N. 323 ORDINANZA 11 - 24 luglio 2007

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo penale - Opposizione a decreto penale di condanna - Facolta'
  dell'imputato  di  chiedere,  in  alternativa  ai riti speciali, il
  giudizio ordinario - Mancata previsione - Denunciata violazione del
  principio  di eguaglianza, del diritto di difesa, del principio del
  contraddittorio   e  della  parita'  delle  parti  -  Esclusione  -
  Manifesta infondatezza della questione.
- Cod. proc. pen., art. 461, comma 3.
- Costituzione,  artt. 3,  24,  comma secondo, e 111, secondo e terzo
  comma.
Processo  penale  -  Opposizione  a  decreto  penale  di  condanna  -
  Fissazione  dell'udienza  preliminare in caso di mancata richiesta,
  da  parte  dell'opponente, dei riti speciali - Mancata previsione -
  Denunciata  violazione del principio di eguaglianza, del diritto di
  difesa,  del  principio  del  contraddittorio e della parita' delle
  parti - Esclusione - Manifesta infondatezza della questione.
- Cod. proc. pen., art. 464, comma 1.
- Costituzione,  artt. 3,  24,  comma secondo, e 111, secondo e terzo
  comma.
(GU n.30 del 1-8-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Franco GALLO, Luigi MAZZELLA,
Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe
TESAURO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 461, comma 3,
e  464,  comma 1,  del  codice  di  procedura  penale,  promosso  con
ordinanza  del 29 giugno 2004 dal Tribunale di Fermo nel procedimento
penale  a  carico  di R.M., iscritta al n. 842 del registro ordinanze
2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, 1ª
serie speciale, dell'anno 2004.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio del 20 giugno 2007 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che, con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Fermo
ha  sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111,
secondo  e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale   dell'art. 461,  comma 3,  del  codice  di  procedura
penale,  «nella parte in cui non prevede la facolta' dell'imputato di
chiedere  al  giudice che ha emesso il decreto penale, in alternativa
ai  riti  speciali,  il  giudizio  ordinario e, quindi, la fissazione
dell'udienza preliminare, e correlativamente, dell'art. 464, comma 1,
cod.    proc.   pen.,   per   violazione   degli   stessi   parametri
costituzionali,  nella parte in cui non prevede che, se l'opponente a
decreto  penale  ha  chiesto il giudizio ordinario, o comunque non ha
formulato  richiesta  di  riti  speciali,  il giudice fissi l'udienza
preliminare»;
        che il rimettente premette di dover procedere al giudizio nei
confronti  di  persona  imputata  del reato di illecita detenzione di
sostanze  stupefacenti, la quale aveva proposto opposizione a decreto
penale  di  condanna:  opposizione  cui  aveva fatto seguito, a norma
degli  artt. 464  e  456  cod.  proc.  pen., l'emissione da parte del
giudice  delle indagini preliminari del decreto di giudizio immediato
e  la  fissazione  dell'udienza dibattimentale, nella quale la difesa
dell'imputato sollevava eccezione di legittimita' costituzionale;
        che  il  giudice  a  quo, valutata positivamente la rilevanza
della  questione,  evidenzia come la non manifesta infondatezza della
medesima   debba   apprezzarsi,  innanzitutto,  in  relazione  a  due
importanti  innovazioni  legislative: per un verso, l'introduzione di
rilevanti  modifiche  di  natura,  struttura  e funzione dell'udienza
preliminare  ad opera della legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche
alle   disposizioni   sul   procedimento   davanti  al  tribunale  in
composizione  monocratica  e  altre  modifiche al codice di procedura
penale,  modifiche  al  codice  penale e all'ordinamento giudiziario,
disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennita'
spettanti  al  giudice  di  pace  e  di  esercizio  della professione
forense),   che   ne  hanno  accentuato  «le  connotazioni  in  senso
garantista  e  la  sua  coessenzialita' al diritto di difesa», si' da
