N. 407 ORDINANZA 21 - 30 novembre 2007

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale - Decreto penale di condanna - Effetto estintivo del
  reato  -  Condizioni  -  Mancata previsione che l'effetto estintivo
  previsto dall'art. 460, comma 5, cod. proc. pen., non si produca se
  la  persona nei cui confronti la pena e' stata comminata si sottrae
  volontariamente  alla  sua  esecuzione  - Denunciata violazione del
  principio  di  ragionevolezza - Lamentata disparita' di trattamento
  rispetto  alla disciplina dell'applicazione della pena su richiesta
  -  Petitum  volto  a  restringere  l'effetto  estintivo  del  reato
  previsto  dalla norma censurata e che si risolve nella richiesta di
  una pronuncia additiva in malam partem - Manifesta inammissibilita'
  della questione.
- Cod.  proc. pen., art. 460, comma 5; d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271,
  art. 136.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.47 del 5-12-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta  dai  signori:  Presidente:  Franco  BILE; Giudici: Giovanni
Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Paolo MADDALENA,
Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA,
Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe
TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO; ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 460, comma 5,
del  codice  di  procedura  penale  e  136 del decreto legislativo 28
luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, coordinamento e transitorie
del  codice  di  procedura  penale),  promosso  con ordinanza dell'11
settembre  2002 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di  Grosseto  nel  procedimento di esecuzione nei confronti di A. B.,
iscritta  al  n. 341  del  registro ordinanze 2005 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 28,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2005.
Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  7  novembre 2007 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che, con l'ordinanza indicata in epigrafe, il giudice per le
indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Grosseto  ha sollevato, in
riferimento  all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  degli  artt.  460,  comma  5, del codice di procedura
penale  e 136 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione,
coordinamento  e  transitorie del codice di procedura penale), «nella
parte  in  cui  non prevedono, quale limite all'effetto estintivo del
decreto  penale  non  opposto,  l'essersi  volontariamente  sottratto
all'esecuzione della pena inflitta con il provvedimento di condanna»;
     che il giudice a quo ha premesso di essere chiamato a deliberare
-  quale  giudice  dell'esecuzione penale - la richiesta del pubblico
ministero  finalizzata,  in applicazione dell'art. 460, comma 5, cod.
proc.  pen.,  alla declaratoria di estinzione di un decreto penale di
condanna,  gia'  esecutivo,  con  il  quale  era  stato  irrogata una
condanna  alla  pena  della  multa:  cio'  dopo  che il magistrato di
sorveglianza - cui, in origine, erano stato trasmessi gli atti per la
conversione  della  pena, dopo l'accertamento della impossibilita' di
esazione   della   pena   pecuniaria  -  aveva  restituito  gli  atti
all'ufficio  del  pubblico  ministero,  poiche' riteneva che si fosse
verificata,  quale effetto della citata norma censurata, l'estinzione
del  reato,  non  risultando  altre  condanne  a  carico del medesimo
soggetto;
     che  il  rimettente  evidenzia  la  ratio  e  le  origini  della
disposizione  del  comma 5 dell'art. 460 cod. proc. pen., rammentando
come essa - introdotta nel codice di rito attraverso l'art. 37, comma
2,  della legge 16 dicembre 1999, n. 479 - tendesse ad incentivare il
ricorso  al  rito  speciale,  attraverso l'ulteriore profilo premiale
rappresentato,  appunto,  dall'estinzione  del reato: con conseguente
cessazione  di  tutti  gli  effetti penali e possibilita' di accedere
successivamente  al  beneficio  della  sospensione condizionale della
pena,  se  -  nel termine di cinque anni per i delitti, o di due anni
per le contravvenzioni - l'imputato non avesse commesso altro delitto
o altra contravvenzione della stessa indole;
     che,  secondo  il giudice a quo, tale effetto appare modellato -
al pari di tutti gli altri meccanismi di incentivazione del rito (tra
i  quali,  l'  impossibilita'  di  richiedere  e  di  applicare,  con
l'emissione  del  provvedimento  di  condanna, le pene accessorie; la
limitazione  della  confisca alle sole ipotesi dell'art. 240, secondo
comma,  del  codice  penale;  l'esenzione  dalle spese processuali) -
sugli  identici  benefici  previsti  per  la sentenza di applicazione
della  pena  su  richiesta  delle parti, cosi' come si evince, per il
beneficio  dell'estinzione  del  reato,  dal  disposto dell'art. 445,
comma 2, del codice di rito penale;
     che,  a  parere  del  giudice  a  quo,  quindi, «gli effetti del
decreto  penale di condanna sono praticamente sovrapponibili a quelli
del  c.d.  «patteggiamento»  elencati  nell'art.  445  c.p.p.»; e, in
particolare, la disciplina dell'art. 460, comma 5, «appare modellata»
su  quella, peraltro preesistente, dell'art. 445, comma 2, cod. proc.
