N. 647 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 maggio 2007
Ordinanza emessa il 9 maggio 2007 dal tribunale di Genova nel procedimento penale a carico di Bianchi Roberto Circolazione stradale - Reato di guida sotto l'influenza dell'alcool e reato di guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti - Prevista competenza, rispettivamente, del tribunale monocratico e del giudice di pace - Irragionevolezza - Ingiustificata disparita' di trattamento. - Codice della strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285), artt. 186, comma 2, e 187, comma 7. - Costituzione, artt. 3, primo comma, e 24, commi primo e secondo.(GU n.38 del 3-10-2007 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza, sulla questione di legittimita' costituzionale proposta in via preliminare dalla difesa dell'imputato;, visto il parere contrario del p.m.; O s s e r v a Con decreto emesso il 12 ottobre 2006, il G.i.p. presso il Tribunale di Genova disponeva la citazione a giudizio, conseguente a opposizione a decreto penale di condanna, di Bianchi Roberto, per rispondere del reato di cui all'art. 186, comma 2 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, «per avere circolato alla guida di un veicolo in stato di ebbrezza per l'uso di sostanze alcoliche, fatto accertato in Genova il 26 gennaio 2006». Nella fase degli atti preliminari, la difesa dell'interessato ha eccepito la incostituzionalita' della normativa in merito, per violazione dell'art. 3 Cost., nel momento in cui rimette alla competenza per materia del tribunale in composizione monocratica, anziche' a quella del giudice di pace, l'accertamento del fatto incriminato ex art. 186 c.s. L'eccezione risulta fondata sull'interpretazione letterale dell'art. 186 c.s. (laddove recita, al comma 2, in tema di guida in stato di ebbrezza alcolica, «Per l'irrogazione della pena e' competente il tribunale») e dell'art. 187 c.s. (laddove, al comma 7, in tema di guida sotto l'influsso di sostanze stupefacenti, omette di fare espresso riferimento alla disposizione citata, limitandosi a stabilire che il contravventore «e punito con le sanzioni dell'art. 186, comma 2»). Da tale interpretazione discenderebbe la inevitabile conseguenza che, in materia di guida in stato di alterazione fisico-psichica, e' stata determinata una duplice competenza a seconda della diversa sostanza efficiente implicata: in caso di bevande alcooliche, la competenza spetterebbe al tribunale (per la espressa previsione di cui all'art. 186, comma 2); in caso di sostanze stupefacenti o psicotrope, la competenza spetterebbe (rectius rimarrebbe, ex lege n. 274/2000) al giudice di pace (per la mancata espressa previsione di cui all'art. 187, comma 7). Tale differenziazione, assolutamente ingiustificata, violerebbe il canone di razionalita' espresso nell'art. 3, comma 1 Cost. A sostegno dell'eccezione, la difesa ha prodotto la recente sentenza n. 35628/2005 con la quale la sezione I della Corte di cassazione, risolvendo un conflitto di competenza negativo, in un caso analogo a quello in esame, ha dichiarato la competenza del giudice di pace. Il p.m. ha richiesto il rigetto della eccezione proposta, ritenendo sussistere in merito la competenza del tribunale in composizione monocratica, parimenti operante in ordine a entrambe le fattispecie criminose di cui agli artt. 186, comma 2 e 187, comma 7 c.s. La materia in esame pare meritevole di un'autorevole interpretazione, in considerazione del contrasto esistente sul punto, sia nelle giurisprudenza di merito, sia nell'ambito della stessa giurisprudenza di legittimita' (essendo stata seguita, la sentenza citata dalla difesa, da altra successiva - Sez. IV, n. 21456 del 11 aprile 2006 di segno contrario). In questo quadro di fondo, ritiene il tribunale che sussistano i presupposti per sollevare questione di legittimita' costituzionale degli artt. 186, comma 2 e 187, comma 7 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, in relazione all'art. 3 Cost. In effetti, la questione appare rilevante e non manifestamente infondata. a) Sulla rilevanza. Emerge dagli atti che l'imputato, in fatto, e' stato tratto a giudizio per rispondere di guida in stato di alterazione fisica e psichica legata all'uso di sostanze alcoliche. Sotto questo profilo, sull'accordo delle parti, e' stata prodotta e acquisita agli atti la documentazione relativa al controllo eseguito dai verbalizzanti nei confronti dell'odierno imputato, nonche' le risultanze dell'alcoltest effettuato nella immediatezza. Corretta appare, pertanto, la contestazione ai sensi dell'art. 186, comma 2 c.s., disposizione applicabile al caso di specie. La disposizione in esame va valutata alla luce dell'art. 187, comma 7 c.s., che, alla norma in oggetto, fa espresso rinvio. Tale rinvio, peraltro, non risulta operato all'intera