N. 16 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 ottobre 2007

  Ordinanza  dell'11  ottobre 2007 emessa dal G.u.p. del Tribunale di
Termini  Imerese  nel  procedimento  penale  a  carico  di De Fecondo
Antonio

  Reati  militari  -  Disposizioni penali per i militari appartenenti
  alla  Guardia di finanza - Appropriazione di valori o generi di cui
  il  militare  abbia  l'amministrazione  o la custodia - Trattamento
  sanzionatorio  - Prevista applicabilita' delle pene stabilite dagli
  artt.  215  e  219  cod. pen. militare di pace - Mancata previsione
  della  inapplicabilita'  di  tale  disposizione  nel caso in cui il
  soggetto  abbia  agito  al  solo scopo di fare uso momentaneo della
  cosa  e  questa sia stata immediatamente restituita - Disparita' di
  trattamento rispetto al pubblico ufficiale non militare.
  - Legge 9 dicembre 1941, n. 1383, art. 3.
  -  Costituzione,  art.  3.  Reati  militari  -  Peculato militare -
  Trattamento  sanzionatorio  -  Reclusione  da  due  a  dieci anni -
  Mancata  previsione della inapplicabilita' di tale disposizione nel
  caso  in  cui  il  soggetto  abbia  agito al solo scopo di fare uso
  momentaneo  della cosa e questa sia stata immediatamente restituita
  -  Disparita'  di  trattamento  rispetto  al pubblico ufficiale non
  militare.
  - Codice penale militare di pace, art. 215.
  - Costituzione, art. 3.
(GU n.8 del 13-2-2008 )
                            IL TRIBUNALE
Nel  procedimento  indicato  in  epigrafe nei confronti di De Fecondo
Antonino (nato il 22 novembre 1969 a Noto, residente a Catania, viale
Benedetto  Croce  n. 14,  ed  elettivamente  domiciliato  ex art. 161
c.p.p. a Termini Imerese, corso Umberto e Margherita n. 61, presso lo
studio  del  proprio  difensore  di  fiducia, avvocato Pietro Sorce),
imputato «del delitto p.p. dagli artt. 81 cpv. e 314 c.p. perche', in
qualita'  di  comandante  della Compagnia della Guardia di Finanza di
Termini  Imerese,  con piu' atti in esecuzione di un medesimo disegno
criminoso,  avendo  per  ragioni del suo ufficio la disponibilita' di
un'autovettura  di servizio e del relativo autista, li utilizzava per
fini  privati  ed  in  particolare  per  recarsi  da  Termini Imerese
all'aeroporto  di  Punta Raisi e viceversa. In termini Imerese dal 20
febbraio 2003 all'agosto 2004»;
All'udienza  preliminare  dell'11  ottobre  2007,  emette la seguente
ordinanza.
In  data  15 dicembre 2006 il pubblico ministero depositava richiesta
di rinvio a giudizio nei confronti di De Fecondo Antonino per i reati
indicati  in epigrafe, a seguito della quale veniva fissata l'udienza
preliminare del 26 aprile 2007, nella quale, dichiarata la contumacia
dell'imputato, su richiesta delle parti, il processo veniva differito
al 7 giugno 2007.
A  tale  udienza, presente De Fecondo Antonino, il tribunale revocava
la  dichiarazione  di  contumacia  dell'imputato  e, preliminarmente,
invitava  le  parti ad interloquire sulla questione di giurisdizione,
peraltro  gia'  sollevata  dalla  difesa con memoria depositata il 20
aprile  2007,  in  relazione  alla previsione di cui all'art. 215 del
codice  penale  militare  di  pace  (c.p.m.p.), anche alla luce delle
disposizioni di cui all'art. 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383.
Indi,   il   pubblico   ministero,  insistendo  nella  qualificazione
giuridica  del  fatto operata nell'imputazione, chiedeva di procedere
oltre  e  di  essere autorizzato a discutere nel merito; il difensore
dell'imputato,   insistendo   nell'eccezione  di  giurisdizione  gia'
formulata  nella  memoria  depositata il 20 aprile 2007 e depositando
ulteriore  memoria  a  conforto  del proprio assunto, deduceva che il
fatto  contestato  e' riconducibile alla previsione di cui all'art. 3
della  legge  n. 1383 del 1941 ovvero a quella dell'art. 215 c.p.m.p.
e,  fatto presente che la cognizione relativa ai reati previsti dalle
disposizioni  appena  citate e' devoluta alla giurisdizione militare,
chiedeva   al   tribunale   di  pronunciare  il  proprio  difetto  di
giurisdizione.
Al contempo, la difesa eccepiva la nullita' della richiesta di rinvio
a  giudizio  per  violazione  dell'art.  417, lett. b) c.p.p. nonche'
l'incompetenza territoriale di questo tribunale.
All'odierna udienza, apparendo logicamente pregiudiziale la questione
relativa  alla  contestata  validita'  della  richiesta  di  rinvio a
giudizio e ritenendo di dover decidere previamente tale questione, il
tribunale  rigettava  l'eccezione  di nullita' con separata ordinanza
letta in udienza ed allegata al relativo verbale.
Cio'  posto,  va  ora  osservato  che,  come risulta dall'imputazione
riportata  in  epigrafe,  il pubblico ministero contesta all'imputato
alcune  condotte, poste in essere tra il febbraio del 2003 e l'agosto
del   2004,  consistenti  nell'avere  utilizzato  per  scopi  privati
l'autovettura  di servizio di cui aveva la disponibilita' per ragioni
del suo ufficio servendosi altresi' del relativo autista.
Dal  punto  di vista della qualificazione giuridica delle condotte in
questione, il pubblico ministero opera un indistinto riferimento alla
violazione dell'art. 314 del codice penale.
A   ben   vedere,   pero',   utilizzo  dell'autovettura  ed  utilizzo
dell'autista,  a  prescindere  da ogni valutazione di merito circa la
fondatezza dell'accusa, sono condotte fra loro non assimilabili.
