N. 815 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 aprile 2007
Ordinanza dell'11 aprile 2007 emessa dal Tribunale di Fermo nel procedimento penale a carico di Bonfigli Stefania Processo penale - Giudizio abbreviato - Utilizzabilita', ai fini della decisione sul merito dell'imputazione, degli atti di investigazione difensiva a contenuto dichiarativo, unilateralmente assunti, in assenza di situazioni riconducibili ai paradigmi di deroga al contraddittorio dettati dall'art. 111, comma quinto, Cost. - Violazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova, nella parita' delle armi - Irrazionalita', incompatibilita' ed incoerenza sistemica. - Codice di procedura penale, art. 442, comma 1-bis, richiamato dall'art. 556, comma 1, del medesimo codice. - Costituzione, artt. 3 e 111, commi secondo e quarto.(GU n.1 del 2-1-2008 )
IL TRIBUNALE Ha pronunziato la seguente ordinanza nel procedimento penale n. 104/2007 a carico di Bonfigli Stefania n. 27 maggio 1965 a Fermo, via Italia n. 55, libera contumace, difesa dall'avv. Anna Beatrice Indiveri del Foro di Fermo, di fiducia, imputata del delitto p. e p. dall'art. 486 c.p. perche', al fine di procurare a se' un vantaggio, abusando di un foglio firmato in bianco da Bastarelli Massimo, lo compilava per scopi propri, utilizzandolo mediante consegna al proprio legale per farne uso in sede giudiziale allo scopo di sostenere che il Bastarelli aveva rinunciato a qualsiasi credito verso essa Bonfigli e si era riconosciuto debitore della Bonfigli per eventuale somma che la stessa fosse stata chiamata a sborsare successivamente all'uscita dalla societa'. In Fermo, in epoca precedente e prossima al febbraio 2003. Con la partecipazione della parte civile, Bastarelli Massimo, avv. Stefano Girotti Pucci. Premesso in fatto che, il pubblico ministero in sede esercitava l'azione penale mediante citazione diretta a giudizio dell'imputata Bonfigli, in ordine al reato di falso specificato in rubrica; che, prima dell'apertura del dibattimento, l'avv. Indiveri, difensore e procuratore speciale dell'imputata, comunicava di aver svolto attivita' di investigazione difensiva, di cui ai verbali di assunzione di informazioni, ex artt. 391-bis e 391-ter, comma 3 c.p.p., contenuti nel fascicolo del difensore di cui all'art. 391-octies c.p.p., che depositava per l'inserimento nel fascicolo di cui all'art. 433 c.p.p. e, contestualmente, avanzava rituale richiesta di giudizio abbreviato (non condizionato); che, lo stesso difensore precisava che i predetti atti di investigazione, nell'ottica difensiva, erano rilevanti ai fini della prova dei fatti per cui e' processo e ne chiedeva - in conformita' a consolidati indirizzi interpretativi - l'utilizzazione ai fini della decisione sul merito dell'imputazione; che il giudice, in assenza di vizi formali della richiesta, ordinava, doverosamente (artt. 438, comma 4, 556, comma 2 c.p.p.) procedersi al giudizio abbreviato; il rito veniva accettato dalla parte civile; che il p.m. d'udienza faceva dar atto, per quanto potesse rilevare, del proprio dissenso all'utilizzazione ai fini decisori degli atti unilateralmente raccolti dalla difesa (e analogo dissenso veniva manifestato dalla parte civile); che il giudice sollevava d'ufficio la questione di illegittimita' costituzionale - per violazione degli artt. 3 e 111, secondo e quarto comma della Costituzione - dell'art. 442, comma 1-bis, richiamato dall'art. 556, comma 1 c.p.p., nella parte in cui prevede l'utilizzabilita', nel giudizio abbreviato, ai fini della decisione sul merito dell'imputazione - in assenza di situazioni riconducibili ai paradigmi di deroga al contraddittorio dettati dall'art. 111, quinto comma Cost. - degli atti di investigazione difensiva a contenuto dichiarativo, unilateralmente assunti. Motivi Rilevanza della questione La questione sicuramente rilevante nel giudizio in quanto, in caso di accoglimento, tra il novero degli atti a sfondo probatorio utilizzabili ai fini della decisione non potranno essere compresi i verbali di «assunzione di informazione» di cui alle ricordate investigazioni difensive, inseriti nel fascicolo di cui all'art. 433 c.p.p. Essi potranno, al piu', suggerire al giudicante l'esercizio dei poteri probatori officiosi di cui all'art. 441, comma 5 c.p.p. Nell'ottica della rilevanza appare opportuno altresi' evidenziare: A) che l'utilizzabilita' a fini decisori nel procedimento speciale de quo delle indagini effettuate a norma della legge n. 397 del 2000 risponde ad un consolidato - quanto opinabile - indirizzo interpretativo. Non solo: tale utilizzabilita' sembra essere data per scontata dalla stessa Corte costituzionale come emerge in alcune ordinanze emesse in materia ed in particolare nell'ordinanza 24 giugno 2005, n. 245 (si richiama, tra le altre, l'ordinanza n. 57/2005, per il seguente obiter dictum: «i caratteri di fondo del