N. 304 SENTENZA 10 - 20 luglio 2007

Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Parlamento  -  Immunita'  parlamentari - Procedimento penale promosso
  nei   confronti  di  un  parlamentare  per  dichiarazioni  ritenute
  diffamatorie  -  Deliberazione di insindacabilita' del Senato della
  Repubblica  -  Ricorso  per  conflitto di attribuzione proposto dal
  Giudice  dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma - Eccezione
  di   inammissibilita'   per   ritenuta  genericita'  e  astrattezza
  dell'indicazione delle ragioni del conflitto - Reiezione.
- Deliberazione   della  Giunta  delle  elezioni  e  delle  immunita'
  parlamentari  del  18 maggio 2005 (doc. IV-ter, n. 10); delibera di
  insindacabilita' 30 giugno 2004 (doc. IV-quater, n. 22).
- Costituzione, art. 68, primo comma; norme integrative per i giudizi
  davanti alla Corte costituzionale, art. 26.
Parlamento  -  Immunita'  parlamentari - Procedimento penale promosso
  nei   confronti  di  un  parlamentare  per  dichiarazioni  ritenute
  diffamatorie  -  Deliberazione di insindacabilita' del Senato della
  Repubblica  -  Ricorso  per  conflitto di attribuzione proposto dal
  Giudice  dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma - Modalita'
  di  accertamento della sussistenza del nesso funzionale nel caso in
  cui  il  parlamentare  sia  anche  ministro  -  Irrilevanza di tale
  circostanza  rispetto  alle  modalita'  di  accertamento  del nesso
  funzionale - Irrilevanza, ai medesimi fini, di atti tipici posti in
  essere  da  altro  parlamentare  -  Non  spettanza  al Senato della
  Repubblica  della  potesta'  esercitata  - Conseguente annullamento
  della delibera di insindacabilita'.
- Deliberazione   della  Giunta  delle  elezioni  e  delle  immunita'
  parlamentari  del  18 maggio 2005 (doc. IV-ter, n. 10); delibera di
  insindacabilita' 30 giugno 2004 (doc. IV-quater, n. 22).
- Costituzione, art. 68, primo comma; norme integrative per i giudizi
  davanti alla Corte costituzionale, art. 26.
Parlamento  -  Immunita'  parlamentari - Procedimento penale promosso
  nei   confronti  di  un  parlamentare  per  dichiarazioni  ritenute
  diffamatorie  -  Deliberazione di insindacabilita' del Senato della
  Repubblica  -  Ricorso  per  conflitto di attribuzione proposto dal
  Giudice  dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma - Eccezione
  di  illegittimita' costituzionale sollevata dalla difesa del Senato
  nel corso del giudizio per conflitto - Denunciata omessa inclusione
  delle  condotte  di natura politica ascrivibili al parlamentare che
  sia  anche  ministro  tra  le  fattispecie cui si applica l'art. 68
  Cost. - Manifesta infondatezza.
- Legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 3, comma 1.
- Costituzione, artt. 3, 68 e 96.
(GU n.29 del 25-7-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Paolo  MADDALENA,  Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE,
Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del
30    giugno 2004    (Doc.    IV-quater,    n. 22)    relativa   alla
insindacabilita',   ai   sensi   dell'art. 68,   primo  comma,  della
Costituzione,  delle  opinioni espresse dal senatore Roberto Castelli
nei  confronti  del  deputatoOliviero Diliberto, promosso con ricorso
del   giudice   dell'udienza   preliminare  del  Tribunale  di  Roma,
notificato   il   21 febbraio  2006,  depositato  in  cancelleria  il
28 febbraio  2006  ed  iscritto  al  n. 24 del registro conflitti tra
poteri dello Stato 2005, fase di merito;
    Visto l'atto di costituzione del Senato della Repubblica;
    Udito nell'udienza pubblica del 3 luglio 2007 il giudice relatore
Paolo Maddalena;
    Udito l'avvocato Nicolo' Zanon per il Senato della Repubblica.

                          Ritenuto in fatto

    1.   -   Con  ricorso  depositato  l'8  giugno 2005,  il  giudice
dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma ha sollevato conflitto
di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della
Repubblica,  chiedendo a questa Corte di dichiarare che non spetta al
Senato  affermare che i fatti per cui e' in corso procedimento penale
a carico del senatore Roberto Castelli, pendente dinanzi ad esso GUP,
concernono  opinioni  espresse  nell'esercizio delle sue funzioni, ai
sensi    dell'art. 68,    primo   comma,   della   Costituzione,   e,
conseguentemente, di annullare la delibera adottata il 30 giugno 2004
(Doc.  IV-quater,  n. 22) «per il procedimento civile avente medesimo
oggetto  e  che,  come  risulta  dagli  atti,  il  Senato ha ritenuto
applicabile anche alla fattispecie presente».
    Il  ricorrente  premette  che, con querela del 27 aprile 2004, il
deputato   Oliviero   Diliberto   lamentava   che,  nel  corso  della
trasmissione  televisiva  «Telecamere»,  registrata  in data 18 marzo
2004  e  andata  in onda il successivo giorno 21, il senatore Roberto
Castelli   aveva   profferito  dichiarazioni  diffamatorie  nei  suoi
confronti.