configurare  -  a  parere  del  rimettente - l'esistenza di un vero e
proprio  «diritto  all'udienza  preliminare», quale articolazione del
piu'  generale  diritto  di  difesa  dell'imputato;  per altro verso,
l'ampliamento  del  novero  dei  reati per i quali puo' essere emesso
decreto  penale  di  condanna,  con la conseguente estensione di tale
procedimento speciale anche a reati di notevole rilevanza;
        che,  secondo  il  rimettente, tali innovazioni, innestandosi
nella   «controversa   e   mai   sopita»   questione  della  generale
compatibilita' costituzionale del procedimento speciale, renderebbero
ancor  piu'  evidente  il  contrasto con l'art. 24 Cost., non essendo
consentito all'imputato, a seguito dell'opposizione, l'esperimento di
mezzi  di  difesa  propri  dei  procedimenti  ordinari  attraverso la
celebrazione dell'udienza preliminare, che, in relazione ai reati per
i  quali  non e' prevista la citazione diretta ai sensi dell'art. 550
cod.   proc.   pen.,  e'  configurabile  quale  garanzia  processuale
coessenziale al piu' generale diritto di difesa;
        che   infatti   -   argomenta   ancora  il  rimettente  -  se
l'opposizione  ha l'effetto di «porre nel nulla» il decreto penale di
condanna,   esigenze  di  «razionalita'  sistemica  e  compatibilita'
costituzionale»  imporrebbero  di  ritenere  che,  nei casi in cui il
decreto  venga  emesso  per  reati  per i quali e' prevista l'udienza
preliminare,  l'imputato  che  non  intenda accedere ai riti speciali
«non  possa  essere "privato" di tale fase processuale»: effetto che,
invece,  attualmente consegue al disposto degli artt. 461, comma 3, e
464,  comma 1,  cod. proc. pen., in forza del quale - alla stregua di
un'interpretazione  assolutamente  costante - in assenza di richieste
dell'imputato,  il  procedimento  successivo all'opposizione prosegue
con le forme del giudizio immediato;
        che  sarebbe  altresi'  violato  l'art. 3  Cost.,  poiche' la
disciplina   censurata   determina   una   «evidente   disparita»  di
trattamento  tra l'imputato nei cui confronti e' stato emesso decreto
penale di condanna e che ad esso si sia opposto e l'imputato rinviato
a   giudizio  nelle  forme  del  giudizio  ordinario;  infatti,  solo
quest'ultimo  si potra' avvalere di un modulo processuale comprensivo
dell'intera  serie  di  garanzie  difensive, tra cui, in primo luogo,
quella   dell'udienza   preliminare:   con  la  conseguenza  che,  in
riferimento  all'identica  fattispecie  di reato ed in presenza di un
analogo  quadro  probatorio  d'accusa,  l'imputato  destinatario  del
decreto  penale rischierebbe la medesima condanna di quello giudicato
nelle  forme ordinarie, senza godere delle stesse garanzie difensive,
peraltro  sulla  base  di  una  scelta  non sindacabile dall'imputato
medesimo;
        che,  infine,  a  parere  del  giudice  a  quo, la disciplina
oggetto di censura si porrebbe in contrasto con il principio, sancito
nell'art. 111,  secondo  comma,  della  Carta,  secondo  il  quale il
processo deve avvenire, oltre che nel contraddittorio delle parti, in
condizioni  di  parita'  tra  le  medesime:  garanzia per l'accusato,
questa,  che  -  assicurata  lungo  tutto  l'arco  del  procedimento,
comprese  le  fasi  iniziali  -  comporterebbe  che  egli  non  debba
trovarsi,  in  alcun  caso,  in  situazioni  di  svantaggio  «tali da
comportare  il  rischio  di  una  decisione  fondata  su elementi non
sottoposti al principio della parita' delle armi»;
        che,  in  tale ottica, una volta riconosciuto all'accusato il
diritto  di  introdurre  nel  procedimento  ogni  elemento  idoneo  a
scongiurare  un  avventato  esercizio  dell'azione  penale  nei  suoi
confronti,  tale  diritto  non  potrebbe  non  valere  anche  per  il
procedimento   per   decreto:   donde  la  necessita'  di  attribuire
all'opponente la facolta' di optare per la progressione ordinaria del
procedimento,  con  udienza  preliminare  e  senza  l'imposizione del
giudizio immediato;
        che  d'altra  parte  -  conclude  il rimettente - il giudizio