giudizio abbreviato non sono contraddetti dalla maggiore incidenza riservata alle investigazioni difensive dalla legge 7 dicembre 2000, n. 397, in quanto anche tali atti possono essere utilizzati nel corso del giudizio abbreviato al pari degli atti raccolti dal pubblico ministero nel corso del giudizio abbreviato al pari degli atti raccolti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari»); B) che nel caso di specie, con riferimento ai verbali di informazioni assunti dalla difesa, non risulta, e non e' stata neanche invocata, alcuna ipotesi di impossibilita' di natura oggettiva o provata condotta illecita, che giustifichino la deroga al principio di formazione della prova in contraddittorio; inoltre, la controparte (essenzialmente il p.m.) non ha dato il consenso alla utilizzabilita', ne' e' intervenuta una rinunzia al contraddittorio con riferimento a detti atti unilateralmente assunti (il dissenso espresso dal p.m. d'udienza, pur ultroneo, esclude qualsiasi dubbio al riguardo). Non manifesta infondatezza della questione Il principio costituzionale del «contraddittorio nella formazione della prova» nella «partia delle armi» (art. 111, secondo e quarto comma Cost.) Il piu' severo ostacolo all'utilizzabilita' degli atti di investigazioni difensive in sede di giudizio abbreviato e' rappresentato dal principio costituzionale del «contraddittorio nella formazione della prova». E' noto che a seguito della riforma costituzionale sul «giusto processo» il processo penale deve essere regolato da tale principio, fatte salve specifiche eccezioni. La Carta costituzionale non fornisce una definizione di «contraddittorio»: spetta pertanto all'interprete il compito di determinarne il significato e le connotazioni. Se, da un lato, devono evitarsi speculazioni del tutto disancorate dal testo normativo di riferimento e dal quadro costituzionale esistente, dall'altro e' innegabile che un margine di opinabilita' e' pur sempre rinvenibile in qualunque «definizione» che si voglia dare al principio in questione. In tale ottica, puo' essere utile l'analisi di chi ha evidenziato come il principio del contraddittorio, «costituzionalizzato» nell'art. 111, presenta almeno due profili, che talora sembrano sovrapporsi e confondersi tra loro. Di tale principio - si sostiene - il nuovo testo della Carta fondamentale accoglie a volte l'aspetto oggettivo, che consiste nel «metodo di accertamento» dei fatti, altre volte l'aspetto soggettivo, che si configura come una garanzia individuale. La singolarita' del nuovo art. 111 sta nel fatto che i due distinti concetti si trovano richiamati alternativamente in un ordine che non pare essere quello logico. Per comprendere, dunque, la giusta portata del principio contenuto nella disposizione in esame e' necessario verificare in che modo l'art. 111 Cost. recepisca il principio del contraddittorio. Il primo enunciato che si impone all'attenzione dell'interprete e' contenuto nella prima parte del medesimo comma 4: «Il processo penale e' regolato dal principio del contraddittorio nella formulazione della prova». Tuttavia, non e' questa l'unica disposizione che riconosce il principio del contraddittorio. Infatti, poche righe piu' sopra, al comma 3, vi e' un enunciato cosi' formulato: «la legge assicura che la persona accusata di un reato (...) abbia facolta' davanti al giudice di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico». Anche questa norma costituisce un espresso riconoscimento del principio del contraddittorio. Occorre allora prendere atto della autonoma consistenza dei due enunciati. Quello contenuto nel comma 4 primo periodo da' una prescrizione di natura oggettiva: e' una norma preposta alla tutela del processo penale ed appare funzionale ad assicurare il contraddittorio inteso come metodo di conoscenza. Viceversa, la regola posta al comma 3 dell'art. 111 da' una prescrizione di tipo soggettivo, funzionale alla tutela dell'imputato. La norma intende assicurare il contraddittorio come garanzia individuale. Preso atto che il principio del contraddittorio assume anche una valenza soggettiva, sarebbe grave errore interpretare tale principio esclusivamente come diritto soggettivo: un diritto soggettivo al contraddittorio, che l'art. 111 avrebbe attribuito essenzialmente all'imputato e non anche alle altre parti, pubbliche o private. In ogni caso, nell'ottica che qui interessa (che e' quella dei parametri costituzionali di cui ai ricordati commi due e quattro dell'art. 111), la storia politico-legislativa della riforma dell'art. 111 Cost. e la collocazione sistematica del principio di elaborazione dialettica della prova non sembrano lasciare dubbi in ordine al fatto che il legislatore costituzionale abbia inteso fare del contraddittorio lo statuto epistemologico della giurisdizione (art. 111, secondo comma Cost.) e, del contraddittorio nella elaborazione della