N. 385 ORDINANZA 5 - 14 novembre 2007

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Straniero e apolide - Violazione del divieto per lo straniero espulso
  di  far  rientro  nel territorio dello Stato senza autorizzazione -
  Trattamento  sanzionatorio  -  Lamentata violazione dei principi di
  uguaglianza  e  della  finalita'  rieducativa  della  pena  nonche'
  dedotta  lesione  dei  diritti inviolabili dell'uomo - Sopravvenuta
  modifica  normativa  della  disposizione  censurata - Necessita' di
  riesame  della  rilevanza della questione - Restituzione degli atti
  ai giudici rimettenti.
- D.Lgs.  25 luglio  1998, n. 286, art. 13, comma 13, come sostituito
  dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271.
- Costituzione, artt. 2, 3, 10 e 27, comma terzo.
(GU n.45 del 21-11-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Paolo  MADDALENA,  Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE,
Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 13,
del  decreto  legislativo  25 luglio  1998, n. 286 (Testo unico delle
disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e norme
sulla  condizione dello straniero), come sostituito dall'art. 1 della
legge   12 novembre   2004,   n. 271   (Conversione   in  legge,  con
modificazioni,  del  decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante
disposizioni  urgenti  in  materia  di  immigrazione),  promossi  con
ordinanze  del  16 marzo, 7 maggio, 25 ottobre, 3 e 30 novembre 2005,
del  1° aprile  e  16 maggio  2006  dal  Tribunale  di  Gorizia e con
ordinanze  del 26 luglio e 5 dicembre del 2005, 14 gennaio, 23 marzo,
31  marzo,  5, 6 e 21 aprile, 29 maggio, 24 ottobre (n. 2 ordinanze),
15 novembre   e   18 dicembre   2006   dal   Tribunale   di  Trieste,
rispettivamente  iscritte  ai  nn. 317  e  338 del registro ordinanze
2005, ai nn. 8, 23 e 43 del registro ordinanze 2006, e ai nn. 36 e 37
del  registro  ordinanze 2007; al n. 538 del registro ordinanze 2005,
ai nn. 285, 287, 454, 455, 456, 457, 458 e 503 del registro ordinanze
2006,  e  ai  nn. 262,  263,  456 e 457 del registro ordinanze 2007 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 25, 28 e 45,
1ª serie speciale, dell'anno 2005, nn. 4, 6, 8, 36, 44 e 46, 1ª serie
speciale,  dell'anno 2006  e  nn. 8,  edizione  straordinaria  del 26
aprile, e 25, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 24 ottobre 2007 il giudice
relatore Gaetano Silvestri.
    Ritenuto che il Tribunale di Gorizia in composizione monocratica,
con  tre  ordinanze  di  tenore  sostanzialmente  analogo, deliberate
rispettivamente  il 16 marzo 2005 (r.o. n. 317 del 2005), il 7 maggio
2005  (r.o.  n. 338  del 2005) ed il 30 novembre 2005 (r.o. n. 43 del
2006),  ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma,
della   Costituzione   -  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 13,  comma 13,  del  decreto  legislativo  25 luglio  1998,
n. 286  (Testo  unico  delle  disposizioni  concernenti la disciplina
dell'immigrazione  e  norme  sulla condizione dello straniero) - come
sostituito   dall'art. 1   della   legge   12 novembre  2004,  n. 271
(Conversione   in   legge,   con   modificazioni,  del  decreto-legge
14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di
immigrazione)  -  nella  parte  in  cui  prevede la pena minima della
reclusione  per  un  anno  per  lo  straniero espulso che rientri nel
territorio  dello Stato senza la speciale autorizzazione del Ministro
dell'interno;
        che  il  rimettente,  chiamato in ciascuno dei procedimenti a
quibus  a  celebrare il giudizio nei confronti di cittadini stranieri