immediato  conseguente  all'opposizione  a decreto penale, proprio in
quanto  processualmente  imposto, risulta privo delle garanzie minime
ed  indefettibili che ordinariamente caratterizzano tale procedimento
speciale,    costituite    dall'interrogatorio    dell'imputato    e,
soprattutto,  dall'evidenza  della  prova:  requisito,  quest'ultimo,
nella  specie totalmente assente, potendo il giudice emettere decreto
penale  «sulla  scorta  di elementi che rappresentino poco piu' di un
simulacro  di  prova»  ed  essendo  sufficiente,  in realta', che non
risulti dagli atti, incontrovertibilmente, l'innocenza del prevenuto;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,  concludendo  perche'  la
questione sia dichiarata manifestamente infondata: e cio' sul rilievo
della  peculiarita'  del rito monitorio e, segnatamente, sulla scorta
della   considerazione   che   il   giudizio   immediato  conseguente
all'opposizione  -  non  fondato sui presupposti di cui all'art. 453,
comma 1,  cod. proc. pen. - rappresenta una soluzione individuata dal
legislatore,  nell'ambito  di  una  ragionevole discrezionalita', per
ripristinare   il   contraddittorio   processuale   nell'ipotesi   di
contestazione   del   fondamento   del   decreto  da  parte  del  suo
destinatario.
    Considerato che il Tribunale di Fermo dubita della compatibilita'
costituzionale,  in  riferimento  agli  artt. 3, 24, secondo comma, e
111,   secondo  e  terzo  comma,  della  Costituzione,  del  disposto
dell'art. 461,  comma 3,  del codice di procedura penale, nella parte
in  cui  non  prevede  la facolta' dell'imputato, opponente a decreto
penale  di  condanna,  di chiedere al giudice, in alternativa ai riti
speciali,  il giudizio ordinario e, dunque - ove si proceda per reato
in  relazione  al  quale  non  e'  prevista la citazione diretta - di
ottenere la fissazione dell'udienza preliminare;
        che  il  rimettente  estende  tale  dubbio,  in  relazione ai
medesimi  parametri  costituzionali,  anche  alla disposizione di cui
all'art. 464,  comma 1,  cod.  proc.  pen.,  nella  parte  in cui non
prevede  che,  se l'opponente a decreto penale ha chiesto il giudizio
ordinario  o comunque non ha formulato richiesta di riti speciali, il
giudice fissi l'udienza preliminare;
        che   il   nucleo   delle  doglianze  formulate  dal  giudice
rimettente  si  fonda, peraltro, sulla non condivisibile premessa che
il giudizio introdotto a seguito dell'opposizione dell'imputato debba
essere  - necessariamente ed integralmente - «rispristinatorio» della
situazione processuale in cui l'imputato versava prima dell'emissione
del  decreto  penale di condanna: e cio' perche' tale effetto - unico
idoneo  a  garantire,  ad avviso del giudice a quo, la compatibilita'
costituzionale   del  procedimento  speciale  -  discenderebbe,  come
affermato  da questa Corte, dalla natura del decreto quale «decisione
"preliminare",  destinata  ad  essere  posta  nel  nulla  nel caso di
opposizione»  ed  a  svolgere,  in  tal  caso,  la  mera  funzione di
informazione dei motivi dell'accusa (v. ordinanza n. 8 del 2003);
        che, in realta', la peculiarita' del procedimento per decreto
si  manifesta,  del  tutto  ragionevolmente, anche nelle modalita' di
introduzione   della   fase   processuale   e  di  investitura  della
regiudicanda  in  capo al giudice del dibattimento, proprio perche' -
come  recita la stessa rubrica di una delle norme oggetto di censura,
ossia  l'art. 464  cod. proc. pen. - si tratta di giudizio pur sempre
«conseguente   all'opposizione»:  sicche'  l'introduzione  del  rito,
improntato  a  presupposti e cadenze diversi ab origine da quelli del
modulo  processuale  ordinario,  non  puo'  che confermare - anche in
ordine  alle  concrete  modalita'  di instaurazione del giudizio - la
specificita'  propria  del  procedimento monitorio, configurato quale
rito   a  contraddittorio  eventuale  e  differito,  che,  una  volta
instaurato  con  l'opposizione, assicura nel dibattimento l'integrale
attuazione delle garanzie dell'imputato;
        che,  peraltro,  la conferma di tale tratto caratteristico e'
nella  costante  qualificazione,  da  parte  della  giurisprudenza di
legittimita',  dell'atto  di  opposizione quale rimedio impugnatorio,
destinato  ad  impedire  che  il  decreto  penale di condanna divenga
irrevocabile (art. 648, comma 3, cod. proc. pen.);
        che  pertanto  -  benche'  il  decreto  penale di condanna si
configuri  come  una  sorta  di decisione «preliminare» destinata, in
caso  di  opposizione,  ad  essere  sostituita  da una pronuncia resa
all'esito  del dibattimento - la proposizione dell'opposizione non e'
idonea  ad  elidere  in  toto  le peculiarita' che contraddistinguono
presupposti,  finalita'  e  modulazione  del  rito monitorio e che lo
differenziano   sensibilmente  rispetto  al  procedimento  ordinario:
risultando  cosi'  erronea  la  piena  assimilazione  -  posta a base
dell'argomentazione  del  rimettente - tra la posizione dell'imputato
che,  destinatario  di  un decreto penale di condanna, abbia proposto
opposizione e quella dell'imputato nei cui confronti si procede nelle
forme ordinarie;
        che  solo nella prima di tali eventualita', infatti, viene in
essere una delibazione giurisdizionale compiuta dal giudice richiesto
del   provvedimento,   la   quale   si  concreta  in  una  penetrante
valutazione,  in  rito  e  nel  merito,  di  tutti  i presupposti che
condizionano  la adottabilita' del decreto (vale a dire: verifica del
rispetto  delle  condizioni  formali  della  richiesta e del relativo
termine;  affermazione  di responsabilita'; verifica dell'adeguatezza
della pena);
        che,  dunque, se l'opposizione vale certamente a garantire il
contraddittorio  pretermesso  nella  fase monitoria - evitando che si
determini   la  conseguenza  processuale  della  irrevocabilita'  del
decreto  penale - essa non e' idonea, tuttavia, ad eliminare in toto,
per  tale  atto,  il  suo  valore terminativo di una fase processuale
ritualmente  conclusasi  con  una  statuizione giurisdizionale: cosi'
evidenziandosi   la   piena   ragionevolezza   del   mancato  innesto
dell'udienza  preliminare nella fase successiva all'opposizione, pena
l'indebita  perequazione  tra  il  «gia'  giudicato»  con  decreto di
condanna  e  colui  nei  cui  confronti sia stata soltanto esercitata
l'azione penale;
        che   proprio   la  evidenziata  non  comparabilita'  tra  le
situazioni  appena  richiamate  rende  prive di fondamento le censure
prospettate  dal  rimettente:  e  cio'  sia  sotto  il  profilo della
denunciata disparita' di trattamento tra imputati e della conseguente
violazione  del  principio  di  eguaglianza;  sia  sotto quello della
ipotizzata  lesione del principio del contraddittorio tra le parti in
condizione  di  parita', non potendosi riconoscere all'opponente, per
le  ragioni  evidenziate, un «diritto alla progressione ordinaria del
procedimento»,  con  udienza  preliminare  e  senza l'imposizione del
giudizio  immediato;  sia,  infine,  sotto il profilo dell'ipotizzata
lesione   del   diritto  di  difesa,  posto  che  la  specialita'  di
instaurazione  del  giudizio  - lungi dall'incidere, in ragione della
mancata  previsione dell'udienza preliminare, sulla piena fruibilita'
delle   garanzie   in  capo all'imputato,  pienamente  espanse  nella
successiva fase dibattimentale - risulta ragionevolmente coerente con
la specialita' del rito monitorio;
        che    pertanto   la   questione   deve   essere   dichiarata
manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 8,  e  9,  comma 2,  delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale dell'art. 461, comma 3, e dell'art. 464,
comma 1,  del  codice  di procedura penale, sollevata, in riferimento
agli  artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo e terzo comma, della
Costituzione, dal Tribunale di Fermo con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 luglio 2007.
                         Il Presidente: Bile
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 24 luglio 2007.
              Il direttore della cancelleria: Di paola
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