prova, la specificita' della giurisdizione penale (art. 111, quarto comma Cost.). Soltanto nel processo penale, cioe', il contraddittorio deve necessariamente calarsi dentro il momento genetico della prova, farsene «lievito». Disconoscerlo, significa smarrire le ragioni di una disciplina costituzionale autonoma della giurisdizione penale. In termini essenziali, il detto principio indica al legislatore il canone «minimo» di ammissibilita' e legittimita' delle prove penali: e' vietato permettere che i materiali conoscitivi non formati in contraddittorio trovino ingresso nel giudizio per fini decisori. Per tutti gli altri scopi (cioe' diversi da quelli decisori sul merito dell'accusa) non si rinvengono particolari limitazioni. L'ultima affermazione va rimarcata: la «prova» a cui fa riferimento il comma 4 dell'art. 111 Cost. e' «la prova che consente di pronunciarsi sul merito della res iudicanda», «la prova per condannare o per assolvere» e non «qualunque esperimento gnoseologico». Restano fuori dall'ambito della previsione costituzionale le norme che prevedono decisioni incidentali (sulla misura cautelare, sull'intercettazione telefonica, sull'incidente probatorio, sulla ricusazione o sulla rimessione, sulla proroga delle indagini, ecc.) o processuali (archiviazione, sentenza di non luogo a procedere, sentenza di incompetenza) che, allo stato della normativa ordinaria, si possono fondare su «esperimenti gnoseologici» non elaborati in contraddittorio. La ricordata portata precettiva dell'art. 111, quarto comma Cost. rappresenta, pertanto, anche il limite di tale inutilizzabilita'. Alla luce di quanto sopra, infatti, sono ipotizzabili usi costituzionalmente compatibili degli atti di investigazione difensiva, anche nel giudizio abbreviato. Ad esempio, il difensore potra' certamente utilizzare gli atti contenuti nel proprio fascicolo per sollecitare l'esercizio dei poteri istruttori del giudice ai sensi dell'art. 441, comma 5 c.p.p. Tornando al senso e alla portata del principio del contraddittorio, va detto che il termine «contraddittorio» evoca una sfida, una contrapposizione o, meglio, l'esistenza di soggetti portatori di interessi (potenzialmente) contrapposti. Ne consegue che se le prove vanno formate secondo il principio in questione, l'attivita' processuale inerente non puo' essere attribuita ad uno solo degli «antagonisti» ne', ed a maggior ragione, al giudice, che deve rimanere per definizione terzo ed imparziale rispetto alla materia del contendere (art. 111, secondo comma Cost.). Pertanto la formazione della prova deve essere affidata congiuntamente solo a coloro che, nel processo penale, hanno e possono avere un interesse connesso al merito: le parti. Se cosi' e', allora non vi sara' alcun rispetto del contraddittorio se la prova non e' riconducibile ad una attivita' processuale e congiunta delle parti. Detto in termini espliciti, gli elementi probatori formati unilateralmente non sono e, dunque, non possono mai essere considerati come prove assunte in contraddittorio. Conseguentemente devono ritenersi incostituzionali tutte quelle disposizioni che surrettiziamente consentano l'utilizzabilita' ai fini del giudizio degli atti dichiarativi raccolti unilateralmente. In sintesi, potra' ritenersi conforme al principio del contraddittorio, quella disciplina nella quale: le parti avranno il diritto di formare la prova attraverso una loro partecipazione congiunta nella fase istruttoria; si escludera' la possibilita' di introdurre nel processo e di utilizzare (anche a mezzo di meccanismi surrettizi), per fondare la decisione sul merito, il materiale probatorio unilateralmente raccolto dalle parti o comunque non assunto in contraddittorio. Sul punto sembra chiaro il principio affermato, in motivazione, dalla Corte costituzionale nella sentenza 14-26 febbraio 2002, n. 32 (pronunzia riguardante il divieto di testimonianza indiretta di p.g.): «(...) e' profondamente mutato (...), il quadro di riferimento costituzionale, ora integrato dalla previsione, contenuta nella prima parte del quarto comma dell'art. 111 Cost., del principio del contraddittorio nella formazione della prova. Da questo principio, con il quale il legislatore ha dato formale riconoscimento al contraddittorio come metodo di conoscenza dei fatti oggetto del giudizio, deriva quale corollario il divieto di attribuire valore di prova alle dichiarazioni raccolte unilateralmente dagli organi investigativi (ed evidentemente anche dal difensore)». Irrilevanza, ai nostri fini, del consenso dell'imputato quale deroga al principio del contraddittorio. Se cosi' e', una eventuale utilizzabilita' delle prove non assunte dialetticamente, in quanto unilateralmente raccolte in sede di investigazioni difensive, potrebbe essere sostenuta solo se riconducibile alle deroghe a tale principio introdotte dal quinto comma dell'art. 111 Cost. Il