pen., in tema di sentenza di «patteggiamento»;
     che  tuttavia  - argomenta ancora il rimettente - proprio questa
totale conformita' di disciplina suscita il dubbio della legittimita'
costituzionale  dell'art.  460,  comma  5,  cod.  proc. pen.: invero,
mentre  la  corrispondente disciplina dell'applicazione della pena su
richiesta delle parti risulta integrata e bilanciata dalla previsione
dell'art.  136  disp.  att.  cod.  proc.  pen.  -  a  norma del quale
l'effetto  estintivo  dell'art.  445, comma 2, cod. proc. pen. non si
produce se la persona nei cui confronti la pena e' stata applicata si
sottrae  volontariamente  alla  sua  esecuzione,  cosi'  sanzionando,
attraverso  la perdita di uno dei benefici del rito, l'inottemperanza
al  decisum  giudiziale  -  analoga  norma  non  e'  prevista  per il
procedimento   per  decreto;  con  la  paradossale  conseguenza  che,
nonostante il mancato pagamento della pena pecuniaria inflitta con il
decreto  penale  di  condanna,  il  condannato  potra'  continuare  a
beneficiare  -  sussistendone  le  condizioni di legge - dell'effetto
estintivo previsto dall'art. 460, comma 5, cod. proc. pen;
     che  la mancata estensione del limite all'effetto estintivo - di
cui  all'art.  136  disp.  att. cod. proc. pen. - al procedimento per
decreto  penale, a parere del rimettente, violerebbe sotto un duplice
profilo  l'art.  3  della  Costituzione: difettando, per un verso, di
ragionevole  giustificazione;  e  disciplinando,  per altro verso, in
maniera diversa situazioni sostanzialmente assimilabili;
     che,  sotto  quest'ultimo  profilo, il giudice a quo rileva come
l'effetto   estintivo   del   reato   -  nell'ipotesi  di  volontaria
sottrazione  all'esecuzione  -  venga  a  dipendere  dal tipo di rito
applicato; e, inoltre, come contrasti con il principio di eguaglianza
la   circostanza   che   il  condannato,  il  quale  ha  puntualmente
ottemperato al provvedimento di condanna, pagando la pena pecuniaria,
possa beneficiare - al ricorrere dei presupposti di cui all'art. 460,
comma  5,  cod. proc. pen. - dell'effetto estintivo del reato al pari
di  colui  che, viceversa, «elude volontariamente il provvedimento di
condanna»,  evitando  anche  la  conversione  della pena pecuniaria e
cosi' «ottenendo un doppio vantaggio»;
     che un ulteriore profilo di irragionevolezza e' da ravvisarsi, a
parere del rimettente, nella circostanza che - nonostante l'emissione
del  decreto  penale di condanna presupponga un accertamento espresso
della  responsabilita'  dell'imputato, a differenza dell'accertamento
solo   implicito   che   connota  la  sentenza  emessa  in  esito  al
«patteggiamento»  -  l'effetto dell'estinzione del reato si realizza,
nel  primo caso e non nel secondo, anche nei confronti del condannato
che  si sia volontariamente sottratto all'esecuzione, per effetto del
solo decorso del tempo e della «buona condotta».