Ed  invero, l'illegittimo uso personale delle autovetture di servizio
da  parte di pubblici ufficiali e' pressoche' unanimemente ricondotto
dalla  giurisprudenza  della  Corte di cassazione alla fattispecie di
peculato  c.d.  d'uso  di  cui all'art. 314, comma 2 c.p. (v., tra le
altre,  Cass.  pen.,  sez.  VI, 5 giungo 2003, Buzzanca; nello stesso
senso,   piu'   recentemente,   ancorche'   escludano  nelle  ipotesi
sottoposte  al  loro  vaglio la concreta sussistenza del reato, Cass.
pen.,  sez.  VI,  1 febbraio 2005, n. 9216, e Cass. pen., sez. VI, 10
gennaio 2007, n. 10233). Invece, in ordine alla condotta del pubblico
ufficiale  che  usi  a  fini  privati le prestazioni lavorative di un
pubblico  dipendente, distogliendolo dalle mansioni istituzionali, si
registra un netto contrasto giurisprudenziale.
Secondo  un  primo  indirizzo,  tale condotta andrebbe inquadrata non
gia'  nella  fattispecie  di  peculato  d'uso bensi' nella piu' grave
forma  di  peculato  prevista  dal  comma 1 dell'art. 314 c.p. (Cass.
pen., Sez. VI, 7 novembre 2000, Cassetti).
La  tesi e' fondata, da un lato, sull'idea che l'attivita' lavorativa
rientra   nella   nozione  di  «cosa  mobile»  e,  dall'altro,  sulla
considerazione che le energie lavorative illegittimamente destinate a
finalita'  non  istituzionali  non  sono suscettibili di restituzione
(ragion  per  cui  si  esclude  che possa ricorrere la fattispecie di
peculato d'uso).
Un diverso orientamento giurisprudenziale, invece, muovendo dall'idea
che  «non  e'  concepibile  l'appropriarsi di una persona o della sua
energia  lavorativa»,  esclude che l'utilizzo del pubblico dipendente
per   fini  privati  sia  riconducibile  all'una  o  all'altra  delle
fattispecie  di  peculato  previste  dall'art.  314  c.p. ed afferma,
invece,  che  esso  puo'  essere  ricondotto, allorche' ricorrano gli
ulteriori presupposti previsti dalla legge, alla fattispecie di abuso
d'ufficio  di  cui  all'art. 323 c.p. (Cass. pen., Sez. VI, 13 maggio
1998, Agnello; Sez. VI, 27 gennaio 1994, p.m. in proc. Liberatore).
Circa   l'evidenziato  contrasto,  giova  rilevare  che,  a  conforto
dell'orientamento  indicato  da  ultimo,  oltre all'impossibilita' di
concepire  l'appropriazione  di  una  persona  o  della  sua  energia
lavorativa,  milita  il  rilievo  che,  per  l'art. 314 c.p., oggetto
dell'appropriazione deve essere il «danaro o altra cosa mobile».
I  concetti  di  «persona»  e  di  «energie personali», infatti, sono
senz'altro  estranei all'area semantica circoscritta dall'espressione
«danaro o altra cosa mobile».
La riconduzione all'art. 314 c.p. dell'impiego di pubblici dipendenti
per  fini  privati  da  parte  di un pubblico ufficiale, pertanto, si
risolverebbe  in  una  non consentita applicazione analogica in malam
partem della legge penale.
Tra  i  due orientamenti sopra richiamati, dunque, appare preferibile
quello che riconduce l'uso a fini privati del personale dipendente da
parte  del  pubblico  ufficiale  alla  fattispecie di abuso d'ufficio
prevista  dall'art.  323 c.p., sempre che, beninteso, ricorrano tutte
le condizioni previste da tale articolo.
Sul  punto,  pertanto, deve conclusivamente affermarsi che l'utilizzo
per scopi privati di autovetture di servizio e l'impiego del relativo
autista   sono   condotte   astrattamente   riconducibili  a  diverse
fattispecie  incriminatrici,  e  precisamente:  il  primo al reato di
peculato  d'uso  di  cui  all'art.  314,  comma  2  c.p.;  il secondo
all'abuso d'ufficio di cui all'art. 323 dello stesso codice.
Conseguentemente, la condotta del pubblico ufficiale che si serve per
scopi privati dell'autovettura di servizio con alla guida il relativo
autista  risulta  astrattamente  integrare  sia  il reato di peculato
d'uso di cui all'art. 314, comma 2 c.p. sia quello di abuso d'ufficio
previsto dall'art. 323 c.p., in concorso formale tra loro.
Alla  stregua di quanto precede, le condotte oggetto dell'imputazione
-  se non fosse per la particolare qualifica soggettiva dell'agente e
per la natura di quanto oggetto materiale dell'azione, sulle quali ci
si  soffermera'  tra  breve  -  andrebbero  astrattamente  ricondotte
all'art.  314,  comma  2  c.p.  (peculato  d'uso) per quanto riguarda
l'utilizzo  dell'autovettura  ed  all'art. 323 c.p. (abuso d'ufficio)
per quanto riguarda l'utilizzo dell'autista.
L'inciso  di  cui al capoverso che precede si spiega in ragione delle
speciali  previsioni dettate dall'art. 3 della legge 9 dicembre 1941,
n. 1383, e dall'art. 215 del codice penale militare di pace.
Il  comma  1  dell'art.  3  della  legge  n. 1383  del 1941, infatti,
stabilisce:  «Il  militare  della guardia di finanza che commette una
violazione delle leggi finanziare, costituente delitto, o collude con
estranei  per  frodare  la  finanza,  oppure  si appropria o comunque
distrae,  a profitto proprio o di altri, valori o generi di cui egli,
per  ragioni del suo ufficio o servizio, abbia l'amministrazione o la
custodia  o  su  cui  eserciti  la  sorveglianza,  soggiace alle pene
stabilite  dagli  articoli  215  e  219 del codice penale militare di
pace,   ferme   le  sanzioni  pecuniarie  delle  leggi  speciali.  La
cognizione dei suddetti reati appartiene ai tribunali militari».