disciplina contenuta nel comma di riferimento. Da un lato, infatti, si esplicita che il rinvio e' operato quoad poenam; dall'altro, vi e' un ulteriore rinvio, espresso, alle sole «disposizioni del comma 2, ultimo periodo, dell'art. 186». Tutto cio', in astratto, sembra escludere che l'art. 187, comma 7 c.s. possa riferirsi anche alla clausola «Per l'irrogazione della pena e' competente il tribunale», che rappresenta, nell'ambito dell'art. 186, comma 2, il secondo periodo. In questi termini, la questione e' rilevante, poiche' la norma applicabile al caso di specie e' l'art. 186, comma 2 c.s., valutato in combinato disposto con l'art. 187, comma 7 c.s., e dalla sua interpretazione, in difformita' o conformemente al principio di diritto affermato dalla suprema Corte nella sentenza n. 35628/2005 citata, discendono ben precise conseguenze in ordine alla competenza del giudice adito e, correlativamente, in presenza di eventuale ritenuta differenziazione di attribuzioni, scaturiscono significativi dubbi circa la coerenza della normativa nel suo complesso col dettato costituzionale. b) Sulla non manifesta infondatezza. Nell'ambito del codice della strada, le disposizioni di cui agli artt. 186 e 187 hanno sempre costituito un «sistema» unitario, entrambe attenendo allo stesso tipo di comportamento illecito, cioe' la guida in stato di alterazione psico-fisica indotta dall'uso di sostanze «attive», quali l'alcol o gli stupefacenti, ed essendo, quindi, in tal senso, entrambe preposte a garantire la sicurezza della circolazione stradale. Per tali ragioni, sul piano delle conseguenze del fatto, il legislatore ha precostituito il medesimo tipo di sanzioni, sia principali (pena congiunta arresto-ammenda), sia amministrativo-accessorie (sospensione della patente di guida), e, sul piano processuale, ha stabilito la competenza dello stesso giudice (prima pretore, poi tribunale in composizione monocratica). Con la normativa istitutiva della competenza penale del giudice di pace, insieme ad altri reati «minori», anche le fattispecie contravvenzionali di cui agli artt. 186 e 187 c.s. sono state attribuite a quell'organo giudicante (ex art. 4, comma 1, lett. q del d.lgs. n. 274/2000) e sono state correlativamente sottoposte al meccanismo sanzionatorio differenziato. In realta', tale «nuovo regime» ha avuto breve durata. Infatti, il d.l. 27 giugno 2003, n. 151, poi convertito nella legge 1° agosto 2003, n. 214, ha rivisitato la materia, nel quadro di un intervento piu' ampio, volto ad integrare e modificare, in maniera complessiva, la disciplina del codice della strada, onde migliorarne la funzione preventiva, anche attraverso una impostazione di maggiore efficacia sanzionatoria. Proprio in questa ottica di maggior rigore nei confronti delle violazioni delle norme codicistiche, si inquadra, come del resto puo' agevolmente evincersi dai lavori preparatori e dal dibattito relativo, l'intervento in ordine agli artt. 186 e 187 in esame, principalmente rivolto a ripristinare la portata afflittiva delle originarie sanzioni penali (arresto e ammenda, da applicarsi congiuntamente). Da tale scelta, dovrebbe discendere, quale logico corollario formale, l'esigenza di ricondurre le fattispecie in esame alla competenza del giudice togato. D'altro canto, al di la' di ogni considerazione in ordine alle pene, il ripristino della originaria competenza avrebbe un suo significato ben preciso anche sotto il profilo della opportunita', in considerazione della peculiarita' del procedimento penale in materia, caratterizzato da significative difficolta' di accertamento dei fatti (in tutti i casi in cui il conducente non sia stato sottoposto ai test e alle analisi tecniche, per rifiuto soggettivo o impossibilita' oggettiva). Cio' premesso sul piano della opportunita', non puo' non osservarsi come, d'altra parte, rientra pur sempre nella discrezionalita' del legislatore, secondo proprie valutazioni «politiche» in senso lato, stabilire una data competenza per la trattazione di particolari materie, discrezionalita' insindacabile in sede giurisdizionale, purche' esercitata nel rispetto del canone di ragionevolezza implicato nell'art. 3 Cost. Ora, la modifica del 2003, se si eccettua la puntuale indicazione delle pene, e' stata attuata in maniera poco chiara, sia per quanto concerne la composizione strutturale della fattispecie, certamente disorganica, sia per quanto attiene alle espressioni linguistiche utilizzate, assolutamente improprie e fuorvianti. Ne deriva un intervento normativo non certo adeguato dal punto di vista tecnico-formale. Infatti, sotto il primo profilo, il continuum dell'art. 186, comma 2 c.s., laddove viene descritta la fattispecie contravvenzionale e vengono indicate le sanzioni, principali e accessorie, e' stato spezzato attraverso l'inserimento, dopo le