Considerato  che il giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di  Grosseto,  in  funzione  di  giudice  dell'esecuzione, dubita, in
riferimento   all'art.   3  della  Costituzione,  della  legittimita'
costituzionale  del  combinato disposto degli artt. 460, comma 5, del
codice  di  procedura  penale  e  136  delle  norme di attuazione, di
coordinamento  e  transitorie  del  codice di procedura penale, nella
parte  in  cui  non prevedono, quale limite all'effetto estintivo del
decreto  penale  non opposto, l'essersi il condannato volontariamente
sottratto all'esecuzione della pena inflitta;
     che il dubbio di costituzionalita' viene avanzato tanto sotto il
profilo  della  intrinseca  irragionevolezza della disciplina, quanto
sotto quello della disparita' di trattamento fra situazioni analoghe;
     che, quanto al profilo dell'irragionevolezza, si assume che, per
il  procedimento  monitorio,  non  risulta  riprodotto  il limite che
l'art.  136  disp.  att. cod. proc. pen. detta invece per il rito del
«patteggiamento»,  nel quale l'effetto estintivo non si produce se la
persona  nei  cui  confronti  la  pena  e' stata applicata si sottrae
volontariamente  alla  sua  esecuzione:  cosi'  rendendo,  sul punto,
irragionevolmente   differente  la  disciplina  degli  effetti  della
sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti e quella
del  decreto penale di condanna, perfettamente omologa alla prima per
gli ulteriori benefici premiali;
     che,  quanto  al  profilo  della  disparita'  di trattamento, si
denunzia  che  l'effetto  estintivo del reato viene a dipendere - nei
confronti  di  un  identico comportamento del condannato - unicamente
dal  tipo  di rito applicato; e che, inoltre, il condannato, il quale
ha  puntualmente  ottemperato al provvedimento di condanna pagando la
pena pecuniaria, puo' beneficiare dell'effetto estintivo del reato al
pari  di colui che, viceversa, omette di adempiere volontariamente al
provvedimento di condanna;
     che  il  petitum  avanzato  dal  rimettente  e'  dunque volto ad
estendere al rito monitorio la limitazione dell'effetto estintivo del
reato gia' prevista, per l'applicazione della pena su richiesta delle
parti,  dall'art.  136  delle norme di attuazione, di coordinamento e
transitorie del codice di procedura penale;
     che,  tuttavia,  la  disposizione  di cui all'art. 460, comma 5,
cod.  proc.  pen.,  a  prescindere  dalla  sua  collocazione, riveste
indubbio  carattere di norma sostanziale e non meramente processuale,
in  quanto  -  come  evidenziato  anche dalla sua concorde lettura ad
opera  della  giurisprudenza  di  legittimita'  - incide sulla stessa
esistenza del reato determinandone l'estinzione;
     che,  a  riprova  di  tale qualificazione, la norma censurata e'
stata applicata, secondo l'esegesi del giudice di legittimita', anche
ai  decreti  penali  divenuti  esecutivi prima dell'entrata in vigore
della  novella  di  cui  alla  legge  n. 479  del  1999, in forza del
principio  del  favor  rei di cui all'art. 2, terzo comma, del codice
penale, in materia di successione di leggi penali nel tempo, anziche'
del  principio  del  tempus  regit  actum, che governa la successione
della legge processuale nel tempo;
     che,  pertanto,  il  petitum formulato dal rimettente si risolve
nella  richiesta  di  una  pronuncia  volta  a  restringere l'effetto
estintivo  del  reato previsto dalla norma medesima e, dunque, in una
pronuncia additiva in malam partem in materia penale sostanziale;
     che,  peraltro,  tale  intervento  -  alla  luce  delle costanti
affermazioni di questa Corte (cfr., tra le molte, sentenze n. 394 del
2006 e n. 161 del 2004; ordinanza n. 317 del 2000) - risulta precluso
dal  principio  della  riserva di legge sancito nell'art. 25, secondo
comma,  della Costituzione, il quale impedisce, tra l'altro, anche di
«incidere  in  peius  sulla  risposta  punitiva o su aspetti comunque
inerenti  alla  punibilita»,  cosi'  come avverrebbe con la pronuncia
additiva invocata dall'odierno rimettente;
     che  la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente
inammissibile.
Visti  gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
e  9,  comma  2,  delle  norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  degli artt. 460, comma 5, del codice di
procedura  penale  e  136 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di
attuazione,  coordinamento  e  transitorie  del  codice  di procedura
penale), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal
giudice  per  le  indagini  preliminari del Tribunale di Grosseto con
l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 novembre 2007.
                         Il Presidente: Bile
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 30 novembre 2007.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola