N. 428 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 dicembre 2006

Ordinanza  emessa  il  4  dicembre  2006 dal tribunale di Bolzano nel
procedimento   civile   promosso   da  Azienda  Energetica  S.p.A.  -
Etschwerke AG contro I.N.P.S.

Previdenza  e  assistenza sociale - Contributi di malattia dovuti dal
  datore  di  lavoro all'INPS - Esonero dall'obbligo di versamento in
  ipotesi  di obbligo per il datore di lavoro, derivante da contratto
  collettivo,  di  continuare a corrispondere la retribuzione durante
  la malattia del lavoratore - Mancata previsione secondo il «diritto
  vivente»  -  Violazione  dei  principi  di solidarieta' sociale per
  l'assenza  di  logica e razionalita' nella distribuzione dell'onere
  solidaristico  -  Lesione  del principio di uguaglianza - Incidenza
  sul  principio  di  liberta'  di  iniziativa  economica  privata  -
  Riproposizione, da parte del medesimo giudice nello stesso giudizio
  principale,   della  questione  gia'  oggetto  della  ordinanza  di
  manifesta inammissibilita' n. 241 del 2004.
- Legge  11 gennaio  1943,  n. 138,  artt. 6 e 9; d.lgs.lgt. 2 aprile
  1946,  n. 142,  artt. 1  e  2;  d.lgs. Capo provvisorio dello Stato
  31 ottobre  1947,  n. 1304, art. 2; legge 23 dicembre 1978, n. 833,
  art. 74;  legge  23 aprile 1981, n. 155, art. 14; legge 28 febbraio
  1986, n. 41, art. 31.
- Costituzione, artt. 2, 3, 38 e 41.
(GU n.24 del 20-6-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    A  scioglimento  della  riserva,  pronuncia la seguente ordinanza
nella  causa  previdenziale  corrente  sotto il numero n. 482/05 RGL,
promossa  da Azienda energetica S.p.A. - Etschwerke AG, rappresentato
e  difeso  dagli  avv.  prof.  Cinelli  e  Paltrinieri, nei confronti
dell'INPS    -   Istituto   Nazionale   della   Previdenza   Sociale,
rappresentato difeso dagli avv. Bauer ed Orsingher, avente ad oggetto
un'azione  di  accertamento negativa avverso una pretesa contributiva
dell'INPS.
    Va  premesso  che  questo  giudice con ordinanza dd. 30 settembre
2005,   ha   sollevato   la   seguente   questione   di  legittimita'
costituzionale dell'articolo 6, secondo comma, legge 1° gennaio 1943,
n. 138, in relazione agli articoli 2, 3, 38 e 41 della Costituzione:
        «L'azienda  energetica - Etschwerke appartiene alla categoria
delle aziende municipalizzate, trasformate in societa' per azioni. Il
capitale sociale e' interamente in mano pubblica.
    Per  quanto riguarda le cosiddette assicurazioni minori, compresa
l'assicurazione  contro  le  malattie, tutto il personale e' iscritto
all'INPS.
    La disciplina dei rapporti di lavoro era regolata, in passato, da
contratti  collettivi  corporativi ed e' regolata, ora, dal contratto
collettivo  nazionale  di lavoro per gli addetti al settore elettrico
dd.   24   luglio  2001.  Questo,  all'articolo  32,  contenendo  una
disciplina  migliorativa  per  i  dipendenti rispetto alla disciplina
generale prevista dalla legge, obbliga i suoi iscritti all'erogazione
del  trattamento  economico  di  malattia  in  misura pari all'intera
retribuzione  globale per un periodo massimo di 12 mesi, prolungabile
fino a 32 mesi.
    Di  conseguenza  si applica la fattispecie dell'articolo 6, comma
2,  della  legge 11 gennaio 1943 n. 138 (legge istitutiva dell'INAM e
dell  'assicurazione  obbligatoria contro le malattie,), ai sensi del
quale  l'indennita' di malattia non e' dovuta (dall'INAM, ora INPS,),
quando il trattamento economico di malattia sia corrisposto per legge
o  per contratto collettivo dal datore di lavoro ... in misura pari o
superiore a quella fissata dai contratti collettivi.
