N. 18 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 febbraio 2008- 23 aprile 2007

  Ordinanza  del  23  aprile  2007  emessa  dal  Tribunale  di Tempio
Pausania nel procedimento penale a carico di Amoroso Francesco

  Reati  e  pene  -  Circostanze  del reato - Concorso di circostanze
  aggravanti  e  attenuanti - Divieto di prevalenza delle circostanze
  attenuanti  sulle  circostanze  inerenti alla persona del colpevole
  nel  caso  previsto dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. (recidiva
  reiterata)   -   Violazione   del  principio  di  ragionevolezza  -
  Disparita'  di  trattamento  - Lesione del principio della funzione
  rieducativa della pena.
  - Codice penale, art. 69, comma quarto, come modificato dall'art. 3
  della legge 5 dicembre 2005, n. 251.
  - Costituzione, artt. 3 e 27.
(GU n.8 del 13-2-2008 )
                            IL TRIBUNALE
Ha emesso la seguente ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale  e  di contestuale sospensione del giudizio - art. 23,
legge 11 marzo 1953, n. 87.
Pronunziando  nel  procedimento penale a carico di Amoroso Francesco,
imputato  del  delitto  di cui agli artt. 81 c.p.v. c.p. e 73, d.P.R.
n. 309/1990  «perche',  con  piu'  azioni  esecutive  di  un medesimo
disegno criminoso, deteneva per fini di spaccio sostanza stupefacente
del tipo Ecstasy pari a 9 pasticche, nonche' cedeva a titolo gratuito
una  pasticca  di  Ecstasy  a Sechi Giovanni ed altre pasticche della
medesima  sostanza  psicotropa  a terzi non identificati ricavando la
somma  di  € 347,20. Con la recidiva reiterata e specifica. Acc.
in S. Teresa Gallura, il 20 febbraio 2007, ore 17 circa».
Udita  l'istanza,  avanzata all'udienza del 26 febbraio 2007, con cui
l'avv. Francesco Manai, difensore di fiducia dell'imputato, sollevava
la  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  69, comma
quarto,  cod.  pen.,  cosi' come modificato dall'art. 3 della legge 5
dicembre  2005  n. 251,  per  violazione  degli  artt.  3  e 27 della
Costituzione;
Esaminati gli atti e le deduzioni della difesa;
Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione.
                               Osserva
1) I fatti del giudizio.
In data 20 febbraio 2007 Amoroso Francesco fu tratto in arresto nella
flagranza  del  delitto di cui all'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990,
n. 309  e  fu  condotto  dinanzi  al  Tribunale di Tempio Pausania in
composizione  monocratica  per la convalida e il contestuale giudizio
direttissimo.
Convalidato  l'arresto  e applicata la misura cautelare degli arresti
domiciliari,   si'   dispose   procedersi   nelle   forme   del  rito
direttissimo.
Dopo  aver  fruito  dei termini a difesa, all'udienza del 26 febbraio
2007  l'imputato,  presente,  chiese  di  procedere ai giudizio nelle
forme  del  rito  abbreviato  condizionato alla acquisizione di prove
documentali    relative    alla    propria    capacita'    reddituale
(documentazione attestante la percezione da parte dell'imputato di un
sussidio di disoccupazione mensile pari a 800 euro circa).
Acquisita  la  produzione documentale e invitate le parti a formulare
le  conclusioni,  il  difensore sollevo' la questione di legittimita'
costituzionale  del  disposto  di cui all'art. 69, comma quarto, cod.
pen.,  come modificato dall'art. 3, legge n. 251/2005, nella parte in
cui  lo  stesso  pone  il  divieto  di  prevalenza  delle circostanze
attenuanti  rispetto  alle  ritenute  circostanze aggravanti nei casi
previsti dall'art. 99, comma quarto, cod. pen.
All'udienza  del  2  aprile  2007  -  alla  quale  il processo veniva
rinviato  per  l'approfondimento  in ordine alla rilevanza e alla non
manifesta  infondatezza  della  questione - il difensore propose note
scritte  a  sostegno  della  istanza  e  il  processo  fu  aggiornato
all'udienza  del 23 aprile 2007 per la pubblicazione mediante lettura
in udienza della presente ordinanza.