Come  e'  unanimemente  riconosciuto,  la  disposizione appena citata
contempla diverse autonome fattispecie incriminatrici, tra cui quella
del  c.d.  «peculato  del  militare  della  Guardia  di Finanza», che
risulta  integrato  quando il soggetto che riveste tale qualifica «si
appropria o comunque distrae, a profitto proprio o di altri, valori o
generi  di  cui  egli,  per ragioni del suo ufficio o servizio, abbia
l'amministrazione o la custodia o su cui eserciti la sorveglianza».
A  sua  volta,  l'art.  215  c.p.m.p.  definisce  la  fattispecie del
«peculato  militare», prevedendo: «Il militare incaricato di funzioni
amministrative  o di comando, che, avendo per ragione del suo ufficio
o servizio il possesso di denaro o di altra cosa mobile, appartenente
all'amministrazione  militare,  se  l'appropria,  ovvero lo distrae a
profitto  proprio  o  di  altri, e' punito con la reclusione da due a
dieci anni».
Orbene,   non   puo'   esservi   dubbio   che   il   fatto  descritto
nell'imputazione,  relativamente  all'utilizzo  dell'autovettura, sia
riconducibile  alla  fattispecie  del  «peculato  del  militare della
Guardia  di  Finanza»  delineata  dall'art. 3 della legge n. 1383 del
1941.
All'imputato,  infatti, viene contestato di avere utilizzato per fini
personali   una   cosa   per   sua  natura  destinata  esclusivamente
all'espletamento  dei  tipici  compiti  di  prevenzione e repressione
propri del Corpo della Guardia di Finanza -- una delle autovetture di
servizio  in  dotazione  alla  Compagnia  della Guardia di Finanza di
Termini  Imerese  --  e  della  quale  egli  disponeva  proprio nella
qualita'  di  Comandante  della Compagnia della Guardia di Finanza di
Termini  Imerese  (e, quindi, in funzione dell'esercizio dei predetti
compiti).
Peraltro,  in  mancanza  della  speciale previsione del «peculato del
militare   della  Guardia  di  Finanza»,  le  condotte  in  questione
andrebbero   ricondotte  alla  fattispecie  del  «peculato  militare»
previsto  dall'art.  215  c.p.m.p., stante che, essendo la Guardia di
Finanza  un  corpo militare (v. Cass. pen., 19 gennaio 2000, n. 1410;
Cass.  pen.,  31  gennaio  2000,  n. 3491), ne ricorrerebbero tutti i
presupposti.
A   quest'ultimo   riguardo   --  in  considerazione  dell'espunzione
dall'art.  215  c.p.m.p.,  per effetto della sentenza n. 448 del 1991
della  Corte  costituzionale,  delle  parole  «ovvero  lo  distrae  a
profitto  proprio  o  di altri», ossia della sostanziale soppressione
del  «peculato  militare» c.d. per distrazione, al pari di quanto era
gia'  avvenuto  con  il peculato comune per effetto dell'art. 1 della
legge  26  aprile  1990,  n. 86-,  giova  precisare  che,  secondo la
migliore  dottrina  e  la recente giurisprudenza, condivisa da questo
Tribunale,  il  peculato  d'uso,  cui  e'  riconducibile, come detto,
l'illecito  utilizzo per fini privati dell'autovettura di servizio da
parte del pubblico ufficiale, consiste in una vera e propria condotta
appropriativa,  sia  pure momentanea, con la conseguenza che esso, se
mancasse  la previsione di cui all'art. 314, comma 2 c.p.p., andrebbe
ricondotto  alla fattispecie di peculato descritta dall'attuale comma
1 dell'art. 314 del codice penale.
In quest'ottica, limitando l'attenzione alle pronunce relative a casi
di  utilizzo di autovetture di servizio, Cass. pen., 1 febbraio 2005,
n. 9216,  premesso  che  la  fattispecie  di  peculato d'uso prevista
dall'art. 314, comma 2 c.p. e' autonoma rispetto a quella di peculato
di  cui  al  primo comma dello stesso articolo e che «uso momentaneo»
non  significa  istantaneo  bensi'  temporaneo,  ha  precisato che la
relativa condotta «deve caratterizzarsi per consistenza e durata tale
da  realizzare  una  appropriazione». Ed ha aggiunto: «La ratio della
configurazione del delitto di peculato d'uso ... va individuata nella
voluntas   legis   di   sottrarre   all'area   del   peculato  comune
l'appropriazione  di  cose  di  specie ... per un periodo limitato di
tempo,  cui  fa seguito la loro immediata restituzione con ripristino
completo  della  situazione  ex  ante. In particolare, ... l'elemento
oggettivo  del  reato  di  peculato  e',  in  ogni  caso,  costituito
esclusivamente  dall'appropriazione,  la  quale  si  realizza con una
condotta  del  tutto incompatibile con il titolo per cui si possiede,
da  cui  deriva  una  estromissione  totale  del  bene dal patrimonio
dell'avente  diritto con il conseguente incameramento dello stesso da
parte  dell'agente. Sul piano dell'elemento soggettivo si realizza il
mutamento  dell'atteggiamento psichico dell'agente nel senso che alla
rappresentazione  di  essere possessore della cosa per conto di altri
succede  quella  di  possedere  per  conto  proprio. Elementi, questi
ultimi,  che debbono sussistere anche nell'ipotesi del peculato d'uso
pur  se,  in  tale ipotesi, l'appropriazione e' finalizzata ad un uso
esclusivamente  momentaneo  della  cosa  (Sez.  6ª, 12 dicembre 2000,
Genchi  ed altri, rv. 219086) ... In altri termini, il peculato d'uso
e' una fattispecie penale che, sebbene configuri una ipotesi autonoma
del  reato,  sanziona il colpevole di peculato con una pena minore se
egli si sia appropriato della cosa altrui per farne un uso momentaneo
e  poi  l'abbia  restituita immediatamente» (negli stessi termini, v.
Cass. pen., 10 gennaio 2007, n. 10233).
Quanto  precede  evidenzia  che,  diversamente da quanto affermato da
Cass.  pen.,  28  giugno  2001, n. 28315, l'eliminazione dell'ipotesi
distrattiva  dall'art.  215 c.p.m.p. non ha sottratto alla disciplina
di  tale  articolo  la condotta del militare che usa per fini privati
automezzi in dotazione al reparto.
Come  si e' appena visto, infatti, quella in esame e' una condotta di
appropriazione,  sia  pure  momentanea,  e  risulta tuttora prevista,
pertanto, dall'art. 215 c.p.p.m.
Dunque, ribadendo quanto gia' osservato, va affermato che, in assenza
della  previsione  di  cui  all'art.  3 della legge n. 1383 dei 1941,
l'illecito uso per fini privati dell'autovettura di servizio da parte
del  militare  della  Guardia di Finanza sarebbe inquadrabile (ancora
oggi)  nella fattispecie di peculato militare di cui all'art. 215 del
codice penale militare di pace.
E allora, l'uso che il militare della Guardia di finanza fa per scopi
privati  dell'autovettura  in dotazione al proprio reparto servendosi
del relativo autista integra astrattamente due reati e, segnatamente,
i  seguenti:  con  riferimento  all'uso dell'autovettura, il reato di
«peculato del militare della Guardia di Finanza» previsto dall'art. 3
della legge n. 1383 del 1941 e, in ipotesi, mancando questo, il reato
di peculato militare previsto dall'art. 215 c.p.m.p.; con riferimento
all'impiego  dell'autista,  il  reato  di  abuso  d'ufficio  previsto
dall'art. 323 del codice penale.
Nel  caso  di  specie,  pertanto,  deve  rilevarsi che ciascuna delle
condotte  contestate all'imputato, ovviamente allo stato prescindendo
da  ogni  valutazione  sulla  concreta fondatezza dell'accusa, appare
astrattamente  integrare  il  reato  di  «peculato del militare della
Guardia di Finanza» relativamente all'uso dell' autovettura e l'abuso
d'ufficio relativamente all'impiego dell'autista.
Trattandosi di reati commessi con una sola azione, risulta integrata,
con   riferimento   a  ciascuna  delle  condotte  in  questione,  una
fattispecie  di  concorso  formale  di  reati,  onde  tra  i relativi
procedimenti   ricorrerebbe   un'ipotesi   di  connessione  ai  sensi
dell'art. 12, lett. b) del codice di rito.
I due reati, pero', rientrano nella giurisdizione di giudici diversi.
Infatti,  mentre il «peculato del militare della Guardia di Finanza»,
cosi'  come  il  «peculato  militare»,  appartiene alla giurisdizione
militare, il reato di abuso d'ufficio rientra nella giurisdizione del
giudice ordinario.
Inoltre,  pur  ricorrendo  un'ipotesi di concorso formale, poiche' il
reato di abuso d'ufficio previsto dall'art. 323 c.p. e' meno grave di
quello  di  «peculato del militare della Guardia di Finanza» previsto
dall'art.  3  della  legge  n. 1383  del  1941  (come anche di quello
previsto  dall'art.  215  c.p.m.p.),  la  giurisdizione  del  giudice
ordinario  in  ordine  al primo non ha la forza di attrarre a se', ai
sensi  dell'art.  13 comma 2 c.p.p., anche la giurisdizione in ordine
secondo.
Stando  cosi'  le  cose,  in  questa  sede,  in parziale accoglimento
dell'eccezione  di giurisdizione sollevata dalla difesa, il Tribunale
dovrebbe   pronunciare   il  difetto  di  giurisdizione  del  giudice
ordinario,  ai  sensi dell'art. 20 c.p.p., in relazione al contestato
utilizzo  dell'autovettura,  proseguendo  il  giudizio  limitatamente
all'impiego dell'autista.
Diversamente,  sposando  l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui la
condotta  del  pubblico  ufficiale  che si serva per scopi privati di
personale  dipendente  avrebbe natura di «appropriazione definitiva»,
oggi riconducibile alla previsione di cui all'art. 314, comma 1 c.p.,
le  condotte  contestate all'imputato, stante la qualifica soggettiva
dell'agente, rientrerebbero nella fattispecie di cui all'art. 3 della
legge   n. 1383   del   1941   anche   con   riferimento  all'impiego
dell'autista.
In quest'ottica, quindi, l'eccezione di giurisdizione sollevata dalla
difesa andrebbe integralmente accolta.
Questo tribunale, pero', dubita della legittimita' costituzionale sia
dell'art. 3 della legge n. 1383 del 1941 che dell'art. 215 del codice
penale militare di pace.
In  particolare, dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 3
della  legge n. 1383 del 1941 nella parte in cui, dopo avere previsto
che  il  militare  della  Guardia di Finanza il quale «si appropria o
comunque  distrae,  a profitto proprio o di altri, valori o generi di
cui   egli,   per   ragioni   del   suo  ufficio  o  servizio,  abbia
l'amministrazione  o  la  custodia o su cui esercita la sorveglianza,
soggiace  alle  pene  stabilite  dagli  articoli 215 e 219 del codice
penale  militare  di pace», non prevede che «tale disposizione non si
applica  quando  il  colpevole  ha  agito  al  solo scopo di fare uso
momentaneo  della  cosa,  e  questa,  dopo l'uso momentaneo, e' stata
immediatamente  restituita»; dubita della legittimita' costituzionale
dell'art.  215  c.p.m.p.  nella parte in cui, infine, non prevede che
«tale  disposizione  non  si  applica quando il colpevole ha agito al
solo  scopo  di  fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso
momentaneo, e' stata immediatamente restituita».
Come  e'  noto,  l'art.  3  14 c.p. e' stato integralmente sostituito
dall'art.  1  della legge 26 aprile 1990, n. 86, contenente modifiche
in  tema  dei  delitti  dei  pubblici  ufficiali  contro  la pubblica
amministrazione.
Prima   dell'intervento  riformatore,  la  fattispecie  di  peculato,
delineata  dal  primo  comma dell'art. 314 c.p., si articolava in due
distinte   tipologie  di  condotta,  peculato  per  appropriazione  e
peculato   per   distrazione,   sottoposte  al  medesimo  trattamento
sanzionatorio: reclusione da tre a dieci anni e multa non inferiore a
lire duecentomila.
L'art.  314  c.p.  riformato ha riproposto, al primo comma, la figura
del  peculato c.d. per appropriazione, mantenendo ferma la pena della
reclusione  da  tre  a dieci anni (non e' piu' prevista la multa); ha
introdotto,  al secondo comma, la nuova fattispecie del peculato c.d.
d'uso,  che si ha quando «il colpevole ha agito al solo scopo di fare
uso  momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso momentaneo, e' stata
immediatamente  restituita»,  sottoponendola  alla ben piu' mite pena
della reclusione da sei mesi a tre anni.
A  seguito della riforma, invece, e' scomparsa la figura del peculato
per distrazione.
Cio',  peraltro,  non ha determinato la totale depenalizzazione delle
condotte che venivano ricondotte a tale figura.
Una  parte  di  tali  condotte,  infatti,  sono confluite nella nuova
fattispecie  di  abuso  d'ufficio  prevista  dall'art. 323 del codice
penale.
Inoltre,  per  chi  ritiene  che il peculato d'uso -- diversamente da
quanto,  in  linea  con  l'opinione  della  migliore dottrina e della
recente   giurisprudenza,  qui  sostenuto  --  integri  una  condotta
distrattiva  e  non  appropriativa,  alcune  delle condotte che prima
costituivano  peculato  per  distrazione  rientrerebbero  oggi  nella
fattispecie di peculato prevista nel secondo comma del novellato art.
314 del codice penale.
L'  intervento riformatore operato con la legge n. 86 del 1990 non ha
interessato  la figura del «peculato militare» prevista dall'art. 215
c.p.m.p.  ne'  quella  del  «peculato  del  militare della Guardia di
Finanza»  prevista  dall'art.  3  della  legge n. 1383 del 1941, alle
quali  non  sono state estese le modifiche introdotte per il peculato
comune dall'art. 1 della legge n. 86 del 1990.
Cio'  si  e' tradotto in una diversita' di trattamento tra militari e
non  militari  in  materia di peculato, apprezzabile sotto un duplice
profilo:
     1)  mentre  le condotte di appropriazione momentanea commesse da
pubblici  ufficiali  non  militari  sono  soggette  ad un trattamento
sanzionatorio  piu'  mite  di  quello  previsto  per  le  condotte di
appropriazione  definitiva,  le condotte di appropriazione momentanea
commesse  da militari e, in particolare da militari appartenenti alla
Guardia   di   Finanza,   sono   soggette   allo  stesso  trattamento
sanzionatorio previsto per le condotte di appropriazione definitiva;
     2)  mentre  il  pubblico  ufficiale non militare, in caso di uso
momentaneo  per fini personali con successiva restituzione della cosa
di cui disponga in ragione del proprio ufficio, rispondendo del reato
di  cui  all'art.  314,  comma  2  c.p.,  e' soggetto alla pena della
reclusione  da  sei  mesi  a  tre  anni,  il  militare in genere e il
militare   appartenente   al   Corpo  della  Guardia  di  Finanza  in
particolare,  in  caso  di  analoga  condotta, rispondendo dei reati,
rispettivamente,  di  cui  all'art.  215 c.p.m.p. e di cui all'art. 3
della  legge  9  dicembre  1941,  n. 1383,  sono  soggetti alla pena,
macroscopicamente  piu'  severa, della reclusione da due a dieci anni
stabilita  dall'art.  215  c.p.m.p. (cui l'art. 3 della legge n. 1383
del 1941 fa rinvio quoad poenam).
Orbene,  tale  disparita' di trattamento appare al tribunale priva di
razionale  giustificazione e, pertanto, in contrasto con il principio
di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.
Al  riguardo,  giova ricordare che gia' con la sentenza n. 4 del 1974
-- dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, lett. c),
della  legge  21  maggio  1970,  n. 282, e dell'art. 5, lett. c), del
d.P.R.  22 maggio 1970, n. 283, nella parte in cui non estendevano al
peculato  militare  l'amnistia  prevista per il peculato comune -- la
Corte  costituzionale  osservava  come  «tra  il  delitto di peculato
previsto  dall'art.  314  c.p.  e  quello di peculato militare di cui
all'art.  215  c.p.m.p.  sussiste  una sostanziale identita», sicche'
«non  si riesce ... a vedere quali obbiettivi ed apprezzabili ragioni
abbiano  potuto  indurre  il  legislatore  ad una diversa valutazione
delle anzidette figure delittuose».
Inoltre,  richiamando  tale concetto, la stessa Corte costituzionale,
nella  sentenza n. 473 del 1990 -- pur pervenendo nella specie ad una
declaratoria  di inammissibilita' della questione posta dal giudice a
quo -  rilevava  che  la  fattispecie  di  cui all'art. 215 c.p.m.p.,
«lungi   dall'essere   considerata  dal  legislatore  in  termini  di
particolare  gravita' perche' attinente all'amministrazione militare,
e' valutata addirittura di piu' lieve entita' di quella comune stando
alla  sanzione  che, nel minimo, e' inferiore di ben un anno a quella
prevista  per  il  peculato  comune»,  e  affermava  quindi che «tale
essendo  la  considerazione  data  alle  due fattispecie dallo stesso
legislatore,  non  e'  effettivamente  conforme  a  razionalita' che,
riformando  il  peculato  comune  cosi' come si' e' visto piu' sopra,
analoga modifica non sia stata apportata a quello militare».
Infine,  ricordando  quanto affermato nelle pronunce suddette, con la
sentenza  n. 448  del  1991, la Corte costituzionale ha dichiarato 1'
illegittimita'  costituzionale  dell'art.  215 c.p.m.p. limitatamente
alle  parole «ovvero lo distrae a profitto proprio o di altri», cosi'
equiparando il trattamento delle condotte distrattive poste in essere
dal  militare  alle  analoghe  condotte  poste in essere dal pubblico
ufficiale non militare.