    L'azienda  non  rientra  nel  campo  di  applicazione della cassa
integrazione  guadagni  (cfr.  art. 3  d.lgs.  C.p.S.  12 agosto 1947
n. 869,  cosi' come interpretato da Cass. n. 4600/1993) ed era finora
anche  esonerata  dall'obbligazione  contributiva per la malattia (da
ultimo vedi circolare INPS datata 27 marzo 1996).
    Con  la  sentenza  n. 10232/2003  le sezioni unite della Corte di
cassazione,   componendo   un  contrasto  giurisprudenziale,  avevano
interpretato  l'articolo  6  citato nel senso che, non sussistendo un
nesso  di  reciproca  giustificazione causale fra le prestazioni ed i
contributi,  l'assunzione  attraverso  il  contratto  collettivo  del
rischio malattia in capo al datore di lavoro (con conseguente esonero
da  parte  dell'INPS), non vale ad esonerarlo dall'obbligo di versare
la contribuzione a favore dell'ente previdenziale.
    Sulla  scia  di questa sentenza, gli ispettori dell'INPS, redatto
un  verbale  ispettivo  culminato in un avviso di pagamento, chiedono
ora  all'azienda  energetica  il pagamento dei contributi di malattia
nella  misura  di  Euro 1.458.691,76  (di  cui a titolo capitale Euro
873.789,00,  il  resto  a  titolo  di  sanzioni  e interessi, pari ad
un'aliquota  del  2,22  % sulla base imponibile riferita al personale
con  la  qualifica  operaia (gli impiegati, i quadri e dirigenti sono
espressamente   esclusi   da   detta   assicurazione:   vedi   d.lgt.
n. 213/1946).  Il  periodo preso in considerazione dagli ispettori va
dal 1/1999 al 12/2004.
    Contro   questa   pretesa  l'azienda  ha  proposto  un'azione  di
accertamento  negativa,  chiedendo  la  dichiarazione di infondatezza
dell'obbligo   contributivo,   previa,  se  ritenuto  necessario,  la
rimessione  degli  atti alla Corte costituzionale al fine di ottenere
la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale dell'articolo 6
(secondo  comma,)  della  legge n. 138/1943 nella sua interpretazione
attualmente  vigente  in  seguito  alla  sentenza  delle  s.u.  sopra
accennata.
    L'INPS  si  e'  costituito  in  giudizio  ed  ha  chiesto  in via
riconvenzionale  la  condanna  dell'azienda  energetica  al pagamento
dell'importo ingiunto con l'avviso di pagamento.
    A   parere   di  questo  giudice,  la  questione  di  legittimita
costituzionale  dell'articolo  6,  secondo  comma  della  della legge
n. 138/1943  non e' manifestamente infondata ed e' anche rilevante ai
fini della decisione della presente vertenza.
    Si  fa  presente  che  questo  giudice  ha gia' sollevato analoga
questione  di legittimita' costituzionale nel processo promosso dalla
societa' «Metro Italia Cash and Carry S.p.A.» nei confronti dell'INPS
(e  nei confronti dell'Esatri-Esazione Tributi S.p.A. e nei confronti
del  SCCI  S.p.A.).  La  presente  ordinanza  ne approfondisce alcuni
aspetti.
    Va premesso che l'articolo 6, comma 2, n. 138/1943, mentre libera
l'ente  assicurativo  pubblico  dalla  sua  obbligazione  (obbligo di
erogare  la  prestazione  di  malattia),  nulla  dice  in  ordine  al
permanere  o  meno  dell'obbligo  contributivo  in  capo al datore di
lavoro  che  contrattualmente  si  era  accollato  il  rischio  della
malattia.
