N. 657 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 giugno 2007
Ordinanza emessa l'8 giugno 2007 dal tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Marani Mohamed Reati e pene - Circostanze del reato - Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti - Divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze inerenti alla persona del colpevole nel caso previsto dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. (recidiva reiterata) - Violazione del principio di ragionevolezza per la parita' di trattamento di situazioni diverse - Disparita' di trattamento rispetto ai reati di competenza del giudice di pace - Lesione del principio della funzione rieducativa della pena. - Codice penale, art. 69, comma quarto, come modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251. - Costituzione, artt. 3 e 27.(GU n.38 del 3-10-2007 )
IL TRIBUNALE A scioglimento della riserva di cui al verbale d'udienza in data 30 maggio 2007; Pronunziando nel procedimento penale a carico di Mohamed Marani, nato in Algeria il 30 gennaio 1982, imputato del reato di cui all'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 «per aver ceduto a A. E. M. grammi 1,4 circa di sostanza stupefacente hashish. In Roma il 22 maggio 2007. Con recidiva specifica, reiterata, infraquinquennale»; Esaminati gli atti; O s s e r v a 1. - Va sollevata d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma, codice penale, come novellato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, per sospetta violazione degli artt. 3 e 27 della Costituzione. 2. - Mohamed Marani veniva tratto in arresto in data 22 maggio 2007 per il reato di cui all'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (fatto meglio descritto in epigrafe), e presentato dalla polizia giudiziaria all'udienza del 23 maggio 2007 per la convalida ed il contestuale giudizio. Convalidato l'arresto ed applicata la misura cautelare della custodia in carcere, si disponeva procedersi a giudizio nelle forme del rito direttissimo. Alla successiva udienza del 30 maggio 2007 - cui il processo slittava per concessione del chiesto termine a difesa - si procedeva, su richiesta dell'imputato, nelle forme del rito abbreviato ed in sede di discussione il pubblico ministero chiedeva riconoscersi l'ipotesi di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 e dunque irrogarsi una pena di anni uno di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa; il difensore chiedeva in via principale l'assoluzione dell'imputato ed, in via subordinata, il riconoscimento dell'ipotesi di cui al citato art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 con irrogazione della pena nel minimo edittale; il giudice interrompeva quindi la discussione, riservandosi di formalizzare la presente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale. 3. - La suddetta questione di legittimita' costituzionale e' dotata di sicura rilevanza per il presente giudizio. 3.1. - Tutte le circostanze del caso concreto, ed in particolare la minima quantita' di sostanza stupefacente fatta oggetto di cessione (pari a 13 dosi di haschisch), depongono per la minima offensivita' penale della condotta: il che indurrebbe a ritenere senz'altro sussistente l'ipotesi del fatto di lieve entita' prevista dall'art. 73, quinto comma, d.P.R. n. 309/1990. Al riguardo, la Suprema Corte di cassazione a Sezioni unite ha gia' da tempo autorevolmente e condivisibilmente affermato che detta ipotesi normativa configura non una fattispecie autonoma di reato, ma una circostanza attenuante ad effetto speciale, essendo essa correlata ad elementi (i mezzi, le modalita', le circostanze dell'azione, la qualita' e la quantita' delle sostanze) che non mutano, nell'obbiettivita' giuridica e nella struttura, le fattispecie previste dai primi commi dell'articolo, ma - conformemente del resto a quanto sempre ritenuto dal Supremo Collegio in presenza di espressioni normative relative ai «fatti di lieve entita» - attribuiscono ad esse solo minore valenza offensiva e grado di pericolosita' (cfr., sul punto, Cass., Sez. un., 31 maggio 1991, Parisi). Detto principio, costantemente seguito dalla successiva giurisprudenza di legittimita' si da divenire diritto vivente, conserva intatta la sua validita', non essendone mutati i presupposti argomentativi di fondo, anche a seguito dei successivi interventi normativi incidenti sul Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope (d.P.R. n. 309 del 1990), sino all'ultimo, costituito dalla legge 21 febbraio 2006, n. 29. Detta ultima novella rafforza anzi il suddetto convincimento, laddove elimina in radice l'argomento letterale utilizzato dai fautori della tesi contraria, desumibile dal disposto del previgente art. 90, d.P.R. n. 309 del 1990, il quale stabiliva, in tema di sospensione dell'esecuzione della pena detentiva, che «la stessa disposizione si applica per i reati previsti dall'art. 73, comma 5...». Ebbene, il menzionato art. 90, nella sua nuova formulazione, non contiene piu' il predetto, equivoco riferimento ai «reati» di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990; mentre, per altro verso, rimane fermo l'argomento di segno opposto, desumibile dalla lettera dell'art. 380, secondo comma, lett. h), c.p.p., come sostituito dall'art. 2 decreto-legge n. 247 del 1991, convertito in legge n. 314 del 1991, il quale definisce espressamente come «circostanza» la fattispecie prevista dal quinto comma dell'art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990. 3.2. - Dal rilievo che trattasi inequivocabilmente - anche nell'attuale regime normativo - di circostanza attenuante, sia pure ad effetto speciale, discende che essa, ove concorrano circostanze di segno opposto, e' soggetta all'obbligatorio giudizio di comparazione di cui all'art. 69, quarto comma, c.p.. Non e' applicabile, infatti, al riguardo, la disposizione di cui all'art. 63, terzo comma, c.p. («Quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o si tratta di circostanza ad effetto speciale, l'aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta»), riferendosi detta disposizione esclusivamente al concorso di circostanze omogenee, ossia al concorso di circostanze tutte aggravanti o tutte attenuanti (cfr. Cass., sez. VI, 15 ottobre 2002, Mazzei). Per converso, al concorso di circostanze eterogenee deve applicarsi l'art. 69, quarto comma, c.p., il quale espressamente estende l'applicabilita' delle «disposizioni precedenti» (ossia l'obbligatorio giudizio di comparazione) alle «circostanze inerenti alla persona del colpevole e a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato» (cfr. Cass., sez. VI, 15 ottobre 2002, Mazzei). E' pertanto obbligatorio - come gia' premesso - il giudizio di comparazione tra la circostanza attenuante ad effetto speciale prevista dall'art. 73, quinto comma, d.P.R. n. 309 del 1990 e le circostanze aggravanti eventualmente ritenute, in esse ricompresa la recidiva (circostanza inerente la persona del colpevole): con la conseguenza che, in caso di equivalenza, «si applica la pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna di dette circostanze», ai sensi dell'art. 69, terzo comma, c.p. (cfr. Cass., sez. VI, 15 ottobre 2002, Mazzei). 3.3. - Nel caso di specie, alla riconoscibile attenuante della lieve entita' del fatto si contrappone la contestata recidiva reiterata, specifica e infraquiquennale, che e' evidentemente sussistente. L'imputato Mohamed Marani risulta, infatti, essere stato condannato in sede penale diverse volte, per reati, in gran parte specifici, che vanno dal 25 marzo 2001 al 18 agosto 2006; ed in due casi, peraltro pure con espressa contestazione di recidiva, ai sensi dell'art. 99 c.p. (cfr sentenze del Tribunale di Roma in data 23 agosto 2004 e 24 agosto 2006, annotato sul certificato del casellario giudiziale in atti). Appare percio' indubitabile che ricorre nella specie l'aggravante della recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, c.p. 3.4. - Orbene, l'art. 3, legge 5 dicembre 2005, n. 251, ha cosi' sostituito il quarto comma dell'art. 69 c.p.: «Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, esclusi i casi previsti dall'articolo 99, quarto comma, nonche' dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi e' divieto d prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato»: laddove l'effettiva novita' risiede nell'aggiunta, nel corpo del vecchio testo, della locuzione «esclusi i casi previsti dall'art. 99, quarto comma, nonche' dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi e' divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti». Siffatta novella all'evidenza impedisce, nell'ipotesi di recidiva reiterata, che eventuali circostanze attenuanti possano essere valutate piu' che equivalenti rispetto alla recidiva medesima: con l'effetto di imporre l'irrogazione della pena prevista per la fattispecie base anche in ipotesi in cui la complessiva valutazione di tutti gli elementi del caso concreto, ai fini della determinazione di una pena perfettamente adeguata all'effettiva gravita' del fatto, avrebbe indotto il giudicante ad assegnare prevalenza alle riconosciute circostanze attenuanti. Nel caso di specie, il minimo quantitativo di sostanza stupefacente fatta oggetto di cessione, la risalenza dei precedenti penali pur specifici (l'ultimo dei quali si riferisce a fatto di circa due anni prima), il difetto di ulteriori dati sintomatici di un'attivita' professionale o di un'organizzazione di mezzi, anche rudimentali, finalizzata allo spaccio, o di attuale continuita' nell'attivita' di cessione, sono tutti elementi che indurrebbero a dare prevalenza alla circostanza attenuante del fatto di lieve entita' sulla contestata recidiva, si' da contenere equamente la pena detentiva tra uno e sei anni di reclusione, e la pena pecuniaria tra 3.000 e 26.000 euro di multa. Come si e' visto, siffatta conclusione e' impedita dal divieto di prevalenza imposto dal novellato art. 69, quarto comma, c.p., in virtu' del quale la pena minima da infliggere all'imputato, prima dell'applicazione della diminuente di rito, sarebbe quella di anni sei di reclusione ed Euro 26.000 di multa: pena che appare manifestamente sproporzionata e non adeguata rispetto alla condotta posta effettivamente in essere dall'imputato. 3.5. - In virtu' dei rilievi che precedono appare evidente la rilevanza della questione per la decisione del presente giudizio, attenendo essa ai limiti edittali di cui il giudicante deve tenere conto ai fini della determinazione della pena irroganda. 4. - La questione appare inoltre non manifestamente infondata. 4.1. - Il sospetto di incostituzionalita' dell'art. 69, quarto comma, c.p., come novellato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nasce anzitutto in relazione all'art. 27 della Costituzione, il quale stabilisce, al terzo comma, che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita' e devono tendere alla rieducazione del condannato. La norma appare in contrasto con la finalita' rieducativa della pena laddove impedisce al giudice, anche quando questi lo ritenesse necessario nell'ottica fissata dal citato art. 27 Cost. e secondo i generali criteri imposti dall'art. 133 c.p., di formulare un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute aggravanti. La finalita' del giudizio di comparazione tra concorrenti circostanze di segno opposto e', infatti, proprio quella di apprezzare in modo pieno e completo la personalita' del colpevole e l'effettiva entita' del fatto per conseguire il perfetto adattamento della pena al caso concreto (cfr. Cass., sez. IV, 28 giugno 2005, n. 30432, P.G. Milano in proc. Matti). In tal senso, la limitazione normativa vulnera fortemente il potere-dovere del giudice di pervenire ad una determinazione della pena realmente aderente alla complessiva personalita' dell'imputato ed alla sua effettiva condotta: cosi' frustrando la finalita' rieducativa della pena, che presuppone ontologicamente un trattamento sanzionatorio proporzionato all'effettiva gravita' del fatto commesso. 4.2. - Il sospetto di incostituzionalita' della citata norma riguarda pure l'art. 3 della Costituzione. La norma appare infatti lesiva del principio di eguaglianza, laddove quest'ultimo si traduce per il legislatore in un imperativo di ragionevolezza delle differenziazioni ed equiparazioni operate. Sotto tale profilo, precludere in assoluto il giudizio di prevalenza conduce ad accomunare nel medesimo trattamento sanzionatorio condotte di gravita' estrema e condotte di gravita' modestissima, che ben altro trattamento meriterebbero se fossero isolatamente considerate, come imporrebbe un sistema penale che resta tuttora incentrato sul fatto offensivo prima ancora che sulla personalita' del reo. Ma analogo appiattimento dei trattamenti sanzionatori si registrerebbe all'interno della stessa categoria dei recidivi: nella determinazione della pena - condizionata dal suddetto divieto di prevalenza - dovrebbe comunque prescindersi, in misura non marginale, non solo dal complessivo atteggiarsi del fatto ma anche dalla stessa personalita' dell'imputato: parificandosi, ad esempio, i casi di imputati i quali fossero ritenuti meritevoli di una pluralita' di attenuanti ai casi di imputati ai quali fosse invece riconosciuta una sola circostanza attenuante; i casi di recidivi per reati c.d. «bagatellari» o comunque di modesta gravita' ai casi di recidivi per reati gravissimi; i casi di recidivi per reati assai risalenti nel tempo ai casi di recidivi per reati recentemente commessi. Le inevitabili ripercussioni sulla proporzionalita' della pena rispetto al fatto sono tanto piu' evidenti in casi, come quello in esame, in cui la fattispecie incriminatrice base e' punita con pena minima edittale cinque volte superiore a quella prevista per la corrispondente fattispecie attenuata del fatto di lieve entita'. Siffatto altissimo minimo edittale di pena difficilmente indurrebbe, nella ordinarieta' dei casi, a discostarsi dal limite medesimo: il che contribuirebbe, anche per questa via, ad appiattire la risposta sanzionatoria di fronte a reati di gravita' differenziata. Sotto il medesimo profilo, merita infine di essere ulteriormente considerato che per i reati di competenza del giudice di pace l'art. 52, terzo comma, d.lgs. n. 274 del 2000 continua a prevedere un'ipotesi di bilanciamento di opposte circostanze con giudizio di prevalenza sull'aggravante della recidiva reiterata (infraquinquennale) («nei casi di recidiva reiterata infraquinquennale, il giudice applica la pena della permanenza domiciliare o quella del lavoro di pubblica utilita', salvo che sussistano circostanze attenuanti ritenute prevalenti o equivalenti»). L'attuale vigenza di tale norma, non interessata dall'intervento normativo operato con la legge n. 251 del 2005, e' fonte di ulteriori perplessita' sulla legittimita' costituzionale del novellato art. 69, quarto comma, c.p.: il quale, per i reati attualmente di competenza del giudice di pace ed in relazione all'aggravante della recidiva reiterata infraquinquennale, consente quel giudizio di prevalenza negato, per i reati di competenza dei giudici superiori, in caso di mera recidiva reiterata. 5. - Il riscontrato conflitto non appare superabile con interpretazione adeguatrice, non consentendo ne' il tenore letterale del novellato art. 69, quarto comma, c.p. ne' quello delle altre norme qui espressamente considerate, interpretazione diversa da quella sostenuta in punto di rilevanza della questione. 6. - Tali sono i motivi per cui appare rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di costituzionalita' dell'art. 69, quarto comma, codice penale, come novellato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui, nei casi previsti dall'articolo 99, quarto comma, c.p., stabilisce divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma, codice penale, come novellato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui, nei casi previsti dall'articolo 99, quarto comma, c.p., stabilisce divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, per violazione degli artt. 3 e 27 della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri ed altresi' comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Roma, addi' 8 giugno 2007 Il giudice: Sestito 07C1147