N. 703 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 maggio 2007

Ordinanza  emessa l'11 maggio 2007 dal Consiglio di Stato sul ricorso
proposto  da  Bertoia  Antonella  ed  altre  contro  Ministero  della
giustizia ed altro

Ordinamento   giudiziario   -  Indennita'  giudiziaria  -  Disciplina
  antecedente  alle  modifiche  di  cui  all'art. 1, comma 325, della
  legge  n. 311/2004 - Spettanza ai magistrati assenti dal lavoro per
  maternita'  e  puerperio  -  Esclusione  - Ingiustificato deteriore
  trattamento  dei  magistrati  rispetto al personale femminile delle
  segreterie  e  cancellerie  giudiziarie,  cui  detta  indennita' e'
  attribuita  in  forza  dell'art. 21  del  d.P.R. n. 44/1990 e delle
  analoghe previsioni dei contratti collettivi successivi relativi al
  personale del comparto Ministeri - Riproposizione di questione gia'
  oggetto   dell'ord.   n. 10/2006   di  restituzione  atti  per  ius
  superveniens.
- Legge 19 febbraio 1981, n. 27, art. 3, comma 1.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.40 del 17-10-2007 )
                        IL CONSIGLIO DI STATO

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso in appello
n. 8683/1996 proposto da Bertoia Antonella, Cincotti Angela e Martini
Rigamonti  Cornelia,  tutte  rappresentate  e  difese dagli avv. Anna
Maria  Cipolla,  Cristiano Romano ed Eugenio Merlino ed elettivamente
domiciliate  presso  lo studio di quest'ultima, in Roma, via Genovesi
n. 3;
    Contro il Ministero di grazia e giustizia (ora: della giustizia),
in  persona  del  Ministro pro tempore; il Ministero del tesoro (ora:
dell'economia  e delle finanze), in persona del Ministro pro tempore,
costituitisi   in   giudizio,   ex   lege   rappresentati   e  difesi
dall'Avvocatura  generale dello Stato e domiciliati presso gli uffici
della  stessa,  in Roma, via dei Portoghesi n. 12, per l'annullamento
della   sentenza   del   Tribunale   amministrativo  regionale  della
Lombardia, sez. III, n. 812/1996, in data 17 giugno 1996.
    Visto l'atto di appello con i relativi allegati;
    Visto  l'atto di costituzione in giudizio dei Ministeri di grazia
e giustizia e del tesoro;
    Vista  l'ordinanza n. 7630/2004, di sospensione del giudizio e di
«trasmissione   degli   atti   alla   Corte  costituzionale,  per  la
definizione  della  questione  della  costituzionalita'  dell'art. 3,
comma  1,  della  legge  19  febbraio 1981, n. 27, nella parte in cui
esclude   la   corresponsione  -  durante  i  periodi  di  astensione
obbligatoria  dal lavoro ai sensi dell'art. 4 della legge 30 dicembre
1971   -  della  speciale  indennita'  dallo  stesso  istituita,  per
violazione  dell'art. 3  della Costituzione, in relazione all'art. 21
del  d.P.R.  17  gennaio  1990, n. 44 e delle omologhe previsioni dei
contratti  collettivi  successivi  relativi al personale del comparto
Ministeri»;
    Vista   la   conseguente  pronunzia  della  Corte  costituzionale
(ordinanza n. 10/2006);
    Visto   l'atto  di  riassunzione  del  giudizio  da  parte  delle
appellanti;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
domande e difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Data  per  letta,  alla  pubblica  udienza del 13 aprile 2007, la
relazione del consigliere Salvatore Cacace;
    Uditi,  alla  stessa  udienza,  l'avv.  Anna  Maria  Cipolla  per
l'appellante    e    l'avv.    Wally   Ferrante   dello   Stato   per
l'Amministrazione della giustizia;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

                     F a t t o  e  d i r i t t o

    1.  -  Con  la  sentenza  appellata  veniva  respinto  il ricorso
proposto   da   diverse   donne   magistrato   al  fine  di  ottenere
l'accertamento  del  loro  diritto  alla  corresponsione,  anche  nel
periodo  in  cui  si sono dovute astenere dal lavoro per maternita' e
puerperio ai sensi dell'art. 4 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204,
dell'indennita'  prevista  dall'art. 3  della legge 19 febbraio 1981,
n. 27 (c.d. «indennita' giudiziaria»).
