N. 666 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 maggio 2007
Ordinanza emessa il 16 maggio 2007 dal tribunale di Frosinone - Sezione distaccata di Alatri nel procedimento penale a carico di Pigliacelli Paolo ed altri Edilizia ed urbanistica - Reati edilizi - Estinzione per oblazione - Necessita' del decorso di trentasei mesi dalla data da cui risulta il pagamento - Violazione dei principi di ragionevolezza, della ragionevole durata del processo e del buon andamento della pubblica amministrazione. - Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, comma 36, convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326. - Costituzione, artt. 3, 97 e 111.(GU n.39 del 10-10-2007 )
IL TRIBUNALE Pronunzia la seguente ordinanza (art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87). Nell'ambito del proc. n. 2001/02 R.G. Tribunale di Frosinone, sezione distaccata di Alatri, nei confronti di Pigliacelli Paolo, Pigliacelli Natalino, Castagnacci Giani e De Persis Sante, per i reati previsti e puniti dagli artt. 110 c.p., 20, lettera b), legge n. 47/1985, 81 c.p., 17, 18 e 20, legge n. 64/1974, 81 cpv. e 349, comma 2 c.p., I soggetti teste' nominati sono stati citati innanzi a questo tribunale per rispondere dei reati previsti dalle predette norme. Aperto il dibattimento, il difensore faceva istanza di sospensione depositando la domanda di condono ai sensi dell'art. 32, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. in legge 24 novembre 2003, n. 326. Il giudice, riscontrata: a) la condonabilita' dell'opera; b) l'ultimazione della stessa entro i termini e c) la tempestivita' della domanda di condono, sospendeva il processo. All'odierna udienza del 16 maggio 2007 il difensore ha depositato la prova del pagamento dell'ultima «rata» dell'oblazione e l'attestazione di congruita' del pagamento rilasciata dal competente organo comunale, sollecitando la definizione del processo con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato per oblazione. La norma invocata dall'imputato, di cui il giudice dovrebbe fare applicazione (rilevanza della questione), e' l'art. 32, comma 36, del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326. Detta norma prevede che «la presentazione nei termini della domanda di definizione dell'illecito edilizio, l'oblazione interamente corrisposta nonche' il decorso di trentasei mesi dalla data da cui risulta il suddetto pagamento, producono gli effetti di cui all'articolo 38, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Trascorso il suddetto periodo di trentasei mesi si prescrive il diritto al conguaglio o al rimborso spettante». I richiamati effetti di cui all'art. 38, comma 2, della legge n. 47/1985 si sostanziano, per quanto qui rileva, nell'estinzione del reato: detta norma prevede infatti che l'oblazione interamente corrisposta estingue il reato. L'art. 32 del d.l. n. 269/2003, dunque, annette l'effetto estintivo alla ricorrenza di tre presupposti: 1) la presentazione nei termini della domanda di definizione dell'illecito edilizio, 2) l'oblazione interamente corrisposta, 3) il decorso di trentasei mesi dal pagamento. Il tenore della disposizione e' fin troppo chiaro e non consente altra interpretazione «adeguatrice». Ne discende che la definizione del presente processo penale dovrebbe attendere almeno altri sedici mesi, pur non essendo piu' necessario alcun atto istruttorio od attivita' processuale. Si pone quindi il problema di verificare se l'art. 32, comma 36, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326, sia ragionevole (art. 3 Cost.) e conforme al principio costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) e del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97). La norma cardine in materia di estinzione dei reati edilizi per oblazione e', come gia' ricordato, l'art. 38, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Tale norma prevede la necessita' della corresponsione integrale della somma dovuto a titolo di oblazione. Anche nell'ambito del c.d. «terzo condono» (d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. con modifiche in legge 24 novembre 2003, n. 326), l'art. 32 del d.l. n. 269/2003 prevede che l'effetto estintivo consegue alla corresponsione integrale della somma dovuto a titolo di oblazione. Il pagamento dev'essere integrale. La suprema Corte ha chiarito che il regime dell'oblazione per i reati edilizi, in mancanza di una deroga legislativa espressa, non si discosta da quello «ordinario» previsto dagli artt. 162, 162-bis c.p.p., per cui sono il giudice e l'autorita' amministrativa (nella specie il sindaco) ed accertare sia il diritto all'oblazione sia la congruita' e tempestivita' del versamento effettuato. Ne consegue che il versamento dell'interessato costituisce una fase soltanto del procedimento di sanatoria ai fini dell'oblazione e che questa dev'essere formalmente dichiarata dall'autorita' preposta, previo esperimento di apposito procedimento amministrativo (Cassazione penale, sez. III, 28 ottobre 1987). Puo' pero' succedere, come nel caso di specie, che nonostante l'attestazione di congruita', non siano trascorsi i trentasei mesi dal pagamento, previsti dall'art. 32 del d.l. n. 269/2003. Nella materia in esame e' intervenuta piu' volte la suprema Corte, al fine di scongiurare il rischio che l'inerzia dell'amministrazione ricadesse sull'imputato (Cass., sez. III, 24 gennaio 1990, Antico). Cosi', in relazione all'inerzia del sindaco (poi del responsabile del procedimento) nel rilasciare l'attestazione di congruita', i giudici di legittimita', anche sulla base della modifica dell'art. 35, comma 12, della legge n. 47/1985, ad opera dell'art. 4 del d.l. n. 2/1998, conv. con mod. in legge n. 68/1988 («trascorsi trentasei mesi si prescrive l'eventuale diritto al conguaglio o al rimborso»), avevano ritenuto che l'effetto estintivo del reato si realizzasse