    Astrattamente,  il  vuoto  puo'  essere  colmato  attraverso  tre
differenti    variazioni   interpretative,   con   il   venire   meno
dell'obbligazione in capo all'ente assicurativo, e' venuto meno anche
l'obbligo  contributivo  in  capo  al  datore  di  lavoro;  l'obbligo
contributivo  in  capo al datore di lavoro, se non e' venuto meno, si
e'  almeno  ridotto; essendo le due obbligazioni del tutto autonome e
indipendenti  il  venire  meno  dell'obbligazione  in  capo  all'ente
assicurativo,  non  ha  fatto  venire  meno  -  e  neppure  ridotto -
l'obbligo  contributivo  in  capo  al  datore di lavoro. Quest'ultima
interpretazione e' stata accolta da Cass. s.u. 10.232/03.
    Essa sembra violare alcuni precetti costituzionali.
    Violazione degli articoli 3 e 41 della Costituzione.
    Da  un  lato  esistono  le  imprese,  quale  l'azienda  elettrica
ricorrente,  che  assumono  su  se  stesse,  attraverso  il contratto
collettivo, il rischio dell'evento malattia, continuando a versare ai
dipendenti la retribuzione all'atto del suo verificarsi.
    Esse,  continuando  a  versare  la  retribuzione piena durante la
malattia,   assolvono   gia'  al  debito  solidaristico,  almeno  nei
confronti  del  proprio personale. Anzi, visto dal punto di vista del
singolo  lavoratore, il trattamento di malattia erogato dal datore di
lavoro  e'  notevolmente  superiore, sia sotto il profilo del quantum
(il  datore  di  lavoro  continua a pagare la retribuzione piena) che
sotto  il profilo del tempo (il datore di lavoro puo' arrivare fino a
32  mesi a sostenere il lavoratore malato) rispetto al trattamento di
malattia  erogato  dall'INPS  (l'indennita'  di  malattia, di regola,
ammonta  al 60% della retribuzione e l'ente previdenziale sostiene il
lavoratore malato per periodi notevolmente inferiori).
    Inoltre,  la stessa retribuzione versata durante la malattia e' a
sua  volta  soggetta  a  imponibile contributivo, di guisa che queste
imprese sono soggette ad una sorta di duplicazione contributiva.
    Benche'  l'INPS  fosse esonerato dalla corrispondente prestazione
di  malattia,  le  imprese,  non avendo alcun vantaggio contributivo,
sono  obbligate  a  versare  in  pieno,  senza  alcuna  riduzione, il
corrispondente contributo di malattia.
    Non  sussiste  alcuna  differenziazione rispetto alle imprese che
non  si  accollano  il  rischio  della  malattia, lasciandolo gravare
sull'INPS.
    Situazioni  sostanziali  differenti  - da una lato le imprese che
accollano  su  se  stesse  il  rischio  malattia,  dall'altro lato le
imprese  che  caricano  il  rischio  malattia  sull'INPS - dovrebbero
trovare  un  trattamento differenziato sotto il profilo contributivo,
pena la violazione dell'articolo 3 della Costituzione.
    Ma vi e' di piu'.
    Mentre  sopra  e'  stato  evidenziato come situazioni sostanziali
differenti   non   trovino   un   trattamento  differente,  esistono,
all'inverso,  anche  casi  in  cui  situazioni  sostanziali  omogenee
trovano  ingiustificatamente  un  trattamento  differenziato sotto il
profilo contributivo.
    L'azienda   energetica  opera  nel  medesimo  settore  produttivo
dell'Enel e dell'Italgas di Torino.
    Mentre  l'Enel  e  l'Italgas godono di una riduzione contributiva
(per   l'Enel:  v.  d.P.R.  n. 145/67),  le  aziende  energetiche  ex
municipalizzate  versano  il contributo pieno, con la conseguenza del
venire  meno  delle  piu'  elementari  condizioni di par condicio fra
imprese concorrenti.
    Esistendo  differenze  di  trattamento  all'interno  delle stesse
categorie  produttive,  si  ritiene  violato  anche  l"art. 41  della
Costituzione  che  garantisce  il diritto all'iniziativa economica in
condizioni di parita'.
    Violazione dell'articolo 2 della Costituzione.
    Il  dovere  di  solidarieta' e' il criterio ispiratore principale
nell'ambito delle assicurazioni sociali.