Cio'  detto, le considerazioni che precedono appaiono valide anche in
relazione,  da  un  lato,  alla fattispecie di «peculato del militare
della  Guardia  di  Finanza» prevista dall'art. 3 della legge n. 1383
del  1941;  dall'altro, alle condotte appropriative contrassegnate da
un uso momentaneo della cosa cui segue la restituzione della stessa.
Quanto  al  primo  aspetto,  la  struttura  di detta fattispecie, con
particolare  riferimento  alla  natura  del  bene  protetto  ed  alla
condotta  tipica,  non  e' diversa da quella del peculato comune oggi
prevista  dall'art. 314 c.p. e da quella del peculato militare di cui
all'art. 215 c.p.m.p., prima che queste ultime fossero modificate per
effetto,  rispettivamente,  dell'art.  1 della legge n. 86 del 1990 e
della sentenza n. 448 del 1991 della Corte costituzionale.
Inoltre,  va  considerato  che l'art. 3 della legge n. 1383 del 1941,
limitandosi  quoad  poenam  a rinviare all'art. 215 c.p.m.p., prevede
una  pena  meno  grave  di quella che era prevista dall'art. 314 c.p.
prima  dell'intervento  riformatore  operato con l'art. 1 della legge
n. 86  del  1990 e che oggi e' prevista dal primo comma del riformato
art.  314.  Di conseguenza, anche per il «peculato del militare della
Guardia   di   Finanzia»   deve   escludersi   che  nell'appartenenza
dell'agente  e  dell'oggetto  materiale della condotta al Corpo della
Guardia di Finanza possa rinvenirsi una valutazione della fattispecie
speciale  qui  considerata  in  termini di maggiore gravita' rispetto
alla fattispecie comune di peculato.
Circa  il  secondo  profilo,  alla  luce  dell'evidenziata  identita'
sostanziale  tra  le  fattispecie,  cosi'  come la mancata estensione
delle  modifiche apportate al peculato comune dall'art. 1 della legge
n. 86  del  1990 al «peculato militare» in genere ed al «peculato del
militare  della Guardia di Finanza in particolare» appare irrazionale
ed ingiustificata in relazione alle condotte distrattive, allo stesso
modo   e   per   le   stesse   ragioni  essa  appare  irrazionale  ed
ingiustificata   anche   in  relazione  alle  condotte  appropriative
caratterizzate   dall'uso   solo   momentaneo   della  cosa,  seguito
dall'immediata restituzione della stessa.
In  altri  termini,  cosi'  come  era  irragionevole  che la condotta
distrattiva del militare fosse soggetta alla pena della reclusione da
due  a  dieci  anni  prevista dall'art. 215 c.p.m.p. quando l'analoga
condotta  commessa  dal  pubblico ufficiale non militare o era (ed e)
penalmente  non  rilevante  ovvero  era  (ed e) soggetta, in presenza
delle  specifiche  condizioni stabilite dall'art. 323 c.p., alla pena
della  reclusione  da  sei  mesi  a tre anni prevista per il reato di
abuso  d'ufficio,  allo  stesso modo e' irragionevole che la condotta
del  militare di appropriazione momentanea seguita dalla restituzione
continui  ad  essere  punita  con  la  reclusione da due a dieci anni
prevista dall'art. 215 c.p.m.p. e dall'art. 3 della legge n. 1383 del
1941  (per effetto del rinvio all'art. 215 c.p.m.p.) mentre l'analoga
condotta  del  pubblico  ufficiale  non militare e' soggetta alla ben
piu'  mite  pena  della  reclusione  da  sei mesi a tre anni prevista
dall'art. 314 comma 2 del codice penale.
Peraltro,  anche  considerando  il  peculato  d'uso  una forma non di
appropriazione   ma   di   distrazione   e   ritenendo,  quindi,  che
l'intervenuta  soppressione  dell'ipotesi  distrattiva  dal «peculato
militare»,  per  effetto  della piu' volte richiamata sentenza n. 448
del 1991 della Corte costituzionale, abbia eliminato la disparita' di
trattamento  determinatasi,  a seguito della riformulazione dell'art.
314  c.p.  effettuata  con la novella del 1990, tra peculato comune e
«peculato   militare»,  resterebbe  pur  sempre  fermo  il  deteriore
trattamento  riservato al militare della Guardia di Finanza dall'art.
3  della  legge n. 1383 del 1941; anzi, tale disparita' sarebbe ancor
piu'  intensa e intollerabile perche' opererebbe non solo rispetto al
personale   civile  ma  anche  rispetto  al  personale  militare  non
appartenente alla Guardia di Finanza.
Per  eliminare  l'evidenziata disparita' e ripristinare l'uniformita'
di  trattamento  tra  il  militare  della  Guardia  di  Finanza ed il
pubblico  ufficiale  non  militare,  si  rende  necessario dichiarare
l'illegittimita'  costituzionale,  per  contrasto  con l'art. 3 della
Costituzione, dell'art. 3 della legge n. 1383 del 1941 nella parte in
cui,  dopo  avere  previsto che «il militare della Guardia di Finanza
che  ...  si  appropria  o  comunque distrae, a profitto proprio o di
altri,  valori  o  generi  di cui egli, per ragioni del suo ufficio o
servizio,  abbia l'amministrazione o la custodia o su cui esercita la
sorveglianza,  soggiace  alle pene stabilite dagli articoli 215 e 219
del   codice   penale  militare  di  pace»,  non  prevede  che  «tale
disposizione  non  si  applica  quando  il colpevole ha agito al solo
scopo  di  fare  uso  momentaneo  della  cosa,  e  questa, dopo l'uso
momentaneo, e' stata immediatamente restituita».