catalogo degli enunciati dell'art. 111 Cost. non si ferma, infatti, alla proclamazione del contraddittorio. Il quinto comma stabilisce che la prova e' utilizzabile anche se si e' formata fuori del contraddittorio «per consenso dell'imputato o per accertata impossibilita' di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita». Ci si chiede, allora: quale fondamento costituzionale puo' avere l'elevazione al rango di prova del materiale probatorio raccolto dalla difesa, in assenza di contraddittorio? Tralasciando i casi limite di accertata impossibilita' di natura oggettiva e di provata condotta illecita - che trovano spazio nelle previsioni di cui all'art. 391-decies, comma 1 e 2 c.p.p. - che non rilevano, per le ragioni gia' esposte, in questa sede, va esaminata l'ipotesi di deroga fondata sul consenso dell'imputato. La deroga al contraddittorio fondata sul consenso dell'imputato ha due differenti ambiti applicativi. In primo luogo, essa si riferisce ai riti deflattivi del dibattimento (in primis: il giudizio abbreviato, in cui l'imputato acconsente, essenzialmente, ad essere giudicato sulla base delle risultanze delle indagini svolte dal p.m.). Il secondo spazio operativo della clausola del consenso concerne le possibili ripercussioni nell'ambito del giudizio ordinario (si pensi all'acquisizione degli atti su accordo delle parti ex artt. 493, comma 3, 555, comma 4, 431, comma 2 c.p.p. o ai «mini-patti» acquisitivi dibattimentali). La formulazione generica dell'ipotesi derogatoria in questione, per un verso, potrebbe indurre a ritenere che in Costituzione non si dia alcuna rilevanza al consenso delle parti diverse dall'imputato; per altro verso, potrebbe ingenerare l'erronea convinzione che il mero consenso dell'imputato permetta di derogare al principio del contraddittorio nella formazione della prova. In altre parole, essa sembrerebbe legittimare una norma processuale che, anche nell'ambito del rito ordinano, permettesse l'utilizzazione di prove, formate fuori del contraddittorio, sul solo presupposto del consenso dell'imputato. L'affermazione, tuttavia, puo' essere ridimensionata e correttamente intesa sol che si precisi il significato della parola «consenso». Tale sostantivo, in linguaggio giuridico, indica una manifestazione di volonta' con la quale un soggetto rimuove un limite all'agire altrui nella propria sfera soggettiva. Il consenso sortisce il suo effetto naturale soltanto nei casi in cui l'ordinamento riconosce ad un soggetto la disponibilita' esclusiva di un assetto di interessi. Pertanto, per sua costruzione logica, il consenso dell'imputato puo' valere esclusivamente con riferimento ad elementi potenzialmente contra se in quanto raccolti da altre parti, titolari di un interesse che potrebbe entrare in conflitto con quello dell'imputato in parola. Al riguardo e' stato fondatamente sostenuto che il consenso dell'imputato costituisce una rinuncia al contraddittorio in senso soggettivo ed alla tutela rappresentata dalla inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese da chi ha eluso il confronto con la difesa. Viceversa, il contraddittorio in senso oggettivo - o contraddittorio tout court - resta indisponibile unilateralmente. La rinuncia consensuale alla formazione in contraddittorio della prova ne puo' essere valido succedaneo se proviene dagli stessi soggetti che sarebbero stati protagonisti del contraddittorio. Soltanto con l'accordo di tutte le parti il contraddittorio nella formazione della prova puo' essere oggetto di disposizione, sia pure entro limiti ben precisi (v. ad esempio l'istituto dell'acquisizione concordata degli atti - ex artt. 431, comma 2, 493, comma 3, 555, comma 4 c.p.p. - a cui fa peraltro da contraltare il potere del giudice di disporre d'ufficio l'assunzione dei mezzi di prova relativi agli atti acquisiti, al fine di evitare la legittimazione di una «verita' convenzionale»). Tornando al tema del consenso, cosi' come disciplinato dall'art. 111, quinto comma Cost., occorre ribadire un punto fondamentale. Sarebbe una contraddizione in termini sostenere che il consenso dell'imputato possa legittimare l'acquisizione di elementi a se' favorevoli formati unilateralmente dalla difesa. Sul punto appare pienamente condivisibile la tesi di chi sostiene che non si puo' ritenere, rimanendo filologicamente abbarbicati al testo del quinto comma dell'art. 111 Cost., che questo autorizzi un sistema in cui sia sufficiente il consenso dell'imputato ad operare la trasmutazione genetica di un suo atto di indagine in prova: appare evidente come tale autopromozione probatoria della investigazione di parte sarebbe priva di qualsiasi significato epistemologico. Del resto, la necessita' di ristabilire il sinallagma delle posizioni, nonostante il tenore letterale della norma disinvoltamente sbilanciato, si ricava dallo stesso art. 111 Cost., che al secondo