    1.1.  -  Avverso tale decisione proponevano appello le ricorrenti
indicate in epigrafe, criticando le argomentazioni assunte a sostegno
della  gravata statuizione reiettiva ed insistendo per l'accertamento
della  spettanza  in  loro  favore della reclamata indennita', previa
riforma della sentenza appellata.
    1.2.  -  Resistevano  i  Ministeri  di  grazia  e giustizia e del
tesoro.   Il   primo,   con  memoria,  concludeva  per  la  reiezione
dell'appello.
    1.3. - Alla pubblica udienza dell'8 luglio 2004 il ricorso veniva
trattenuto   in   decisione  all'esito  della  quale,  con  ordinanza
n. 7630/2004,   la  sezione  sospendeva  il  giudizio,  ordinando  la
«trasmissione   degli   atti   alla   Corte  costituzionale,  per  la
definizione  della  questione  della  costituzionalita'  dell'art. 3,
comma  1,  della  legge  19  febbraio 1981, n. 27, nella parte in cui
esclude   la   corresponsione  -  durante  i  periodi  di  astensione
obbligatoria  dal lavoro ai sensi dell'art. 4 della legge 30 dicembre
1971   -  della  speciale  indennita'  dallo  stesso  istituita,  per
violazione  dell'art. 3  della Costituzione, in relazione all'art. 21
del  d.P.R.  17  gennaio  1990, n. 44 e delle omologhe previsioni dei
contratti  collettivi  successivi  relativi al personale del comparto
Ministeri».
    1.4.  -  Con  ordinanza  n. 10  del 2006 la Corte costituzionale,
riunito  il  giudizio  con  altri di identico oggetto, ha ordinato la
restituzione degli atti a questo Consiglio, rilevando:
        «che,  successivamente  alla  pronuncia  delle  ordinanze  di
rimessione,  e'  entrata  in vigore la legge 30 dicembre 2004, n. 311
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello  Stato  - Legge finanziaria 2005), il cui art. 1, comma 325, ha
disposto  che «all'art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981,
n. 27,  le  parole «assenza obbligatoria o facoltativa previsti negli
articoli 4 e 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204» sono sostituite
dalle  seguenti  «astensione facoltativa previsti dagli articoli 32 e
47,  commi  1  e  2  del testo unico di cui al decreto legislativo 26
marzo  2001,  n. 151»  (Testo unico delle disposizioni legislative in
materia  di  tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a
norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53);
        che  la  sopravvenuta  modificazione  del quadro normativo di
riferimento   impone   il  riesame  da  parte  del  rimettente  della
perdurante  rilevanza della questione, competendo altresi' al giudice
a  quo  la preliminare valutazione in ordine all'applicabilita' dello
jus superveniens alla fattispecie sottoposta al suo esame».
    1.5  -  Con atto notificato in data 4 luglio 2006 e depositato il
successivo  14  luglio,  le  appellanti  hanno riassunto il giudizio,
«ritenendo  applicabile  lo jus superveniens ed in via subordinata la
perdurante  rilevanza  della questione di legittimita' costituzionale
oggetto della citata ordinanza».
    1.6  -  Le stesse, con successiva memoria, hanno ribadito la loro
pretesa  di  annullamento dei provvedimenti oggetto del giudizio, con
cui  e'  stata  a  suo  tempo  respinta  l'istanza  di corresponsione
dell'emolumento  anzidetto  e,  in  via  subordinata, di trasmissione
degli  atti alla Corte costituzionale, «qualora dovesse persistere la
questione   di   legittimita'   costituzionale   dell'art. 3,   legge
n. 27/1981 per contrasto con l'art. 3 Cost.».
    Anche   il   Ministero  della  giustizia  ha  depositato  memoria
conclusiva,  chiedendo  la  conferma  della decisione di primo grado,
«attesa   l'applicabilita'  al  caso  di  specie  dell'art. 3,  legge
n. 27/1981 in senso restrittivo».