    In  particolare,  secondo  la  querela,  alla domanda rivolta dal
deputato  Diliberto  al senatore Castelli su quali fossero le ragioni
della  presenza  di  quest'ultimo  ad  una  manifestazione di giovani
padani  svoltasi  davanti  al  «Parlamento» (manifestazione nel corso
della quale erano state pronunciate le parole «chi non salta italiano
e»),  il  senatore Castelli aveva risposto: «Piuttosto che mandare in
giro a sprangare come fai tu preferisco saltare».
    Inoltre,  nel  corso  della  stessa  trasmissione  televisiva, il
senatore  Castelli aveva sostanzialmente addebitato al querelante «di
essere  il  mandante  di azioni delittuose», affermando testualmente:
«Fascisti,  borghesi,  ancora  pochi  mesi,  te lo ricordi? Poi hanno
sparato  ed  i  tuoi  amici  sono in Francia»; e, sempre nel medesimo
contesto,  il  senatore  Castelli  aveva dichiarato: «Credo sia molto
piu'  grave  andare  a  ricevere  con gli onori le terroriste che voi
avete  fatto  liberare con l'inganno», con cio' accusando il deputato
Diliberto  «di  aver  operato illegalmente per favorire il rientro in
Italia  di  terroristi, allorche' aveva svolto l'incarico di Ministro
della giustizia nel primo governo D'Alema».
    Il  GUP  ricorrente  rammenta  altresi'  che,  con  ordinanza del
13 dicembre 2004, il «Tribunale dei ministri», investito dei predetti
fatti  su  iniziativa  del pubblico ministero in considerazione della
carica  ricoperta dal senatore Castelli nel Governo, aveva dichiarato
la  propria  incompetenza  e  disposto  la  restituzione  degli atti,
ritenendo che si trattasse di reati comuni.
    Successivamente  - si espone ancora nel ricorso - la Giunta delle
elezioni  e  delle  immunita'  parlamentari,  in data 18 maggio 2005,
aveva  ritenuto  che  per  i fatti contestati al senatore Castelli in
sede  penale,  oggetto  del  procedimento  pendente  dinanzi  ad esso
giudice  ricorrente,  dovesse intendersi applicabile la deliberazione
di  insindacabilita'  gia'  adottata dal Senato il 30 giugno 2004 (su
conforme  proposta  della Giunta in data 15 giugno 2004), trattandosi
di  delibera  riferita  alle  medesime dichiarazioni per le quali era
stato gia' instaurato un giudizio civile.
    Nella proposta della Giunta del 15 giugno 2004 - riferisce sempre
il  GUP  del  Tribunale  di Roma - si poneva in risalto, tra l'altro,
«che  la  contrapposizione  della  propria  figura  e  della  propria
condotta  politico  amministrativa  di  Ministro  della giustizia con
quella  dei  suoi  predecessori  della scorsa legislatura e' la cifra
della  pubblica  presentazione  che  il  senatore Castelli fa del suo
operato  quale  Ministro  della  giustizia, sin dall'assunzione della
carica»,   essendo   egli   figura  di  spicco  del  gruppo  politico
parlamentare  della  Lega  Nord  che  «ripetutamente  appunto' la sua
attenzione  sulle vicende connesse alla gestione del «caso Baraldini»
da  parte  del  secondo  governo  della scorsa legislatura, in cui il
deputato   Diliberto   rivestiva  la  carica  di  Guardasigilli».  In
particolare,  si osservava ancora nella proposta della Giunta, e' «da
almeno  sei  mesi»  che  tra  la  Lega  Nord ed il partito «di cui il
deputato  Diliberto  e'  segretario  nazionale  si va sviluppando una
contrapposizione  politica  piuttosto  accesa,  della  quale,  per lo
stesso  tenore delle polemiche e per la sede pre-elettorale in cui si
svolgono, e' bene che sia arbitra la pubblica opinione assai piu' che
la sede giurisdizionale».
    Espone  il  ricorrente  che  nella  stessa  proposta  si assumeva
esservi una «sperequazione», sotto il profilo della garanzia prevista
dall'art. 68,  primo  comma,  Cost., tra la posizione rivestita da un
ministro,  «che  nel  nostro  ordinamento  costituzionale  puo' anche
essere  parlamentare  ma  che  non  puo'  ovviamente  spiegare la sua
attivita'  negli atti tipici che questa funzione contempla», e quella
del  «mero  parlamentare», giacche' «la giurisprudenza costituzionale
riconnette il nesso funzionale alla preesistenza di atti parlamentari
tipici in corrispondenza contenutistica sostanziale con l'espressione
delle  opinioni».  A  tal  fine,  si  sosteneva  nella proposta della
Giunta,  la  posizione  del ministro presentava «analogia» con quella
del  parlamentare  «che,  a  Camere  sciolte,  eserciti  attivita' di
cronaca  o di critica politica su fatti successivi allo scioglimento,
senza  percio'  avere  la  possibilita' di produrre atti di sindacato
ispettivo preesistenti». Un caso, questo, venuto all'esame durante la
XIII  legislatura  (Doc.  IV-quater,  n. 34,  riguardante il senatore
Meduri)  e  deciso  nel  senso  dell'insindacabilita'  delle opinioni
espresse  dal  parlamentare; sicche' - si concludeva nella proposta -
«non  pare  possibile  discostarsi  da  quel  precedente  nel caso di
specie,  che  comunque  rappresenta un'estrinsecazione del diritto di
critica motivato politicamente».
