N. 571 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 marzo 2007
Ordinanza dell'8 marzo 2007 emessa dalla Corte d'appello di Brescia nel procedimento civile promosso da Savio Domenico contro provincia di Brescia Procedimento civile - Impugnazioni - Appellabilita' delle sentenze rese nei giudizi di opposizione ad ordinanza ingiunzione applicativa di sanzione amministrativa pecuniaria - Previsione introdotta dal decreto legislativo n. 40 del 2006 - Estraneita' all'oggetto della delega conferita al Governo per apportare modifiche al codice di procedura civile e concernente la disciplina del processo di cassazione e dell'arbitrato - Eccesso di delega. - Decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, art. 26. - Costituzione, art. 76, in relazione all'art. 1 della legge delega 14 maggio 2005, n. 80.(GU n.34 del 5-9-2007 )
LA CORTE DI APPELLO Ha emesso la segunte ordinanza. La Corte, esaminato l'atto di appello proposto da Domenico Savio avverso la sentenza 25 gennaio/16 giugno 2006 del Tribunale di Brescia che, a conclusione del procedimento previsto dall'art. 23, legge n. 689/1981, ha rigettato l'opposizione da lui promossa avverso ordinanza ingiunzione della Provincia bresciana che irrogava a suo carico sanzione pecuniaria per un illecito amministrativo in materia di cave; Uditi i procuratori delle parti all'udienza del 14 febbraio 2007; Osserva in fatto e in diritto Questa Corte ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 26 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, che, abrogando l'ultimo comma dell'art. 23 della legge n. 689/1981, ha indirettamente introdotto l'appellabilita' delle sentenze che concludono il procedimento di opposizione ad ordinanza ingiunzione in forza della regola generale prevista dall'art. 339, comma 1 c.p.c., appellabilita' che era esclusa dal comma abrogato. Il decreto legislativo n. 40 e' stato emesso in virtu' di una delega al Governo perche' apportasse «modificazioni al codice di procedura civile» contenuta nella legge 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2. I principi e i criteri direttivi a quali il Governo si sarebbe dovuto attenere sono stati fissati dal comma 3 di tale legge, ove sub a) sono elencati quelli che avrebbero dovuto presiedere alle modifiche al «processo di cassazione in funzione nomofilattica» e sub b) quelli destinati alla razionalizzazione della disciplina dell'arbitrato. Esaminando dunque i principi e criteri sub a), invano si cercherebbe una delega estesa a modificare il regime di impugnazione delle sentenze emesse a conclusione del procedimento previsto dall'art. 23, legge n. 689/1981. La nuda previsione di una nuova fase di merito a cognizione illimitata secondo gli ordinari strumenti propri del giudizio di appello non e' destinata a incidere in alcun modo sul successivo eventuale giudizio di cassazione come disciplinato dalla novella, e (salvo valutazioni inespresse di carattere metagiuridico) non appare funzionale all'obiettivo espresso della legge delega, ravvisato nella maggiore efficienza nomofilattica. Le sentenze dell'art. 23, legge n. 689/1981 concludono un giudizio che ha natura essenzialmente demolitoria; attengono alla legittimita' formale e sostanziale di una ordinanza ingiunzione emessa a conclusione di una fase svoltasi in sede amministrativa e gia' volta alla verifica in contraddittorio dell'illecito; hanno un contenuto tipico prefissato dalla legge (rigetto dell'opposizione, accertamento della nullita' totale o parziale dell'ordinanza, modifica di essa) e tale da definire in ogni caso il giudizio. Come si vede, introdurra' senza limiti (come invece e' contestualmente avvenuto per le sentenze del giudice di pace: art. 339, comma 3) una nuova valutazione di merito si profila come irrazionale «duplicazione» di una prima fase gia' ex se avente struttura e oggetto tipici dell'impugnazione di merito. La mancanza di qualsiasi accenno della legge delega a modifiche del regime di esclusiva ricorribilita' per cassazione delle sentenze in esame non e' dunque casuale, ma salvaguarda una logica di sistema, che il potere esecutivo delegato non puo' alterare senza espressa previsione in tal senso. Previsione non rinvenibile nemmeno nella clausola generale del comma 4 dell'art. 1 della legge delega, in base al quale il Governo puo' «revisionare la formulazione letterale [...] delle altre norme processuali civili vigenti non direttamente investiti dai principi di delega». Non e' dato comprendere, alla luce delle doverosamente sintetiche osservazioni sopra espresse, in che modo l'abrogazione dell'ultimo comma dell'art. 23, legge n. 689/1981 «si accordi alle modifiche apportate dal decreto legislativo»: modifiche attinenti al solo giudizio di legittimita' e che non investono nemmeno «indirettamente» una norma che si limitava a prevedere proprio tale forma esclusiva di controllo di legalita', mediante una eccezione rispetto al principio generale dell'art. 339 c.p.c., comma 1, del tutto coerente con la specificita' della materia e la struttura dell'accertamento da compiere. La corretta verifica del rispetto della legge delega salvaguarda il principio di stretta delimitazione dei poteri normativi attribuibili al Governo, secondo lo spirito e la lettera dell'art. 76 della Costituzione. Il limite di un oggetto «definito», secondo l'imperativo dato testuale, costituisce allora il limite costituzionale anche di quelle formule di delega volutamente ambigue, come quella introdotta con il comma 4 appena esaminato, ma proprio per questo da riempire mediante un contenuto pur sempre pertinente con la materia delegata, secondo una oggettiva evidenza normativa. E' ovvia la rilevanza in causa della questione di legittimita' costituzionale cosi' introdotta, appena ove si osservi che la sentenza oggetto di appello e' stata pubblicata dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, come prevede l'apposita norma transitoria dell'art. 27, e che primo compito del giudice di appello e' verificare, anche d'ufficio, che il provvedimento sia appunto appellabile.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953 n. 87; Dichiara d'ufficio non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 26 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, per contrasto con l'art. 76 della Costituzione della Repubblica nei sensi di cui in motivazione; Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso; Manda alla cancelleria per la notifica alle parti in causa e alla Presidenza del Consiglio dei ministri, e per le comunicazioni ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Brescia, Camera di consiglio del 21 febbraio 2007. Il Presidente: Bitonte Il consigliere estensore: Sigillo 07C1057