    La causa e' stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza
pubblica del 13 aprile 2007.
    2.  -  Le  parti  controvertono  sulla  spettanza alle ricorrenti
dell'indennita'  di  cui all'art. 3 della legge n. 27/1981, anche nei
periodi  di  astensione  obbligatoria  dal  lavoro  per  maternita' o
puerperio.
    Gia'  con  ordinanza n. 7630/2004 la sezione rifiutava la lettura
della  norma  in  considerazione  (nella  sua versione anteriore alle
modifiche  alla  stessa apportate dall'art. 1, comma 325, della legge
30  dicembre 2004 n. 311), proposta dalle appellanti «in un senso che
consenta  l'invocata  affermazione  della  spettanza  dell'indennita'
anche  per  i  periodi  in contestazione», ritenendola «sprovvista di
ogni   apprezzabile   riscontro   positivo,   posto   che,  a  fronte
dell'univoca portata letterale della norma (che esclude espressamente
la  debenza  dell'emolumento  nei periodi di assenza obbligatoria per
maternita' e puerperio), non e' dato ricavare nell'ordinamento alcuna
disposizione  successiva  che,  per  il  suo  carattere  radicalmente
incompatibile   con   la  prima,  consenta  di  affermare  l'avvenuta
abrogazione tacita di quest'ultima».
    Donde,  verificata  positivamente la rilevanza e la non manifesta
infondatezza dell'eccezione di incostituzionalita' della disposizione
controversa  sollevata  dalle  appellanti.  rimetteva,  con la stessa
ordinanza,  gli  atti  alla Corte costituzionale, «per la definizione
della  questione della costituzionallita' dell'art. 3, comma 1, della
legge  19  febbraio  1981,  n. 27,  nella  parte  in  cui  esclude la
corresponsione  -  durante  i  periodi di astensione obbligatoria dal
lavoro  ai  sensi  dellart. 4  della  legge  30 dicembre 1971 - della
speciale   indennita'   dallo   stesso   istituita,   per  violazione
dell'art. 3  della Costituzione, in relazione all'art. 2 1 del d.P.R.
17  gennaio  1990,  n. 44  e  delle omologhe previsioni dei contratti
collettivi successivi relativi al personale del comparto Ministeri».
    3.    -   In   ordine   alla   rilevanza   della   questione   di
costituzionalita'  in  considerazione,  la  Corte costituzionale, nel
disporre  la restituzione degli atti con ordinanza n. 10 del 2006, ha
invitato  questo  giudice  ad effettuarne un riesame, alla luce della
sopravvenuta  modificazione  del  quadro  normativo  di  riferimento,
rappresentata  dall'art. 1,  comma 325, della legge 30 dicembre 2004,
n. 311,  che ha disposto che «all'art. 3, primo comma, della legge 19
febbraio  1981,  n. 27,  le parole assenza obbligatoria o facoltativa
previsti  negli articoli 4 e 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204»
sono sostituite dalle seguenti «astensione facoltativa previsti dagli
articoli  32  e  47,  commi  1  e 2 del testo unico di cui al decreto
legislativo 26 marzo 2001, n. 151».
    Compete  altresi'  al  giudice  a  quo,  ha  aggiunto l'anzidetta
ordinanza   della   Corte,  «la  preliminare  valutazione  in  ordine
all'applicabilita' dello jus superveniens alla fattispecie sottoposta
al suo esame».
    Indubbiamente,  rileva  in  proposito  il  Collegio, la questione
centrale  oggetto  della  controversia, e cioe' la sussistenza o meno
del  diritto  delle  interessate  a  vedersi  riconosciuto l'elemento
retributivo  di  cui  trattasi  anche  durante  il periodo di assenza
obbligatoria   per   maternita',   l'espressa   previsione  normativa
sopravvenuta,   eliminando   dal   novero   delle   ipotesi   di  non
corresponsione dell'emolumento stesso proprio i periodi di astensione
obbligatoria  anzidetti, in astratto risolve in senso favorevole alle
odierne  appellanti,  in  quanto  la  nuova norma rimuove esattamente
quell'ostacolo  positivo  al  riconoscimento  della loro pretesa, che
alle  stesse  e'  stato  opposto  prima dall'Amministrazione, poi dal
giudice  di primo grado ed infine, con le argomentazioni svolte nella
precedente ordinanza di rimessione, da questo stesso giudice.
    Oggi,  pertanto,  sulla  base  del  nuovo testo dell'art. 3 della
legge  19  febbraio 1981, n. 27 (come risultante dalle modifiche allo
stesso  apportate  dall'art. 1,  comma  325,  della legge 30 dicembre
2004,  n. 311),  la  materia  della erogazione di detta indennita' e'
disciplinata  con  il  riconoscimento  ai  magistrati ordinarii della
spettanza   della  stessa  anche  durante  i  periodi  di  astensione
obbligatoria dal lavoro per maternita'.
    Tale  nuova  disciplina  non  e', pero', ad avviso della sezione,
applicabile  alle  situazioni,  come quella in cui versano le odierne
appellanti,  esauritesi prima del 1° gennaio 2005, data di entrata in
vigore della norma, che la disciplina stessa ha recato.
    Il  Collegio  deve  infatti  rilevare  che,  con  riguardo a tali
situazioni,  non  sussistono i presupposti pacificamente delineati in
giurisprudenza per l'applicazione retroattiva del nuovo regime.
    Invero,  la novella, di cui all'art. 1, comma 325, della legge 30
dicembre 2004, n. 311, puo' ben leggersi come una sorta di intervento
correttivo,   volto   ad   uniformare  il  sistema  della  erogazione
dell'emolumento  in  questione e ad attenuare le stridenti differenze
tra   i  destinatari  dello  stesso,  poste  in  luce  proprio  nella
precedente   ordinanza  di  rimessione  di  questa  sezione;  con  la
conseguenza  che  la  ratio  adeguatrice ai principii costituzionali,
cosi'  attribuibile  al  predetto  art. 1  della  legge  n. 311 cit.,
giustificherebbe il carattere retroattivo del medesimo.
    Ma  un  tale  carattere,  sottolinea  il  Collegio, poteva essere
attribuito  alla norma solo dal legislatore stesso, il quale, ponendo
in  essere  una  norma  innovativa con efficacia retroattiva (sul cui
genus vedasi Corte cost., 7 luglio 2006, n. 274), avrebbe palesato di
ritenere,  al  meditato  esame  proprio  della  sede  legislativa, la
disposizione  originaria  dell'art. 3 in considerazione, per la parte
che  qui  interessa, in contrasto con i principii costituzionali e da
espungere  quindi  dall'ordinamento in occasione del primo intervento
correttivo.  Una tale ratio della disposizione correttiva non essendo
stata  tuttavia  resa esplicita dal legislatore con l'attribuzione ad
essa  della  sua  massima  potenzialita' rispetto alla sua ragione ed
alla sua funzione e cioe' dell'efficacia retroattiva, ad una siffatta
attribuzione   non  puo'  pervenire  questo  giudice  attraverso  una
operazione  interpretativa,  che,  se  da  un  lato  assicurerebbe la
conformita',   messa   in   dubbio   dalla  precedente  ordinanza  di
rimessione,  ai  principi  costituzionali  della normativa precedente
alla novella e se pure apparentemente rispettosa del criterio secondo
cui  deve  preferirsi  l'interpretazione di una norma che comporti un
quadro  normativo  compatibile  con  le  prescrizioni costituzionali,
travalicherebbe  in sostanza dall'ambito meramente interpretativo per
sostituirsi  al  legislatore,  il  quale  soltanto  puo'  emanare sia
disposizioni   di  «interpretazione  autentica»  (che  determinano  -
chiarendola   -   la  portata  precettiva  della  norma  interpretata
fissandola   in  un  contenuto  plausibilmente  gia'  espresso  dalla
stessa),  sia  norme  innovative  con  efficacia retroattiva, idonee,
cioe',  a  disciplinare  con  efficacia  retroattiva anche situazioni
pregresse,  in  deroga al principio, secondo cui la legge non dispone
che per l'avvenire; «tipi» di legislazione, questi, entrambi in grado
di  toglier  valore,  purche'  con adeguata giustificazione sul piano
della  ragionevolezza (v. Corte cost., n. 274/2006, cit.), al divieto
di  retroattivita'  della  legge,  che,  pur  non  elevato a dignita'
costituzionale   (salva   per   la   materia   penale  la  previsione
dell'art. 25  della  Costituzione), costituisce fondamentale elemento
di civilta' giuridica e principio generale dell'ordinamento.
    La  sezione  ritiene,  peraltro,  che  il nuovo testo dell'art. 3
della  legge 19 febbraio 1981, n. 27 (come risultante dalle modifiche
allo stesso apportate dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre
2004,  n. 311)  non  abbia  nemmeno  carattere  interpretativo e che,
quindi, esso non possa che disporre per il futuro.
    Il  carattere  di  norma  di interpretazione autentica va infatti
riconosciuto  soltanto  alle  norme  dirette  a  chiarire il senso di
quelle preesistenti, ovvero ad escludere o ad enucleare uno dei sensi
tra quelli ragionevolmente ascrivibili alle norme interpretate (Cons.
St.,  ad.  plen.,  24 marzo 2006, n. 3); mentre, nel caso della nuova
disposizione  di  cui trattasi, la scelta assunta dal legislatore del
2004 con la nuova formulazione dell'art. 3 della legge n. 27 del 1981
non  rientra  in  nessuna  delle varianti di senso compatibili con il
tenore  letterale  del disposto del pregresso art. 3, che, anzi, come
rilevava  proprio la precedente ordinanza di rimessione, presentava e
presenta  una  «univoca portata letterale», escludendo «espressamente
la  debenza  dell'emolumento  nei periodi di assenza obbligatoria per
maternita' e puerperio».
    Siffatta   disposizione,   con  riguardo  al  periodo  precedente
l'entrata in vigore della novella, non consente, sotto alcun versante
interpretativo,  la  corresponsione  dell'indennita'  di  cui  qui si
controverte, si che la sua rilevanza nel presente giudizio, alla luce
della veduta non retroattivita' della novella stessa, appare immutata
nella sua palese evidenza.
    4.  - La norma non appare scevra dai dubbi di incostituzionalita'
gia'  espressi  nella precedente ordinanza di rimessione (nella quale
la   questione   di   legittimita'   costituzionale  sollevata  dalle
appellanti  e ritenuta non manifestamente infondata da questo giudice
ha   in   sostanza   funzione  strumentale  per  la  decisione  della
controversia,  quale  mezzo  al  fine di conseguire una sentenza piu'
favorevole  di  quella impugnata), che, nel riportare qui di seguito,
il Collegio fa integralmente propri:
        a) quanto alla «astratta proponibilita' della questione»:
          «La   differenza  del  regime  della  regolamentazione  del
rapporto  di  lavoro  tra le due categorie considerate - magistrati e
personale  dirigente delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie
(contrattualizzata la prima, ma non la seconda) - non vale, ad avviso
del  Collegio,  ad  escludere  la  configurabilita' della prospettata
violazione dell'art. 3 della Costituzione e, quindi, della denunciata
disparita' di trattamento.
    La  circostanza  che  un  tipo  rapporto trovi la sua fonte nella
legge  e l'altro in un contratto collettivo (anche prescindendo dalla
natura  latu  sensu  normativa di quest'ultimo) non esime, invero, il
legislatore  che  regola  il primo dal rispetto del suddetto precetto
costituzionale  (quand'anche  il  trattamento  piu'  favorevole venga
introdotto  da  un  contratto  collettivo successivo alla legge), ne'
preclude  la  verifica dell'osservanza di quel dovere ed il riscontro
della   sua   violazione  (secondo  il  procedimento  incidentale  di
scrutinio della costituzionalita' del regime legislativo deteriore).
    L'eterogeneita'  della  natura della fonte della disciplina delle
condizioni  del  rapporto di lavoro (e, in particolare, dei diritti e
degli  obblighi  dei  lavoratori)  non  impedisce,  in definitiva, il
sindacato   costituzionale   della  compatibilita'  delle  differenze
riscontrate  nelle  condizioni  stabilite dalla legge e dal contratto
collettivo con il principio della Carta fondamentale che impone (alla
prima)  di garantire il medesimo trattamento a situazioni sostanziali
identiche.
