N. 46 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 novembre 2007

  Ordinanza
del  22  novembre  2007 emessa dal Tribunale amministrativo regionale
della  Puglia  -  Sezione  di  Lecce  sul ricorso proposto da Invitto
   Consiglia contro Presidenza del Consiglio dei ministri ed altri

  Ordinamento  giudiziario  -  Indennita'  giudiziaria  -  Disciplina
  antecedente  alle  modifiche  di  cui  all'art. 1, comma 325, della
  legge  n. 311/2004 - Spettanza ai magistrati assenti dal lavoro per
  maternita'  e  puerperio  -  Esclusione  - Ingiustificato deteriore
  trattamento  dei  magistrati  rispetto al personale femminile delle
  segreterie  e  cancellerie  giudiziarie,  cui  detta  indennita' e'
  attribuita  in  forza  dell'art.  21  del d.P.R. n. 44/1990 e delle
  analoghe previsioni dei contratti collettivi successivi relativi al
  personale  del  comparto  Ministeri  -  Violazione del principio di
  tutela delle lavoratrici madri.
  - Legge 19 febbraio 1981, n. 27, art. 3, comma primo.
  - Costituzione, artt. 3 e 37.
(GU n.11 del 5-3-2008 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 3547/1993
proposto  da  Invito  Consiglia,  rappresentata  e  difesa  da  Noemi
Carnevale,  con  domicilio in Lecce, via Oberdan n. 107, presso Noemi
Carnevale;
   Contro  Presidenza del Consiglio dei ministri; Avvocatura generale
dello Stato; Direzione provinciale del Tesoro di Lecce, rappresentati
e  difesi  dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio in
Lecce,  via  Rubichi  n. 23, presso sede Avvocatura distrettuale, per
l'annullamento, previa tutela cautelare:
     del  provvedimento  di  cui  alla  nota dell'avvocatura generale
dello Stato n. 16616 del 13 agosto 1993;
     del  provvedimento  di  recupero della direzione provinciale del
tesoro di Lecce n. 11651 del 15 ottobre 1993.
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Relatore il dott. Massimiliano Balibriani.
   Uditi   per  le  parti  l'avv.  Carnevale  e  l'avv.  Dello  Stato
Libertini.
                     F a t t o  e  d i r i t t o
   La   ricorrente  e'  avvocato  dello  Stato,  in  servizio  presso
l'Avvocatura distreltuale di Lecce.
   Con  atto del 13 agosto 1993, l'Avvocatura generale dello Stato ha
invitato  la  Direzione  provinciale del tesoro di Lecce a recuperare
nei   confronti   della   ricorrente   gli   importi   corrispondenti
all'indennita' di cui all'articolo 2 della legge n. 425 del 1984, per
i  periodi  in cui la medesima ha fruito di congedo straordinario per
maternita'  (dal  25  dicembre  1992  al  1°  giugno  1993,  ai sensi
dell'articolo  4,  lettere  a), b) e c) della legge 30 dicembre 1071,
n. 1204).
   Con  successivo  provvedimento  del  15 ottobre 1993, la Direzione
provinciale  del  tesoro  di  Lecce  ha  effettivamente  disposto  il
recupero  ditali  somme,  mediante  ritenute mensili di lire 331.549,
ritenendo di vantare un credito di lire 6.299.446 nei confronti della
ricorrente.
   Quest'ultima  lamenta  la  violazione  e  falsa  applicazione  dei
principi  generali  concernenti  la  ripetizione  di  emolumenti  non
dovuti,  dell'articolo  7  della legge n. 241 del 1990, il difetto di
istruttoria   e   l'inesistenza   dei  presupposti,  la  mancanza  di
motivazione.
   Denuncia  inoltre  la violazione dell'articolo 4, lettera a), b) e
c) della legge 30 dicembre 1071, n. 1204, dell'articolo 2 della legge
n. 425  del  1984,  dell'articolo  3  della  legge n. 27 del 1981, in
relazione all'articolo 21 del d.P.R. n. 44 del 1990.
   Insiste,  infine, sull'illegittimita' costituzionale dell'articolo
3 della legge n. 27 del 1981, in riferimento agli articoli 3, 37 e 97
della  Costituzione;  illegittimita' che ritiene ancora piu' evidente
con l'approvazione dell'articolo 21 del d.P.R. n. 44 del 1990, che ha
prodotto  nell'ordinamento l'irragionevole risultato di consentire al
solo  personale  di cancelleria di godere dell'indennita' giudiziaria
anche nel periodo di astensione per maternita'.
   L'Avvocatura  generale  ritiene,  tra  l'altro,  la  questione  di
costituzionalita' manifestamente infondata, poiche' identica a quella
gia' decisa dalla Corte costituzionale con sentenza n. 238 del 1990.
   La  sopravvenienza di una norma regolamentare, quale l'articolo 21
del  d.P.R.  n. 44  del 1990, non potrebbe del resto rendere nuova la
questione  (che  l'avvocatura  medesima  ritiene fondata sugli stessi
parametri  di  quella  gia'  decisa  dalla  Corte),  non  potendo  un
regolamento   avere  rilevanza  nel  giudizio  di  valutazione  della
legittimita' di norme primarie.
   Ritiene    l'avvocatura   erariale,   infine,   che   l'indennita'
giudiziaria  del  personale  delle  carriere  di magistratura avrebbe
comunque natura diversa da quella estesa al personale di cancelleria.
   Per  il  personale delle segreterie e cancellerie giudiziarie, che
godrebbero tra l'altro di una retribuzione inferiore, l'indennita' si
avvicinerebbe piu' ad una voce normale della retribuzione stessa, non
essendo  strettamente  correlata e consequenziale alla particolarita'
della  funzione  concretamente  esercitata, come avviene invece per i
magistrati.
   Nella  camera di consiglio del 13 giugno 2007, la causa e' passata
in decisione.
   1. - Sulla rilevanza della questione di costituzionalita' nel caso
di  specie.  La  questione di costituzionalita' dell'art. 3, comma 1,
della  legge  19  febbraio 1981, n. 27, nella parte in cui esclude la
corresponsione  -  durante  i  periodi di astensione obbligatoria dal
lavoro  ai  sensi  dell'art.  4  della legge 30 dicembre 1971 - della
speciale  indennita' dallo stesso istituita, e' rilevante nella causa
sottoposta  a  questo  tribunale, atteso che da una statuizione sulla
fondatezza  di  tale  questione  deriverebbe direttamente un modifica
della  fonte  normativa di riferimento tale da determinare di per se'
l'accoglimento della domanda della ricorrente.
   Come  noto,  con  ordinanza  n. 7629/2004 il Consiglio di Stato ha
gia'  rimesso  identica questione alla Corte costituzionale, la quale
con  successiva  pronuncia  (ordinanza  n. 10 del 2006) ha restituito
gli, atti al giudice rimettente, rilevando:
     «che,   successivamente   alla   pronuncia  delle  ordinanze  di
rimessione,  e'  entrata  in vigore la legge 30 dicembre 2004, n. 311
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello  Stato -  Legge finanziaria 2005), il cui art. 1, comma 325, ha
disposto  che  "all'articolo  3, primo comma, della legge 19 febbraio
1981,  n. 27,  le parole «assenza obbligatoria o facoltativa previsti
negli  articoli.  4  e  7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204" sono
sostituite  dalle  seguenti  «astensione  facoltativa  previsti dagli
articoli  32  e  47,  commi  1  e 2 del testo unico di cui al decreto
legislativo  26  marzo 2001, n. 151"» (Testo unico delle disposizioni
legislative  in materia di tutela e sostegno della maternita' e della
paternita',  a  norma  dell'articolo  15  della  legge  8 marzo 2000,
n. 53);
     che  la  sopravvenuta  modificazione  del  quadro  normativo  di
riferimento   impone   il  riesame  da  parte  del  rimettente  della
perdurante  rilevanza della questione, competendo altresi' al giudice
a  quo  la preliminare valutazione in ordine all'applicabilita' dello
jus superveniens alla fattispecie sottoposta al suo esame».
   Con  successiva ordinanza n. 2280 del 10 maggio 2007, il Consiglio
di Stato, pur dopo il menzionato intervento normativo, ha ritenuto la
questione   ancora   proponibile,   rilevante  e  non  manifestamente
infondata.
   Secondo  il  Consiglio  di Stato, oggi, sulla base del nuovo testo
dell'art.  3  della  legge  19  febbraio 1981, n. 27 (come risultante
dalle  modifiche  allo stesso apportate dall'art. 1, comma 325, della
legge  30  dicembre  2004,  n. 311  ), la materia della erogazione di
detta  indennita' e' disciplinata con il riconoscimento ai magistrali
della  spettanza  della  stessa anche durante i periodi di astensione
obbligatoria dal lavoro per maternita'.
   Tale  nuova disciplina non e', pero', ad avviso della Consiglio di
Stato,  applicabile alle situazioni, come quella in esame, esauritesi
prima del 1° gennaio 2005, data di entrata in vigore della norma, che
la disciplina stessa ha recato.
   Secondo il  giudice amministrativo d'appello, infatti, la novella,
di  cui  all'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311,
puo' ben leggersi come una sorta di intervento correttivo, ma un vero
e  proprio  carattere retroattivo poteva essere attribuito alla norma
solo  dal  legislatore  stesso,  che  tuttavia  non ha reso esplicita
l'intenzione  di  emanare disposizioni di «interpretazione autentica»
ne' norme innovative con efficacia retroattiva.
   Il  carattere di norma di interpretazione autentica del resto puo'
essere  riconosciuto  soltanto alle norme dirette a chiarire il senso
di  quelle  preesistenti,  ovvero ad escludere o ad enucleare uno dei
sensi  tra quelli ragionevolmente ascrivibili alle norme interpretate
(Cons.  St.,  ad. plen., 24 marzo 2006, n. 3), mentre, nel caso della
nuova disposizione di cui trattasi, la scelta assunta dal legislatore
del  2004 con la nuova formulazione dell'art. 3 della legge n. 27 del
1981  non  rientra in nessuna delle varianti di senso compatibili con
il  tenore  letterale, e pertanto siffatta disposizione, con riguardo
al   periodo  precedente  l'entrata  in  vigore  della  novella,  non
consente,  sotto  alcun  versante  interpretativo,  la corresponsione
dell'indennita' di cui si controverte.
   2.  -  Cio'  premesso,  il Collegio ritiene di aderire ai dubbi di
costituzionalita'  evidenziati  dal Consiglio di Stato nell'ordinanza
di  rimessione  n. 7629  del  2004,  e  li  fa propri nei termini che
seguono.
   «La  differenza  dei regime della regolamentazione del rapporto di
lavoro  tra  le  due categorie considerate - magistrati (e avvocati e
procuratori  dello  Stato)  e personale dirigente delle cancellerie e
delle  segreterie  giudiziarie (contrattualizzata la prima, ma non la
seconda)  -  non  vale  ad  avviso  del  Collegio,  ad  escludere  la
configurabilita'  della  prospettata  violazione  dell'art.  3  della
Costituzione e, quindi, la denunciata disparita' di trattamento.
   La circostanza che un tipo rapporto trovi la sua fonte nella legge
e l'altro in un contratto collettivo (anche prescindendo dalla natura
latu   sensu   normativa  di  quest'ultimo)  non  esime,  invero,  il
legislatore  che  regola  il primo dal rispetto del suddetto precetto
costituzionale  (quand'anche  il  trattamento  piu'  favorevole venga
introdotto  da  un  contratto  collettivo successivo alla legge), ne'
preclude  la  verifica dell'osservanza di quel dovere ed il riscontro
della   sua   violazione  (secondo  il  procedimento  incidentale  di
scrutinio della costituzionalita' del regime legislativo deteriore).
   L'eterogeneita'  della  natura  della fonte della disciplina delle
condizioni  del  rapporto di lavoro (e, in particolare, dei diritti e
degli  obblighi  dei  lavoratori)  non  impedisce,  in definitiva, il
sindacato   costituzionale   della  compatibilita'  delle  differenze
riscontrate  nelle  condizioni  stabilite dalla legge e dal contratto
collettivo con il principio della Carta fondamentale che impone (alla
prima)  di garantire il medesimo trattamento a situazioni sostanziali
identiche.
   Diversamente opinando, si perverrebbe, peraltro, all'inaccettabile
conclusione  di  impedire  un  controllo  di costituzionalita' di una
disposizione  di  legge  che  esclude  la  spettanza  di  un diritto,
viceversa   riconosciuto,   a  parita'  di  situazioni,  ad  un'altra
categoria  di lavoratori da un'altra fonte del diritto, e, quindi, in
definitiva,  di  convalidare una palese ingiustizia, legittimando una
diversa disciplina di situazioni sostanziali identiche.
   Senza   considerare   che  la  regolamentazione  del  rapporto  di
personale  "contrattualizzato"  non  puo'  che essere negoziale e che
escludendo  la  prospettabilita',  come  tertium  comparationis,  del
contratto  collettivo  si  finisce  per  sottrarre il legislatore che
disciplina il rapporto di una categoria di lavoratori sostanzialmente
omologa  alla  prima  (nel  senso  che  opera  nello  stesso  settore
dell'ordinamento)    all'ambito   applicativo   dell'art.   3   della
Costituzione,  di  avvalorare  eventuali  trattamenti  deteriori  del
personale  non  "contrattualizzato"  e di ridurre, anzi di eliminare,
(inammissibilmente)    in   danno   di   quest'ultimo   le   garanzie
costituzionali  connesse  all'esigenza  di  parita' di trattamento di
situazioni uniformi.