    Tanto  premesso,  il GUP ricorrente sostiene che il Senato «abbia
erroneamente  valutato  la  sussistenza dei presupposti necessari per
poter   considerare  le  dichiarazioni  rese  dal  senatore  Castelli
ricollegabili  all'ipotesi  prevista dall'art. 68, primo comma, della
Costituzione».   Infatti,   nel   rammentare  che  la  giurisprudenza
costituzionale  in  materia  ha  ritenuto che «costituiscono opinioni
espresse    nell'esercizio   della   funzione   parlamentare   quelle
manifestate  durante  il  compimento  di  atti tipici della funzione,
nonche'  quelle  che,  pur  non  essendo  state  manifestate  in sede
parlamentare,  riproducano  il contenuto sostanziale delle prime», il
giudice ricorrente osserva che le dichiarazioni del senatore Castelli
«sono  state rese nel corso di una trasmissione televisiva e, quindi,
al di fuori dell'esercizio di funzioni parlamentari», non risultando,
pero',  «sostanzialmente riproduttive di un'opinione espressa in sede
parlamentare»  dallo  stesso  senatore.  In  conclusione,  il GUP del
Tribunale  di  Roma sostiene che la deliberazione di insindacabilita'
adottata  dal  Senato  della  Repubblica,  proprio  perche' frutto di
«un'erronea   valutazione   dei  presupposti  richiesti  dall'art. 68
Cost.»,    interferisca    illegittimamente    «nelle    attribuzioni
dell'autorita' giudiziaria».
    2.  -  Il conflitto e' stato dichiarato ammissibile con ordinanza
n. 24 del 27 gennaio 2006. A seguito di essa, il GUP del Tribunale di
Roma   ha  notificato  il  ricorso  e  l'ordinanza  al  Senato  della
Repubblica in data 21 febbraio 2006 e ha depositato tali atti, con la
prova dell'avvenuta notificazione, il successivo 28 febbraio.
    3.  -  Si  e'  costituito in giudizio il Senato della Repubblica,
chiedendo   che   il  giudizio  per  conflitto  di  attribuzioni  sia
dichiarato  improcedibile,  ovvero  che  il  ricorso  sia  dichiarato
inammissibile,  e, nel merito, che la Corte statuisca - accertato che
i  fatti per cui e' in corso procedimento penale di fronte al giudice
dell'udienza  preliminare  del  Tribunale di Roma concernono opinioni
espresse  da  un  parlamentare  nell'esercizio delle sue funzioni, ai
sensi  dell'art. 68,  primo comma, della Costituzione - che spetta al
Senato  della Repubblica dichiarare l'insindacabilita' delle opinioni
espresse  dal  senatore  Roberto  Castelli nei confronti del deputato
Oliviero Diliberto.
    4. - Successivamente il Senato della Repubblica ha depositato una
memoria illustrativa.
    Il  ricorso  sarebbe  inammissibile,  perche'  il  ricorrente non
avrebbe   preso   in  considerazione  la  coincidenza,  nel  senatore
Castelli,  della  posizione  di parlamentare e di ministro al momento
delle   dichiarazioni   oggetto  del  procedimento  penale.  Cio'  si
risolverebbe in una lacunosa indicazione delle ragioni del conflitto,
enunciate  in  modo generico ed astratto. Il ricorso si limiterebbe a
sostenere  in  astratto  l'insussistenza del nesso funzionale, ma non
indicherebbe  alcuna  specifica  ragione  di diritto sul perche' tale
insussistenza  sia  in  concreto  evocabile  anche  nei confronti del
parlamentare-ministro.
    Il ricorso sarebbe altresi' infondato nel merito.
    In  primo  luogo, secondo la difesa del Senato, in relazione alle
condotte  (atti,  comportamenti, dichiarazioni) di carattere politico
tenute  extra  moenia  dal ministro-parlamentare, parrebbe necessario
che l'esistenza del «nesso funzionale» venisse valutata sulla base di
criteri  diversi  da quelli sinora elaborati. L'art. 3 della legge 20
giugno 2003,  n. 140  (Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68
della   Costituzione  nonche'  in  materia  di  processi  penali  nei
confronti  delle  alte  cariche dello Stato) provvede ad elencare gli
atti  parlamentari  tipici: la presentazione di disegni o proposte di
legge,  emendamenti,  ordini  del  giorno,  mozioni e risoluzioni, le
interpellanze,  le  interrogazioni,  gli interventi nelle Assemblee e
negli  altri  organi  delle  Camere per qualsiasi espressione di voto
comunque  formulata  e ogni altro atto parlamentare. Ora, un ministro
non  presenta  interrogazioni,  non  svolge  sindacato ispettivo, non
interviene  in Aula con dichiarazioni eventualmente polemiche, la cui
proiezione  esterna  giustifica  la  insindacabilita'. Residuano - e'
vero  -  atti  come  la  presentazione  di  disegni  di  legge  o  di
emendamenti:  ma  da  questi ultimi, per la loro asetticita', sarebbe
difficile  che  scaturisca  l'occasione  di una loro diffusione extra
moenia, che induca poi alla ricerca dell'atto funzionale tipico.