Si  rende  altresi'  necessario,  ad avviso del tribunale, dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 215 c.p.m.p. nella parte in
cui, infine, non prevede che «tale disposizione non si applica quando
il  colpevole  ha  agito  al  solo scopo di fare uso momentaneo della
cosa,  e  questa,  dopo  l'uso  momentaneo,  e'  stata immediatamente
restituita».
Infatti,  come  si  e'  gia'  detto,  la  condotta  di appropriazione
caratterizzata  dall'uso  momentaneo  della  cosa posta in essere dal
militare della Guardia di Finanza, in assenza dell'art. 3 della legge
n. 1383  del  1941, sarebbe comunque attratta nella previsione di cui
all'art.  215 c.p.m.p, cosi' come esso e' ancora oggi vigente dopo la
dichiarazione di parziale incostituzionalita' operata con la sentenza
n. 448 del 1991 della Corte costituzionale.
Diversamente,  ove si ritenesse che l'uso momentaneo per fini privati
della  cosa  di  cui si dispone per ragioni d'ufficio costituisca una
condotta distrattiva e non appropriativa, e si ritenesse, quindi, che
l'art. 215 c.p.m.p. non punisce le condotte di questo genere commesse
dai  militari,  ai fine di ripristinare la parita' di trattamento tra
militari  della  Guardia di Finanza, da un lato, pubblici ufficiali e
militari  non  appartenenti  al  suddetto  Corpo, dall'altro, sarebbe
sufficiente  di  chiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3
della  legge  n. 1383  del 1941 limitatamente alle parole «o comunque
distrae, a profitto proprio o di altri».
Va  rilevato, comunque, che un'eventuale accoglimento della questione
che  qui  si pone, al pari di quanto avvenuto con la pronuncia di cui
alla  sentenza  della  Corte  costituzionale  n. 448  del  1991,  non
determinerebbe   un  vuoto  di  disciplina  ne'  una  non  consentita
introduzione  di  nuove  fattispecie  incriminatrici; determinerebbe,
invece,   in   conformita'  a  quanto  previsto  dall'art.  16  c.p.,
l'applicazione   delle  norme  del  codice  penale  comune  in  luogo
dell'art.  3 della legge n. 1383 del 1941 e dell'art. 215 c.p.m.p. in
quanto  questi  ultimi, nella materia de qua, non stabilirebbero piu'
diversamente.
In   altri   termini,  un'eventuale  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale  delle  predette  speciali  disposizioni  nei  termini
dianzi  prospettati, sottrarrebbe l'appropriazione momentanea di cose
di  cui  il  militare della Guardia di Finanza dispone per ragioni di
servizio  alla  disciplina dell'art. 3 della legge n. 1383 del 1941 e
(gradatamente) dell'art. 215 c.p.m.p. (nonche' alla giurisdizione del
giudice  militare)  per  ricondurla alla disciplina, piu' favorevole,
dell'art.  314  comma  2  c.p.  (ed  alla  giurisdizione  del giudice
ordinario),   cosi'   eliminando  l'evidenziata  ed  ingiustificabile
disparita' di trattamento.
Giova  infine  fare presente che una pronuncia di incostituzionalita'
nei  termini  appena  invocati  non  pare  implicare,  ad  avviso del
tribunale,  una  manipolazione  normativa  sottratta  al potere della
Corte costituzionale, tanto che quest'ultima non si e' sottratta, con
la sentenza n. 448 del 1991, alla produzione di un analogo effetto in
ordine  alle  condotte  distrattive di cui l'art. 215 c.p.m.p.; essa,
inoltre,  a quasi diciassette anni dal monito lanciato al legislatore
con  la  sentenza  della Corte costituzionale n. 473 del 1990, appare
necessaria     per    porre    fine    all'ulteriore    perpetuazione
dell'ingiustificata  ed  ormai  non  piu'  tollerabile  disparita' di
trattamento sin qui evidenziata.
Le questioni prospettate hanno rilevanza nel presente procedimento.
Come  si  e'  gia'  rassegnato,  infatti, l'eventuale declaratoria di
incostituzionalita'  nei termini evidenziati, oltre ad incidere sulla
qualificazione  giuridica delle condotte descritte nell'imputazione e
sulla pena per esse prevista, determinerebbe la sottrazione di talune
di  esse  all'area  delineata  da  fattispecie di reato soggette alla
giurisdizione  militare  per  ricondurla  a quella prevista dall'art.
314,  comma  2  c.p.,  rientrante  nella  giurisdizione  del  giudice
ordinario,  con  l'immediata  conseguenza,  nel presente processo, di
condizionare  la  decisione  di  questo  tribunale  sull'eccezione di
difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa dell'imputato.
Ed  invero,  si  e'  evidenziato come l'imputazione sulla quale si e'
chiamati   a  decidere  contenga  condotte  riconducibili  a  diverse
fattispecie penali: l'uso a fini privati dell'autovettura di servizio
che,  essendo  l'agente  il  Comandante  della  Compagnia  di Termini
Imerese  della  Guardia  di  Finanza ed avendo la condotta ad oggetto
autovetture in dotazione alla predetta Compagnia, va inquadrato nella
fattispecie  di  cui all'art. 3 della legge n. 1383 del 1941; l'uso a
fini  privati  dell'autista  delle  predette  autovetture  che, sulla
scorta di quanto in precedenza osservato, in presenza delle ulteriori
condizioni  richieste  dall'art.  323 c.p., integra il reato di abuso
d'ufficio previsto da tale ultimo articolo.
Pertanto,   in   relazione   alle   condotte   di  illecito  utilizzo
dell'autovettura  contestate all'imputato, essendo esse astrattamente
riconducibili  al  reato  di  cui  all'art. 3 della legge n. 1383 del
1941,  questo  tribunale  dovrebbe  dichiarare  il proprio difetto di
giurisdizione.
Infatti,   poiche'   il   reato  di  abuso  d'ufficio,  astrattamente
configurabile  in  relazione  alle  condotte di utilizzo dell'autista
contestate  all'imputato,  rientrante nella giurisdizione del giudice
ordinario,  e'  meno  grave  del  reato di cui all'art. 3 della legge
n. 1383  del  1941,  ai  sensi  del  comma 2 dell'art. 13 c.p.p., non
opererebbe  la  connessione tra il procedimento relativo all'utilizzo
dell'autovettura e quello relativo all'utilizzo dell'autista, sicche'
il  secondo  non  avrebbe  la  forza  di  attrarre  il primo sotto la
giurisdizione del giudice ordinario.
