N. 468 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 settembre 2006

Ordinanza  emessa  il  26  settembre  2006  dalla Corte di appello di
Cagliari  -  Sezione  distaccata di Sassari nel procedimento penale a
carico di Sassu Massimiliano

Processo  penale  -  Appello  -  Modifiche  normative - Previsione di
  limiti  al  potere  d'appello  del  pubblico  ministero  contro  le
  sentenze  di  proscioglimento nel giudizio ordinario e nel giudizio
  abbreviato   -   Inammissibilita'   dell'appello   proposto   prima
  dell'entrata  in  vigore  della novella - Disparita' di trattamento
  tra la parte pubblica e le parti private - Violazione del principio
  di  parita'  delle  parti  nel  processo - Contrasto con i principi
  dell'obbligatorieta'   dell'azione   penale   e   della   finalita'
  rieducativa della pena.
- Legge  20 febbraio  2006, n. 46, artt. 1 (sostitutivo dell'art. 593
  del  codice di procedura penale), 2 (modificativo dell'art. 443 del
  codice di procedura penale) e 10.
- Costituzione, artt. 3, 27, comma terzo, 111 e 112.
(GU n.25 del 27-6-2007 )
                         LA CORTE DI APPELLO

    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nel procedimento penale a
carico  di  Sassu Massimiliano, nato a Sassari il 9 ottobre 1973, ivi
residente via Lamarmora n. 83, irreperibile - contumace, imputato del
delitto  di cui all'art. 73.1 e 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per
avere  illegalmente  detenuto gr. 11,4 circa di sostanza stupefacente
tipo hashish;
    In Sassari, il 28 agosto 1997.
    Ritenuto  che  con  sentenza del 27 novembre 2003 il Tribunale di
Sassari ha mandato assolto Sassu Massimiliano dall'accusa a lui mossa
per  insussistenza  del  fatto,  e  che  contro  questa  decisione ha
interposto   appello   il   p.g.   presso  questo  ufficio  chiedendo
l'affermazione di responsabilita' dell'imputato a la sua condanna;
    Ritenuto  che,  a  norma  dell'art. 10,  legge  20 febbraio 2006,
n. 46,  dovrebbe  dichiararsi  la inammissibilita' della impugnazione
proposta  dal  p.g.  restando  a  questo  la possibilita' di proporre
ricorso  per  cassazione  giusta  il  disposto  del  comma  terzo del
medesimo art. 10;
    Ritenuto  che vi e' tuttavia motivo di dubitare della conformita'
della  legge  anzidetta alla Costituzione e che il p.g. presso questo
ufficio ha ritenuto ravvisabili i profili di incostituzionalita' gia'
denunciati da questa Corte in casi analoghi.

                            O s s e r v a

    L'art. 111  della  Costituzione  garantisce  il  principio  della
parita'   delle   parti  nel  processo,  e  questo  principio,  nella
previsione  costituzionale,  non  soffre  di eccezioni di sorta (come
invece puo' avvenire per altri principi, come quello della formazione
della  prova  in  contradditorio pure stabilito dal medesimo articolo
111). L'esclusione della possibilita' che il pubblico ministero possa
gravarsi  contro  le  sentenze di proscioglimento con lo stesso mezzo
riconosciuto  all'imputato  avverso  le sentenze di condanna comporta
l'introduzione   nel  sistema  delle  impugnazioni  di  una  evidente
irragionevole   disparita'   di  trattamento  che  contrasta  con  il
richiamato  principio della parita' delle parti nello svolgimento del
processo.
    Ad  avviso di questa Corte l'enunciato ora espresso non confligge
con le ripetute pronunce negative della Corte costituzionale chiamata
ad  esprimersi  sulle  limitazioni  al  potere d'appello del pubblico
ministero  stabilite  dall'art. 443.3  c.p.p.,  essendo le disparita'
derivanti  da questa disposizione ragionevolmente giustificabili alla
luce  del  risultato  perseguito  con il ricorso al rito abbreviato e
delle  peculiarita'  di  questo.  Il risultato e' quello della rapida
definizione  dei  processi  penali conseguita attraverso la decisione
del  processo solo sulla base del materiale probatorio raccolto dalla
parte   pubblica  fuori  del  contraddittorio,  e  pertanto  con  una
correlativa  rinuncia dell'imputato, in vista del miglior trattamento
sanzionatoria   a   lui   riservata   in   caso  di  affermazione  di
responsabilita', ad intervenire nel delicato momento della formazione
della   prova.  E  tuttavia,  se  in  un  quadro  siffatto  e'  parso
ragionevole   limitare  la  facolta'  di  impugnazione  del  pubblico
ministero  quanto  alle sentenze di condanna (e pertanto in relazione
alla  quantificazione della pena), altrettanto non pare proprio possa
dirsi  in  relazione  alle sentenze di assoluzione, pur pronunciate a
seguito  di  rito  abbreviato,  stante  il perdurante interesse della
parte   pubblica  all'accertamento  della  verita'  (e  quindi  della
responsabilita'  dell'imputato  che  dall'acclaramento  della verita'
possa  risultare),  come d'altro canto dimostra il fatto che e' stata
conservata  al  p.m.  la facolta' di appellarsi contro le sentenze di
condanna  che  modifichino  il  titolo  del  reato. E a proposito del
generale  interesse del p.m. a proporre appello contro le sentenza di
proscioglimento  conserva  piena  validita' il richiamo contenuto nel
messaggio  del  Presidente  della  Repubblica alle Camere la' dove si
osserva   che   «la   soppressione  dell'appello  delle  sentenze  di
proscioglimento  ...  fa  si' che la stessa posizione delle parti nel
processo  venga  ad  assumere una condizione di disparita' che supera
quella  compatibile  con  la  diversita'  delle funzioni svolte dalle
parti  stesse  nel  processo.  Le  asimmetrie  tra  accusa  e  difesa
costituzionalmente  compatibili  non  devono mai travalicare i limiti
fissati dal secondo comma dell'art. 111 della Costituzione».
    Ne'  appaiono  decisive  le  obbiezioni che potrebbero farsi alla
tesi  qui sostenuta e secondo le quali la soppressione della facolta'
d'appello   del   p.m.   contro   le   sentenze   di  proscioglimento
risponderebbe  ad  esigenze  di celerita' del processo, e sarebbe per
altro  verso coerente con la presunzione di innocenza dell'imputato o
con  il  precetto per il quale la colpevolezza deve essere dimostrata
oltre ogni ragionevole dubbio. Quanto alla prima di tali osservazioni
giustamente  si  e'  ricordato che le esigenze di celerita' non hanno
impedito  la  conservazione  della  facolta'  di  cui  all'art. 443.3
c.p.p., e che, al contrario, saranno proprio le esigenze di celerita'
ad  essere  sacrificate  quando, nel caso di accoglimento del ricorso
per  cassazione  proposto dal p.m. contro la sentenza assolutoria, il
processo   ritornera'   in  primo  grado  con  la  prospettiva  della
celebrazione  (anche)  del  giudizio  d'appello  in  caso di condanna
dell'imputato.  Il principio di non colpevolezza implica soltanto che
gli  effetti  pratici  della  condanna  possano discendere solo dalla
sentenza  definitiva, e nessuna conseguenza puo' trarsi da esso circa
l'iter  per  il  quale si debba pervenire al giudicato. Quello per il
quale  la  colpevolezza puo' essere affermata solo quando sia provata
oltre  ogni  ragionevole  dubbio  sembra,  invece, in questo caso, un
principio   di   lettura  equivoca,  posto  che  se  si  sostiene  la
inappellabilita'  della  sentenza  con  la  quale  un  giudice  abbia
pronunciato  assoluzione  poiche' l'eventuale successiva condanna non
potrebbe essere pronunciata fuor di ogni ragionevole dubbio, potrebbe
altrettanto legittimamente sostenersi che sarebbe del pari inutile un
giudizio  d'appello  contro una sentenza di condanna che, ad esito di
un  processo  celebrato in condizioni di parita' delle parti, sarebbe
pronunciata  sulla scorta di prove che dimostrino la colpevolezza con
lo stesso grado di sicurezza.
    E'  stato  peraltro  espresso  l'avviso  che  l'esclusione  della
appellabilita'  delle  sentenze  di  proscioglimento  da  parte della
accusa  pubblica  sia  coerente  all'esplicazione  dei  diritti della
difesa:  deve in proposito osservarsi che insopprimibile funzione del
processo  penale  e'  quello  dell'accertamento della verita', e tale
prospettiva  deve  essere  perseguita  nel rispetto dei diritti della
difesa da far valere tuttavia nell'ambito del processo e non gia' nel
senso  che  il  confronto  fra le tesi debba essere evitato (in altri