accusati  del  reato  di  indebito  reingresso,  ed  in particolare a
pronunciare  sentenza  di  rito  abbreviato  od  a valutare richieste
congiunte  di  applicazione  della  pena  ai  sensi dell'art. 444 del
codice  di procedura penale, dubita della legittimita' costituzionale
della  norma  che  fissa  il  valore  minimo della sanzione, il quale
sarebbe  sproporzionato  per eccesso rispetto alla gravita' effettiva
dei fatti contestati;
        che  il  Tribunale  rileva  come la norma censurata sia stata
modificata  in  sede  di  conversione  del decreto-legge 14 settembre
2004,  n. 241  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di immigrazione),
contestualmente   all'analogo   intervento   compiuto   sull'art. 14,
comma 5-ter,  del  d.lgs. n. 286 del 1998, che il legislatore avrebbe
attuato, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004,
a fini di nuova legittimazione dell'arresto obbligatorio per il reato
di indebito trattenimento dello straniero nel territorio nazionale;
        che,  in  particolare,  a fronte d'un provvedimento che aveva
dichiarato   l'illegittimita'   costituzionale  della  previsione  di
arresto  concernente  un reato per il quale non avrebbe potuto essere
successivamente  applicata  una misura cautelare, pur senza attingere
il  comma 13  dell'art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, il legislatore
avrebbe  trasformato la relativa contravvenzione in un delitto punito
con  la  reclusione  fino a quattro anni con uno scopo «evidentemente
preventivo  rispetto ad eventuali censure di incostituzionalita», nel
contempo   sostituendo   l'originaria   previsione   dell'arresto  in
flagranza  con quella dell'arresto obbligatorio, anche fuori dai casi
di flagranza;
        che  dunque, a parere del rimettente, il marcato inasprimento
della  sanzione  per  il  reato  di  indebito  reingresso non sarebbe
connesso  alle  caratteristiche  sostanziali  del fenomeno criminoso,
rimaste   invariate,   ed   avrebbe  quindi  alterato  la  necessaria
proporzione tra pena edittale e disvalore della condotta incriminata,
con  conseguente lesione del principio di uguaglianza e del principio
di necessaria finalizzazione rieducativa della pena;
        che  l'intervento  riformatore sulla norma censurata, secondo
il  Tribunale,  sarebbe  privo  di  congruenza  perfino rispetto alle
ragioni giustificatrici emerse nel corso dei lavori parlamentari, non
solo  per  la  riferibilita' della citata sentenza n. 223 del 2004 ad
una  diversa  fattispecie  di reato, ma anche, e soprattutto, perche'
l'obiettivo di consentire l'applicazione di una misura cautelare dopo
l'arresto avrebbe potuto essere raggiunto con la fissazione a quattro
anni  del  valore  massimo  di  pena,  senza indicare un minimo tanto
elevato  da  impedire,  nei  casi  di minor gravita', l'irrogazione o
l'applicazione di una pena proporzionata;
        che  la carenza di proporzionalita' sarebbe evidenziata anche
dal raffronto tra la pena prevista per l'indebito reingresso e quella
comminata  per  fattispecie  che  avrebbero  natura similare, perche'
pertinenti  anch'esse  a  forme  di disobbedienza nei confronti di un
ordine dell'autorita';
        che il Tribunale richiama, a questo proposito, l'art. 650 del
codice  penale  (recante  la  rubrica «Inosservanza dei provvedimenti
dell'Autorita»),  ove  la  pena  dell'arresto  fino  a  tre  mesi  e'
alternativa  ad  una  sanzione  pecuniaria,  e  l'art. 2  della legge
27 dicembre  1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle
persone  pericolose per la sicurezza), concernente la contravvenzione
