N. 485 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 febbraio 2007

Ordinanza  emessa  il  22  febbraio  2007  dal  tribunale di Roma nel
procedimento penale a carico di De Bernardo Nino

Reati  e  pene  -  Circostanze  del  reato  - Concorso di circostanze
  aggravanti  e  attenuanti - Divieto di prevalenza delle circostanze
  attenuanti  sulle  circostanze  inerenti alla persona del colpevole
  nel  caso  previsto dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. (recidiva
  reiterata)  -  Contrasto  con  il  principio della proporzionalita'
  della  pena - Violazione del principio di uguaglianza - Lesione dei
  principi  della  responsabilita'  penale personale e della funzione
  rieducativa della pena.
- Codice  penale,  art. 69, comma quarto, come modificato dall'art. 3
  della legge 5 dicembre 2005, n. 251.
- Costituzione, artt. 3 e 27.
(GU n.26 del 4-7-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Nel  procedimento  penale  n. 1348/06  r.g.  trib. a carico di De
Bernardo Nino, imputato:
        «A)  del  reato  p.p. dall'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990,
n. 309 perche' senza autorizzazione cedeva a Salles-Segliesi Raimondo
sostanza  stupefacente  contenuta in un piccolo involucro bianco, del
tipo  cocaina,  per  quantitativo  di  gr. 0,6, pari a una dose media
giornaliera, in sequestro; Roma, 11 febbraio 2005;
        B)  del  reato  p.p.  dall'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990,
n. 309  perche'  senza  autorizzazione cedeva a Ciangola Massimiliano
sostanza  stupefacente  contenuta in un piccolo involucro bianco; del
tipo  cocaina,  per quantitativo di gr. 0,7, in sequestro; Roma, data
antecedente e prossima a 11 febbraio 2005;
        C)  del  reato  p.p.  dall'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990,
n. 309   perche'  senza  autorizzazione  cedeva  a  Marioni  Patrizia
sostanza  stupefacente  contenuta in un sacchetto di plastica bianco,
del tipo cocaina, per quantitativo di gr. 0,5, non in sequestro; Roma
intorno al 10 gennaio 2005.
    Recidiva   reiterata   infraquinquennale.  Meritevole  di  essere
dichiarato delinquente abituale»,
    All'udienza  del  22  febbraio  2007  ha  pronunziato la seguente
ordinanza  di  trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e di
sospensione del giudizio art. 23, legge n. 87 del 1953.
    Ritiene   il   tribunale  che  ricorrano  le  condizioni  di  cui
all'art. 23  della legge 11 marzo 1953, n. 87 per sollevare d'ufficio
la  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 69, quarto
comma,  codice  penale,  come  novellato  dall'art. 3  della  legge 5
dicembre  2005,  n. 251,  nella  parte  in  cui,  nei  casi  previsti
dall'art. 99, quarto comma, c.p., stabilisce il divieto di prevalenza
delle  circostanze  attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti,
per violazione degli artt. 3 e 27 della Costituzione.
    La  questione  appare  invero  rilevante, non potendo il giudizio
essere  definito  indipendentemente  dalla  questione di legittimita'
costituzionale   della  norma  in  questione,  e  non  manifestamente
infondata.
    Quanto alla rilevanza della questione, si osservi quanto segue.
    Sulla  scorta di quanto risulta dalla prospettazione accusatoria,
l'imputato  si  sarebbe, in ipotesi, reso responsabile di cessione di
modestissimi quantitativi di sostanza stupefacente, dalla quale erano
ricavabili  una  o anche meno di una singola dose giornaliera (per la
droga  in  sequestro  l'analisi tossicologica espletata ha confermato
trattarsi  di  cocaina, quantificando in grammi 0,49 quella di cui al
capo A) e in grammi 0,05 quella di cui al capo B).
    Cio'  premesso,  ricorrono,  quindi, pacificamente, ad avviso del
giudicante,  le  condizioni  per  ricondurre  il  fatto in esame alla
fattispecie  di cui al quinto comma dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990.
Cio', in particolare, in considerazione, come detto, del modestissimo
dato  ponderale  della  sostanza  in  sequestro  e comunque di quella
indicata   al  capo C),  che  indubbiamente  evidenzia  la  contenuta
offensivita'  della  condotta e consente agevolmente di ricondurre in
ipotesi  gli  episodi  ad  un fenomeno di piccolo spaccio. Confortano
tale  giudizio le dichiarazioni rese dal citato Ciangola Massimiliano
circa il precedente acquisto dall'imputato di piccoli quantitativi di
cocaina, esclusivamente destinati ai propri bisogni personali.