termini:  deve  esercitarsi  la  difesa  nel  processo e non gia' dal
processo).
    Nessuno  dubita che anche nel giudizio d'appello l'imputato debba
godere   del  pieno  dispiegamento  dei  diritti  che  la  legge  gli
riconosce:  ma  non  si  vede in che cosa la celebrazione del secondo
grado  del  giudizio  di  merito,  sia  pure  ad istanza del pubblico
ministero,  possa compromettere il diritto di difesa (diverso sarebbe
se  ci  si  appellasse al principio del favor rei, che pero' vale nei
soli  casi  in  cui la legge faccia ad esso riferimento e non risulta
essere stato ricompreso fra quelli garantiti dalla Costituzione).
    A  tutte  le  notazioni  sopra  svolte  puo'  aggiungersi  che il
contrasto  delle  disposizioni  denunciate  rispetto all'art. 111 (ed
anche, a questo punto, all'art. 3) della Costituzione apparira' ancor
piu'  evidente  quando  si osservi che nella stesura definitiva della
legge  20  febbraio  2006,  n. 46,  alla parte civile e' stato invece
conservato  il  diritto  d'appello avverso le sentenze di assoluzione
(la  genesi  della locuzione del secondo periodo dell'art. 576 c.p.p.
alinea  nell'attuale  formulazione  persuade  che  l'impugnazione ivi
menzionata consista nell'appello, tanto piu' che nessuna menzione del
gravame  della  parte  civile  si  rinviene  nell'art. 10 della legge
n. 46/2006  che  detta  regole  sul  regime transitorio in materia di
appello  dell'imputato o del p.m.: e in effetti per il riconoscimento
del diritto della parte civili a proporre appello avverso le sentenze
di  assoluzione  si  e'  pronunciata  la  Corte  di cassazione con la
recente  sentenza  22924  del  4  luglio  u.s.).  Si  deve constatare
pertanto   che   alla  parte  pubblica,  portafrice  degli  interessi
rilevantissimi  su  cui  si  tornera'  tra  breve, e' stato del tutto
ingiustificatamente  riservato un potere di impugnazione piu' ridotto
che  alle parti private e questo dato, indubitabile, non puo' che far
risaltare  in  maniera  ancor  piu'  evidente  il  vulnus subito, per
effetto  delle  norme  che vengono sottoposte al giudice delle leggi,
dal principio della parita' delle parti.
    Oltre  a  tutto  quanto sopra enunciato, partendo dal rilievo che
gli  interessi  tutelati dal pubblico ministero sono, in uno Stato di
diritto,  apprezzabili  quanto  quelli  delle  altre  parti, compreso
l'imputato  (ed  in  realta', per quanto le ultime riforme in materia
processuale  abbiano  avuto di mira soprattutto il riequilibrio della
posizione  dell'imputato rispetto a quella del p.m., mai l'importanza
degli  interessi  tutelati  attraverso  l'azione  di questo era stata
reputata  sottovalente  rispetto a quella degli interessi delle altre
parti), puo' ancora osservarsi che sottrarre al pubblico ministero il
potere   di  appellarsi  contro  le  sentenze  di  assoluzione  o  di
proscioglimento  significa  rendere  piu'  difficoltosa  l'attuazione
della  ricerca  della  verita'  e,  quindi  dell'istanza di giustizia
propria  della collettivita' istanza che e' addirittura pregiuridica,
posto  che  su di essa si basa qualsiasi civile convivere nella quale
si voglia evitare che i consociati siano tentati di ricorrere a forme
private   di   giustizia.   Di   questo   primario   interesse  della
collettivita'   e'  espressione  la  previsione  dell'art. 112  della
Costituzione  e,  in  definitiva,  anche  quella  circa  l'emenda del
condannato   sancita   dal  terzo  comma  dell'art. 27  della  stessa
Costituzione:  dalla lettura coordinata di queste due norme si ricava
che  pubblico  ministero (parte pubblica, e quindi tenuta al rispetto
di  comportamenti  ispirati  a massima correttezza e moralita', oltre
che   onerata   anche   della   ricerca   degli  elementi  favorevoli
all'imputato)  non  e'  un  ottuso  persecutore  degli  incolpati, ma
soggetto che persegue il compito, della cui primaria importanza si e'
detto, di far si' che i devianti vengano recuperati ad una convivenza
civile e ordinata. E menomare i mezzi attraverso i quali l'azione del
pubblico  ministero,  nel  rispetto  del  principio  di parita' delle
parti,  si  deve  esplicare  significa  in  definitiva  legiferare in
contrasto,   anche,   con   le   due  previsioni  costituzionali  ora
richiamate.
    La  Corte,  riconosciuta  pertanto  la non manifesta infondatezza
delle  sopra  illustrate  questioni  di  legittimita' costituzionale,
riconosciuta  la  impossibilita'  di  addivenire  alla  decisione del
processo   sottoposto   al   suo   giudizio  indipendentemente  dalla
risoluzione  delle  cennate  questioni  (l'applicazione  delle  norme
denunciate  impedirebbe  infatti  la  definizione del processo con il
possibile   ribaltamento,  quanto  agli  aspetti  penalistici,  della
decisione  di  primo  grado  e la condanna dell'imputato), dispone la
trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale sospendendo il
giudizio in corso.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di
legittimita'  costituzionale  esposte  in parte motiva, e, sospeso il
processo  in  corso,  ordina l'immediata trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale perche' giudichi:
        della  questione  di  legittimita'  costituzionale  circa  il
contrasto  fra  gli  artt. 1, 2 e 10, legge 20 febbraio 2006, n. 46 e
gli artt. 3 e 111 della Costituzione;
        della  questione  di  legittimita'  costituzionale  circa  il
contrasto  fra  gli  artt. 1, 2 e 10, legge 20 febbraio 2006, n. 46 e
gli artt. 27, terzo comma e 112 della Costituzione.
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza.
        Sassari, addi' 26 settembre 2006
                  Il presidente estensore: Tabasso
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