N. 6 ORDINANZA 14 - 18 gennaio 2008

  Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

  Impresa  e  imprenditore  -  Registro  delle  imprese  - Iscrizione
  obbligatoria  non effettuata nel termine assegnato dal conservatore
  -  Potere  del  giudice  del  registro  di  ordinarla con decreto -
  Asserita   lesione   del   diritto   di  difesa,  dei  principi  di
  ragionevolezza  e  di  ordinata  ed efficiente organizzazione della
  funzione  giurisdizionale  -  Difetto di legittimazione del giudice
  rimettente - Manifesta inammissibilita' della questione.
  - Cod. civ., art. 2190.
  - Costituzione, artt. 3, 24 e 111.
(GU n.4 del 23-1-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta  dai  signori:  Presidente:  Franco  BILE; Giudici: Giovanni
Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Paolo MADDALENA,
Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA,
Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe
TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO; ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2190 del codice
civile  promosso  con  ordinanza del 19 dicembre 2006 dal Giudice del
registro delle imprese del Tribunale ordinario di Milano sull'istanza
proposta dal Conservatore del registro delle imprese presso la Camera
di   commercio,  industria,  artigianato  e  agricoltura  di  Milano,
iscritta  al  n. 578  del  registro ordinanze 2007 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale   della  Repubblica  n. 34, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2007;
Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  12 dicembre 2007 il giudice
relatore Giuseppe Tesauro;
Ritenuto  che  il  Giudice  del  registro delle imprese del Tribunale
ordinario di Milano, con ordinanza del 19 dicembre 2006, ha sollevato
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 2190 del codice
civile, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione;
     che,  secondo il rimettente, la norma censurata, disponendo che,
quando  un'iscrizione obbligatoria nel registro delle imprese non sia
stata  effettuata,  nonostante  l'invito  del  conservatore  di detto
registro,  la  medesima  e'  disposta,  d'ufficio,  dal  giudice  del
registro,   violerebbe  l'art.  111  Cost.,  in  quanto  l'iniziativa
d'ufficio  del  giudice  non  sarebbe  giustificata  da  un interesse
pubblico   e  l'iscrizione  potrebbe  essere  effettuata  dal  citato
conservatore, con provvedimento reclamabile innanzi al giudice;
     che, a suo avviso, l'art. 2190 cod. civ., prevedendo un «diretto
intervento» del giudice e la sola reclamabilita' del provvedimento da
questi  pronunciato,  priverebbe,  «di fatto, la parte interessata di
una   fase   della   cognizione   giurisdizionale   di  primo  grado,
(normalmente  articolata  nelle due fasi della cognizione del Giudice
del registro e della cognizione del Collegio del reclamo)», ponendosi
in tal modo in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione;
     che,  infine,  l'onerosa  procedura  di  iscrizione d'ufficio da
parte  del  giudice  -  caratterizzata dalla fissazione di udienze in
contraddittorio con gli interessati e dai relativi avvisi ai medesimi
-   sarebbe   altresi'  priva  di  giustificazione,  con  conseguente
violazione  del  principio  di  ordinata ed efficiente organizzazione
della  funzione giurisdizionale, stabilito dagli artt. 24 e 111 della
Costituzione.
Considerato che la questione di legittimita' costituzionale sollevata
dal  Giudice  del  registro  delle imprese del Tribunale ordinario di
Milano  investe,  in  riferimento  agli  artt.  3,  24  e  111  della
Costituzione, l'art. 2190 del codice civile, il quale dispone che, se
un'iscrizione  obbligatoria  non  e'  stata  richiesta, l'ufficio del
registro  delle  imprese invita l'imprenditore a richiederla entro un
congruo  termine e, decorso inutilmente detto termine, il giudice del
registro puo' ordinarla con decreto;
     che,  preliminarmente, va osservato che le questioni incidentali
di  legittimita'  costituzionale possono essere sollevate dal giudice
esclusivamente  nel corso di un giudizio del quale egli sia investito
(art.  1  della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 ed art. 23
della  legge  11  marzo 1953, n. 87) e che, pertanto, affinche' possa
ritenersi  sussistente  il presupposto processuale richiesto da dette
norme, non e' sufficiente il solo requisito soggettivo;
     che,   infatti,  secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,
l'intervento  di  un  magistrato,  di  per se' solo, non e' idoneo ad
alterare  la  struttura  di  un procedimento ed a connotarlo per cio'
stesso  quale  «giudizio»  ai  sensi  delle  norme  sopra richiamate,
restando  escluso  che  cio'  accada  nel caso in cui tale intervento
consista  nello svolgimento di una funzione di carattere formale, per
una  finalita'  garantistica,  e  sia preordinato alla verifica della
regolarita'   della   documentazione   necessaria  per  ottenere  una
determinata iscrizione (sentenza n. 96 del 1976; ordinanza n. 170 del
2005), ovvero per ordinarla d'ufficio;
     che,  affinche' la questione possa ritenersi sollevata nel corso
di  un  «giudizio»,  l'applicazione  della legge da parte del giudice
deve    essere    caratterizzata    da    entrambi    gli   attributi
dell'obiettivita'  e  «della  definitivita', nel senso dell'idoneita'
(del   provvedimento   reso)   a  divenire  irrimediabile  attraverso
l'assunzione di un'efficacia analoga a quella del giudicato», poiche'
e'  in questo caso che il mancato riconoscimento della legittimazione
comporterebbe   la   sottrazione   delle   norme   al   controllo  di
costituzionalita' (sentenza n. 387 del 1996);
     che,  in  applicazione  di siffatti principi, deve escludersi la
legittimazione  del  rimettente a sollevare questione di legittimita'
costituzionale;
     che  il giudice del registro delle imprese e', infatti, chiamato
a svolgere un'indagine di legittimita', la quale ha natura ed oggetto
omologhi a quelli demandati all'ufficiale del registro ed e' compiuta
da  un organo dell'autorita' giudiziaria, anziche' da un altro organo
della  pubblica  amministrazione,  poiche'  consiste  in un controllo
esteriore  di  legalita'  concernente  la  gestione  di  un  pubblico
registro, stabilito a tutela di interessi generali, che non incide su
diritti  soggettivi  con  efficacia  di giudicato e non definisce una
controversia;
     che,   in  tal  senso,  la  Corte  suprema  di  cassazione,  con
orientamento  costante, espresso anche in riferimento alla disciplina
stabilita   dall'art.   8   della  legge  29  dicembre  1993,  n. 580
(Riordinamento  delle  camere  di commercio, industria, artigianato e
agricoltura), ha affermato che il provvedimento reso dal tribunale su
reclamo avverso il decreto pronunciato dal giudice del registro delle
imprese  e'  privo  dei  caratteri  della  decisorieta' (intesa quale
idoneita'  del  provvedimento  a  decidere  o  incidere su situazioni
soggettive aventi consistenza di diritti soggettivi o di status
con  l'efficacia propria della cosa giudicata), in quanto consiste in
un  intervento  ordinatorio in sede non contenziosa, che si esaurisce
in  un  mero  atto  di  gestione  di un pubblico registro a tutela di
interessi   generali,   senza   statuire  sui  diritti  dei  soggetti
coinvolti,  e  della  definitivita',  poiche'  la validita' dell'atto
iscritto   puo'  costituire  oggetto  di  un  ordinario  giudizio  di
cognizione;
     che,   pertanto,   la  questione  va  dichiarata  manifestamente
inammissibile per difetto di legittimazione del rimettente.
Visti  gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
e  9,  comma  2,  delle  norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.
              per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'   della   questione   di
legittimita'   costituzionale   dell'art.   2190  del  codice  civile
sollevata,  in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione,
dal  Giudice del registro delle imprese presso il Tribunale ordinario
di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 2008.
                         Il Presidente: Bile
                        Il redattore: Tesauro
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 18 gennaio 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola