolo  indiretto che pone all'autonomia del p.m. e per il fatto
di  attribuire al giudice del cautelare la potesta' di una anticipata
selezione  delle  notizie  di  reato,  ma  se un senso sostanziale e'
possibile  attribuirle, e' quello di volere riservare in modo cogente
alla  sede  della  richiesta  di  archiviazione,  anziche'  a  quella
dell'udienza preliminare, l'esame finale delle risultanze di indagine
gia'  valutate  come  inconsistenti  e  che  non  e'  stato possibile
arricchire di nuovi elementi.
    Cio'  non  tocca  l'ampiezza delle valutazioni rimesse al giudice
investito   della   richiesta   di   archiviazione,   sostanzialmente
assimilabili   a   quelle  proprie  dell'udienza  preliminare,  nella
fisionomia   che   questa   e'  venuta  nel  tempo  assumendo  (dalla
possibilita'  di  disporre  l'integrazione  delle  indagini  ai sensi
dell'art. 409,  comma  4  c.p.p.,  speculare  alla  previsione di cui
all'art. 421-bis  c.p.p.,  all'obbligo di disporre l'archiviazione in
presenza   di  elementi  inidonei  a  sostenere  l'accusa,  ai  sensi
dell'art. 125  disp.  att.  c.p.p., simmetrico alla previsione di cui
all'art. 425,  comma 3 c.p.p., fino all'imputazione coatta). La norma
impone  infatti  al  pubblico  ministero  di  formulare  richiesta di
archiviazione,   ma   non   pone   vincoli   di  sorta  al  controllo
giurisdizionale che ne consegue.
    L'intento della legge e' tuttavia quello di evitare all'indagato,
tutte  le  volte  in  cui  un  preliminare  vaglio sull'inconsistenza
dell'accusa   vi   sia  gia'  stato,  l'apertura  stessa  della  fase
processuale   e   l'assunzione   della   qualita'  di  imputato,  che
nell'ottica  del  diritto  di  difesa rappresenta un disvalore in se'
(come  dimostrano le varie nullita' poste a presidio degli avvisi che
devono  precedere  la richiesta di rinvio a giudizio, tutti protesi a
garantire  l'esplicazione  del diritto di difesa al fine di prevenire
l'esercizio   stesso   dell'azione   penale).   Non  e'  tra  l'altro
indifferente  per  l'indagato,  sotto  il  profilo  della ragionevole
durata  del  processo  di  cui  all'art. 111 Cost., che la fondatezza
dell'accusa  -  gia' negativamente valutata in fase cautelare - venga
delibata  con  i  tempi  e  gli  strumenti  propri della richiesta di
archiviazione  (con  possibilita'  di adozione di un provvedimento de
plano)   piuttosto   che   con   i  tempi  piu'  lunghi  dell'udienza
preliminare.
    2.  -  A  fronte di tale ratio, l'avere individuato il discrimine
per  l'operativita'  della  norma  nel  fatto  che sia intervenuto un
pronunciamento  della  Cassazione  non  pare  rispondere a criteri di
ragionevolezza,  e  male  si  armonizza con le caratteristiche stesse
della  pronuncia  del  giudice di legittimita', incentrata pur sempre
sulla  motivazione  e non sul merito del provvedimento cautelare. Ne'
il fatto che si siano esauriti i gradi di impugnazione costituisce di
per  se'  indice  di  una migliore e piu' consolidata valutazione del
materiale probatorio, specie nell'ipotesi di accoglimento del ricorso
proposto  dall'indagato,  che puo' finire con il sovvertire la doppia
valutazione  contraria  resa  nei  due  gradi  di merito (si veda, in
questo  stesso  processo,  la  vicenda dell'imputato Cananzi, nei cui
confronti   e'   stata   pronunciata  dalla  Cassazione  sentenza  di
annullamento  senza  rinvio  dell'Ordinanza  emessa  il tribunale del
riesame confermativa di quella dal g.i.p.).
    Non  si vede in cosa consista, in simili casi, il quid pluris che
giustifica  la  concessione all'indagato di una tutela dall'esercizio
dell'azione  penale che viene invece negata nel caso in cui lo stesso
giudizio  di  carenza indiziaria sia stato espresso dal tribunale del
riesame  o  dal  g.i.p.  (o  da  entrambi),  con motivazioni talmente
terminative  da  dissuadere lo stesso pubblico ministero dal proporre
impugnazione.
    Ulteriore  manifestazione  di disparita' di trattamento si annida
nel  fatto  che  non  necessariamente  l'attivazione  del ricorso per
cassazione  e'  rimessa  all'iniziativa dell'indagato (lo e' nei casi
piu'  dubbi,  ovvero  quelli  in cui siano intervenute valutazioni di
merito  sfavorevoli),  e  che,  nei  casi  in  cui il ricorso dipenda
dall'iniziativa pubblico ministero, quest'ultimo potrebbe decidere di
non  promuoverlo proprio allo scopo di non incorrere nella successiva
preclusione:    sicche',    in   definitiva,   l'operativita'   della
disposizione  finisce  con  l'essere sottratta all'indagato e rimessa
alle scelte discrezionali del p.m. proprio nei casi in cui ne sarebbe
piu'  giustificata  l'applicazione  (quelli  in cui siano intervenute
pronunce favorevoli del g.i.p. e/o del tribunale del riesame).
    3.  -  Per  tutti  i  motivi esposti, la prospettata questione di
illegittimita' costituzionale non appare manifestamente infondata.
    L'inequivoco  tenore letterale della disposizione - che individua
nella  intervenuta  decisione  della  Corte  di cassazione in materia
cautelare  l'indefettibile  presupposto per la propria applicazione -
non  consente  alcuna  interpretazione  che renda la norma conforme a
Costituzione.
    Si   impone   pertanto,   previa  sospensione  del  giudizio,  la
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
          1)   Si   veda   l'esplicito  riferimento  contenuto  nella
          relazione  al  d.d.l. 53301, citato oltre, alla volonta' di
          introdurre  una  «preclusione  per la richiesta di rinvio a
          giudizio».
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23, legge n. 87/1953;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'   costituzionale  dell'art. 405,  comma  1-bis,  c.p.p.,
introdotto con legge 20 febbraio 2006, n. 46, in relazione all'art. 3
della  Costituzione,  nella parte in cui non prevede l'obbligo per il
pubblico ministero, al termine delle indagini, di formulare richiesta
di  archiviazione  anche  quando  la  sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza   di  cui  all'art. 273  c.p.p.  e'  stata  esclusa  dal
tribunale  del  riesame  o  dal g.i.p., e contro la decisione non sia
stata    proposta    impugnazione,    ne'   siano   stati   acquisiti
successivamente  ulteriori elementi a carico della persona sottoposta
a indagini.
    Sospende  il  giudizio  e dispone la trasmissione degli atti alla
Corte  costituzionale,  ordinando  alla  cancelleria di notificare la
presente  ordinanza  al  Presidente  del  Consiglio dei ministri e di
comunicarla ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Catanzaro, addi' 23 ottobre 2006
                         Il giudice: Giglio
07C0730