al  foglio  di  via  obbligatorio,  punita con l'arresto da uno a sei
mesi;
        che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  in
ciascuno    dei   tre   giudizi   indicati,   con   atti   depositati
rispettivamente il 12 luglio 2005 (r.o. n. 317 del 2005), il 2 agosto
2005  (r.o.  n. 338  del  2005)  ed  il 14 marzo 2006 (r.o. n. 43 del
2006);
        che  per  due delle questioni sollevate la difesa erariale ha
sollecitato una dichiarazione di infondatezza (r.o. n. 317 del 2005 e
n. 43 del 2006);
        che  infatti, con le variazioni introdotte per il trattamento
sanzionatorio dell'indebito reingresso nel territorio dello Stato, il
legislatore    avrebbe    ragionevolmente   esercitato   la   propria
discrezionalita',   in   coerenza   con  l'analogo  intervento  sulla
fattispecie  di  cui  all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del
1998, ed in corrispondenza con la gravita' dei fatti considerati;
        che  l'asserita  sproporzione  della pena non potrebbe essere
dimostrata,  d'altro  canto,  mediante  il  raffronto con le sanzioni
previste  dall'art. 650  cod.  pen. o dall'art. 2 della legge n. 1423
del  1956,  poiche'  la  norma  censurata,  a  differenza  dei tertia
comparationis  evocati  dal  rimettente,  si caratterizzerebbe per la
complessita'  e  rilevanza  degli  interessi  tutelati,  tra  i quali
l'efficienza  della  politica  di  controllo  dei  flussi migratori e
l'osservanza dei vincoli internazionali assunti in materia;
        che,  per  l'ulteriore  questione  sollevata dal Tribunale di
Gorizia (r.o. n. 338 del 2005), l'Avvocatura generale ha concluso nel
senso  della  manifesta inammissibilita' od infondatezza, richiamando
tra   l'altro   la   giurisprudenza  costituzionale  secondo  cui  il
legislatore,  nella  determinazione delle fattispecie di reato, tiene
conto  della concreta esperienza dei fatti e della lesione che questi
determinano in danno dei beni tutelati;
        che  le  sanzioni  per il reato in discussione, gia' valutato
severamente   alla   luce  della  originaria  previsione  di  arresto
obbligatorio,  sarebbero  state  aumentate  nel ragionevole esercizio
della  discrezionalita'  legislativa, equiparandole a quelle previste
per   altre   ipotesi   di  indebito  reingresso  (come  la  condotta
conseguente all'espulsione disposta dal, di cui al comma 13-bis dello
stesso  art. 13),  e distinguendole da quelle pertinenti a fatti meno
gravi,  alcuni  dei  quali  compresi  nel novero delle fattispecie in
materia  di immigrazione (indebito trattenimento nel territorio dello
Stato dopo l'espulsione disposta per l'omesso rinnovo della richiesta
del permesso di soggiorno);
        che la denunziata sproporzione non sarebbe dimostrata neppure
dal  raffronto istituito con le pene previste dall'art. 650 cod. pen.
o  dall'art. 2  della  legge  n. 1423  del  1956,  poiche'  la  norma
censurata,   a   differenza  dei  tertia  comparationis  evocati  dal
rimettente,  «non  potrebbe  essere  ricondotta alla sfera della mera
inosservanza  del provvedimento dell'autorita', essendo la violazione
del   decreto  di  espulsione  elemento  costitutivo  della  condotta
penalmente rilevante»;
        che  non  sussisterebbe, infine, la denunciata violazione del
terzo  comma dell'art. 27 Cost., poiche' la funzionalita' rieducativa
della  pena, anche sotto lo specifico profilo della proporzionalita',
potrebbe  essere  assicurata  dal giudice della cognizione attraverso
una   congrua   scelta  di  quantificazione  nell'ambito  dei  limiti
edittali;
        che  il Tribunale di Trieste in composizione monocratica, con
ordinanza  del  26 luglio 2005 (r.o. n. 538 del 2005), ha sollevato -
in  riferimento  agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. - questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 13, del d.lgs. n. 286
del  1998,  come  sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del 2004,
nella  parte  in  cui  prevede la pena minima della reclusione per un
anno  per lo straniero espulso che rientri nel territorio dello Stato
senza la speciale autorizzazione del Ministro dell'interno;
        che  il  rimettente, chiamato a celebrare con rito abbreviato
il  giudizio  nei  confronti  di  uno straniero imputato del reato di
indebito  reingresso,  giudica  la  questione  rilevante  nel caso di
specie,   «atteso  che  l'esame  del  materiale  probatorio  in  atti
condurrebbe ad un giudizio di colpevolezza dell'imputato»;
        che  la  questione  e' argomentata, in punto di non manifesta
infondatezza,   mediante  citazione  letterale  ed  esplicita  di  un
provvedimento  deliberato  dal  Tribunale  di  Gorizia,  il cui testo
corrisponde  a  quello  dell'ordinanza  r.o.  n. 317  del 2005, sopra
illustrato;
        che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto nel
giudizio con atto depositato il 29 novembre 2005;
        che,  secondo  la  difesa  erariale,  la  questione  proposta
sarebbe  inammissibile,  in  ragione  dell'omessa  descrizione  della
concreta  fattispecie  sottoposta  a  giudizio  e  dell'insufficiente
motivazione in punto di rilevanza;
        che   si   tratterebbe  comunque,  a  parere  dell'Avvocatura
generale, di una questione infondata, considerato che il legislatore,
con  l'incremento delle pene per l'indebito reingresso nel territorio
dello  Stato,  avrebbe esercitato la propria discrezionalita' in modo
non  manifestamente  irragionevole,  delineando  anzi  un trattamento
coerente   con   la  gravita'  del  fatto  e  con  le  corrispondenti
determinazioni   assunte,  attraverso  la  modifica  del  comma 5-ter
dell'art. 14  del d.lgs. n. 286 del 1998, per la condotta di indebito
trattenimento;
        che la denunziata sproporzione, per altro verso, non potrebbe
essere   dimostrata  mediante  il  raffronto  con  le  pene  previste
dall'art. 650  cod.  pen. o dall'art. 2 della legge n. 1423 del 1956,
poiche'  la  norma  censurata,  a differenza dei tertia comparationis
evocati  dal  rimettente,  si  caratterizza  per  la  complessita'  e
rilevanza  degli  interessi  tutelati, tra i quali l'efficienza della
politica di controllo dei flussi migratori e l'osservanza dei vincoli
internazionali assunti in materia;
        che  il Tribunale di Gorizia in composizione monocratica, con
tre   ordinanze   di   tenore   sostanzialmente  analogo,  deliberate
rispettivamente il 25 ottobre 2005 (r.o. n. 8 del 2006), il 1° aprile
2006  (r.o.  n. 36  del  2007)  ed  il 16 maggio 2006 (r.o. n. 37 del
2007),  ha sollevato - in riferimento agli artt. 2, 3, 10 e 27, terzo
comma, Cost. - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13,
comma 13,  del  d.lgs.  n. 286  del 1998, come sostituito dall'art. 1
della  legge  n. 271  del  2004,  nella  parte in cui prevede la pena
minima  della  reclusione  per  un  anno per lo straniero espulso che
rientri  nel  territorio dello Stato senza la speciale autorizzazione
del Ministro dell'interno;
        che  il  rimettente,  chiamato in ciascuno dei procedimenti a
quibus  a  celebrare il giudizio nei confronti di cittadini stranieri
accusati  del  reato  di  indebito  reingresso,  ed  in particolare a
pronunciare  sentenza  di  rito  abbreviato  od  a valutare richieste
congiunte  di  applicazione  della  pena  ai sensi dell'art. 444 cod.