    Va  premesso in generale che nella realta' economica il dovere di
solidarieta'   soffre  talmente  tante  eccezioni  ingiustificate  ed
irrazionali,   vaste  e  stratificate,  basate  ora  su  disposizioni
legislative  ora  su  semplici  atti  amministrativi, da far dubitare
addirittura   della   sua   stessa   esistenza.   Per   tentare   una
classificazione  grossolana,  le eccezioni possono riguardare singole
aziende (RAI ecc.), singole categorie di lavoratori (il contributo e'
dovuto  per  gli  operai,  non  invece  per  gli  impiegati, quadri e
dirigenti),  singole  categorie  produttive  e  addirittura la stessa
aliquota  contributiva  che,  essendo differente per i singoli tipi e
settori aziendali, varia in continuazione.
    Nelle intenzioni nobili del legislatore costituzionale, il dovere
di  solidarieta'  non  e'  illimitato,  ma deve essere proporzionato,
circoscritto  entro  il limite della ragionevolezza e contenuto entro
una  giustificabile  bilanciamento  tra  il  vantaggio  destinato  al
beneficiario ed il corrispondente pregiudizio dell'onerato.
    Questi  criteri  della  ragionevolezza  e  della proporzionalita'
mancano nel caso specifico.
    La  violazione  e'  dovuta  soprattutto  alla circostanza che nei
confronti    dell'azienda    energetica    continua    a   sussistere
l'obbligazione  contributiva piena. Il contributo che essa gia' offre
al  dovere di solidarieta' attraverso l'accollo del rischio malattia,
dovrebbe   essere  premiato  quantomeno  attraverso  una  diminuzione
dell'obbligo  contributivo,  se  non addirittura attraverso l'esonero
totale.  Il  principio di solidarieta' non puo' essere sospinto ad un
livello di intensita' e di incidenza redistributiva cosi' alta, come,
appunto, avviene nel caso dell'articolo 6, comma 2, legge n. 138/1943
nella  sua  versione interpretativa fornita dalla sentenza Cass. s.u.
n. 10.232/2003.  Al  contrario,  nell'attuale fase storica, l'aspetto
della    solidarieta'   redistributiva   ha   subito   una   notevole
ridimensione,   com'e'   dimostrato   dall'introduzione  del  calcolo
contributivo delle pensioni nella recente norma apportata dalla legge
n. 335/1995  (che  ha  sostituito il previdente sistema retributivo),
come    e'    altresi'   dimostrato   dall'abolizione   dell'Istituto
dell'integrazione   al   trattamento   minimo   (con  il  conseguente
contenimento della connotazione redistributiva) e la ristrutturazione
binaria,  ad  opera del d.lgs. n. 124/1993, del sistema di previdenza
sociale   attraverso   l'introduzione   del  secondo  pilastro  della
previdenza  complementare,  notoriamente  fondato  sul criterio della
capitalizzazione.
    Un'ulteriore  aspetto di violazione dei criteri di ragionevolezza
e   proporzionalita'  cui  dovrebbe  essere  ispirato  il  dovere  di
solidarieta'  emerge  dai dati di bilancio dell'INPS. Essi dimostrano
come  l'ente pubblico sia destinatario di entrate da contribuzione di
malattia  assai  superiore alle uscite per indennita' di malattia. Ne
consegue che il sacrificio imposto alla suddetta categoria di imprese
risulta  privo  di  sostanziale  giustificazione.  Nel «rendiconto di
bilancio  INPS  2003» l'esborso per trattamenti economici di malattia
effettuato  nell'anno  era  pari  a  Euro 1.736.898.101,21,  mentre i
contributi   riscossi   erano   pari   a  Euro  3.120.793.049,38.  La
sperequazione   tra   entrate   e   uscite   e'   evidente.  Essa  e'
ingiustificata,  considerando  che il sistema previdenziale si fonda,
nella  sua  generalita'  sul criterio finanziario della ripartizione,
cioe',   sul  criterio  in  base  al  quale  il  carico  contributivo
complessivo  deve  essere costantemente rideterminato in relazione al
volume  della  spesa.  Nel  caso  di specie, l'onere contributivo non
risulta  aggiornato,  alle  imprese  e'  richiesta  una  solidarieta'
superiore  al  necessario  e,  per di piu', il medesimo viene imposto
anche  a  categorie  di imprese che, essendosi accollato su di se' il
rischio malattia, non concorrono alla spesa.