    Diversamente      opinando,     si     perverrebbe,     peraltro,
all'inaccettabile   conclusione   di   impedire   un   controllo   di
costituzionalita'  di  una  disposizione  di  legge  che  esclude  la
spettanza  di  un  diritto,  viceversa  riconosciuto,  a  parita'  di
situazioni, ad un'altra categoria di lavoratori da un'altra fonte del
diritto,   e,  quindi,  in  definitiva,  di  convalidare  una  palese
ingiustizia,   legittimando  una  diversa  disciplina  di  situazione
sostanziali identiche.
    Senza   considerare  che  la  regolamentazione  del  rapporto  di
personale  «contrattualizzato»  non  puo'  che essere negoziale e che
escludendo  la  prospettabilita',  come  tertium  comparationis,  del
contratto  collettivo  si  finisce  per  sottrarre il legislatore che
disciplina il rapporto di una categoria di lavoratori sostanzialmente
omologa  alla  prima  (nel  senso  che  opera  nello  stesso  settore
dell'ordinamento)    all'ambito    applicativo    dell'art. 3   della
Costituzione,  di  avvalorare  eventuali  trattamenti  deteriori  del
personale  non  «contrattualizzato»  e di ridurre, anzi di eliminare,
(inammissibilmente)    in   danno   di   quest'ultimo   le   garanzie
costituzionali  connesse  all'esigenza  di  parita' di trattamento di
situazioni uniformi.
    Quand'anche,  tuttavia,  si intendesse negare la configurabilita'
di  una disparita' di trattamento tra legge e contratto, si dovrebbe,
in  ogni caso, riconoscere che, per effetto dell'attribuzione (con il
contratto  collettivo)  al  personale  femminile  delle cancellerie e
delle  segreterie  giudiziarie del diritto all'indennita' giudiziaria
anche  nei  periodi  di  astensione  obbligatoria  per  maternita'  e
puerperio, si e' determinato un diverso assetto del trattamento della
predetta   categoria   di   dipendenti,   in   relazione   alla   cui
sopravvenienza  la  disposizione  censurata  conserva,  per  le donne
magistrato,  un regime giuridico ormai connotato da un'ingiustificata
difforme  configurazione,  che ne implica una palese incompatibilita'
costituzionale.
    Resta,   in   ogni  caso,  confermata,  anche  sulla  base  delle
considerazioni  da  ultimo  svolte, la configurabilita' della dedotta
inosservanza  del  precetto  costituzionale  che prescrive l'uniforme
regolamentazione  normativa  di  situazioni  uguali  e  che  vieta al
legislatore,   pena   l'incostituzionalita',   di  introdurre,  o  di
mantenere, discipline diverse di fattispecie omologhe»;
        b)   quanto   alla   verifica  se  l'eccezione  nella  specie
formulata,  per  come prospettata, cioe', nei termini sopra riferiti,
sia mai stata esaminata dalla Corte:
          «Per  quanto  consta, il giudice delle leggi ha delibato la
questione  della  costituzionalita'  dell'art. 3,  legge  n. 27/1981,
sotto  tre  distinti  profili:  con una prima sentenza (n. 238 dell'8
maggio 1990) ha escluso la sussistenza della denunciata disparita' di
trattamento  delle  donne  magistrato rispetto alla generalita' delle
dipendenti statali; con una seconda pronuncia (n. 407 del 24 dicembre
1996) e' stata esclusa la prospettata disparita' di trattamento delle
donne magistrato obbligatoriamente assenti per maternita' rispetto ai
magistrati  in  servizio  ed  e' stata riconosciuta la compatibilita'
dell'art. 3,  legge  n. 27/1981  con  il  precetto costituzionale che
impone  un'adeguata protezione della lavoratrice madre (art. 37 della
Costituzione);  con un'altra decisione (n. 106 del 18 aprile 1997) e'
stata, infine, esclusa la sussistenza della disparita' di trattamento
tra   magistrati  donne  e  magistrati  uomini  e  della  prospettata
violazione delle norme costituzionali che prescrivono la tutela della
famiglia,  della  maternita'  e  dell'infanzia  (artt. 30  e 31 della
Costituzione).