comma - con riferimento alla giurisdizione in genere - precisa che ogni processo deve svolgersi «nel contraddittorio delle parti in condizioni di parita». In realta', con riferimento all'utilizzazione delle indagini difensive nel giudizio abbreviato non e' neanche configurabile un consenso dell'imputato. Cio' in quanto - come si e' detto - legittimate a consentire sono soltanto quelle parti che hanno un interesse contrario alla acquisizione di atti raccolti unilateralmente dalla difesa. Esse in tal modo rinunciano al loro diritto alla formazione della prova in contraddittorio. Del resto, se si ritenesse che il solo consenso dell'imputato permetta di eludere il contraddittorio, perverremmo ad una concezione massimalista del diritto di difesa, che renderebbe l'accusato arbitro della prova. Con il che si finirebbe con il ridurre il principio del contraddittorio nel solo alveo del diritto di difesa. Non solo, una tale interpretazione dovrebbe indurre a ritenere incostituzionali le norme che, dettate per il dibattimento, subordinano l'acquisizione ai fini della prova di atti formati unilateralmente non al mero «consenso» dell'imputato, ma all'accordo tra tutte le parti (cfr. artt. 431, comma 2; 493, comma 3; 555, comma 4 c.p.p.). Esse violerebbero il principio costituzionale (si' male interpretato) prevedendo un aggravio della posizione dell'imputato, con riferimento ai suoi poteri probatori, non consentendogli di acquisire, sulla base del proprio mero consenso, contenuti dichiarativi dallo stesso unilateralmente raccolti. Tirando le fila del discorso, va ribadito che il consenso presuppone l'esistenza di una pluralita' di parti e puo' essere inteso come approvazione, accettazione di qualcosa proveniente dall'altra parte: nel nostro caso l'atto a contenuto probatorio di formazione unilaterale. Parafrasando la definizione utilizzata per la scriminante di cui all'art. 50 del codice penale, si puo' dire che il consenso di cui parla il ricordato quinto comma dell'art. 111 Cost., sta ad indicare l'assenso dato ad un fatto («utilizzazione ai fini probatori di un atto di indagine») previsto in generale come vietato (perche' unilateralmente assunto, in assenza di contraddittorio), da parte della persona che ne e' potenzialmente danneggiata (in quanto esclusa dalla formazione dell'atto stesso). Assenso per effetto del quale detto fatto non e' piu' vietato. Se cosi' e', appare totalmente privo di senso giuridico individuare una valida deroga al principio del contraddittorio nel consenso dell'imputato alla iniziativa investigativa posta in essere da se' medesimo. La conclusione, costituzionalmente obbligata, e' chiara: l'imputato puo' rinunciare a contraddire, scegliendo il rito abbreviato, ma non puo' rinunciare ad una facolta' che non rientra nella sua d isponibilita'; e cioe' il contraddittorio delle altre parti. Le considerazioni sin qui espresse appaiono sufficienti per sostenere che la censurata disciplina, consentendo l'utilizzo ai fini probatori, nel giudizio abbreviato - in assenze di valide deroghe al principio del contraddittorio - di elementi raccolti unilateralmente in sede di investigazioni difensive, non puo' sottrarsi a palesi censure di incostituzionalita' rispetto ai ricordati parametri di cui all'art. 111 Cost. Ne' valida deroga - lo si ribadisce - puo' essere rappresentata dal consenso dell'imputato alla iniziativa posta in essere da se' medesimo: il che sembra, evocare, piuttosto, contesti di tipo psicanalitico. L'equivoco della «prova contraria» quale fattispecie vicaria del «contraddittorio nella formazione della prova». Va sgombrato il campo, inoltre, da un equivoco in cui e' caduta parte della dottrina a seguito della pronunzia adottata dalla Corte costituzionale (ord. 245 del 2005) nella prima occasione in cui la stessa e' stata chiamata ad esprimersi specificamente sulla disciplina qui censurata. Il giudice a quo (G.u.p. del Tribunale di Modena) aveva sollevato, in riferimento all'art. 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 438, comma 5, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede il diritto del pubblico ministero di chiedere l'ammissione di prova contraria nell'ipotesi in cui l'imputato abbia depositato il fascicolo delle investigazioni difensive e contestualmente formulato richiesta di giudizio abbreviato non condizionato. In particolare, il giudice a quo aveva ritenuto di cogliere un profilo di illegittimita' costituzionale nel fatto che, nella situazione appena descritta - diversamente da quanto previsto in caso di richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria ex art. 438, comma 5, cod. proc. pen. - da un lato il giudice non puo' sindacare la richiesta ed e' tenuto ad ammettere il giudizio abbreviato, dall'altro il pubblico ministero non solo non ha alcun potere di interloquire sulla prova, ma «si vede altresi' interdetta ogni