    Come  controargomento,  per  giustificare l'indipendenza totale e
l'assenza di qualsiasi sinallagmaticita' tra obbligo di contribuzione
e  corrispondente  trattamento di malattia, nella sentenza Cass. s.u.
n. 10.232/2003  sono stati elencati, quali ipotesi esemplificative, i
casi  di  sospensione  del  lavoro,  di  superamento  del  periodo di
comporto  o  la disoccupazione. In questi casi l'INPS dovrebbe pagare
l'indennita'  al  lavoratore  anche  se  il datore di lavoro si fosse
assunto,  nel  contratto collettivo, l'obbligo di continuare a pagare
la  retribuzione  durante  la  malattia.  A  prescindere  dal rilievo
generale  che  questi  casi,  essendo  marginali, non giustificano la
pretesa   del   contributo  di  malattia  pieno,  occorre  nuovamente
ricordare che nei confronti delle aziende enrgetiche, comprese tra le
imprese  industriali  degli  enti pubblici, non si applicano le norme
sull'integrazione dei guadagni degli operai. Di conseguenza, nei loro
confronti la giustificazione adotta nella sentenza vale ancora meno.
    Violazione dell'art. 38 Costituzione.
    La costituzione repubblicana non ha inteso espellere il principio
corrispettivo   dal   sistema   delle   assicurazioni  previdenziali.
Preoccupandosi  unicamente ad assicurare mezzi adeguati al lavoratore
al  sopravvenire  degli  eventi  malattia  e vecchiaia, l'articolo 38
(secondo  comma)  della  Costituzione si e' occupato del risultato ma
non  del  mezzo  attraverso  il  quale  il fine andava raggiunto. Non
impone  alcun  mezzo  o  strumento  particolare,  non  esprime alcuna
preferenza per un determinato sistema di assicurazione previdenziale.
Sostenere il contrario, equivarebbe a tacitare di incostituzionalita'
la  recente  riforma  delle  pensioni,  la  quale, essendo un sistema
improntato   esclusivamente   alla   sola  solidarieta'  sinonimo  di
inefficienza  e di debito pubblico, aveva scartato il principio della
solidarieta' generazionale (sistema retributivo), per reintrodurre il
principio assicurativo-contributivo.
    Quella opinione, giurisprudenziale (da ultimo: Cass. 15.112/2004)
e  dottrinale,  che  riteneva  espulso  il  principio corrispettivo o
sinallagmatico  dal  nostro  sistema  assicurativo  e  previdenziale,
sembra  essere  nel torto. Essa si e' spinta troppo oltre, non avendo
il  principio  di  solidarieta'  mai eliminato del tutto il principio
della  corrispettivita'.  Quest'ultimo  principio  era presente nelle
intenzioni   originarie   del   legislatore,   quando  aveva  emanato
l'articolo  6,  comma  2  della  legge n. 138/1943. La norma, benche'
nulla  avesse  espressamente  sancito,  liberando l'ente assicurativo
pubblico   INAM   (ora   INPS)   dalla   prestazione   previdenziale,
implicitamente  intendeva  liberare  il datore di lavoro dall'obbligo
contributivo,    conformemente   al   principio   generale,   sancito
all'articolo  1886  c.c.,  secondo  il  quale  anche le assicurazioni
sociali  andavano  in quadrate tra i rapporti sinallagmatici quali le
assicurazioni commerciali, disciplinate dal codice civile. Da cio' si
evince che, quanto meno nella fase genetica, l'aspetto sinallagmatico
sembra  ineliminabile.  Nel caso in esame invece esso e eliminato del
tutto,  poiche'  l'azienda  energetica  contribuisce ad alimentare il
fondo per le prestazioni di malattia ma non ne usufruisce. L'opinione
secondo   la   quale   qualsiasi   aspetto   di   corrispettivita'  o
sinallagmaticita'  sia  stato espulso dal sistema della assicurazioni
sociali, sembra non trovare alcuna copertura costituzionale.
    Concludendo, a questo giudice sembra non manifestamente infondata
la  questione  di  legittimita' costituzionale. L'articolo 6, secondo
comma,  della  legge  n. 138/1943  sembra  porsi in contrasto con gli
articoli 2, 3, 38 e 41 della Costituzione.
    La  questione  e'  anche  rilevante ai fini della decisione della
presente  causa.  Dalla  risposta  dipende la fondatezza o meno della
pretesa    contributiva    dell'INPS   nei   confronti   dell'azienda
energetica».
    Con  l'ordinanza  n. 241/2006  (depositata il 22 giugno 2006), la
Corte   costituzionale   ha   ritenuto  la  questione  manifestamente
inammissibile  in considerazione del fatto che la norma nulla dispone
«...  quanto  all'obbligo  contributivo a carico del datore di lavoro
...»,   con  la  conseguenza  che  la  sollecitata  dichiarazione  di
incostituzionalita'  non risolverebbe il dubbio circa la legittimita'
della  previsione,  derivante  dalla  interpretazione  della Corte di
cassazione  a sezioni unite, del mancato esonero del datore di lavoro
dal  versamento  del  contributo di malattia, quando lo stesso si sia
obbligato,  con  contratto collettivo, a corrispondere un trattamento
pari  o  superiore  a quello erogato dall'INPS. In sostanza, la Corte
costituzionale    ha    dichiarato    la   questione   manifestamente
inammissibile,  essendo  la  norma  denunciata  diversa da quella che
avrebbe dovuto formare oggetto della rimessione. Denunciando la norma
sbagliata,  questo  giudice e' incorso in un c.d. error in obiecto o,
seconda la difesa dell'INPS, di abberatio ictus.
       Si   pone   la   domanda   se  la  questione  di  legittimita'
costituzionale   possa   essere   riproposta  dal  medesimo  giudice,
ovviamente  con  correzione  dell'errore  e  con denuncia della norma
esatta. Essendo l'ordinanza n. 241/2004 annoverabile fra le decisioni
processuali  con  le  quali  la  Corte  non  denisce  la questione di
legittimita'  costituzionale  sottoposta al suo vaglio bensi' il solo
giudizio-costituzionale, nulla osta a che il giudice possa riproporre
la  questione.  In  tal senso si era espressa la Corte costituzionale
nell'ordinanza  n. 399/2002  (depositata  il  25  luglio 2002), nella
sentenza  n. 189/2001  (depositata  l'11 giugno 2001), nella sentenza
n. 42/1996   (depositata   il   23  febbraio  1996),  nella  sentenza
n. 433/1995  (depositata  il  15  settembre  1995)  e  nella sentenza
n. 451/1989 (depositata il 27 luglio 1989).
    Il merito della questione.
    In  ossequio  al  contenuto  dell'ordinanza  n. 241/2006, occorre
correggere   l'errore,   individuando   le   norme  che  prevedono  e
disciplinano l'obbligo contributivo.
    Ed invero esse sono:
        L'articolo  9 della legge 1° gennaio 1943 n. 138, che prevede
al  primo  comma:  «agli  scopi  di cui sopra sara' provveduto con il
contributo  dei  lavoratori  e  dei  datori  di  lavoro  nella misura
determinata dal contratto collettivo di lavoro o da deliberazione dei
loro  competenti  organi  ovvero  nel decreto di cui al secondo comma
dell'articolo 4».
    Gli   «scopi   di  cui  sopra»  sono  quelli  previsti,  appunto,
all'articolo  6,  contenendo gli articoli 7 e 8 semplici precisazioni
in ordine ai trattamenti.