proc.  pen., dubita della legittimita' costituzionale della norma che
fissa il valore minimo della sanzione, ritenendolo sproporzionato per
eccesso rispetto alla gravita' effettiva dei fatti contestati;
        che l'esercizio razionale della discrezionalita' legislativa,
secondo  il  Tribunale,  impone  congruenza  tra  i  vantaggi sociali
assicurati  mediante  la  comminatoria  della  pena ed i danni che la
conseguente  irrogazione  provoca  per  i  diritti  fondamentali  del
condannato;
        che  detta  congruenza,  sempre  a  parere del rimettente, e'
necessaria   affinche'   la   pena,   fin  dalla  fase  dell'astratta
determinazione  dei  valori  edittali,  possa  esplicare un'efficacia
rieducativa;
        che  invece,  nel  caso  di specie, la sanzione sarebbe stata
determinata   dal   legislatore   senza  alcun  riguardo  ai  profili
sostanziali  del  fatto,  ed  allo scopo piuttosto di assicurare, pur
dopo  la  sentenza  della  Corte  costituzionale  n. 223 del 2004, un
severo trattamento processuale per i reati in materia di immigrazione
(ed in particolare l'arresto obbligatorio);
        che  la previsione sanzionatoria adottata, secondo il giudice
a  quo,  sarebbe  esorbitante  perfino  con  riguardo  alla finalita'
dichiarata e perseguita dal legislatore, dato che l'applicabilita' di
una misura cautelare personale (necessaria perche' sia ammissibile un
precedente  arresto)  e' condizionata dalla misura massima della pena
prevista   per   ciascun   reato,  e  dunque  non  conferisce  alcuna
giustificazione,   per  quanto  impropria,  al  valore  minimo  della
reclusione per un anno;
        che  la  norma censurata violerebbe l'art. 3 Cost., oltre che
per    il   difetto   di   ragionevolezza,   anche   per   l'indebita
discriminazione   istituita   tra  cittadini  comunitari  e  soggetti
extracomunitari,  in  quanto  i  primi,  nel  caso  di violazione dei
provvedimenti  amministrativi  dati  per  ragioni di ordine pubblico,
sarebbero  puniti  con blande sanzioni contravvenzionali (come accade
nei  casi  previsti dall'art. 650 cod. pen. e dall'art. 2 della legge
n. 1423  del 1956), mentre gli stranieri extracomunitari, a fronte di
comportamenti  che  il  rimettente  considera assimilabili, sarebbero
puniti  con  le  sanzioni  ben  piu'  severe  della  norma oggetto di
censura;
        che  il  Tribunale  prospetta  anche ulteriori violazioni del
terzo  comma dell'art. 27 Cost, in quanto la sanzione penale verrebbe
applicata, nei casi in esame, «in mancanza di soggettivita' criminale
da rieducare» (trattandosi di condotte dovute a condizioni di estremo
bisogno,  e  non  ad una determinazione criminosa od alla volonta' di
recare danni a terzi), e non avrebbe senso, d'altra parte, dispiegare
attivita'  istituzionalmente deputate all'inserimento nella comunita'
nazionale per soggetti cui l'ordinamento preclude, in via definitiva,
ogni   possibilita'   di  soggiorno  nel  territorio  dello  Stato  e
dell'Unione europea;
        che sarebbero infine violati, sempre a parere del rimettente,
gli  artt. 2  e  10  Cost.,  che  garantiscono i «diritti inviolabili
dell'uomo  tra i quali rientra evidentemente il diritto alla liberta'
individuale»,  non  essendo  dubitabile che, «in ragione dell'art. 10
della   Costituzione,  tali  principi  fondamentali  spieghino  piena
vigenza  anche  nei confronti degli stranieri presenti nel territorio
della Repubblica»;
        che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  in
ciascuno    dei   tre   giudizi   indicati,   con   atti   depositati
rispettivamente  il  13 febbraio  2006  (r.o.  n. 8  del  2006) ed il
13 marzo 2007 (r.o. numeri 36 e 37 del 2007);
        che,  secondo  la  difesa erariale, la questione proposta nel
giudizio  concernente  l'ordinanza  r.o.  n. 8 del 2006 e' infondata,
considerato  che  il  legislatore,  con  l'incremento  delle pene per
l'indebito  reingresso nel territorio dello Stato, avrebbe esercitato
la propria discrezionalita' in modo non manifestamente irragionevole,
delineando  anzi  un trattamento coerente con la gravita' del fatto e
con  le corrispondenti determinazioni assunte, attraverso la modifica
del  comma 5-ter  dell'art. 14  del  d.lgs. n. 286 del 1998, circa la
condotta di indebito trattenimento;
        che la denunziata sproporzione, per altro verso, non potrebbe
essere   dimostrata  mediante  il  raffronto  con  le  pene  previste
dall'art. 650  cod.  pen. o dall'art. 2 della legge n. 1423 del 1956,
poiche'  la  norma  censurata,  a differenza dei tertia comparationis
evocati  dal  rimettente,  si  caratterizza  per  la  complessita'  e
rilevanza  degli  interessi  tutelati, tra i quali l'efficienza della
politica di controllo dei flussi migratori e l'osservanza dei vincoli
internazionali assunti in materia;
        che  l'Avvocatura dello Stato, infine, ritiene «incongruenti,
apodittiche   e   comunque   prive   di   consistenza  giuridica»  le
considerazioni   del  rimettente  circa  una  presunta  mancanza  «di
soggettivita'  criminale  da  rieducare»  nei confronti di coloro che
violano  le  leggi sull'immigrazione, osservando come la stessa Corte
costituzionale  abbia  piu'  volte  rilevato  che  le  ragioni  della
solidarieta'  umana  vanno bilanciate con altre esigenze di rilevanza
costituzionale,  le  quali  potrebbero essere frustrate attraverso la
tolleranza di situazioni illegali;
        che, relativamente alle due ulteriori questioni sollevate dal
Tribunale  di  Gorizia  (r.o.  numeri  36  e  37 del 2007), la difesa
erariale   ha   concluso  nel  senso  della  manifesta  infondatezza,
sviluppando  argomenti  analoghi a quelli svolti per l'intervento nel
giudizio concernente l'ordinanza r.o. n. 338 del 2005, che gia' sopra
sono stati illustrati;
        che  il Tribunale di Gorizia in composizione monocratica, con
ordinanza  del  3 novembre 2005 (r.o. n. 23 del 2006), ha sollevato -
in  riferimento  agli  artt. 2,  3,  10  e  27,  terzo comma, Cost. -
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 13, del
d.lgs.  n. 286  del  1998,  come  sostituito  dall'art. 1 della legge
n. 271  del  2004,  nella  parte  in cui prevede la pena minima della
reclusione  per  un  anno  per  lo  straniero espulso che rientri nel
territorio  dello Stato senza la speciale autorizzazione del Ministro
dell'interno;
        che il rimettente, chiamato a celebrare con rito direttissimo
il  giudizio  nei confronti di due cittadini extracomunitari accusati
del reato di indebito reingresso, deve valutare una loro richiesta di
applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., sulla
quale  e' gia' intervenuto consenso del pubblico ministero, e ritiene
che  la  sanzione  da  applicare,  pur  nel  suo  minimo  valore, sia
sproporzionata per eccesso rispetto alla gravita' effettiva del fatto
contestato;
        che  il  giudice  a  quo  argomenta,  a  proposito  della non
manifesta  infondatezza  della  questione sollevata, mediante rilievi
pressoche'  coincidenti, anche in senso testuale, con parte di quelli
sviluppati  nell'ambito  di altra ordinanza dello stesso Tribunale di
Gorizia (r.o. n. 8 del 2006), che poco sopra e' stata illustrata;
        che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto nel
giudizio  con atto depositato il 28 febbraio 2006, il quale riproduce
sostanzialmente,   nella   motivazione   e  nelle  richieste,  quello
predisposto  per l'intervento nel giudizio r.o. n. 317 del 2005, gia'
descritto a suo tempo;
        che  il Tribunale di Trieste in composizione monocratica, con
dodici  ordinanze  di  tenore  sostanzialmente  analogo  - deliberate
rispettivamente  il  5 dicembre  2005  (r.o.  n. 285  del  2006),  il
14 gennaio 2006 (r.o. n. 287 del 2006), il 23 marzo 2006 (r.o. n. 454
del  2006), il 31 marzo 2006 (r.o. n. 455 del 2006), il 5 aprile 2006
(r.o.  n. 456  del 2006), il 6 aprile 2006 (r.o. n. 457 del 2006), il
21 aprile 2006 (r.o. n. 458 del 2006), il 29 maggio 2006 (r.o. n. 503
del  2006),  il  24 ottobre  2006  (r.o.  nn. 262 e 263 del 2007), il
15 novembre  2006  (r.o. n. 456 del 2007) e il 18 dicembre 2006 (r.o.
n. 457  del  2007)  - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27,
terzo   comma,   Cost.,   questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 13,  comma 13,  del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito
dall'art. 1  della  legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede
la  pena  della  reclusione  da  uno  a quattro anni per lo straniero
espulso  che  rientri  nel  territorio  dello Stato senza la speciale
autorizzazione del Ministro dell'interno;
        che  il  rimettente,  chiamato in ciascuno dei procedimenti a
quibus  a  celebrare il giudizio nei confronti di cittadini stranieri
accusati  del  reato  di  indebito  reingresso,  ed  in particolare a
pronunciare  sentenza  di  rito  abbreviato  od  a valutare richieste
congiunte  di  applicazione  della  pena  ai sensi dell'art. 444 cod.
proc.  pen., ritiene i valori edittali della sanzione sproporzionati,
per eccesso, rispetto alla gravita' effettiva dei fatti contestati;
        che,  secondo  il  Tribunale, la discrezionalita' legislativa
deve  essere  esercitata  secondo  criteri  di ragionevolezza, con la
conseguente  necessita',  sul  piano  delle  scelte sanzionatorie, di
assicurare  una  proporzione  fra  la  previsione  di pena e l'offesa
recata dalle condotte incriminate, tale da escludere che la punizione
produca,   per   l'individuo   aggressore   e   per  i  suoi  diritti
fondamentali,   danni   «sproporzionatamente  maggiori  dei  vantaggi
ottenuti (o da ottenere)» in termini di tutela del bene protetto;
        che   proprio   una   siffatta  sproporzione,  a  parere  del
rimettente,  segna  la  disciplina  dell'indebito  reingresso dopo la
riforma  attuata  con  la  legge n. 271 del 2004, posto che il minimo
edittale  attualmente  previsto  dal comma 13 dell'art. 13 del d.lgs.
n. 286  del 1998 corrisponde al precedente massimo, senza che emerga,
neppure  dai  lavori  parlamentari,  una  giustificazione sostanziale
dell'inasprimento;
        che  il  giudice a quo prospetta l'incongruenza degli attuali
valori  edittali  della  pena  anche considerando che sono identici a
quelli  previsti  dalla  prima  parte  del  comma 13-bis  del  citato
art. 13,  sebbene  tale  norma riguardi l'indebito reingresso dopo un
provvedimento  espulsivo  adottato  dal  giudice,  e  cioe'  un fatto
ritenuto  ben  piu'  grave  di  quello  in  considerazione, in quanto
presuppone   che  un  reato  sia  stato  commesso  o  almeno  che  un
procedimento penale sia stato aperto nei confronti dell'espulso;
        che  l'entita'  della  sanzione edittale pregiudicherebbe non
solo  il valore costituzionale dell'uguaglianza, ma anche l'effettiva
capacita'  della  pena di operare per la rieducazione del condannato,
essendo  funzionali  in  tal  senso solo le sanzioni proporzionate al
fatto,   mentre,   nella  specie,  la  commisurazione  sarebbe  stata
disancorata  dagli  ordinari  parametri di riferimento, ed operata al
solo  fine  di  introdurre, per il reato in questione, un piu' severo
trattamento    processuale    (con    la    previsione   dell'arresto
obbligatorio);
        che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  in
ciascuno   dei   dodici   giudizi   indicati,   con  atti  depositati
rispettivamente  il  26 settembre 2006 (r.o. nn. 285 e 287 del 2006),
il  28 novembre 2006 (r.o. nn. 454, 455, 456, 457 e 458 del 2006), il
12 dicembre  2006  (r.o.  n. 503  del  2006),  il 16 maggio 2007(r.o.
nn. 262  e 263 del 2007) ed il 17 luglio 2007 (r.o. nn. 456 e 457 del
2007);
        che con gli atti indicati, di tenore sostanzialmente analogo,
la difesa erariale ha concluso nel senso della manifesta infondatezza
delle  questioni  sollevate,  riprendendo gli argomenti gia' proposti
con  l'intervento spiegato nel giudizio pertinente all'ordinanza r.o.
n. 338 del 2005, dei quali si e' dato conto in precedenza.
    Considerato  che i Tribunali di Gorizia e Trieste, con otto delle
ordinanze  indicate in epigrafe (r.o. numeri 317, 338 e 538 del 2005,
numeri  8, 23, 43 del 2006, numeri 36 e 37 del 2007), hanno sollevato
- in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione -
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 13, del
decreto   legislativo  25 luglio  1998,  n. 286  (Testo  unico  delle
disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e norme
sulla condizione dello straniero) - come sostituito dall'art. 1 della
legge   12 novembre   2004,   n. 271   (Conversione   in  legge,  con
modificazioni,  del  decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante
disposizioni urgenti in materia di immigrazione) - nella parte in cui
prevede  la  pena  minima  della  reclusione  pari  ad un anno per lo
straniero  espulso  che  rientri  nel territorio dello Stato senza la
speciale autorizzazione del Ministro dell'interno;
        che la stessa norma e' stata censurata, dal solo Tribunale di
Gorizia, anche con riferimento agli artt. 2 e 10 Cost. (r.o. numeri 8
e 23 del 2006, e numeri 36 e 37 del 2007);
        che  il  Tribunale di Trieste, con dodici ulteriori ordinanze
(r.o. numeri 285, 287, 454, 455, 456, 457, 458 e 503 del 2006, numeri
262,  263,  456  e  457  del 2007), ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3   e   27,  terzo  comma,  Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 13,  comma 13,  del d.lgs. n. 286 del 1998,
come  sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte
in  cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo
straniero  espulso  che  rientri  nel territorio dello Stato senza la
speciale autorizzazione del Ministro dell'interno;
        che   tutte   le  questioni  indicate  riguardano  l'asserita
sproporzione per eccesso del trattamento sanzionatorio previsto dalla
medesima  norma  incriminatrice, di talche' puo' disporsi la riunione
dei relativi giudizi;
        che,  in  epoca  successiva  alle ordinanze di rimessione, la
norma censurata e' stata modificata dall'art. 2, comma 1, lettera c),
del  decreto  legislativo  8 gennaio  2007,  n. 5  (Attuazione  della
direttiva   2003/86/CE   relativa   al  diritto  di  ricongiungimento
familiare);
        che  il  divieto  per lo straniero espulso di far rientro nel
territorio  dello Stato senza la speciale autorizzazione del Ministro
dell'interno  non  opera  piu',  in ragione della riforma, riguardo a
coloro   per  i  quali  sia  stato  autorizzato  il  ricongiungimento
familiare  ai  sensi  dell'art. 29 del d.lgs. n. 286 del 1998, sempre
che  la  pregressa  espulsione  sia  stata  disposta  dal prefetto in
applicazione  delle  lettere a)  o  b) del comma 2 dell'art. 13 dello
stesso t.u. in materia di immigrazione;
        che  l'inserimento  nella  fattispecie  incriminatrice  di un
ulteriore  presupposto  negativo  della  condotta  ha  modificato  la
fisionomia  del  comportamento  delittuoso,  limitando  la  rilevanza
penale   del   reingresso   ai   soli   casi   in  cui  lo  straniero
precedentemente   espulso   non  abbia  conseguito  ne'  la  speciale
autorizzazione ministeriale ne' l'autorizzazione al ricongiungimento;
        che  la  nuova  disciplina e' suscettibile di applicazione ai
fatti commessi in epoca antecedente alla riforma, secondo il disposto
del secondo comma dell'art. 2 del codice penale;
        che,  pertanto,  gli atti devono essere restituiti ai giudici
rimettenti   affinche'  procedano  ad  una  nuova  valutazione  della
rilevanza  delle  questioni  sollevate, posto che le disposizioni sul
trattamento    sanzionatorio    presuppongono,    per   la   relativa
applicazione, un giudizio di perdurante rilievo penale delle condotte
contestate.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Ordina  la  restituzione  degli  atti  ai  Tribunali di Gorizia e
Trieste.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2007.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Silvestri
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 14 novembre 2007.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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