    Si  osserva che il parlamentare chiamato a ricoprire la carica di
ministro si trova in una condizione parlamentare particolare, essendo
ad   esempio   esentato   dalla  partecipazione  all'attivita'  delle
commissioni  parlamentari.  Egli resta parlamentare, percio' soggetto
all'applicazione  dell'art. 68  della  Costituzione; tuttavia, non e'
nelle condizioni di svolgere un'attivita' parlamentare piena, ed anzi
molti atti tipici della funzione gli sono logicamente preclusi.
    Non  si  tratterebbe di un mero inconveniente di fatto, bensi' di
una  condizione  giuridicamente  differenziata,  che  va  considerata
secondo  ragionevolezza. La «salvezza» dell'applicazione dell'art. 68
della  Costituzione  deve  essere  reale e non meramente affermata in
astratto.  Ma  tale «salvezza» puo' aversi solo se l'applicazione dei
criteri  relativi  alla  ricerca  del nesso funzionale avviene con la
necessaria   elasticita'   e   ragionevolezza,  tenendo  conto  delle
peculiarita' della fattispecie.
    Nel  caso  all'esame del giudice confliggente, si ha a che fare -
precisa  la  difesa  del  Senato - con una esternazione, avvenuta nel
corso  di  una trasmissione televisiva. Ci si troverebbe di fronte ad
una  attivita' di critica e di denuncia espletata da un parlamentare.
Ma  poiche' si tratta di un parlamentare che e' anche ministro, quasi
di  necessita' essa si verifica «fuori dal Parlamento». Inoltre, tale
attivita' sarebbe certamente connessa alla funzione parlamentare, non
solo  perche'  la  critica e la denuncia contenute nelle esternazioni
censurate  provengono  da  un  soggetto che e' anche parlamentare, ma
soprattutto  perche',  non  trattandosi  di  condotta  funzionalmente
legata  all'attivita' ministeriale, essa si presenterebbe invece come
particolare   manifestazione   di   quell'unica  possibile  forma  di
attivita'   politica  che  il  parlamentare-ministro  puo'  svolgere,
necessariamente fuori del Parlamento ed in forma atipica, cioe' senza
poterla  tradurre  negli atti formali in cui la funzione parlamentare
tipicamente si estrinseca.
    In  via  gradata, la difesa del Senato ritiene che la coincidenza
di    funzioni   ministeriali   e   parlamentari   debba   consentire
l'individuazione del nesso funzionale anche attraverso il riferimento
ad  atti o attivita' che appartengono al ruolo politico-funzionale di
un  ministro. Poiche', nel caso del parlamentare-ministro che esterni
polemicamente,  non  e'  possibile  o e' molto difficile riferirsi ad
atti  tipici  della  funzione parlamentare, in queste ipotesi sarebbe
necessaria  una  «ragionevole  elasticita»  nella  ricerca  del nesso
funzionale.  Tale  ragionevole elasticita' dovrebbe indirizzarsi - si
sostiene   -   a   considerare  il  rilievo  di  alcune  attivita'  o
dichiarazioni  assunte  in  qualita'  di  ministro,  sulle  quali  il
ministro-parlamentare  deve  poter  richiamare,  in  dibattiti  o  in
incontri  politici,  l'attenzione dell'opinione pubblica, nelle forme
che gli risultano consentite e che ovviamente non possono coincidere,
di fatto o di diritto, con quelle dell'attivita' parlamentare tipica.
    La  ricerca  del  nesso  funzionale dovrebbe qui giovarsi di tali
atti o dichiarazioni, perche' essi «tengono luogo» degli atti tipici,
che   nella  particolare  situazione  del  ministro-parlamentare  non
possono  esserci.  In  altre  parole,  quest'ultimo  dovrebbe potersi
giovare  di  tali  atti,  perche', in caso contrario, egli dovrebbe a
priori   rinunciare   alla  garanzia  dell'insindacabilita'  prevista
dall'art. 68,  primo  comma, Cost., nell'interpretazione datane dalla
Corte   costituzionale.   A   conferma   della  validita'  di  questa
indicazione, il Senato richiama la sentenza n. 235 del 2005, relativa
a  un  conflitto  originato  da dichiarazioni del deputato Maroni, il
quale,  oltre  alla  carica  di parlamentare, rivestiva all'epoca dei
fatti anche quella di ministro. In quell'occasione, la Corte osservo'
che alcuni atti portati a sostegno della delibera di insindacabilita'
non  erano  imputabili  o  indirizzati  al predetto deputato «neanche
nella  sua  funzione  di  ministro»:  con cio', a contrario, la Corte
lasciava  intendere  che,  se  fossero stati riferibili alla funzione
ministeriale,  detti  atti avrebbero potuto assumere un rilievo. Tale
motivazione  starebbe  a significare che le dichiarazioni e gli atti,
di  rilievo politico generale, compiuti nella funzione di ministro da
coloro  che,  oltre  a  tale  funzione,  ricoprono contemporaneamente
quella  di parlamentare, devono essere valutati ai fini della ricerca
del nesso funzionale.
    Nel  caso di specie, alcune delle dichiarazioni all'origine della
controversia  sulla  quale  si  radica il conflitto, si paleserebbero
proprio  come  affermazioni  rivolte  ad  evidenziare  - in chiaro ed
evidente  contrasto  con  le  linee  seguite  dal deputato Diliberto,
precedessore  del senatore Castelli al Ministero della giustizia - un
programma e un indirizzo politico alternativo.