Nelle discussione orale e nelle deduzioni scritte sopra menzionate il
difensore   dell'imputato  ha  elencato  talune  circostanze  atte  a
sussumere  il  fatto contestato all'imputato sotto l'ipotesi lieve di
cui  all'art. 73, comma quinto, del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309. Tra
gli  elementi piu' significativi in tal senso la difesa ha annoverato
la   ridotta   quantita'   di   sostanza   sfupefacente  in  possesso
dell'imputato  ed oggetto di cessione - di poco superiore alla soglia
stabilita  dalla  legge  21 febbraio 2006 n. 49 per la configurazione
del  mero  illecito  amministrativo -, la mancanza di una forma anche
rudimentale  di  organizzazione e di mezzi nell'attivita' di cessione
della  sostanza  medesima,  il fatto che la cessione medesima fosse a
titolo gratuito e del tutto occasionale.
Il  difensore  ha  inoltre  tracciato un quadro di elementi di fatto,
relativi  anche alla condotta post-delittuosa dell'imputato, idonei a
consentire   il   riconoscimento   in   favore   dell'imputato  delle
circostanze di cui all'art. 62-bis cod. pen.
Tra   i   fatti   enucleati'   dal  difensore  emergono  la  condotta
collaborativa   dell'imputato   con   le   forze  dell'ordine  e  con
l'autorita'  giudiziaria,  la  dichiarazione  da  parte dell'imputato
stesso di circostanze giustificative del possesso di denaro che hanno
trovato   riscontro   nella   documentazione   prodotta,  la  modesta
offensivita'  penale  del  fatto nel suo complesso e la necessita' di
adeguare la sanzione alla concreta entita' del fatto.
Cio' premesso, il difensore ha rilevato che il disposto dell'art. 69,
comma  quarto,  cod. pen., nella sua formulazione attuale conseguente
alle  modifiche introdotte  dalla  legge  n. 251/2005, impedirebbe al
giudice  di  formulare  un  giudizio  di prevalenza delle circostanze
attenuanti  individuate  nel  caso  concreto - ad  effetto speciale e
generiche  -  rispetto l'aggravante di cui all'art. 99, comma quarto,
cod.   pen.,   traghettando  meccanicamente  il  fatto  senza  alcuna
possibilita'  per  il  giudicante  di  sottrarsi a tale automatismo -
nella  fattispecie di cui all'art. 73, primo comma, d.P.R. n. 309/90,
con conseguente inasprimento sanzionatorio non proporzionale rispetto
all'entita' e all'offensivita' del fatto contestato.
Conseguenza   della   norma   penale   sospettata  di  illegittimita'
costituzionale,  ha infatti rilevato il difensore, e' l'applicazione,
nel  caso  di specie, di un binario edittale sanzionatorio (da 6 a 20
anni  di  reclusione  e  da  euro  26.000  a  euro  260.000 di multa)
sproporzionato   rispetto  al  fatto  concreto,  con  elisione  della
finalita'  rieducativa  della  pena,  negazione del principio sancito
dall'art. 27 della Costituzione e scollamento della risposta punitiva
dall'apprezzamento  in  concreto della offensivita' reale del fatto e
dalla personalita' del colpevole.
Tali esiti sono apparsi al difensore in contrasto con l'art. 27 della
Costituzione,   in   ragione   dell'accentuazione  del  solo  aspetto
retributivo  della  pena,  e con l'art. 3 della Costituzione, a causa
della  creazione  di  un'irragionevole  disparita' di trattamento tra
soggetti   recidivi   e   non   recidivi,   nonche'   di   incoerenti
disuguaglianze all'interno della stessa categoria dei recidivi.
2) La rilevanza della questione.