    Come si vede, quindi, la Corte non ha mai esaminato la questione,
nei  termini  in  cui  e' stata posta dalle odierne ricorrenti, della
sussistenza  di una disparita' di trattamento tra le donne magistrato
e   le   dipendenti   del  Ministero  della  Giustizia  addette  alle
cancellerie ed alle segreterie giudiziarie»;
        c)  quanto,  infme,  alla  valutazione  della  non  manifesta
infondatezza della questione:
          Giova  premettersi,  in fatto, che con l'art. 1 della legge
n. 221/1988   e'   stata  attribuita  al  personale  dirigente  delle
cancellerie  e  delle  segreterie  giudiziarie  l'indennita'  di  cui
all'art. 3,  legge  n. 27/1981,  che  con la medesima disposizione e'
stata  espressamente  esclusa  la  spettanza  di  tale emolumento nei
periodi  di  astensione  obbligatoria  dal  lavoro  per  maternita' e
puerperio,  che,  tuttavia,  con  l'art. 21,  d.P.R. 17 gennaio 1990,
n. 44 (di recepimento dell'accordo relativo al personale del comparto
Ministeri) e' stata prevista l'attribuzione alle lavoratrici madre in
astensione obbligatoria ai sensi dell'art. 4 della legge n. 1204/1971
delle  "quote  di salario accessorio fisse e ricorrenti relative alla
professionalita'  ed alla produttivita'" che tale previsione e' stata
interpetetata  ed  applicata  dal Ministero della giustizia nel senso
della  spettanza  alle proprie dipendenti addette alle cancellerie ed
alle  segreterie  dell'indennita'  giudiziaria  anche  nei periodi di
assenza obbligatoria per maternita' e puerperio (cfr. circolare n. 22
in  data  22  settembre  1993 della Direzione generale organizzazione
giudiziaria  e  affari generali), che la predetta previsione e' stata
ribadita  nei contratti collettivi nazionali successivi del personale
del   comparto   Ministeri  e  che,  a  quanto  consta,  l'emolumento
controverso  risulta regolarmente corrisposto alla suddetta categoria
di personale nei periodi considerati.
    Attualmente,  quindi,  per  effetto delle predette previsioni dei
contratti    collettivi    (per    come   interpretate   ed   attuate
dall'amministrazione  della  giustizia),  le lavoratrici addette alle
cancellerie  ed alle segreterie giudiziarie percepiscono l'indennita'
di   cui   aIl'art. 3  n. 27/1981  (loro  estesa  dall'art. 1,  legge
n. 221/1988)   anche  nei  periodi  di  astensione  obbligatoria  per
maternita'  e  puerperio,  mentre  le  donne  magistrato non ricevono
alcunche', nella medesima situazione, a quel titolo.
    Osserva,  al  riguardo, il Collegio, nei limiti della valutazione
della  non  manifesta  infondatezza  della  prospettata  eccezione di
incostituzionalita'  dell'art. 3,  legge n. 27/1981, che la posizione
delle  diverse  categorie  di  lavoratrici  considerate  non presenta
differenze  tali  da  giustificare  l'attribuzione  ad  una  sola del
diritto  all'indennita'  di  giudiziaria  nei  periodi  di astensione
obbligatoria  dal  lavoro  per  maternita'  e  puerperio e che, anzi,
l'identita'  della  ratio  dell'attribuzione ad entrambe del medesimo
emolumento  (agevolmente  ravvisabile nell'esigenza di compensare con
un'ulteriore  voce  retributiva  la  gravosita' dell'impegno connesso
all'esercizio  dell'attivita'  giudiziaria,  cui  concorre  anche  il
personale  dirigente  delle cancellerie e delle segreterie) impone di
escludere  la  compatibiita'  di  una diversa disciplina dei relativi
diritti  tra  classi  di  dipendenti  del tutto omologhe, quanto alla
spettanza    dell'indennita'    giudiziaria,    con    il   parametro
costituzionale  (art. 3)  che  esige  la  parita'  di  trattamento di
situazioni  uguali (cfr. Corte cost. 26 novembre 2002, n. 476, in cui
si   ribadisce  il  principio,  costituzionalmente  garantito,  della
necessita'  dell'identita'  di  disciplina  di  fattispecie connotate
dagli  stessi  caratteri o, comunque, non adeguatamente differenziate
tra loro».