    Ad  avviso  della  difesa  del  Senato,  non  mancherebbero  atti
ufficiali precedenti, anche compiuti in Parlamento, i quali esprimono
un «indirizzo ministeriale» del senatore Castelli - caratterizzato da
forte  critica  nei  confronti  delle  politiche  realizzate dai suoi
predecessori  - che le dichiarazioni censurate nel presente conflitto
si  incaricano  di  divulgare.  Dalla  relazione  della  Giunta delle
Elezioni  e  delle  Immunita'  Parlamentari  del  Senato, risulta che
nel settembre  2001, da poco nominato ministro, il senatore Castelli,
udito  dinanzi  al  Comitato  paritetico  delle Commissioni riunite I
Camera  e  I  Senato, aveva esplicitamente criticato con parole molto
severe  l'operato  del suo predecessore, parlando di un «Ministero in
cui  era  stata fatta terra bruciata» e dove «probabilmente, oltre ad
esserci  la  terra  bruciata,  erano stati avvelenati anche i pozzi».
Queste   dichiarazioni   potrebbero   essere   considerate   un  atto
parlamentare,  nel  senso che la Corte costituzionale richiede per il
riscontro  del  nesso funzionale (viene richiamata la sentenza n. 219
del 2003).
    Ma  anche non accedendo a questa tesi, e considerando nell'atto -
pur  realizzato  in  Parlamento e proveniente da colui che e' (anche)
parlamentare  -  prevalenti  i  caratteri  dell'attivita' governativa
(giacche'  nell'occasione  ricordata  il  senatore Castelli era stato
udito in qualita' di ministro), l'atto dovrebbe comunque poter essere
utilizzato,   sol   che   si   faccia  riferimento  alla  ragionevole
elasticita'  gia'  accennata,  la  quale  dovrebbe permettere di dare
rilievo  ad  alcune  attivita' o dichiarazioni assunte in qualita' di
ministro, sulle quali, successivamente, il ministro-parlamentare deve
poter  richiamare,  in dibattiti o in incontri politici, l'attenzione
dell'opinione  pubblica,  nelle  forme che gli risultano consentite e
che  ovviamente  non  possono  coincidere  con  quelle dell'attivita'
parlamentare tipica.
    Le dichiarazioni oggetto del conflitto - ed altre sostanzialmente
simili  del  medesimo senatore Castelli apparse sul quotidiano Libero
in   data   29 ottobre  2003  -  sarebbero  sostanzialmente  coeve  a
un'iniziativa  di  carattere  parlamentare assunta da altro esponente
dello  stesso  gruppo  parlamentare,  il senatore Calderoli, il quale
aveva  presentato  la  proposta  di  istituzione  di  una Commissione
parlamentare   d'inchiesta   sulle   eventuali   connessioni  tra  il
terrorismo  e  il  mondo  politico,  sindacale e associativo, volendo
cosi'   denunciare   -   esattamente  come  aveva  fatto,  nelle  sue
dichiarazioni,  il  ministro  Castelli  -  una  certa contiguita' tra
alcune  frange politiche della sinistra piu' radicale e gli esponenti
dei  movimenti  terroristici  (viene  richiamata  la  relazione della
proposta  di inchiesta: doc. Senato, XIV legislatura, documento XXII,
n. 23).
    In ogni caso, il Senato ritiene che le espressioni profferite dal
senatore  Castelli  non  possano  considerarsi  come  meri  oltraggi,
proprio perche' esse rappresentano attivita' divulgativa di critica e
di  denuncia  politica.  Si  sarebbe  al  cospetto  di  dichiarazioni
caratterizzate  dal  forte  contrasto  politico sussistente tra i due
parlamentari  e  che  alla  luce  di  tale  contrasto  devono  essere
interpretate.  Del  resto,  nel corso del dibattito televisivo in cui
sono  state  pronunciate  le  frasi  censurate, di fronte al senatore
Castelli  non  sedeva un privato cittadino, debole o privo di tutela,
ma  un  uomo  politico  eminente, essendosi di fronte ad un dibattito
che, seppure particolarmente polemico, ha contrapposto due personaggi
dotati di uguali opportunita' di difesa e di attacco.
    In  via  ulteriormente subordinata, il Senato chiede che la Corte
costituzionale  sollevi dinanzi a se stessa questione di legittimita'
costituzionale  -  per  violazione  degli  artt. 3,  68  e  96  della
Costituzione  -  dell'art. 3,  comma 1,  della legge n. 140 del 2003,
nella  parte  in  cui non include - tra le fattispecie cui si applica
l'art. 68  Cost.  -  condotte  di  natura  politica,  ascrivibili  al
parlamentare  che  sia  anche ministro (sempre che esse non integrino
reati  commessi  nell'esercizio delle funzioni ministeriali, cio' che
porterebbe  all'applicazione  dell'art. 96 Cost.), e per le quali sia
argomentabile una obiettiva connessione con la funzione parlamentare.
    Sarebbe  irragionevole  che il ministro-parlamentare non abbia di
fatto   la   possibilita'   di   vedersi   garantita   la  protezione
dell'insindacabilita',  non  potendo  porre  in  essere  quegli  atti
caratteristici  della  funzione  parlamentare, in relazione ai quali,
secondo   la  costante  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale,
andrebbe  rintracciato il nesso funzionale con le esternazioni. Sotto
altro  profilo,  la  violazione  dell'art. 3  della  Costituzione  si
avrebbe anche per la palese disparita' di trattamento sussistente tra
colui  che  sia  parlamentare  «semplice» e colui che, oltre a essere
parlamentare, sia anche ministro.