In  via  preliminare  devono  essere svolte alcune considerazioni con
riferimento   alla   rilevanza   in   concreto   della  questione  di
legittimita'  costituzionale  della  norma  di cui all'art. 69, comma
quarto,   cod.   pen.,   come  modificata  dall'art.  3  della  legge
n. 251/2005.
Le  circostanze  desumibili  dal  caso concreto e, in particolare, la
minima  quantita'  di  sostanza  psicotropa  oggetto  di detenzione e
cessione, inducono a ritenere che la condotta contestata all'imputato
palesi  una  ridotta  offensivita'  penale,  con pari modesto allarme
sociale.  Tale fatto, pertanto, appare riconducibile alla fattispecie
di   lieve  entita'  prevista  dall'art.  73,  comma  quinto,  d.P.R.
n. 309/1990.
L'applicazione  della  cornice  edittale  relativa  al fatto di lieve
entita'  al caso di specie e' pero' impedita dal disposto della norma
oggetto della questione di legittimita' costituzionale.
L'art.  69,  comma  quarto,  cod.  pen. - come modificato dall'art. 3
della  legge  n. 251  del  2005 - stabilisce che «le disposizioni del
presente  articolo  si applicano anche alle circostanze inerenti alla
persona  del  colpevole, esclusi i casi previsti dall'art. 99, quarto
comma,  nonche'  dagli articoli 111 e 112, primo comma n. 4), per cui
vi  e'  divieto  di  prevalenza  delle  circostanze  attenuanti sulle
ritenute circostanze aggravanti».
Orbene,  costituisce  ius  receptum  della Corte di cassazione che il
fatto di «lieve entita» configuri una circostanza attenuante speciale
e  a  effetto  speciale  e  non  una  fattispecie  autonoma  di reato
(Cassazione  penale,  sezioni  unite,  31  maggio  1995,  Parisi). Da
quest'ordine  di  ragionamenti  deriva  che,  in caso di concorso con
circostanze  aggravanti,  il  fatto  di  lieve  entita'  rientri  nel
bilanciamento  con  le  dette  circostanze  eterogenee  e, in caso di
contestazione   da   parte  del  Pubblico  Ministero  della  recidiva
reiterata,  sia soggetto al giudizio di comparazione nei soli termini
di soccombenza o equivalenza.
Il  divieto  di  prevalenza imposto dalla norma oggetto del dubbio di
conformita'  a  costituzione comporterebbe, pertanto, l'applicazione,
al  caso  oggetto  del  giudizio  in  corso,  della «pena che sarebbe
inflitta  se  non  concorresse alcuna di dette circostanze» (art. 69,
comma  terzo,  cod.  pen.),  vale  a  dire  la  pena  prevista per la
fattispecie  base  di  cui  al  primo  comma  dell'art. 73 del d.P.R.
n. 309/1990.
Ad  Amoroso Francesco, infatti, e' stata legittimamente contestata la
recidiva  reiterata  e  specifica,  avendo  lo  stesso  riportato una
condanna  per  concorso  in  furto  aggravato  (fatto  commesso il 21
febbraio  1999,  sentenza  irrevocabile  il  22  giugno  2000)  e una
condanna  per  detenzione  e cessione di sostanza stupefacente (fatto
commesso il 15 settembre 2000, sentenza - peraltro con riconoscimento
del fatto di lieve entita' - irrevocabile il 3 ottobre 2000).
Dalla corretta contestazione della recidiva ex art. 99, comma quarto,
cod.  pen.,  scaturirebbe  pertanto  il  divieto  di prevalenza delle
circostanze  attenuanti  sulle  ritenute  circostanze aggravanti, con
conseguente  determinazione  della  pena, come sopra osservato, sulla
scorta di quella prevista per la fattispecie base di cui all'art. 73,
primo comma, d.P.R. n. 309/1990.
Tale   commisurazione   della  pena  appare  nel  caso  concreto  non
proporzionata alla modesta entita' del fatto.