    Ora,  va  sottolineato  che  non  sussistono  dubbi, ad avviso di
questo  tribunale,  circa  la  natura di circostanza della cosiddetta
«ipotesi  lieve».  Al  riguardo,  la  suprema  Corte  di cassazione a
sezioni  unite ha gia' da tempo affermato che detta ipotesi normativa
configura  non  una fattispecie autonoma di reato, ma una circostanza
attenuante ad effetto speciale, essendo essa correlata ad elementi (i
mezzi,  le  modalita',  le  circostanze dell'azione, la qualita' e la
quantita'   delle   sostanze)   che  non  mutano,  nell'obbiettivita'
giuridica  e nella struttura, le fattispecie previste dai primi commi
dell'articolo,  ma - conformemente del resto a quanto sempre ritenuto
dal supremo Collegio in presenza di espressioni normative relative ai
`fatti  di lieve entita'' - attribuiscono ad esse solo minore valenza
offensiva e grado di pericolosita' (cfr., sul punto, Cass., sez. un.,
31  maggio 1991, Parisi; nonche' Cass. n. 38879 del 29 settebre 2005;
Cass.  n. 20556  del  24 febbraio 2005; Cass., sez. un., n. 17 del 21
giugno 2000).
    Detto   principio,   costantemente   seguito   dalla   successiva
giurisprudenza  di  legittimita',  conserva intatta la sua validita',
non  essendone  mutati  i presupposti argomentativi di fondo, anche a
seguito dei successivi interventi normativi incidenti sul Testo unico
delle  leggi  in  materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope  (d.P.R.  n. 309  del  1990),  sino all'ultimo, costituito
dalla  legge  21 febbraio 2006, n. 29. Quest'ultima novella rafforza,
anzi,   il   suddetto   convincimento,   laddove  elimina  in  radice
l'argomento  letterale  utilizzato  dai fautori della tesi contraria,
desumibile  dal  disposto  del  previgente  art. 90 d.P.R. n. 309 del
1990,  il  quale  stabiliva,  in  tema di sospensione dell'esecuzione
della  pena  detentiva,  che «la stessa disposizione si applica per i
reati previsti dall'art. 73, comma 5 ...».
    Ebbene,  il menzionato art. 90, nella sua nuova formulazione, non
contiene  piu'  il  predetto  equivoco  riferimento ai «reati» di cui
all'art. 73,  comma  5,  d.P.R.  n. 309  del  1990; mentre, per altro
verso,  rimane  fermo  l'argomento di segno opposto, desumibile dalla
lettera   dell'art. 380,   secondo  comma,  lett.  h),  c.p.p.,  come
sostituito  dall'art. 2, decreto-legge n. 247 del 1991, convertito in
legge   n. 314  del  1991,  il  quale  definisce  espressamente  come
«circostanza»  la fattispecie prevista dal quinto comma dell'art. 73,
d.P.R. n. 309 del 1990.
    Dal  fatto  che  trattasi  di circostanza attenuante discende che
essa  e'  soggetta  all'obbligatorio  giudizio di comparazione di cui
all'art. 69,  quarto  comma, c.p. con le circostanze di segno opposto
eventualmente   ritenute,  tra  le  quali  pacificamente  rientra  la
recidiva (circostanza inerente la persona del colpevole).
    Ora,  atteso  che  indubbiamente  ricorrono nel caso in esame gli
estremi  della  contestata  recidiva reiterata e infrequinquennale di
cui all'art. 99, comma 4 c.p. - l'imputato risulta infatti gravato da
ventiquattro  precedenti  penali,  soprattutto  per  reati  contro il
patrimonio,  per  i  quali  ha riportato condanna a partire dall'anno
1951  (sentenza tribunale per i minoreni di Napoli 18 settembre 1951)
per  arrivare  all'anno 1996 (sentenza del pretore di Roma in data 31
luglio  1995,  divenuta  irrevocabile  il  2  marzo  1996) - e che il
novellato  art. 69, quarto comma c.p. consente unicamente il giudizio
di comparazione tra circostanze attenuanti e aggravanti in termini di
equivalenza,  ne  consegue  dunque che, ritenuta l'equivalenza tra la
recidiva  contestata  e  la  ritenuta  circostanza  attenuante di cui
all'art. 73,  quinto comma d.P.R. n. 309/1990, la pena da infliggersi
all'imputato  (salva  la  diminuente  del  rito)  potrebbe in ipotesi
essere  solo  quella  prevista  dal  comma 1 della medesima norma (ai
sensi  di  quanto  previsto dall'art. 69, comma 3, c.p.), determinata
dal  legislatore,  nel  minimo, in anni sei di reclusione e 26.000,00
euro di multa.