facolta' di contraddire sulla formazione unilaterale della prova introdotta in udienza ed utilizzata nel rito». In tale situazione sarebbe compromessa la «simmetria imposta dal principio del contraddittorio come metodo dialettico di accertamento dei fatti» e sarebbe «quindi violato il principio enunciato dall'art. 111, comma secondo, Cost. secondo cui il processo deve svolgersi nel contraddittorio tra le parti in posizione di parita». A ben vedere, l'ordinanza di rimessione non si nascondeva che in discussione era soprattutto la formazione unilaterale della prova, la sua introduzione in giudizio e il contestuale «consenso» ad essere giudicato sulla base di tale prova prestato dalla stessa parte che ne ha curato l'assunzione, senza che vi sia stata alcuna «verifica critica della parte pubblica», ma poi ripiegava verso una pretesa «minimale», sostenendo che la necessita' di ricondurre a «simmetria» il «contraddittorio sulla prova» imponeva di «riconoscere al pubblico ministero la facolta' di chiedere l'ammissione della prova contraria secondo una cadenza del resto gia' prevista dal legislatore nella disciplina del modello del rito abbreviato condizionato»; Tale evirazione precettiva dell'art. 111 Cost. ha disinnescato la mina ed ha indotto il Giudice delle leggi, in si' ristretta prospettiva cognitiva, ad emettere una ordinanza di manifesta inammissibilita', la n. 245 del 2005, con cui si e' divisato che prima di sollevare questione di legittimita' costituzionale il rimettente avrebbe dovuto «esplorare la concreta praticabilita' delle soluzioni offerte dall'ordinamento al fine di porre rimedio alla denunciata anomala sperequazione tra accusa e difesa». Nell'ordinanza, la Corte prospettava in primis la possibilita' offerta dall'ordinamento di assicurare comunque al p.m. il diritto alla controprova sulle prove addotte «a sorpresa» dalla controparte, in modo da «contemperare l'esigenza di celerita' con la garanzia dell'effettivita' del contraddittorio», anche attraverso differimenti delle udienze congrui rispetto «alle singole, concrete fattispecie». Il Giudice delle leggi, in effetti, si e' limitato a prospettare al giudice rimettente - nell'invitarlo ad esplorare la concreta praticabilita' di letture costituzionalmente orientate - possibili percorsi, nell'ottica angusta della questione sollevata: una valorizzazione del merito delle argomentazioni (rectius: prospettazioni) che hanno accompagnato l'ordinanza - si ribadisce: di manifesta inammissibilita' - sarebbe impropria. Ma - per una diffusa confusione concettuale in merito alla natura ed al valore interpretativo e normativo delle pronunzie della Consulta - tale ordinanza e' stata da taluni «recepita», nella sostanza, come una sentenza interpretativa di rigetto, con conseguente attribuzione alla stessa di ingiustificabili doti salvifiche. In sostanza, si e' ritenuto che la Corte avesse «certificato» la compatibilita' costituzionale della disciplina dell'utilizzabilita' delle indagini difensive in sede di giudizio abbreviato, in quanto, al fine di riequilibrare il principio di parita' della parti rispetto alla formazione della prova e' sufficiente la garanzia della prova contraria al p.m. (e il potere integrativo del giudice ex art. 441, comma 5 c.p.p.) Il travisamento interpretativo e' evidente e deprecabile. In ogni caso, e' del tutto evidente che il riconoscimento del diritto alla prova contraria non puo' valere a superare ogni questione relativa alla violazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova. L'equivoco si insinua nella confusione concettuale tra contraddittorio nella formazione della prova - il contraddittorio che deve necessariamente calarsi dentro il momento genetico della prova - e il contraddittorio «per» la prova, che presuppone il diritto delle parti di vedere acquisite tutte le prove necessarie alla propria difesa e, quindi, anche la prova contraria rispetto alle prove introdotte dalle altre parti. In realta', la regola del contraddittorio nella formazione della prova, come metodo elettivo per l'accertamento del fatto nel processo penale, esige, anzitutto, che gli elementi di prova siano formati nel dialogo diretto di tutte le parti con la fonte. In base a tale regola, la prova contraria, al pari di quella che essa intende attaccare e' prova formata nel contraddittorio. E cio' esclude - cosi' come e' escluso per la prova «diretta» - che il carattere «contrario» della prova possa legittimare l'uso in giudizio di elementi, per quanto assentamente «decisivi», formatisi fuori del contraddittorio con la relativa fonte. Dal quarto comma dell'art. 111 Cost. si trae, quindi, non solo che la par condicio tra prove antagoniste deve rispettarsi anche sul terreno del metodo probatorio (art. 111, secondo comma), ma altresi' che, su tale terreno, essa deve collocarsi al livello qualitativamente «alto» del contraddittorio