dopo tre anni alla presentazione della domanda di condono (Cass., sez. III, 24 gennaio 1991, Di Corato). Dirimendo il contrasto sul punto, le sezioni unite hanno successivamente stabilito che il decorso dei ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda di condono equivale ad un accoglimento tacito della stessa, conseguendone la realizzazione dell'effetto estintivo. Secondo la Cassazione, altro e' l'estinzione del reato, altro il diritto del comune a richiedere, per un anno ancora dopo i ventiquattro mesi sufficienti per il intendersi condonato l'abuso, le eventuali somme maggiori a titolo di conguaglio (Cassazione penale, sez. un., 19 dicembre 1990). L'attenzione per quest'ultimo diritto dell'ente, pure specificamente riconosciuto dalla norma in questione (art. 32, comma 36, d.l. n. 269/2003: «trascorso il suddetto periodo di trentasei mesi si prescrive il diritto al conguaglio delle somme o al rimborso spettante») pare avere trasmodato in elemento costitutivo della fattispecie estintiva. In realta', come manifesta l'evoluzione giurisprudenziale cui si e' fatto cenno, l'effetto estinto dovrebbe ritenersi compiuto con il pagamento dell'oblazione, mentre l'interesse (del privato al rimborso di eventuali eccedenze o del comune al conguaglio delle differenze) attiene ad altro profilo. Invece, il legislatore ha elevato quest'ultimo interesse al rango di elemento costitutivo della causa estintiva del reato. Ci si chiede se sia ragionevole tale previsione, e conforme ai principio costituzionali della ragionevole durata del procedimento e del buon andamento della pubblica amministrazione. In linea generale, si evidenzia la diversita' dei piani toccati dal condono, e degli interessi coinvolti. La distinzione tra gli effetti penali e gli effetti amministrativi del condono e' chiara al legislatore da oltre venti anni (cfr. art. 38, commi 2 e 4, legge n. 47/1985), e la giurisprudenza di legittimita' ne ha tratto subito notevoli conseguenze pratiche (Cass., sez. III, 13 aprile 1988). Trattasi di piani ed interessi diversi, quello penale (suscettibile di esaurirsi con il pagamento dell'oblazione, formalmente accertata, a tacitazione dell'interesse al ristabilimento della legalita' violata per ragioni di politica «fiscale»), quello amministrativo (soddisfatto dalla riserva dei poteri di gestione e controllo in materia urbanistica) e quello civilistico (implicato da eventuali arricchimenti ingiustificati). Ebbene, gia' sui piani della struttura e della funzione, il primo interesse e' soddisfatto, e si esaurisce, con il pagamento dell'oblazione. Quanto all'interesse al recupero delle somme ingiustificatamente pagate o alla riscossione delle differenze omesse dal privato, una volta intervenuto il riscontro della congruita', esso viene gia' regolato dalla previsione dell'ultimo periodo dell'art. 32, comma 36, d.l. n. 269/2003: «trascorso il suddetto periodo di trentasei mesi si prescrive il diritto al conguaglio delle somme o al rimborso spettante»). Una volta che il responsabile del procedimento abbia riscontrato la congruita' del pagamento, pertanto, l'interesse dell'amministrazione scema verso ipotesi residuali di errore, rimediabili sul piano amministrativo, mentre l'interesse del privato e' gia' tutto sul piano civilistico. Per tali motivi, la norma sembra violare l'art. 3 della Costituzione (irragionevolezza). Sotto altro aspetto, la norma pare arrecare un vulnus ai principi costituzionali della ragionevole durata del procedimento (art. 111 della Costituzione) e del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97). S'impone l'interesse del cittadino alla rapida definizione del procedimento penale, dopo il pagamento dell'oblazione ritenuta congrua. Ogni giorno che passa dal pagamento (nel caso in esame, l'ultima rata e' stata pagata il 30 settembre, per cui l'estinzione del reato si avra' solo il 30 settembre 2008) e' ultroneo ai fini dell'accertamento penale, eppur imposto dal termine dilatorio previsto dalla norma in questione. Inoltre avviene di frequente, come nel caso di specie, che il protrarsi dell'attesa della decisione sia ulteriormente aggravato dal sequestro dell'opera abusiva, normalmente destinata ad uso abitativo, sicche' la pendenza del processo comporta il perdurare del vincolo sul bene determinandone la totale o parziale indisponibilita'. Non va infine dimenticato l'ulteriore effetto di aggravamento del lavoro giudiziario, visto anche il numero di procedimenti pendenti in situazioni analoghe, attesa la necessita' di procrastinare per lunghi periodi la decisione in attesa della maturazione del termine triennale, sovraccaricando il ruolo, con intuibili riverberi sull'impegno delle risorse - gia' scarse - dell'amministrazione giudiziaria. Tutto quanto esposto induce a ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 32, comma 36, del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326, nella parte in cui prevede che gli effetti di cui all'articolo 38, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 si producono con il decorso di trentasei mesi dalla data da cui risulta il pagamento, in relazione agli articoli 3, 97 e 111 della Costituzione.
P. Q. M. Solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 32, comma 36, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326, nella parte in cui prevede che gli effetti di cui all'articolo 38, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 si producono con il decorso di trentasei mesi dalla data da cui risulta il pagamento, in relazione agli articoli 3, 97 e 111 della Costituzione. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Sospende il giudizio. Ordina alla cancelleria di notificare l'ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri. Si comunichi ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Alatri, addi' 16 maggio 2007 Il giudice: Turco 07C1157