    Abrogato  l'ordinamento  corporativo  con  il decreto legislativo
luogotenenziale  23  novembre  1944,  n. 369,  la disciplina e' stata
modificata  dall'articolo 1 del decreto legislativo luogotenenziale 2
aprile  1946,  n. 142,  che  prevede: «A decorre dal primo periodo di
paga successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto e
in  via  provvisoria  fino a che non sara' provveduto ad una organica
disciplina  della ripartizione degli oneri contributivi fra datori di
lavoro  e  lavoratori  per  le varie forme di previdenza e assistenza
sociale contemplate nel successivo articolo 2, la quota di contributi
dovuta  in  qualunque settore della attivita' produttiva da parte dei
lavoratori  ai  sensi  delle  disposizioni  vigenti  per  le forme di
previdenza  e  assistenza predette e' corrisposta senza alcun diritto
di  rivalsa  dai  datori  di  lavoro in luogo dei lavoratori stessi e
sara'  considerata  a  tale  titolo  a  tutti  gli effetti di legge e
conteggiata  sulla  retribuzione  al  lordo»  e  dall'articolo  2 del
decreto legislativo luogotenenziale 2 aprile 1946 n. 142, che appunto
prevede  «Le  forme  di  previdenza  e  di assistenza per le quali il
datore  di  lavoro  a  norma  dell'articolo precedente e' tenuto alla
corresponsione  senza  diritto a rivalsa delle quote di contributo di
spettanza  dei  lavoratori  sono  le  seguenti:  ... 6) assicurazione
obbligatoria  per  le  malattie nell'industria, nell'agricoltura, nel
commercio e nel credito, assicurazione e servizi tributari appaltati;
...».
    Per  il  settore  del  commercio (nel quale risulta inquadrata la
societa'  ricorrente)  il  decreto  legislativo  del Capo provvisorio
dello  Stato  31 ottobre 1947, n. 1304, all'articolo 2, secondo comma
prevede:  «Le  indennita' giornaliere di malattia e gli altri assegni
in denaro per gli iscritti all'Istituto nazionale per l'assicurazione
contro  le malattie, appartenenti al settore del commercio e a quello
del  credito,  assicurazione  e  servizi  tributari  appaltati  ed  i
contributi  dovuti  per l'assicurazione malattia sono stabiliti nelle
misure  indicate nelle tabelle a) e b) allegate al presente decreto e
vistate,  d'ordine del Capo provvisorio dello Stato, dal Ministro per
il  lavoro e della previdenza sociale», ferma restando l'applicazione
del decreto legislativo luogotenenziale 2 aprile 1946, n.142.
    La  normativa  successiva  prevede  solo  la determinazione delle
aliquote  contributive. Si tratta della legge n. 74/1951, della legge
n. 692/1955, del d.P.R. n. 870/1959, della legge n. 1443/1961 e della
legge n. 329/1963.
    Con  la  legge  23  dicembre  1978 n.833, istitutiva del Servizio
sanitario  nazionale, e' stato previsto all'articolo 74, primo comma,
che:  «A  decorrere  dal 1° gennaio 1980 e sino all'entrata in vigore
della  legge  di riforma del sistema previdenziale l'erogazione delle
prestazioni  economiche  per malattia e per maternita' previste dalle
vigenti  disposizioni  in  materia  gia'  erogati  dagli enti, casse,
servizi  e gestioni autonome estinti e posti in liquidazione ai sensi
della  legge  17 agosto 1974 n. 386, di conversione con modificazioni
del  decreto  legge 8 luglio 1974, n. 264, e' attribuita all'Istituto
nazionale   della  previdenza  sociale  (INPS)  che  terra'  apposita
gestione.  A  partire dalla stessa data la quota parte dei contributi
di  legge  relativi  a  tali  prestazioni  e'  devoluta  all'Istituto
nazionale della previdenza sociale (INPS) ed e' stabilita con decreto
del  Ministro  del lavoro e della previdenza sociale, di concerto col
Ministro del tesoro».