nella formazione della prova. Per comprendere meglio l'assurdita' giuridica di una interpretazione che ritenesse il riconoscimento del diritto alla prova contraria idoneo a garantire il rispetto del contraddittorio rispetto ad atti a contenuto probatorio unilateralmente formati e' opportuno ricorrere ad una domanda retorica. Sarebbe rispettosa di tale principio una disciplina che consentisse di utilizzare nel giudizio ordinario, senza «accordi acquisitivi», tutti gli atti delle indagini preliminari assunti dal p.m. attribuendo nel contempo all'imputato il pieno diritto alla controprova? Irrazionalita', incompatibilita' ed incoerenza sistemica della disciplina censurata (art. 3 Cost.). La disciplina che consente l'utilizzazione delle indagini difensive nel giudizio abbreviato si espone, inoltre, a gravi censure di irrazionalita', incompatibilita' e incoerenza sistemica, rilevanti nell'ottica del parametro di cui all'art. 3 Cost. Tanto per iniziare, appare stridente il contrasto tra tale utilizzabilita' in sede di giudizio abbreviato e la disciplina dettata con riferimento allo scenario dibattimentale. Cosi', l'art. 391-decies, comma 1 c.p.p. prevede che gli atti di investigazione difensiva possono essere utilizzati, salvi i casi di irripetibilita' e di provata condotta illecita, solo per le contestazioni dibattimentali (come emerge dal richiamo operato agli artt. 500, 512, 513 c.p.p.). Ma vi e' di piu': una lettura sistematica delle disposizioni che disciplinano l'acquisizione in dibattimento di atti unilateralmente formati rende evidente che il consenso dell'imputato ivi contemplato e' solo quello che si manifesta nella forra dell'accordo con le altre parti processuali. Invero il legislatore, quando ha previsto la possibilita' di attribuire agli atti di investigazione difensiva valore di prova, l'ha subordinata all'accordo con il pubblico ministero - e con le altre parti eventuali - (v. artt. 431, comma 2, 493, comma 3, 555, comma 4 c.p.p.): in tali casi il consenso assume, per l'appunto le forme dell'accordo (c.d. acquisitivo). Per cui, paradossalmente, in base alla disciplina qui censurata, la posizione dell'imputato nell'ottica dell'acquisizione probatoria e' assai piu' favorevole nel giudizio abbreviato (stante l'utilizzabilita' in questa sede degli atti a sfondo probatorio dallo stesso unilateralmente raccolti e selezionati) che nel dibattimento. Il che, tra l'altro, mal si concilia con il che il trattamento premiate connesso alla scelta di detto rito alternativo. Ma gli atti di investigazione difensiva appaiono un «corpo estraneo» alla disciplina dello stesso giudizio abbreviato, come ridisegnato dalla legge n. 479/1999. Basti evidenziare che l'ordinamento prevede, in via di eccezione rispetto al modello del giudizio abbreviato «ordinario», la possibilita' per l'imputato di subordinare la richiesta del rito alternativo ad una «integrazione probatoria» necessaria ai fini della decisione (il c.d. giudizio abbreviato condizionato, ex art. 438, comma 5 c.p.p.). In tale ipotesi la richiesta dovra' essere valutata dal giudice che potra' non ammetterla - escludendo cosi' il rito alternativo - valutati i parametri della necessita' e della compatibilita' con le finalita' di economia processuale proprie del procedimento. Non solo: in caso di ammissione al rito condizionato, al p.m. e' attribuita la facolta' di chiedere l'assunzione di prova contraria. Ebbene, l'utilizzabilita' ai fini della prova degli atti di investigazione difensiva (che non hanno una valenza probatoria limitata: cfr. Cass. 30 gennaio 2002, Pedi, CED Cass. n. 221550; Cass. 3402/1997, CED Cass. n. 209300) appare in insanabile contrasto con l'esistenza stessa del giudizio abbreviato «condizionato». Che senso ha - in termini generali - la richiesta di giudizio abbreviato condizionata all'assunzione di una fonte di prova dichiarativa? L'imputato puo' introdurre quelle acquisizioni unilaterali in uno con la richiesta di giudizio abbreviato «ordinario» eliminando, da un lato, il rischio di non ammissione da parte del giudice ed escludendo, dall'altro, la prova contraria del p.m. Del resto, e' singolare che il legislatore, dopo aver relegato il ruolo del pubblico ministero nel rito abbreviato su crinali piuttosto sbiaditi, legittimi la difesa dapprima ad acquisire unilateralmente il materiale probatorio, selezionando solo quello utile a fini difensivi e mantenendo al di fuori del cono di utilizzabilita' ogni risultanza di segno opposto o anche solo incerto; poi, sulla scorta di tale piattaforma cognitiva sapientemente ritagliata, a formulare l'opzione di giudizio abbreviato. Con l'invidiabile risultato di ottenere, da un lato, il trattamento premiale connesso alla scelta del rito e di ridurre, dall'altro, l'alea di una sfavorevole evoluzione del patrimonio cognitivo ai ristretti ambiti dell'integrazione probatoria ex artt. 