Nella  vicenda  processuale  oggetto  del presente giudizio, infatti,
oltre  alla  modesta  entita' del fatto, ricorrono numerosi elementi,
valutabili   anche   ai   sensi   dell'art.  62-bis  cod.  pen.,  che
indurrebbero  a  un  bilanciamento  in  termini  di  prevalenza delle
circostanze   attenuanti.   Tra  gli  elementi  sopra  menzionati  si
annoverano  la  risolenza  nel  tempo  del  precedente specifico e la
ridotta  offensivita'  dello  stesso,  il carattere occasionale e non
organizzato   della   cessione,   il   riscontro   documentale  delle
affermazioni  dell'imputato  in ordine alla sua capacita' reddituale,
la condotta processuale collaborativa del prevenuto medesimo.
La  valorizzazione  di  tali  elementi  indurrebbe  il  giudicante  a
limitare la pena detentiva in un contesto edittale compreso tra 1 e 6
anni  di  reclusione  e la pena pecuniaria in un binario compreso tra
3.000 e 26.000 euro di multa.
Tale  soluzione,  tuttavia,  e' impedita del novellato art. 69, comma
quarto,   cod.  pen.,  in  ragione  del  quale  il  fatto  contestato
all'imputato   dovrebbe  essere  automaticamente  sussunto  sotto  la
fattispecie  base, con possibilita' di irrogare soltanto una sanzione
che,  fatta  salva  la  diminuzione del rito, sarebbe pari nel minimo
(sei  anni di reclusione e 26.000 euro di multa) al massimo di quella
irrogabile nel caso di prevalenza delle attenuanti.
La  questione di legittimita' costituzionale, pertanto, si palesa nel
caso di specie rilevante in concreto.
3)  La  norma  «indubbiata»  e  la  non  manifesta infondatezza della
questione.
La  questione  di legittimita' costituzionale sollevata dal difensore
appare  non  manifestamente  infondata, evidenziando la norma oggetto
del  sospetto  di  illegittimita'  costituzionale  profili  di  netto
contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione.
L'art. 69, comma quarto, cod. pen., come modificata dall'art. 3 della
legge  5  dicembre  2005,  n. 251,  impedisce  al  giudice,  nei casi
previsti  dall'art.  99,  comma  quarto,  cod.  pen., di formulare un
giudizio di prevalenza di tutte le circostanze attenuanti che ritiene
di  poter  e  dover  concedere all'imputato rispetto alle circostanze
aggravanti contestate, ivi compresa la recidiva.
Tale  disciplina di rigore introdotta dal legislatore appare a questo
giudice  in  contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione,
per  violazione  dei  principi  di  ragionevolezza e uguaglianza, con
riferimento  soprattutto alle irragionevoli disparita' di trattamento
sanzionatorio  che  tale disciplina puo' ingenerare all'interno della
stessa categoria dei soggetti recidivi.
La   questione   di  legittimita'  costituzionale  della  norma  c.d.
«indubbiata»,  invero,  si  pone proprio a causa del livellamento del
trattamento  sanzionatorio  dei medesimi soggetti recidivi reiterati,
nei  confronti dei quali il giudizio di prevalenza sarebbe impedito a
prescindere  dal  numero  delle circostanze attenuanti riconoscibili,
con determinazione di una risposta punitiva appiattita sulla medesima
cornice  edittale sia nel caso di soggetto recidivo nei confronti del
quale  possa essere riconosciuta una sola circostanza attenuante, sia
nell'ipotesi  di  recidivo  che possa beneficiare di piu' circostanze
attenuanti.
Il  tertium  comparationis, pertanto, dovrebbe essere individuato non
tanto  nel  soggetto non recidivo, ma nel soggetto recidivo reiterato
nei  cui  confronti  -  come  nel  caso  sub iudice che ha dato luogo
all'incidente  di costituzionalita' - possono essere riconosciute una
pluralita' di circostanze attenuanti, tra cui una ad effetto speciale
(«fatto  di  lieve  entita»  di cui all'art. 73, comma quinto, d.P.R.
n. 309/1990).
Infatti,  se appare possibile che la recidiva reiterata sia posta dal
legislatore a fondamento di una risposta sanzionatoria piu' rigorosa,
ponendosi  a  base della differenziazione del trattamento legislativo
una  diversa  «resistenza»  manifestata  dal  soggetto  recidivo alla
percezione  del  disvalore  sotteso  al  precetto  penale, non appare
altrettanto  legittimo  che  la discrezionalita' legislativa giunga a
determinare,  anche  nell'ambito della stessa categoria dei recidivi,
un'uniformazione  del  trattamento  sanzionatorio che non consenta al
giudicante  di  diversificare  la  risposta  punitiva  sulla base del
concreto  disvalore del  fatto  e  della  personalita' del colpevole,
conformemente a quanto stabilito dall'art. 133 cod. pen.
Condizioni  diseguali  giustificano  risposte  legislative diseguali,
approntate  in ottica di prevenzione generale e speciale, come emerge
da tutto il tessuto normativo riguardante i soggetti recidivi (cosi',
in  materia di amnistia, indulto, oblazione, sospensione condizionale
della  pena, sospensione dell'ordine di esecuzione ai sensi dell'art.
656, comma nono, cod. proc. pen.). Quello che, tuttavia, ad avviso di
questo  giudice  appare  contrario  al  principio di uguaglianza e al
criterio  di  ragionevolezza, sanciti dall'art. 3, comma primo, della
Costituzione,   e'   l'effetto  di  arbitrario  automatismo  prodotto
dall'art.  69,  comma  quarto,  cod. pen. cosi' come novellato, anche
all'interno della stessa categoria dei soggetti recidivi.
Come  detto,  infatti,  il  giudizio  di  prevalenza delle attenuanti
sarebbe  impedito  tanto  nel  caso  di recidivo al quale puo' essere
applicata una sola circostanza attenuante, tanto nel caso di recidivo
che  puo' beneficiare di piu' circostanze, dimostrando cosi' come nel
caso di specie, una ridotta offensivita' sociale.
L'applicazione  formale del criterio di equivalenza, svincolata dalla
valutazione   della  concreta  offensivita'  del  fatto  di  reato  e
dall'apprezzamento dell'effettiva personalita' dell'imputato, conduce
a un livellamento del sistema sanzionatorio non giustificabile da una
corrispondente uguaglianza delle vicende disciplinate.
Tale  uniformita' di risposta punitiva, pertanto, induce a accomunare
nel  medesimo  «destino  sanzionatorio» fatti di gravita' rilevante e
fatti  di  entita'  modesta,  soggetti  di  spiccata  pericolosita' e
soggetti  che,  pur  recidivi  reiterati,  evidenziano  un profilo di
pericolosita'  minore  (in  ragione, ad esempio, della scarsa entita'
dei  precedenti  giudiziari, della distanza nel tempo di quest'ultimi
ovvero, ancora, della non specificita' dei precedenti medesimi).
L'appiattimento  del trattamento sanzionatorio e' tanto piu' evidente
in  una  vicenda  come  quella  all'attenzione del giudizio in corso,
nella  quale  il  vincolo  imposto  al giudicante dall'art. 69, comma
quarto,  cod.  pen.,  induce  all'applicazione della medesima cornice
edittale  (da  6  a 20 anni di reclusione e da € 26.000 a €
260.000)  sia  nei  confronti  del  recidivo  reiterato  al quale sia
concedibile una sola circostanza attenuante (magari le circostanze di
cui  all'art.  62-bis  cod.  pen.),  sia  nei confronti dell'imputato
recidivo  reiterato  il  quale  abbia  commesso  un  fatto di entita'
talmente   modesta  da  superare  di  poco  la  soglia  dell'illecito
amministrativo.
Ad   avviso   di   questo   giudice   la  questione  di  legittimita'
costituzionale   cosi'   posta   non  puo'  essere  glissata  facendo
riferimento   alla  possibilita'  del  giudice  di  differenziare  la
risposta punitiva attraverso la graduazione la pena all'interno della
cornice edittale.
Il  vincolo  imposto  dalla  norma oggetto della sollevata questione,
infatti,   determinerebbe   comunque   il   rischio  di  livellamenti
sanzionatori  intollerabili  in  un  diritto penale che, in un'ottica
costituzionalmente  orientata,  dovrebbe essere ancorato innanzitutto
al  disvalore del fatto e non a quello dell'autore. Le conseguenze in
termini  di  proporzionalita'  della  pena  si evidenziano proprio in
ipotesi,  come  quella  oggetto  del  presente  giudizio,  in  cui la
fattispecie  base  e'  punita  con  una  pena  minima  (6  anni), che
corrisponde  al  massimo  edittale  della pena concedibile in caso di
applicazione della circostanza attenuante a effetto speciale.
L'impossibilita'  di  ritenere  prevalente  la circostanza attenuante
della lieve entita' induce a obliterare del tutto l'apprezzamento del
fatto  e della personalita' dell'autore, con frustrazione della ratio
sottesa al giudizio di comparazione delle circostanze eterogenee, che
e'  appunto  quella di «apprezzare la personalita' del colpevole e la
vera  entita' del fatto onde conseguire il perfetto adattamento della
pena  al  caso concreto» (Cassazione penale, sez. IV, 28 giugno 2005,
Matti).
Tale  eclissi  del  fatto  e  della  personalita' del colpevole nella
determinazione della risposta punitiva appare in contrasto, inoltre e
principalmente, con il principio costituzionale sancito dall'art. 27,
comma terzo, della Costituzione, concernente la finalita' rieducativi
della   pena.   L'impossibilita'  di  ritenere  la  prevalenza  delle
circostanze  attenuanti,  infatti, soprattutto in casi come quello di
specie  nei  quali  si  puo' giungere all'irrogazione di una sanzione
superiore di cinque o sei volte rispetto a quella comminabile in caso
di  bilanciamento  con esito di prevalenza delle attenuanti, accentua
esclusivamente la finalita' retributiva della pena.
La  funzione rieducativa della sanzione afflittiva, infatti, dovrebbe
assumere   un  ruolo  fondamentale  non  soltanto  nella  fase  della
esecuzione   della  pena  medesima,  influendo  sui  moduli  e  sugli
strumenti del diritto dell'esecuzione e del diritto penitenziario, ma
anche  e  soprattutto  nella  fase di commisurazione giudiziale della
medesima.
Affinche'    la    sanzione   afflittiva   risponda   alla   funzione
costituzionalmente attribuitale, infatti, e' essenziale che la stessa
mantenga  un  rapporto  di  proporzionalita' rispetto all'entita' del
fatto contestato e che venga avvertita come giusta e adeguata dal reo
stesso.
L'accentuazione  del  profilo  retributivo della sanzione conseguente
all'impossibilita'   di  ritenere  la  prevalenza  delle  circostanze
attenuanti rispetto alle circostanze di segno opposto, d'altro canto,
non  trova  giustificazione,  ad avviso di questo giudice, neppure in
una prospettiva di prevenzione generale. La minaccia dell'irrogazione
di  una  sanzione sproporzionata rispetto alla reale offensivita' del
fatto,  infatti,  potrebbe  favorire  fenomeni  di  dispercezione del
rapporto di gravita' tra i reati, potendo indurre il potenziale reo a
optare,  a  fronte del rischio della medesima risposta sanzionatoria,
per la commissione del reato nelle forme piu' gravi e «redditizie».
In  tal  senso,  pertanto,  la disciplina di rigore introdotta con la
novella  di  cui  all'art.  3  della  legge n. 251/2005, introducendo
iniqui  automatismi e dando luogo alla possibilita' di comminare pene
gravemente  sproporzionate  rispetto  all'entita'  del  fatto  e alla
personalita'  del  colpevole,  finirebbe  per  svuotare  di  senso la
funzione  della  pena,  negando  alla  stessa,  nel  contempo, sia la
finalita'  specialpreventiva  della  rieducazione,  sia  la  funzione
generalpreventiva di «controspinta alla spinta criminosa».
4)    Sull'impossibilita'   di   interpretazioni   costituzionalmente
orientate.
Il  discorso sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza della
questione di legittimita' costituzionale impone di affrontare il tema
della   ermeneutica  della  norma  oggetto  del  dubbio  di  sospetta
incostituzionalita',  onde  verificare  la  possibilita'  di  fornire
interpretazioni costituzionalmente compatibili.
Ad  avviso  di  questo  giudicante,  il  divieto  di prevalenza delle
circostanze attenuanti in caso di contestazione di recidiva reiterata
non  e' superabile in via interpretativa. Non sembrano condivisibili,
infatti,  le  traiettorie  seguite  da  parte della giurisprudenza di
merito  (cfr.  Tribunale Grosseto, 8 maggio 2006) secondo la quale il
disposto dell'art. 69, comma quarto, cod. pen., imporrebbe al giudice
di  aumentare  la  pena  per  la  recidiva reiterata (aggravante c.d.
«protetta»),  ma lascerebbe libero il giudicante di effettuare, anche
in   termini   di   prevalenza   delle  attenuanti,  il  giudizio  di
comparazione  tra  le  attenuanti  di  cui ravvisi i presupposti (ivi
compreso  il  fatto  di  lieve) e le altre oggravanti «non protette».
Secondo  tale  impostazione  sarebbe possibile dapprima effettuare il
bilanciamento  in  termini di prevalenza del fatto di lieve entita' e
poi,  sulla  cornice  edittale  prevista  per  tale  fatto,  disporre
l'aumento di pena per la recidiva.
L'interpretazione   proposta  non  appare  condivisibile.  Quando  il
legislatore ha voluto imporre al giudice l'aumento obbligatorio della
pena  in ragione della contestazione della circostanza delle recidiva
reiterata,  lo  ha  specificato  a  chiare  lettere,  come  nel  caso
dell'art. 99, comma sesto, cod. pen.. nel quale e' prescritto che «se
si  tratta  di  uno  dei  delitti indicati all'articolo 407, comma 2,
lettera  a), del codice di procedura penale, l'aumento della pena per
la  recidiva e' obbligatorio». Una tale specificazione non emerge dal
tenore  letterale  dell'art.  69,  comma  quarto, cod. pen., il quale
dunque non si presta a interpretazioni adeguatici.
La  questione,  come  detto,  non  e'  neppure risolvibile attraverso
l'interpretazione della fattispecie di cui all'art. 73, comma quinto,
d.P.R. in termini di fattispecie autonoma di reato, contrastando tale
possibilita'  con  un  condivisibile  orientamento  della  Cassazione
assurto a vero e proprio diritto vivente.
Per   tutti   i   motivi   suesposti  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  concernente l'art. 69, comma quarto, cod. pen. - come
modificato  dall'art. 3 della legge n. 251/2005 -, nella parte in cui
sancisce  il  divieto  di  prevalenza  delle  circostanze  attenuanti
rispetto  alle  ritenute  aggravanti  nei casi di contestazione delle
recidiva  reiterata  (art.  99,  comma  quarto,  cod.  pen.),  appare
rilevante e non manifestamente infondata.
                              P. Q. M.
Visto  l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante
e   non   manifestamente   infondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 69, comma quarto, cod. pen., come modificato
dall'art.  3  della legge n. 251/2005, nella parte in cui la norma in
questione  pone il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti
sulle ritenute circostanze aggravanti nei casi previsti dall'art. 99,
quarto  comma,  codice penale per violazione degli artt. 3 e 27 della
Costituzione;  Sospende il giudizio in corso nei confronti di Amoroso
Francesco;  Dispone  l'immediata  trasmissione  degli atti alla Corte
costituzionale  e  ordina  che la presente ordinanza sia notificata a
cura della cancelleria al Presidente del Consiglio dei ministri e che
la   medesima   venga  comunicata  al  Presidente  del  Senato  della
Repubblica  e  al  Presidente  della  Camera  dei deputati. Ordinanza
pubblicata mediante lettura in udienza.
     Tempio Pausania, addi' 23 aprile 2007
                         Il giudice: De Vito