N. 18 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 febbraio 2008- 23 aprile 2007
Ordinanza del 23 aprile 2007 emessa dal Tribunale di Tempio Pausania nel procedimento penale a carico di Amoroso Francesco Reati e pene - Circostanze del reato - Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti - Divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze inerenti alla persona del colpevole nel caso previsto dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. (recidiva reiterata) - Violazione del principio di ragionevolezza - Disparita' di trattamento - Lesione del principio della funzione rieducativa della pena. - Codice penale, art. 69, comma quarto, come modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251. - Costituzione, artt. 3 e 27.(GU n.8 del 13-2-2008 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e di contestuale sospensione del giudizio - art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87. Pronunziando nel procedimento penale a carico di Amoroso Francesco, imputato del delitto di cui agli artt. 81 c.p.v. c.p. e 73, d.P.R. n. 309/1990 «perche', con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, deteneva per fini di spaccio sostanza stupefacente del tipo Ecstasy pari a 9 pasticche, nonche' cedeva a titolo gratuito una pasticca di Ecstasy a Sechi Giovanni ed altre pasticche della medesima sostanza psicotropa a terzi non identificati ricavando la somma di € 347,20. Con la recidiva reiterata e specifica. Acc. in S. Teresa Gallura, il 20 febbraio 2007, ore 17 circa». Udita l'istanza, avanzata all'udienza del 26 febbraio 2007, con cui l'avv. Francesco Manai, difensore di fiducia dell'imputato, sollevava la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma quarto, cod. pen., cosi' come modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005 n. 251, per violazione degli artt. 3 e 27 della Costituzione; Esaminati gli atti e le deduzioni della difesa; Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione. Osserva 1) I fatti del giudizio. In data 20 febbraio 2007 Amoroso Francesco fu tratto in arresto nella flagranza del delitto di cui all'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e fu condotto dinanzi al Tribunale di Tempio Pausania in composizione monocratica per la convalida e il contestuale giudizio direttissimo. Convalidato l'arresto e applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari, si' dispose procedersi nelle forme del rito direttissimo. Dopo aver fruito dei termini a difesa, all'udienza del 26 febbraio 2007 l'imputato, presente, chiese di procedere ai giudizio nelle forme del rito abbreviato condizionato alla acquisizione di prove documentali relative alla propria capacita' reddituale (documentazione attestante la percezione da parte dell'imputato di un sussidio di disoccupazione mensile pari a 800 euro circa). Acquisita la produzione documentale e invitate le parti a formulare le conclusioni, il difensore sollevo' la questione di legittimita' costituzionale del disposto di cui all'art. 69, comma quarto, cod. pen., come modificato dall'art. 3, legge n. 251/2005, nella parte in cui lo stesso pone il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto alle ritenute circostanze aggravanti nei casi previsti dall'art. 99, comma quarto, cod. pen. All'udienza del 2 aprile 2007 - alla quale il processo veniva rinviato per l'approfondimento in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza della questione - il difensore propose note scritte a sostegno della istanza e il processo fu aggiornato all'udienza del 23 aprile 2007 per la pubblicazione mediante lettura in udienza della presente ordinanza. Nelle discussione orale e nelle deduzioni scritte sopra menzionate il difensore dell'imputato ha elencato talune circostanze atte a sussumere il fatto contestato all'imputato sotto l'ipotesi lieve di cui all'art. 73, comma quinto, del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309. Tra gli elementi piu' significativi in tal senso la difesa ha annoverato la ridotta quantita' di sostanza sfupefacente in possesso dell'imputato ed oggetto di cessione - di poco superiore alla soglia stabilita dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49 per la configurazione del mero illecito amministrativo -, la mancanza di una forma anche rudimentale di organizzazione e di mezzi nell'attivita' di cessione della sostanza medesima, il fatto che la cessione medesima fosse a titolo gratuito e del tutto occasionale. Il difensore ha inoltre tracciato un quadro di elementi di fatto, relativi anche alla condotta post-delittuosa dell'imputato, idonei a consentire il riconoscimento in favore dell'imputato delle circostanze di cui all'art. 62-bis cod. pen. Tra i fatti enucleati' dal difensore emergono la condotta collaborativa dell'imputato con le forze dell'ordine e con l'autorita' giudiziaria, la dichiarazione da parte dell'imputato stesso di circostanze giustificative del possesso di denaro che hanno trovato riscontro nella documentazione prodotta, la modesta offensivita' penale del fatto nel suo complesso e la necessita' di adeguare la sanzione alla concreta entita' del fatto. Cio' premesso, il difensore ha rilevato che il disposto dell'art. 69, comma quarto, cod. pen., nella sua formulazione attuale conseguente alle modifiche introdotte dalla legge n. 251/2005, impedirebbe al giudice di formulare un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti individuate nel caso concreto - ad effetto speciale e generiche - rispetto l'aggravante di cui all'art. 99, comma quarto, cod. pen., traghettando meccanicamente il fatto senza alcuna possibilita' per il giudicante di sottrarsi a tale automatismo - nella fattispecie di cui all'art. 73, primo comma, d.P.R. n. 309/90, con conseguente inasprimento sanzionatorio non proporzionale rispetto all'entita' e all'offensivita' del fatto contestato. Conseguenza della norma penale sospettata di illegittimita' costituzionale, ha infatti rilevato il difensore, e' l'applicazione, nel caso di specie, di un binario edittale sanzionatorio (da 6 a 20 anni di reclusione e da euro 26.000 a euro 260.000 di multa) sproporzionato rispetto al fatto concreto, con elisione della finalita' rieducativa della pena, negazione del principio sancito dall'art. 27 della Costituzione e scollamento della risposta punitiva dall'apprezzamento in concreto della offensivita' reale del fatto e dalla personalita' del colpevole. Tali esiti sono apparsi al difensore in contrasto con l'art. 27 della Costituzione, in ragione dell'accentuazione del solo aspetto retributivo della pena, e con l'art. 3 della Costituzione, a causa della creazione di un'irragionevole disparita' di trattamento tra soggetti recidivi e non recidivi, nonche' di incoerenti disuguaglianze all'interno della stessa categoria dei recidivi. 2) La rilevanza della questione. In via preliminare devono essere svolte alcune considerazioni con riferimento alla rilevanza in concreto della questione di legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 69, comma quarto, cod. pen., come modificata dall'art. 3 della legge n. 251/2005. Le circostanze desumibili dal caso concreto e, in particolare, la minima quantita' di sostanza psicotropa oggetto di detenzione e cessione, inducono a ritenere che la condotta contestata all'imputato palesi una ridotta offensivita' penale, con pari modesto allarme sociale. Tale fatto, pertanto, appare riconducibile alla fattispecie di lieve entita' prevista dall'art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309/1990. L'applicazione della cornice edittale relativa al fatto di lieve entita' al caso di specie e' pero' impedita dal disposto della norma oggetto della questione di legittimita' costituzionale. L'art. 69, comma quarto, cod. pen. - come modificato dall'art. 3 della legge n. 251 del 2005 - stabilisce che «le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, esclusi i casi previsti dall'art. 99, quarto comma, nonche' dagli articoli 111 e 112, primo comma n. 4), per cui vi e' divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti». Orbene, costituisce ius receptum della Corte di cassazione che il fatto di «lieve entita» configuri una circostanza attenuante speciale e a effetto speciale e non una fattispecie autonoma di reato (Cassazione penale, sezioni unite, 31 maggio 1995, Parisi). Da quest'ordine di ragionamenti deriva che, in caso di concorso con circostanze aggravanti, il fatto di lieve entita' rientri nel bilanciamento con le dette circostanze eterogenee e, in caso di contestazione da parte del Pubblico Ministero della recidiva reiterata, sia soggetto al giudizio di comparazione nei soli termini di soccombenza o equivalenza. Il divieto di prevalenza imposto dalla norma oggetto del dubbio di conformita' a costituzione comporterebbe, pertanto, l'applicazione, al caso oggetto del giudizio in corso, della «pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna di dette circostanze» (art. 69, comma terzo, cod. pen.), vale a dire la pena prevista per la fattispecie base di cui al primo comma dell'art. 73 del d.P.R. n. 309/1990. Ad Amoroso Francesco, infatti, e' stata legittimamente contestata la recidiva reiterata e specifica, avendo lo stesso riportato una condanna per concorso in furto aggravato (fatto commesso il 21 febbraio 1999, sentenza irrevocabile il 22 giugno 2000) e una condanna per detenzione e cessione di sostanza stupefacente (fatto commesso il 15 settembre 2000, sentenza - peraltro con riconoscimento del fatto di lieve entita' - irrevocabile il 3 ottobre 2000). Dalla corretta contestazione della recidiva ex art. 99, comma quarto, cod. pen., scaturirebbe