Ove  invece  fosse accolta la prospettata eccezione di illegittimita'
costituzionale,    anche   le   contestate   condotte   di   utilizzo
dell'autovettura,  finendo  col  rientrare  nella  fattispecie di cui
all'art.   314,   comma   2   c.p.,   diventerebbero   soggette  alla
giurisdizione  del  giudice  ordinario,  con  la  conseguenza  che il
tribunale  procedente  dovrebbe  rigettare,  almeno con riferimento a
tali  condotte,  l'eccezione  di  difetto  di giurisdizione sollevata
dalla difesa.
Il   giudizio  di  rilevanza  resta  fermo  anche  a  volere  aderire
all'orientamento   giurisprudenziale   --  non  condiviso  da  questo
Tribunale  --  che  riconduce  le condotte di utilizzo a fini privati
dell'autista alla fattispecie di peculato (per appropriazione) di cui
all'art.  314,  comma  1  c.p.  e,  quindi, a volere ritenere che, se
commesse  dal militare della Guardia di Finanza, dette condotte siano
riconducibili  al  reato  di  cui  all'art. 3 della legge n. 1383 del
1941.
Infatti,   aderendo   a   questa   prospettiva,   allo   stato  della
legislazione,  tutte  le condotte contestate all'imputato, sia quelle
di  utilizzo a fini privati dell'autovettura che quelle di utilizzo a
fini privati dell'autista, sarebbero astrattamente riconducibili alla
fattispecie  di cui all'art. 3 della legge n. 1383 del 1941, pertanto
punite  con la pena da due a dieci anni di reclusione e soggette alla
giurisdizione militare.
Conseguentemente,  l'eccezione sollevata dalla difesa dovrebbe essere
integralmente accolta.
Orbene,   come   si   e'  gia'  ampiamente  evidenziato,  l'eventuale
accoglimento  dell'eccezione  qui  prospettata  avrebbe  l'effetto di
sottrarre   le   condotte  di  utilizzo  dell'autovettura  contestate
all'imputato  alla  fattispecie  prevista  dall'art.  3  della  legge
n. 1383  del  1941  (e, gradatamente, a quella prevista dall'art. 215
c.p.m.p.)  per  ricondurle  a  quella  prevista dall'art. 314 comma 2
c.p.,  con  i  conseguenti  effetti  sulla pena, che passerebbe dalla
reclusione  da  due  a  dieci  anni alla reclusione da sei mesi a tre
anni,  e  sulla giurisdizione, che transiterebbe dal giudice militare
al giudice ordinario.
E tale effetto, come e' evidente, esplicherebbe immediate conseguenze
sulla decisione di questo Tribunale in merito all'eccezione sollevata
dalla difesa.
Infatti,     a    seguito    di    un'eventuale    declaratoria    di
incostituzionalita'   nei   termini   qui  prospettati,  le  condotte
contestate  all'imputato  sarebbero  astrattamente  riconducibili  al
reato  di  peculato  d'uso  previsto  dall'art.  314 comma 2 c.p. per
quanto  attiene  all'utilizzo  dell'autovettura e (beninteso aderendo
alla  prospettiva  da  ultimo  indicata) al piu' grave reato previsto
dall'art.  3  della  legge n. 1383 del 1941 relativamente all'impiego
dell'autista.
Saremmo  di  fronte  dunque  a condotte integranti una fattispecie di
concorso formale di due reati: il piu' grave, costituito dall'impiego
per  scopi  privati  dell'autista,  previsto  dall'art. 3 della legge
n. 1383  del  1941, soggetto alla giurisdizione del giudice militare;
il  meno  grave, costituito dall'uso a fini privati dell'autovettura,
previsto  dall'art. 314 comma 2 c.p., soggetto alla giurisdizione del
giudice ordinario.
In tal caso, in base a quanto stabilito dall'art. 13, comma 2 c.p.p.,
la  connessione  non  opererebbe  e,  pertanto,  la giurisdizione del
giudice ordinario in ordine alle condotte di' utilizzo a fini privati
dell'autovettura di servizio resterebbe ferma.
L'eccezione della difesa, quindi, andrebbe accolta limitatamente alle
condotte di impiego per scopi privati dell'autista.
                              P. Q. M.
   Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento
all'art.   3   della   Costituzione,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  3  della  legge  9 dicembre 1941, n. 1383,
nella parte in cui, dopo avere previsto che il militare della Guardia
di  Finanza  il  quale  «si  appropria o comunque distrae, a profitto
proprio  o di altri, valori o generi di cui egli, per ragioni del suo
ufficio  o  servizio,  abbia l'amministrazione o la custodia o su cui
esercita la sorveglianza, soggiace alle pene stabilite dagli articoli
215  e 219 del codice penale militare di pace», non prevede che «tale
disposizione  non  si  applica  quando  il colpevole ha agito al solo
scopo  di  fare  uso  momentaneo  della  cosa,  e  questa, dopo l'uso
momentaneo, e' stata immediatamente restituita».
   Dichiara  altresi'  rilevante  e  non manifestamente infondata, in
riferimento   all'art.   3   della   Costituzione,  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  215  c.p.m.p. nella parte in
cui, infine, non prevede che «tale disposizione non si applica quando
il  colpevole  ha  agito  al  solo scopo di fare uso momentaneo della
cosa,  e  questa,  dopo  l'uso  momentaneo,  e'  stata immediatamente
restituita».
   Ordina  che  a  cura  della  cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  alle parti non presenti e al Presidente del Consiglio dei
ministri  e  che  della  stessa  sia data comunicazione ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento.
   Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale.
   Sospende il processo.
     Termini Imerese, addi' 11 ottobre 2007
                        Il giudice: Castiglia