    In  conclusione,  sottolinea  il  Collegio,  se la protezione del
valore   della   maternita'   puo'   essere  attuata  con  interventi
legislativi  di contenuto e modalita' anche diversi in relazione alle
caratteristiche  di  ciascuna  delle  situazioni  considerate  (Corte
cost., 14 dicembre 2001, n. 405), appare discriminatoria l'assenza di
tutela,  che  si  realizza  nel  momento  in  cui, in presenza di una
identica  situazione  e  di  un  medesimo  evento, alcuni soggetti si
vedono privati di provvidenze riconosciute, invece, in capo ad altri,
che  si  trovano  nelle  medesime condizioni (Corte cost., 14 ottobre
2005,  n. 385);  discriminazione oggi evidente, alla luce della norma
sopravvenuta,    all'interno    della    stessa    categoria    delle
donne-magistrato,  che  si  vedono  attribuite  una differente tutela
della  maternita',  senza alcuna ragione logica, solo a seconda della
collocazione temporale dell'evento maternita' rispetto all'entrata in
vigore della norma stessa.
    5.  -  Le  suesposte  considerazioni  fondano,  in definitiva, il
giudizio  di  persistente  rilevanza  e di non manifesta infondatezza
della  questione  della  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 3,
comma  1,  della  legge  n. 27/1981,  nella versione antecedente alle
modifiche  ad  esso  apportate dall'art. 1, comma 325, della legge 30
dicembre  2004, n. 311, nella parte in cui esclude la corresponsione,
durante  i  periodi  di  astensione  obbligatoria dal lavoro ai sensi
dell'art. 4  della  legge  30  dicembre 1971, n. 1204, della speciale
indennita'  dallo  stesso istituita, per violazione dell'art. 3 della
Costituzione,  in  relazione  all'art. 21  del  d.P.R. n. 44/1990 (da
valersi   quale   tertium  comparationis,  unitamente  alla  uniforme
contrattazione collettiva successiva) ed in relazione, altresi', alla
nuova   disciplina   recata   dall'art. 3   medesimo  nella  versione
sopravvenuta.
    6.  -  Ne consegue che della risoluzione dell'anzidetta questione
va investita la Corte costituzionale, con conseguente sospensione del
presente procedimento.
                              P. Q. M.
    Non   definitivamente   pronunciando   sul  ricorso  indicato  in
epigrafe, sospende il presente procedimento ed ordina la trasmissione
degli  atti  alla  Corte  costituzionale,  per  la  definizione della
questione  della  costituzionalita' dell'art. 3, comma 1, della legge
19 febbraio 1981, n. 27, nella versione antecedente alle modifiche ad
esso  apportate dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004,
n. 311,  nella  parte  in  cui  esclude  la corresponsione, durante i
periodi  di  astensione  obbligatoria dal lavoro ai sensi dell'art. 4
della  legge  30  dicembre  1971,  n. 1204, della speciale indennita'
dallo    stesso   istituita,   per   violazione   dell'art. 3   della
Costituzione,  in relazione all'art. 21 del d.P.R. n. 44/1990 ed alle
omologhe  previsioni  dei contratti collettivi successivi relativi al
personale  del  comparto  Ministeri,  nonche' in relazione alla nuova
disciplina recata dall'art. 3 medesimo nella versione sopravvenuta.
    Ordina  che  la  presente  ordinanza sia notificata, a cura della
segreteria,  alle  parti  in causa ed al Presidente del Consiglio dei
ministri,  nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati
e del Senato della Repubblica.
    Cosi' deciso in Roma, addi' 13 aprile 2007
                       Il Presidente: Ferrari
             Il consigliere relatore estensore: Cacace
07C1202