441, comma 5 c.p.p. Cio' in quanto il pubblico ministero - si ribadisce - e' stato privato anche della facolta' di chiedere l'ammissione di prova contraria, riconosciutagli, invece, nel giudizio abbreviato condizionato, dove - per converso - la prova e' assunta dal giudice, con modalita' che garantiscono la partecipazione dello stesso pubblico ministero. La disciplina qui censurata induce a ritenere illogica la previsione di un istituto quale quello di cui al ricordato art. 438, comma 5 c.p.p.: il potere conferito alla difesa non solo di precostituire unilateralmente il dato utilizzabile ai fini decisori ma anche di controllarne il canale d'ingresso, rende del tutto improbabile il ricorso alla ben piu' rischiosa richiesta di giudizio abbreviato condizionato, aleatoria nei risultati e foriera di conseguenze non propizie sul piano del ripristino del diritto alla prova in capo al pubblico ministero e della modificabilita' in peius dell'imputazione originaria. Ben piu' proficuo e' dapprima completare l'orizzonte del materiale utilizzabile, depositando, nell'ultimo momento processualmente utile, gli esiti favorevoli delle investigazioni difensive espletate, e solo di seguito - a fronte di uno «stato degli atti» gia' opportunamente orientato - effettuare la piu' solida opzione per il giudizio abbreviato «semplice». A cio' va aggiunto che la ratio che ispira la disciplina del giudizio abbreviato e' quella di riconoscere un congruo sconto di pena in cambio dell'accettazione di un processo «a prova contratta», della rinuncia ad esercitare il diritto al contraddittorio nella escussione dei testi gia' assunti dal pubblico ministero. Se si attribuisce all'imputato il potere di introdurre atti di investigazione difensiva, opportunamente selezionati, da valere come prova ai fini della decisione, senza alcun contraddittorio con la pubblica accusa e senza diritto a controprova, lo stesso fondamento del trattamento premiale viene meno. Degna di menzione appare, al riguardo, la sentenza 9 maggio 2001, n. 115 con cui la Corte costituzionale nel respingere le censure di incostituzionalita' mosse alla disciplina del giudizio abbreviato condizionato, ne ha individuato correttamente la ratio nella tutela della posizione dell'imputato «che si trova ad affrontare il rischio di un giudizio basato sugli atti raccolti dal p.m. nel corso delle indagini preliminari ed a cui va pertanto riconosciuta la facolta' di chiedere l'acquisizione di nuovi ed ulteriori elementi di prova». Il che evidenzia in modo ancor piu' chiaro che le indagini difensive sono un corpo estraneo rispetto al sistema normativo del giudizio abbreviato. Le sopra evidenziate irrazionalita' rilevano nell'ottica del parametro costituzionale di cui all'art. 3 Cost. Piu' specificamente, risulta una evidentissima ed ingiustificata disparita' di trattamento, rispetto ai poteri probatori dell'imputato in tema di atti di investigazione difensiva a contenuto dichiarativo, tra giudizio ordinario, ove per introdurre contenuti probatori unilateralmente formati occorre il consenso delle altre parti e giudizio abbreviato, ove tale introduzione e' espressione di un diritto potestativo dello stesso imputato. Con l'aggravante che nel secondo caso l'imputato gode anche di un rilevante sconto di pena. Cosi' come appare assolutamente irrazionale la compresenza nello stesso sistema processuale, da un lato, di un istituto (quello del giudizio abbreviato condizionato), in cui l'imputato che voglia ottenere l'assunzione di un mezzo di prova (oggetto della condizione), in udienza, dal giudice terzo, con metodo dialogico, offrendo al p.m. la possibilita' di far valere il diritto alla prova, puo' vedersi rigettata la richiesta e non essere ammesso al rito speciale (perdendo anche lo sconto di pena); dall'altro, del diritto potestativo dell'imputato di raccogliere unilateralmente, selezionare (scegliendo, ovviamente, solo quelli favorevoli) e produrre atti a contenuto probatorio, di identica natura, per vederli utilizzati, incondizionatamente, nel giudizio abbreviato ordinario.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge n. 87/1953; Solleva d'ufficio e dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 442, comma 1-bis, richiamato dall'art. 556, comma 1 c.p.p., per violazione degli artt. 3, 111, commi secondo e quarto Costituzione, nella parte in cui prevede l'utilizzabilita', nel giudizio abbreviato, ai fini della decisione sul merito dell'imputazione - in assenza di situazioni riconducibili ai paradigmi di deroga al contraddittorio dettati dall'art. 111, quinto comma Cost. - degli atti di investigazione difensiva a contenuto dichiarativo, unilateralmente assunti. Sospende il giudizio in corso; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle camere; Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito. Fermo, addi' 2 aprile 2007 Il giudice: Fanuli