    Inoltre,   la   mancata   differenziazione  della  posizione  del
parlamentare-ministro  lascerebbe sussistere situazioni in cui membri
del  Parlamento  non  possono  in concreto giovarsi, in contrasto con
l'art. 68 della Costituzione, della garanzia dell'insindacabilita'.
    La mancata applicabilita' della garanzia dell'insindacabilita' al
parlamentare   ministro   finirebbe  per  configurare  a  suo  carico
un'ipotesi di responsabilita' per reato «ministeriale» in ipotesi del
tutto  estranee  all'ambito  in  cui  dovrebbe  verificarsi alla luce
dell'art. 96 della Costituzione.

                       Considerato in diritto

    1. - Il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma ha
sollevato  conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato a seguito
della  deliberazione  del  Senato della Repubblica del 30 giugno 2004
(Doc.  IV-quater, n. 22) - adottata per il procedimento civile avente
il  medesimo oggetto e che la Giunta delle elezioni e delle immunita'
parlamentari  del  18 maggio  2005  (Doc.  IV-ter, n. 10) ha ritenuto
applicabile  anche  alla  fattispecie  -  con cui e' stata dichiarata
l'insindacabilita'  delle  dichiarazioni  rese  dal  senatore Roberto
Castelli   il   18 marzo   2004  nella  trasmissione  televisiva  Rai
«Telecamere»   nei   confronti   del   querelante  deputato  Oliviero
Diliberto,  in  relazione  alle  quali  pende procedimento penale per
diffamazione.
    Riferisce  il  GUP  che, secondo la querela, alla domanda rivolta
dal  deputato  Diliberto  al  senatore  Castelli  su quali fossero le
ragioni  della  sua  presenza ad una manifestazione di giovani padani
svoltasi  davanti  al  «Parlamento»  (manifestazione  nel corso della
quale  erano state pronunciate le parole «chi non salta italiano e»),
quest'ultimo  aveva  risposto:  «Piuttosto  che  mandare  in  giro  a
sprangare  come  fai tu preferisco saltare». Inoltre, nel corso della
stessa   trasmissione   televisiva,   il   senatore   Castelli  aveva
sostanzialmente  addebitato  al  querelante «di essere il mandante di
azioni  delittuose»,  affermando  testualmente:  «Fascisti, borghesi,
ancora  pochi  mesi, te lo ricordi? Poi hanno sparato ed i tuoi amici
sono  in  Francia»;  e,  sempre  nel  medesimo  contesto, il senatore
Castelli  aveva  dichiarato:  «Credo  sia  molto  piu' grave andare a
ricevere con gli onori le terroriste che voi avete fatto liberare con
l'inganno», con cio' accusando il deputato Diliberto «di aver operato
illegalmente  per  favorire  il  rientro  in  Italia  di  terroristi,
allorche'  aveva  svolto  l'incarico  di Ministro della giustizia nel
primo governo D'Alema».
    Ad  avviso  del ricorrente, che non condivide la tesi secondo cui
la ricerca del nesso funzionale dovrebbe avvenire con criteri diversi
in caso di coincidenza della posizione di parlamentare e di ministro,
il   Senato   avrebbe   «erroneamente  valutato  la  sussistenza  dei
presupposti necessari per poter considerare le dichiarazioni rese dal
senatore  Castelli  ricollegabili  all'ipotesi prevista dall'art. 68,
primo  comma,  della Costituzione». Posto che «costituiscono opinioni
espresse    nell'esercizio   della   funzione   parlamentare   quelle
manifestate  durante  il  compimento  di  atti tipici della funzione,
nonche'  quelle  che,  pur  non  essendo  state  manifestate  in sede
parlamentare,  riproducano  il contenuto sostanziale delle prime», il
GUP  ricorrente  osserva  che  le dichiarazioni del senatore Castelli
«sono  state rese nel corso di una trasmissione televisiva e, quindi,
al di fuori dell'esercizio di funzioni parlamentari», non risultando,
pero',  «sostanzialmente riproduttive di un'opinione espressa in sede
parlamentare» dallo stesso senatore.
    Di  qui  il  sollevato  conflitto,  giacche'  la deliberazione di
insindacabilita'   adottata  dal  Senato  della  Repubblica,  proprio
perche'  frutto  di «un'erronea valutazione dei presupposti richiesti
dall'art. 68    Cost.»,    interferirebbe   illegittimamente   «nelle
attribuzioni dell'autorita' giudiziaria».
    2. - Preliminarmente, deve essere confermata l'ammissibilita' del
conflitto,  sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, come
gia' ritenuto da questa Corte con l'ordinanza n. 24 del 2006.
    Non  puo'  essere  accolta,  in  proposito, l'eccezione, avanzata
dalla  difesa  del Senato della Repubblica, basata sul rilievo che il
ricorso,   non  prendendo  in  considerazione  la  coincidenza  della
posizione   di   parlamentare   e   di   ministro  al  momento  delle
dichiarazioni  oggetto  del  procedimento  penale,  presenterebbe una
lacunosa  indicazione  delle ragioni del conflitto, enunciate in modo
generico ed astratto.
    Invero,  l'art. 26  delle norme integrative per i giudizi davanti
alla  Corte  costituzionale  prescrive  che il ricorso deve contenere
l'esposizione  sommaria  delle  ragioni del conflitto e l'indicazione
delle norme costituzionali che regolano la materia.
    Entrambe   le   prescrizioni   risultano   soddisfatte  dall'atto
introduttivo.  In  esso  vengono  riportate le dichiarazioni rese dal
parlamentare, in relazione alle quali e' pendente procedimento penale
dinanzi  al GUP. Inoltre - richiamate le motivazioni a sostegno della
proposta  della  Giunta delle Elezioni e delle Immunita' Parlamentari
del  15  giugno 2004 (in cui si assumeva esservi una «sperequazione»,
sotto  il  profilo della garanzia prevista dall'art. 68, primo comma,
Cost.,  tra  la  posizione  rivestita da un ministro, «che nel nostro
ordinamento  costituzionale puo' anche essere parlamentare ma che non
puo'  ovviamente  spiegare  la  sua  attivita'  negli atti tipici che
questa  funzione contempla», e quella del «mero parlamentare») - sono
esposte  le  ragioni  che  inducono  il  ricorrente  a  ritenere  non
invocabile,  nel  caso  di  specie,  l'art. 68,  primo  comma,  della
Costituzione,   e   a   denunciare   la  lesione  delle  attribuzioni
dell'autorita' giudiziaria.
    3. - Nel merito, il ricorso e' fondato.
    3.1. - Questa Corte ha precisato che l'insindacabilita' di cui al
primo   comma  dell'art. 68  della  Costituzione  copre  le  opinioni
espresse  extra  moenia dai membri delle Camere solo quando le stesse
costituiscano  riproduzione  sostanziale, ancorche' non letterale, di
atti   tipici   nei   quali   si  estrinsecano  le  diverse  funzioni
parlamentari. Deve esistere, pertanto, un nesso funzionale tra queste
ultime  e  le  dichiarazioni  esterne,  mentre non e' sufficiente una
generica comunanza di argomento o di contesto politico (tra le tante,
sentenze  n. 10  e  n. 11 del 2000, n. 164, n. 176 e n. 193 del 2005,
n. 249,  n. 258,  n. 260,  n. 317,  n. 335, n. 392 e n. 416 del 2006,
n. 53, n. 65, n. 96, n. 97, n. 151 e n. 152 del 2007).
    3.2.  -  Nel  caso in esame, nella delibera di insindacabilita' e
nella   proposta  della  Giunta  delle  elezioni  e  delle  immunita'
parlamentari   manca   qualsiasi   riferimento  ad  atti  tipici  del
parlamentare,  nell'una  e nell'altra dandosi atto che le espressioni
profferite  dal  senatore  sono  espressione di un giudizio politico,
avendo  egli  inteso  contrapporre  la  propria  figura  e la propria
condotta politico-amministrativa di Ministro della giustizia a quella
dei suoi predecessori della precedente legislatura.
    3.3.  -  Allo  scopo di dimostrare l'esistenza del predetto nesso
funzionale,   la  relazione  della  Giunta  fa  leva  sul  fatto  che
nel settembre  2001, da poco nominato ministro, il senatore Castelli,
udito  dinanzi  al  Comitato  paritetico  delle Commissioni riunite I
Camera  e  I  Senato, aveva esplicitamente criticato con parole molto
severe  l'operato  del suo predecessore, parlando di un «Ministero in
cui  era  stata fatta terra bruciata» e dove «probabilmente, oltre ad
esserci la terra bruciata, erano stati avvelenati anche i pozzi».
    E'  sufficiente  al  riguardo  rilevare che nella specie sono del
tutto  carenti  sia  il requisito della sostanziale corrispondenza di
significato tra le opinioni espresse in Parlamento e le dichiarazioni
rese  nel  corso  della trasmissione televisiva, ove si consideri che
l'addebito  al  deputato  Diliberto  di  essere il mandante di azioni
delittuose e di avere operato illegalmente per favorire il rientro in
Italia  di  terroristi  e'  presente  soltanto  nelle seconde; sia il
requisito  della  sostanziale contestualita', giacche' l'audizione in
Parlamento  e'  del settembre  2001,  laddove  le dichiarazioni extra
moenia sono del marzo 2004.
    Ne'  rilevano  gli  atti  tipici  della  funzione  parlamentare -
richiamati  nella  relazione  della Giunta e nella memoria del Senato
della Repubblica - provenienti da altri esponenti dello stesso gruppo
parlamentare  cui  appartiene  il  senatore Castelli, avendo la Corte
ripetutamente  affermato  che  la  verifica  del nesso funzionale tra
dichiarazioni    rese   extra   moenia   ed   attivita'   tipicamente
parlamentari,  nonche'  il controllo sulla sostanziale corrispondenza
tra  le  prime e le seconde, devono essere effettuati con riferimento
alla  stessa  persona,  mentre  «sono  irrilevanti  gli atti di altri
parlamentari»,  poiche',  se  «e'  vero  che  le guarentigie previste
dall'art. 68 Cost. sono poste a tutela delle istituzioni parlamentari
nel  loro  complesso  e  non  si risolvono in privilegi personali dei
deputati  e  dei  senatori»,  tuttavia  da  cio'  non  puo' trarsi la
conseguenza  che  «esista  una  tale  fungibilita' tra i parlamentari
iscritti allo stesso gruppo da produrre effetti giuridici sostanziali
nel  campo della loro responsabilita' civile e penale per le opinioni
espresse  al di fuori delle Camere: l'art. 68, primo comma, Cost. non
configura  una sorta di insindacabilita' di gruppo, per cui un atto o
intervento  parlamentare  di  un appartenente ad un gruppo fornirebbe
copertura  costituzionale  per  tutti  gli  altri  iscritti al gruppo
medesimo»  (sentenze  n. 249  e  n. 452  del 2006, n. 97 e n. 151 del
2007).
    3.4.  -  Priva  di fondamento e' la tesi, sviluppata dalla difesa
del  Senato  della  Repubblica,  secondo  cui, in caso di coincidenza
della  posizione  di parlamentare con quella di ministro, la garanzia
dell'insindacabilita',   di   cui  all'art. 68,  primo  comma,  della
Costituzione,  dovrebbe  coprire  le  dichiarazioni  extra moenia del
parlamentare-ministro,   anche   se   non   ascrivibili   a  funzioni
parlamentari  tipizzate,  per  il  solo  fatto di essere riferibili o
connesse alla carica ministeriale e alla realizzazione dell'indirizzo
politico che con essa si manifesta.
    L'art. 68,  primo comma, della Costituzione contiene un principio
che  presiede  alla garanzia delle attribuzioni delle Camere, essendo
preordinato  alla tutela del bene costituzionale dell'autonomia delle
funzioni  parlamentari come area di liberta' politica delle Assemblee
rappresentative (sentenza n. 120 del 2004).
    Rientrano  nella  sfera  dell'insindacabilita'  tutte le opinioni
manifestate  con  atti  tipici  nell'ambito  dei lavori parlamentari,
mentre  per  quanto  attiene  alle  attivita'  non  tipizzate esse si
debbono   tuttavia   considerare  «coperte»  dalla  garanzia  di  cui
all'art. 68,  nei  casi  in  cui  si esplicano mediante procedimenti,
strumenti  ed  atti,  anche  «innominati», ma comunque rientranti nel
campo  di  applicazione  del  diritto parlamentare, che il membro del
Parlamento  e'  in  grado  di porre in essere e di utilizzare proprio
solo  e  in  quanto  riveste  tale  carica.  Cio' che rileva, ai fini
dell'insindacabilita',  e'  dunque  il collegamento necessario con le
«funzioni»  del  Parlamento,  cioe' con l'ambito funzionale entro cui
l'atto  si iscrive, a prescindere dal suo contenuto comunicativo, che
puo'  essere  il  piu' vario, ma che in ogni caso deve essere tale da
rappresentare esercizio in concreto delle funzioni proprie dei membri
delle  Camere,  anche  se  attuato  in  forma  «innominata» sul piano
regolamentare (sentenza n. 120 del 2004).
    Il  fatto  che  il parlamentare chiamato a ricoprire la carica di
ministro si trovi in una condizione parlamentare particolare, per non
essere  in  grado  di  svolgere  un'attivita' parlamentare piena, non
consente  di  ritenere  comprese  nella  sfera  di operativita' della
garanzia    dell'insindacabilita'    condotte    poste    in   essere
nell'esercizio  delle  attribuzioni del ministro, stante la oggettiva
diversita'  fra  queste ultime, di per se' considerate, e le funzioni
parlamentari.  La  coincidenza, nella stessa persona, della posizione
di   parlamentare   e  di  ministro  non  giustifica  in  alcun  modo
l'applicazione    estensiva    al    ministro   della   garanzia   di
insindacabilita' di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione,
propria  del  parlamentare, quando questi esercita funzioni attinenti
alla carica di Governo.
    3.5.  -  Per  le  ragioni  che  precedono  risulta manifestamente
infondata,  in  riferimento agli artt. 3, 68 e 96 della Costituzione,
la  questione  di  legittimita'  costituzionale  - prospettata in via
gradata  dalla  difesa  del  Senato  della  Repubblica - dell'art. 3,
comma 1,  della  legge 20 giugno 2003, n. 140, nella parte in cui non
include,  tra le fattispecie cui si applica l'art. 68 Cost., condotte
di  natura  politica,  ascrivibili  al  parlamentare  che  sia  anche
ministro.
    Viene  pertanto  meno  uno dei presupposti perche' la Corte possa
accogliere  la  proposta  istanza  di  autorimessione  della relativa
questione di costituzionalita'.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  che  non  spettava al Senato della Repubblica affermare
che  le dichiarazioni rese dal senatore Roberto Castelli, oggetto del
procedimento   penale   pendente   davanti  al  giudice  dell'udienza
preliminare del Tribunale di Roma, costituiscono opinioni espresse da
un  membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi
dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;
    Annulla,  di  conseguenza,  la  deliberazione  della Giunta delle
elezioni  e  delle  immunita'  parlamentari  del 18 maggio 2005 (Doc.
IV-ter,   n. 10),   nella  parte  in  cui  richiama  la  delibera  di
insindacabilita'  adottata  il  30  giugno 2004  per  il procedimento
civile avente il medesimo oggetto (Doc. IV-quater, n. 22).
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2007.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Maddalena
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 20 luglio 2007.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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