pertanto il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, con conseguente determinazione della pena, come sopra osservato, sulla scorta di quella prevista per la fattispecie base di cui all'art. 73, primo comma, d.P.R. n. 309/1990. Tale commisurazione della pena appare nel caso concreto non proporzionata alla modesta entita' del fatto. Nella vicenda processuale oggetto del presente giudizio, infatti, oltre alla modesta entita' del fatto, ricorrono numerosi elementi, valutabili anche ai sensi dell'art. 62-bis cod. pen., che indurrebbero a un bilanciamento in termini di prevalenza delle circostanze attenuanti. Tra gli elementi sopra menzionati si annoverano la risolenza nel tempo del precedente specifico e la ridotta offensivita' dello stesso, il carattere occasionale e non organizzato della cessione, il riscontro documentale delle affermazioni dell'imputato in ordine alla sua capacita' reddituale, la condotta processuale collaborativa del prevenuto medesimo. La valorizzazione di tali elementi indurrebbe il giudicante a limitare la pena detentiva in un contesto edittale compreso tra 1 e 6 anni di reclusione e la pena pecuniaria in un binario compreso tra 3.000 e 26.000 euro di multa. Tale soluzione, tuttavia, e' impedita del novellato art. 69, comma quarto, cod. pen., in ragione del quale il fatto contestato all'imputato dovrebbe essere automaticamente sussunto sotto la fattispecie base, con possibilita' di irrogare soltanto una sanzione che, fatta salva la diminuzione del rito, sarebbe pari nel minimo (sei anni di reclusione e 26.000 euro di multa) al massimo di quella irrogabile nel caso di prevalenza delle attenuanti. La questione di legittimita' costituzionale, pertanto, si palesa nel caso di specie rilevante in concreto. 3) La norma «indubbiata» e la non manifesta infondatezza della questione. La questione di legittimita' costituzionale sollevata dal difensore appare non manifestamente infondata, evidenziando la norma oggetto del sospetto di illegittimita' costituzionale profili di netto contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione. L'art. 69, comma quarto, cod. pen., come modificata dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, impedisce al giudice, nei casi previsti dall'art. 99, comma quarto, cod. pen., di formulare un giudizio di prevalenza di tutte le circostanze attenuanti che ritiene di poter e dover concedere all'imputato rispetto alle circostanze aggravanti contestate, ivi compresa la recidiva. Tale disciplina di rigore introdotta dal legislatore appare a questo giudice in contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, per violazione dei principi di ragionevolezza e uguaglianza, con riferimento soprattutto alle irragionevoli disparita' di trattamento sanzionatorio che tale disciplina puo' ingenerare all'interno della stessa categoria dei soggetti recidivi. La questione di legittimita' costituzionale della norma c.d. «indubbiata», invero, si pone proprio a causa del livellamento del trattamento sanzionatorio dei medesimi soggetti recidivi reiterati, nei confronti dei quali il giudizio di prevalenza sarebbe impedito a prescindere dal numero delle circostanze attenuanti riconoscibili, con determinazione di una risposta punitiva appiattita sulla medesima cornice edittale sia nel caso di soggetto recidivo nei confronti del quale possa essere riconosciuta una sola circostanza attenuante, sia nell'ipotesi di recidivo che possa beneficiare di piu' circostanze attenuanti. Il tertium comparationis, pertanto, dovrebbe essere individuato non tanto nel soggetto non recidivo, ma nel soggetto recidivo reiterato nei cui confronti - come nel caso sub iudice che ha dato luogo all'incidente di costituzionalita' - possono essere riconosciute una pluralita' di circostanze attenuanti, tra cui una ad effetto speciale («fatto di lieve entita» di cui all'art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309/1990). Infatti, se appare possibile che la recidiva reiterata sia posta dal legislatore a fondamento di una risposta sanzionatoria piu' rigorosa, ponendosi a base della differenziazione del trattamento legislativo una diversa «resistenza» manifestata dal soggetto recidivo alla percezione del disvalore sotteso al precetto penale, non appare altrettanto legittimo che la discrezionalita' legislativa giunga a determinare, anche nell'ambito della stessa categoria dei recidivi, un'uniformazione del trattamento sanzionatorio che non consenta al giudicante di diversificare la risposta punitiva sulla base del concreto disvalore del fatto e della personalita' del colpevole, conformemente a quanto stabilito dall'art. 133 cod. pen. Condizioni diseguali giustificano risposte legislative diseguali, approntate in ottica di prevenzione generale e speciale, come emerge da tutto il tessuto normativo riguardante i soggetti recidivi (cosi', in materia di amnistia, indulto, oblazione, sospensione condizionale della pena, sospensione dell'ordine di esecuzione ai sensi dell'art. 656, comma nono, cod. proc. pen.). Quello che, tuttavia, ad avviso di questo giudice appare contrario al principio di uguaglianza e al criterio di ragionevolezza, sanciti dall'art. 3, comma primo, della Costituzione, e' l'effetto di arbitrario automatismo prodotto dall'art. 69, comma quarto, cod. pen. cosi' come novellato, anche all'interno della stessa categoria dei soggetti recidivi. Come detto, infatti, il giudizio di prevalenza delle attenuanti sarebbe impedito tanto nel caso di recidivo al quale puo' essere applicata una sola circostanza attenuante, tanto nel caso di recidivo che puo' beneficiare di piu' circostanze, dimostrando cosi' come nel caso di specie, una ridotta offensivita' sociale. L'applicazione formale del criterio di equivalenza, svincolata dalla valutazione della concreta offensivita' del fatto di reato e dall'apprezzamento dell'effettiva personalita' dell'imputato, conduce a un livellamento del sistema sanzionatorio non giustificabile da una corrispondente uguaglianza delle vicende disciplinate. Tale uniformita' di risposta punitiva, pertanto, induce a accomunare nel medesimo «destino sanzionatorio» fatti di gravita' rilevante e fatti di entita' modesta, soggetti di spiccata pericolosita' e soggetti che, pur recidivi reiterati, evidenziano un profilo di pericolosita' minore (in ragione, ad esempio, della scarsa entita' dei precedenti giudiziari, della distanza nel tempo di quest'ultimi ovvero, ancora, della non specificita' dei precedenti medesimi). L'appiattimento del trattamento sanzionatorio e' tanto piu' evidente in una vicenda come quella all'attenzione del giudizio in corso, nella quale il vincolo imposto al giudicante dall'art. 69, comma quarto, cod. pen., induce all'applicazione della medesima cornice edittale (da 6 a 20 anni di reclusione e da € 26.000 a € 260.000) sia nei confronti del recidivo reiterato al quale sia concedibile una sola circostanza attenuante (magari le circostanze di cui all'art. 62-bis cod. pen.), sia nei confronti dell'imputato recidivo reiterato il quale abbia commesso un fatto di entita' talmente modesta da superare di poco la soglia dell'illecito amministrativo. Ad avviso di questo giudice la questione di legittimita' costituzionale cosi' posta non puo' essere glissata facendo riferimento alla possibilita' del giudice di differenziare la risposta punitiva attraverso la graduazione la pena all'interno della cornice edittale. Il vincolo imposto dalla norma oggetto della sollevata questione, infatti, determinerebbe comunque il rischio di livellamenti sanzionatori intollerabili in un diritto penale che, in un'ottica costituzionalmente orientata, dovrebbe essere ancorato innanzitutto al disvalore del fatto e non a quello dell'autore. Le conseguenze in termini di proporzionalita' della pena si evidenziano proprio in ipotesi, come quella oggetto del presente giudizio, in cui la fattispecie base e' punita con una pena minima (6 anni), che corrisponde al massimo edittale della pena concedibile in caso di applicazione della circostanza attenuante a effetto speciale. L'impossibilita' di ritenere prevalente la circostanza attenuante della lieve entita' induce a obliterare del tutto l'apprezzamento del fatto e della personalita' dell'autore, con frustrazione della ratio sottesa al giudizio di comparazione delle circostanze eterogenee, che e' appunto quella di «apprezzare la personalita' del colpevole e la vera entita' del fatto onde conseguire il perfetto adattamento della pena al caso concreto» (Cassazione penale, sez. IV, 28 giugno 2005, Matti). Tale eclissi del fatto e della personalita' del colpevole nella determinazione della risposta punitiva appare in contrasto, inoltre e principalmente, con il principio costituzionale sancito dall'art. 27, comma terzo, della Costituzione, concernente la finalita' rieducativi della pena. L'impossibilita' di ritenere la prevalenza delle circostanze attenuanti, infatti, soprattutto in casi come quello di specie nei quali si puo' giungere all'irrogazione di una sanzione superiore di cinque o sei volte rispetto a quella comminabile in caso di bilanciamento con esito di prevalenza delle attenuanti, accentua esclusivamente la finalita' retributiva della pena. La funzione rieducativa della sanzione afflittiva, infatti, dovrebbe assumere un ruolo fondamentale non soltanto nella fase della esecuzione della pena medesima, influendo sui moduli e sugli strumenti del diritto dell'esecuzione e del diritto penitenziario, ma anche e soprattutto nella fase di commisurazione giudiziale della medesima. Affinche' la sanzione afflittiva risponda alla funzione costituzionalmente attribuitale, infatti, e' essenziale che la stessa mantenga un rapporto di proporzionalita' rispetto all'entita' del fatto contestato e che venga avvertita come giusta e adeguata dal reo stesso. L'accentuazione del profilo retributivo della sanzione conseguente all'impossibilita' di ritenere la prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto alle circostanze di segno opposto, d'altro canto, non trova giustificazione, ad avviso di questo giudice, neppure in una prospettiva di prevenzione generale. La minaccia dell'irrogazione di una sanzione sproporzionata rispetto alla reale offensivita' del fatto, infatti, potrebbe favorire fenomeni di dispercezione del rapporto di gravita' tra i reati, potendo indurre il potenziale reo a optare, a fronte del rischio della medesima risposta sanzionatoria, per la commissione del reato nelle forme piu' gravi e «redditizie». In tal senso, pertanto, la disciplina di rigore introdotta con la novella di cui all'art. 3 della legge n. 251/2005, introducendo iniqui automatismi e dando luogo alla possibilita' di comminare pene gravemente sproporzionate rispetto all'entita' del fatto e alla personalita' del colpevole, finirebbe per svuotare di senso la funzione della pena, negando alla stessa, nel contempo, sia la finalita' specialpreventiva della rieducazione, sia la funzione generalpreventiva di «controspinta alla spinta criminosa». 4) Sull'impossibilita' di interpretazioni costituzionalmente orientate. Il discorso sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale impone di affrontare il tema della ermeneutica della norma oggetto del dubbio di sospetta incostituzionalita', onde verificare la possibilita' di fornire interpretazioni costituzionalmente compatibili. Ad avviso di questo giudicante, il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti in caso di contestazione di recidiva reiterata non e' superabile in via interpretativa. Non sembrano condivisibili, infatti, le traiettorie seguite da parte della giurisprudenza di merito (cfr. Tribunale Grosseto, 8 maggio 2006) secondo la quale il disposto dell'art. 69, comma quarto, cod. pen., imporrebbe al giudice di aumentare la pena per la recidiva reiterata (aggravante c.d. «protetta»), ma lascerebbe libero il giudicante di effettuare, anche in termini di prevalenza delle attenuanti, il giudizio di comparazione tra le attenuanti di cui ravvisi i presupposti (ivi compreso il fatto di lieve) e le altre oggravanti «non protette». Secondo tale impostazione sarebbe possibile dapprima effettuare il bilanciamento in termini di prevalenza del fatto di lieve entita' e poi, sulla cornice edittale prevista per tale fatto, disporre l'aumento di pena per la recidiva. L'interpretazione proposta non appare condivisibile. Quando il legislatore ha voluto imporre al giudice l'aumento obbligatorio della pena in ragione della contestazione della circostanza delle recidiva reiterata, lo ha specificato a chiare lettere, come nel caso dell'art. 99, comma sesto, cod. pen.. nel quale e' prescritto che «se si tratta di uno dei delitti indicati all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, l'aumento della pena per la recidiva e' obbligatorio». Una tale specificazione non emerge dal tenore letterale dell'art. 69, comma quarto, cod. pen., il quale dunque non si presta a interpretazioni adeguatici. La questione, come detto, non e' neppure risolvibile attraverso l'interpretazione della fattispecie di cui all'art. 73, comma quinto, d.P.R. in termini di fattispecie autonoma di reato, contrastando tale possibilita' con un condivisibile orientamento della Cassazione assurto a vero e proprio diritto vivente. Per tutti i motivi suesposti la questione di legittimita' costituzionale concernente l'art. 69, comma quarto, cod. pen. - come modificato dall'art. 3 della legge n. 251/2005 -, nella parte in cui sancisce il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto alle ritenute aggravanti nei casi di contestazione delle recidiva reiterata (art. 99, comma quarto, cod. pen.), appare rilevante e non manifestamente infondata.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma quarto, cod. pen., come modificato dall'art. 3 della legge n. 251/2005, nella parte in cui la norma in questione pone il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti nei casi previsti dall'art. 99, quarto comma, codice penale per violazione degli artt. 3 e 27 della Costituzione; Sospende il giudizio in corso nei confronti di Amoroso Francesco; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e ordina che la presente ordinanza sia notificata a cura della cancelleria al Presidente del Consiglio dei ministri e che la medesima venga comunicata al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati. Ordinanza pubblicata mediante lettura in udienza. Tempio Pausania, addi' 23 aprile 2007 Il giudice: De Vito