sanzioni penali e prima delle sanzioni amministrativo-accessorie, di una clausola specifica. Detta clausola, sotto il secondo profilo, reca la formula seguente, invero originale: «Per l'irrogazione della pena e' competente il tribunale». Da cio' discende la seguente formulazione complessiva dell'art. 186, comma 2 c.s.: «Chiunque guida in stato di ebbrezza e' punito, ove il fatto non costituisca piu' grave reato, con l'arresto fino ad un mese e con l'ammenda da Euro 258 aEuro 1.032. Per l'irrogazione della pena e' competente il tribunale. All'accertamento del reato consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente ...». A sua volta, l'art. 187, comma 7 c.s., cosi' recita: «Chiunque guida in condizioni di alterazione fisica e psichica correlata con l'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, ove il fatto non costituisce piu' grave reato, e' punito con le sanzioni dell'art. 186, comma 2. Si applicano le disposizioni del comma 2, ultimo periodo, dell'articolo 186». Il sistema e' poi completato con le fattispecie che sanzionano le due ipotesi di «rifiuto» da parte del conducente a sottoporsi ai test e agli accertamenti di rito. In questi termini, l'art. 186, comma 7 (in origine comma 6) cosi' recita: «In caso di rifiuto ... il conducente e' punito, salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, con le sanzioni di cui al comma 2»; a sua volta, l'art. 187, comma 8 (in origine comma 5), stabilisce che «In caso di rifiuto ... il conducente e' punito, salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, con le sanzioni di cui all'art. 186, comma 2». In questo ambito, - fermo il ripristino delle sanzioni - poiche', in origine, la competenza, per tutti i reati, era del tribunale in composizione monocratica, e poiche', per quegli stessi reati, dopo l'istituzione del giudice di pace, una disposizione di legge, analitica e organica (l'art. 4, comma 1, lett. q del d.lgs. n. 274/2000), ha attribuito la competenza a quest'ultimo, e' evidente che una riforma in merito avrebbe dovuto passare attraverso il sistema della abrogazione espressa di quella disposizione, oppure attraverso una nuova, puntuale ed organica disciplina della competenza. Ma cio' non e' avvenuto. Cosi', in assenza di un intervento formale adeguato, il ricorso a una formula anomala («per l'irrogazione della pena») e la sua particolare collocazione - sia strutturale (a interrompere la disposizione sulle conseguenze sanzionatorie della violazione), sia sistematica (all'interno del solo art. 186 c.s.) - ha prodotto non poche ambiguita' interpretative (non e' il caso, qui, di ricordare talune letture, addirittura ardite, di parte della dottrina). In questo quadro e' intervenuta l'interpretazione, per cosi' dire «razionale e obbligata», del giudice di legittimita', accolta nella sentenza n. 35628/2005 citata e, in oggi, sottolineata dalla difesa dell'imputato. Secondo la suprema Corte, la formula «per l'irrogazione della pena e' competente il tribunale» e' comunque espressiva di una attribuzione di competenza in senso tecnico. Peraltro, detta attribuzione, inserita nell'ambito del solo art. 186, comma 2 c.s., opera esclusivamente in presenza della fattispecie di guida in stato di ebbrezza alcolica, e non anche in presenza di guida in stato di alterazione psico-fisica da assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope. Infatti, da un lato, l'art. 187, comma 7 c.s., nel disciplinare la fattispecie criminosa, richiama l'art. 186, comma 2 esclusivamente per la parte relativa alle sanzioni (comma 2, prima parte); dall'altro, la stessa norma, nel momento in cui ha voluto ampliare la portata del rinvio, sul piano della disciplina, lo ha fatto espressamente, col richiamo all'ultimo periodo del secondo comma (in tema di «traino del veicolo» fermato) e solo a quello. In questo contesto, inevitabilmente - conclude la Corte - l'omesso richiamo alla disposizione attributiva della competenza al tribunale «non puo' considerarsi casuale, ne' puo' essere ovviato mediante una operazione interpretativa che si risolverebbe in una manipolazione della disciplina». Dunque, secondo la Corte, nell'ambito di fattispecie che hanno sempre costituito un sistema unitario, preposte alla tutela del medesimo tipo di bene (la sicurezza della circolazione stradale), sanzionate nel medesimo modo, vi sarebbe, dopo l'intervento normativo del 2003, una diversa ripartizione della competenza: del tribunale, in presenza di guida sotto l'influenza di sostanze alcoliche; del giudice di pace, in presenza di guida sotto l'influenza di sostanze stupefacenti o psicotrope. Se tale, dunque, e' l'inevitabile portato interpretativo di una disciplina male strutturata, altrettanto inevitabili sono i dubbi di costituzionalita' che ne discendono. Non vi e', infatti, ragione alcuna