    Da  qui  la rilevanza della questione prospettata, consentendo il
giudizio  di  prevalenza  della  circostanza  attenuante del fatto di
lieve   entita'  sulla  recidiva  contestata  -  giudizio  consentito
dall'art. 69 c.p. anche per quanto riguarda le circostanze ad effetto
speciale  - la comminazione di una pena contenuta nei limiti edittali
previsti  dal  quinto  comma  in  luogo  di quella, assai piu' aspra,
prevista dal primo comma.
    Venendo   al  profilo  della  non  manifesta  infondatezza  della
questione  proposta,  ritiene il tribunale che l'attuale formulazione
dell'art.  69,  comma  4  c.p., nella parte in cui, nei casi previsti
dall'art. 99, quarto comma, c.p., stabilisce il divieto di prevalenza
delle  circostanze  attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti,
dia luogo ad una violazione degli artt. 3 e 27 della Costituzione.
    Si osservi che tra i caratteri che la pena deve possedere secondo
la  Costituzione  vi  e'  quello della proporzionalita' rispetto alla
gravita'  del  fatto.  Tale  principio, cardine della moderna cultura
giuridica e limite logico del potere punitivo nello Stato di diritto,
e'   insito   nel  concetto  retributivo  di  pena  (il  male  subito
costituisce  il corrispettivo del male inflitto se ed in quanto sia a
questo  proporzionato)  ed  e' costituzionalizzato dagli artt. 3 e 27
commi  1  e  3  Cost., che impongono, rispettivamente, il trattamento
differenziato  delle  situazioni  diverse  e  l'ineludibile giustizia
della  pena, intrinseca nel carattere personale della responsabilita'
e  presupposto  dell'azione rieducatrice della pena. Concetto, quello
della  proporzionalita',  che  impone al legislatore la previsione di
pene  edittali  graduate  in  relazione  ad una scala di gravita' dei
reati  (gravita'  determinata  dal  rango dei beni, dal grado e dalla
quantita'  dell'offesa,  dal  tipo  di  colpevolezza)  e  la concreta
graduabilita'  da  parte del giudice della misura della pena edittale
in  relazione ad una scala di gravita' delle ipotesi ricomprese nella
fattispecie legale.
    Solo  una  pena proporzionata all'offesa e' in grado di assolvere
alla  sua composita funzione retributiva, intimidatrice e rieducativa
e di armonizzarsi con i principi costituzionali di eguaglianza, della
responsabilita'  personale  e  del  finalismo rieducativo della pena,
laddove  invece  una  pena  sproporzionata lede tanto il principio di
eguaglianza  (art.  3  Cost.),  che implica un pari trattamento degli
eguali  ma  anche  una diversificazione dei distinti e che si traduce
per  il legislatore in un imperativo di ragionevolezza in ordine alle
differenziazioni  e  alle  equiparazioni operate, quanto il principio
della  personalita'  della  pena  (art.  27, primo comma, Cost.), che
impone,  tra  l'altro, che la pena sia adeguata, nella specie e nella
quantita', anche alle condizioni personali dell'agente, quanto infine
il   principio   che   impone   (nel  triplice  momento  legislativo,
giudiziario   ed   esecutivo)  l'individualizzazione  della  pena  in
funzione   delle   esigenze   specialpreventivo-risocializzative  del
soggetto  (art. 27, terzo comma, Cost.), sacrificando l'irragionevole
durezza  della  sanzione  il  singolo  a  supposte superiori esigenze
collettive di stabilita' e difesa sociale.
    Il giudizio di comparazione fra circostanze e' uno degli istituti
finalizzati a consentire, nel momento della decisione giudiziaria, di
rendere  la  pena  adeguata,  nella  qualita'  e  nella  misura, alla
gravita'  del  fatto e alla personalita' del suo autore (la finalita'
e'  proprio  «quella di apprezzare la personalita' del colpevole e la
vera  entita' del fatto onde conseguire il perfetto adattamento della
pena  al  caso  concreto»,  Cass., sez. IV, 28 giugno 2005, n. 30432,
P.G.  Milano  in  proc.  Matti),  sicche' la negazione di un completo
giudizio di comparazione tra circostanze di segno opposto finisce per
omogeneizzare   il  trattamento  di  situazioni  anche  profondamente
diverse   e   per   pregiudicare,   oltre  che  la  stessa  efficacia
generalpreventiva   della   pena   (che   presuppone   a   sua  volta
l'adeguatezza della sanzione, poiche' la pena, se troppo severa, puo'
essere  addirittura  criminogena,  istigando  alla  ribellione e alla
solidarieta'  con  il reo, trasformato in vittima), anche la funzione
rieducativa  cui  essa  deve tendere, assolta solo calibrando la pena
sulla  personalita'  e i bisogni risocializzativi dell'autore. E cio'
in  modo particolare allorquando il divieto di prevalenza riguardi le
circostanze attenuanti ad effetto speciale, concepite dal legislatore
con  la  previsione  di  pene  assai  piu' miti proprio per conferire
speciale rilievo alla ridotta offensivita' del fatto.
    Nel  caso in esame, ritiene il tribunale che il novellato art. 69
c.p.,  nella parte in cui prevede che la circostanza soggettiva della
persona  del colpevole consistente nell'avere riportato piu' condanne
penali   non  consenta  il  giudizio  di  prevalenza  delle  ritenute
circostanze   attenuanti,  possa  dare  luogo  ad  una  irragionevole
sproporzione  tra  il  trattamento  sanzionatorio  applicabile  e  la
concreta  gravita'  del reato e della colpevolezza. Specie in ipotesi
di  reato  come  quella di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309/1990, in cui
assai  marcata  e'  la  differenza  nel  trattamento  tra fattispecie
ordinaria   e   attenuata,  il  divieto  di  prevalenza  finisce  per
neutralizzare  la  portata sanzionatoria della circostanza ad effetto
speciale  con  la  conseguenza  di  omogeneizzare  il  trattamento di
situazioni  profondamente  diverse  (il narcotrafficante di rilevanti
padite  di  stupefacente  contemplato dal primo comma e l'occasionale
cedente  di  qualche  modesta  dose  del quinto comma). Precludere il
giudizio  di  prevalenza  conduce in effetti ad applicare la medesima
risposta  sanzionatoria  a condotte di gravita' estrema e condotte di
gravita'  modestissima  e  ad  autori  dalle  personalita'  del tutto
diverse.   Si   pensi,   a   quest'ultimo  riguardo,  all'uniformita'
sanzionatoria  che  si  produce  in forza della norma in commento con
riferimento  a  imputati  ritenuti  meritevoli  di  una pluralita' di
attenuanti  e imputati ai quali sia riconosciuta una sola circostanza
attenuante;  a  recidivi  per  reati c.d. «bagatellari» o comunque di
modesta  gravita'  e  recidivi  per  reati gravissimi; a recidivi per
reati  assai  risalenti  nel  tempo e recidivi per reati recentemente
consumati.
    Tali  sono i motivi per cui appare rilevante e non manifestamente
infondato  il dubbio di costituzionalita' dell'art. 69, quarto comma,
codice  penale,  come  novellato  dall'art.  3 della legge 5 dicembre
2005,  n. 251,  nella  parte  in cui, nei casi previsti dall'art. 99,
quarto   comma,   c.p.,   stabilisce   divieto  di  prevalenza  delle
circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti.
                              P. Q. M.
    Visto l'ad. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'   costituzionale  dell'art.  69,  quarto  comma,  codice
penale,  come  novellato  dall'art.  3  della  legge 5 dicembre 2005,
n. 251,  nella  pade  in  cui, nei casi previsti dall'art. 99, quarto
comma,  c.p.,  stabilisce  divieto  di  prevalenza  delle circostanze
attenuanti  sulle  ritenute  circostanze  aggravanti,  per violazione
degli artt. 3 e 27 della Costituzione;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale;
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina  che,  a cura della cancelleria, la presente ordinanza, di
cui  e'  data  lettura  in  udienza  alle  parti,  sia  notificata al
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ed  altresi' comunicata al
Presidente  del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera
dei deputati.
        Roma, addi' 22 febbraio 2007
                         Il giudice: Steidl
07C0860