    Solo  per  completezza,  in  relazione  alla  determinazione  del
principio  dei soggetti «aventi diritto», va ricordato poi l'articolo
1, primo comma, del decreto legge 30 dicembre 1979 n. 663, convertito
con  modificazioni nella legge 29 febbraio 1980 n. 33 che prevede: «A
decorrere  dal  1°  gennaio  1980  per i lavoratori dipendenti, salvo
quanto previsto dal successivo sesto comma, le indennita' di malattia
e  di  maternita' di cui all'articolo 74, primo comma, della legge 23
dicembre  1978 n. 833 sono corrisposte agli aventi diritto a cura dei
datori di lavoro all'atto della corresponsione della retribuzione per
i  periodi  di  paga  durante  il  quale  il  lavoratore  ha  ripreso
l'attivita' lavorativa, fermo restando l'obbligo del datore di lavoro
di corrispondere anticipazioni a norma dei contratti collettivi e, in
ogni   caso,  non  inferiore  al  50%  della  retribuzione  del  mese
precedente, salvo conguaglio».
    L'articolo  14 della legge 23 aprile 1981, n.155 prevede al primo
comina:  «La  quota  parte  dei  contributi da devolvere all'Istituto
nazionale  della  previdenza sociale (INPS) ai sensi dell'articolo 74
della  legge  23  dicembre  1978,  n. 833,  per  la  erogazione delle
prestazioni  economiche  di  malattia e' determinata nella misura del
2,50% della retribuzione imponibile per gli aventi diritto di tutti i
settori,  a  esclusione  di  quello agricolo, per il quale contributo
stesso  e' determinato nella misura di 1/6 del contributo giornaliero
di malattia».
    Da  ultimo,  l'articolo 31, quinto comma, della legge 28 febbraio
1986,  n. 41,  prevede  che «i contributi dovuti dai datori di lavoro
per  i soggetti aventi diritto alle indennita' economiche di malattia
sono fissati nelle misure indicate nell'allegata tabella G».
    Tali aliquote contributive sono quelle attualmente vigenti.
    Corretto  l'errore,  la  questione di legittimita' costituzionale
per  contrasto  con  gli articoli 2, 3, 38 e 41 della Costituzione va
riferita pertanto agli articoli:
        6 e 9 della legge 11 gennaio 1943, n. 138;
        1  e 2 del decreto legislativo luogotenenziale 2 aprile 1946,
n. 142;
        2 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 31
ottobre 1947 n. 1304;
        74 della legge 23 dicembre 1978, n. 833;
        14 della legge 23 aprile 1981, n. 155;
        31 della legge 28 febbraio 1986, n. 41.
    Essendosi  gia'  pronunciata  la  Corte  di  cassazione a sezioni
unite,  la  cui  opinione giuridica e' da ritenere «diritto vivente»,
non  esiste  piu'  alcuno  spazio  interpretativo  per  il giudice di
merito,  al  quale  non rimane altra via, se non quella di rivolgersi
alla Corte costituzionale.
    Si   fa   presente   che   analoga   questione   di  legittimita'
costituzionale  e'  stata  sollevata  anche dal giudice del lavoro di
Milano con ordinanza dd. 26 ottobre 2006.
                              P. Q. M.
    Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata, in relazione
agli  articoli  2,  3,  38  e  41 della Costituzione, la questione di
illegittimita'  costituzionale degli articoli 6 (nell'interpretazione
fornita  da  Cass.  s.u.  10.232./2003)  e 9 legge n. 138/1943, 1 e 2
decreto  legislativo  luogotenenziale  2 aprile 1946, n. 142, due del
decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 31 ottobre 1947,
n. 1304,  74  della legge 23 dicembre 1978, n. 833, 14 della legge 23
aprile 1981, n. 155 e 31 della legge 28 febbraio 1986 n. 41;
    Sospende il processo e ordina alla cancelleria:
        l'immediata    trasmissione    degli    atti    alla    Corte
costituzionale;
        la  notifica alle parti in causa, al Presidente del Consiglio
dei  ministri  e  la comunicazione ai Presidenti delle due Camere del
Parlamento;
    Ordina inoltre alla cancelleria che alla presente ordinanza venga
allegata l'ordinanza n. 241/2006 della Corte costituzionale.
        Bolzano, addi' 4 dicembre 2006
                        Il giudice: Michaeler
07C0742