perche' il legislatore debba operare una simile duplicazione di competenze (e di iter procedimentali). Anzitutto, e' cosa assolutamente inutile e antieconomica. In secondo luogo, viene a determinare un effetto paradossale: tra due ipotesi criminose, costruite come omogenee, al tribunale viene in realta' sottratta proprio quella in astratto piu' grave. Infatti, e' di tutta evidenza che tanto l'abuso di alcol quanto l'uso di sostanze stupefacenti incidono sulle capacita' del conducente, influenzandone il livello di attenzione, il grado di percezione, i tempi di reazione. Peraltro, cio' premesso, il disvalore delle due condotte e' ben diverso, quanto a presupposti e conseguenze pericolose: in un caso, viene in rilievo l'uso di sostanze di per se' consentite; nell'altro, l'utilizzo di sostanze la cui detenzione integra, gia' di per se', fatto illecito (al di la' delle soglie di punibilita' criminale); in un caso, vengono pregiudicate le capacita' percettivo-reattive della persona; nell'altro, si determinano (possono determinarsi) fenomeni ulteriori e ben piu' gravi (si pensi, ad esempio, agli effetti «superegocizzanti» della cocaina, o a quelli fortemente allucinatori di taluni prodotti di sintesi di ultima generazione). Un tale intervento normativo, pertanto, non trova giustificazione alcuna, anzi risulta palesemente irrazionale, sia in se' e per se' considerato, sia nell'ambito del «sistema» in cui e' chiamato ad operare. In questi termini, appare violato il canone di ragionevolezza implicato nell'art. 3, primo comma Cost., limite invalicabile alla discrezionalita' del legislatore. Conseguenza di tale violazione, per le ricadute inevitabili quanto al regime sanzionatorio differenziato applicabile nei giudizi di fronte al giudice di pace, e' la violazione dell'art. 3 Cost. sotto il profilo, ancora piu' palese ed evidente, della ingiustificata disparita' di trattamento nell'ambito di situazioni omogenee. Sotto questo profilo, lo schema logico seguito dal legislatore, al momento della istituzione del giudice di pace, risulta fondato sulla enucleazione di una serie di fattispecie considerate di minor allarme sociale, rispetto alle quali e' possibile un iter procedimentale piu' snello, un giudizio piu' rapido e, parallelamente, ove non operino i meccanismi deflattivi previsti, un regime sanzionatorio differenziato in melius, del tutto peculiare e coerente con le premesse della riforma. Un regime sanzionatono, in altri termini, in cui, l'aspetto punitivo-retributivo risulta fortemente attenuato, a favore della componente risocializzante della pena (art. 52 e segg. d.lgs. n. 274/2000). In questo quadro, la differenza di riti produce le seguenti due incongruenze: trattamento differenziato di situazioni del tutto analoghe, laddove l'abuso di alcol in un caso e l'uso di stupefacenti nell'altro abbiano prodotto lo stesso tipo di alterazione psico-fisica nell'assuntore; trattamento differenziato (con proporzionalita' inversa) di situazioni differenti, nel senso che il fatto piu' grave - uso di stupefacenti con surplus di effetti (superegocizzanti e/o allucinatori) - verrebbe trattato meno gravemente rispetto al fatto, senz'altro piu' lieve, del mero abuso di alcol. Infatti, in entrambi i casi, l'assuntore di sostanze alcoliche verrebbe sanzionato con la pena congiunta dell'arresto e dell'ammenda, ex art. 186 d.lgs. n. 274/2000, laddove l'utilizzatore di sostanze stupefacenti potrebbe essere sanzionato con la semplice pena pecuniaria, o con la permanenza domiciliare o col lavoro sostitutivo, ex art. 52, comma 2, lett c) d.lgs. n. 274/2000. Senza considerare, tra l'altro, la possibilita' ulteriore, per quest'ultimo, di fruire della oblazione ex art. 162-bis c.p., modalita' estintiva preclusa, invece, all'imputato del reato di cui all'art. 186, comma 2 c.s. Sulla base di tali elementi, complessivamente considerati, deve ritenersi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 186, comma 2 e 187, comma 7 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, cosi' come successivamente modificati, in relazione all'art. 3, primo comma, Cost., sotto il profilo della irrazionalita' della disciplina e della ingiustificata disparita' di trattamento, con conseguente sospensione del procedimento e trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
P. Q. M. Visti gli artt. 491 c.p.p.; 23 e segg., legge n. 87/1953; 134 Cost.; Dichiara la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 186, comma 2 e 187, comma 7 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, cosi' come successivamente modificati, in relazione all'art. 3, primo comma, Cost., e all'art. 24, commi primo e secondo, Cost., nei termini di cui in motivazione; Dispone la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Genova, addi' 9 maggio 2007 Il giudice: Panicucci 07C1137