   Quand'anche, tuttavia, si intendesse negare la configurabilita' di
una  disparita' di trattamento tra legge e contratto, si dovrebbe, in
ogni  caso,  riconoscere  che,  per effetto dell'attribuzione (con il
contratto  collettivo)  al  personale  femminile  delle cancellerie e
delle  segreterie  giudiziarie del diritto all'indennita' giudiziaria
anche  nei  periodi  di  astensione  obbligatoria  per  maternita'  e
puerperio, si e' determinato un diverso assetto del trattamento della
predetta   categoria   di'   dipendenti,   in   relazione   alla  cui
sopravvenienza  la  disposizione  censurata  conserva,  per  le donne
magistrato  (avvocato e procuratore dello Stato), un regime giuridico
ormai  connotato da un'ingiustificata difforme configurazione, che ne
implica una palese incompatibilita' costituzionale.
   Resta,   in   ogni   caso,  confermata,  anche  sulla  base  delle
considerazioni  da  ultimo  svolte, la configurabilita' della dedotta
inosservanza  del  precetto costitunazionale che prescrive l'uniforme
regolamentazione  normativa  di  situazioni  uguali  e  che  vieta al
legislatore,   pena   l'incostituzionalita',   di  introdurre,  o  di
mantenere, discipline diverse di fattispecie omologhe»;
   «Per  quanto  consta,  il  Giudice  delle  leggi  ha  delibato  la
questione  della costituzionalita' dell'art. 3, legge n. 27/81, sotto
tre  distinti  profili:  con una prima sentenza (n. 238 dell'8 maggio
1990)  ha  escluso  la  sussistenza  della  denunciata  disparita' di
trattamento  delle  donne  magistrato rispetto alla generalita' delle
dipendenti statali; con una seconda prinuncia (n. 407 del 24 dicembre
1996) e' stata esclusa la prospettata disparita' di trattamento delle
donne magistrato obbligatoriamento assenti per maternita' rispetto ai
magistrati  in  servizio  ed  e' stata riconosciuta la compatibilita'
dell'art.  3  legge  n. 27/1981  con  il  precetto costituzionale che
impone  un'adeguata protezione della lavotratice madre (art. 37 della
Costituzioine); con un'altra decisione (n. 106 del 18 aprile 1997) e'
stata, infine, esclusa la sussistenza della disparita' di trattamento
tra   magistrati  donne  e  magistrati  uomini  e  della  prospettata
violazione delle norme costituzionali che prescrivono la tutela della
famiglia,  della  maternita'  e  dell'infanzia  (artt.  30 e 31 della
Costituzione).
   Come  si vede, quindi, la Corte non ha mai esaminato la questione,
nei  termini  in  cui  e' stata posta dalle odierne ricorrenti, della
sussistenza  di una disparita' di trattamento tra le donne magistrato
e   le   dipendenti   del  Ministero  della  giustizia  addette  alle
cancellerie ed alle segreterie giudiziarie»;
   «Giova  premettersi,  in  fatto,  che  con  l'art.  1  della legge
n. 221/1988   e'   stata  attribuita  al  personale  dirigente  delle
cancellerie  e  delle  segreterie  giudiziarie  l'indennita'  di  cui
all'art.  31,  legge  n. 27/1981, che con la medesima disposizione e'
stata  espressamente  esclusa  la  spettanza  di  tale emolumento nei
periodi  di  astensione  obbligatoria  dal  lavoro  per  maternita' e
puerperio, che, tuttavia, con l'art. 21 d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44
(di  recepimento  dell'accordo  relativo  al  personale  del comparto
Ministeri) e' stata prevista l'attribuzione alle lavoratrici madre in
astensione obbligatoria ai sensi dell'art. 4 della legge n. 1204/1971
delle  "...  quote  di salario accessorio fisse e ricorrenti relative
alla  professionalita' ed alla produttivita'", che tale previsione e'
stata  interpetetata  ed  applicata dal Ministero della giustizia nel
senso   della   spettanza   alle   proprie  dipendenti  addette  alle
cancellerie  ed alle segreterie dell'indennita' giudiziaria anche nei
periodi  di  assenza  obbligatoria  per  maternita' e puerperio (cfr.
circolare  n. 22  in  data 22 settembre 1993 della Direzione generale
organizzazione  giudiziaria  e  affari  generali),  che  la  predetta
previsione  e'  stata  ribadita  nei  contratti  collettivi nazionali
successivi  del  personale  del  comparto  Ministeri  e che, a quanto
consta,  l'emolumento  controverso  risulta  regolarmente corrisposto
alla suddetta categoria di personale nei periodi considerati.
   Attualmente,  quindi,  per  effetto  delle predette previsioni dei
contratti    collettivi    (per    come   interpretate   ed   attuate
dall'amministrazione  della  giustizia),  le lavoratrici addette alle
cancellerie  ed alle segreterie giudiziarie percepiscono l'indennita'
di  cui all'art. 3, legge n. 27/ 1981 (loro estesa dall'art. 1, legge
n. 221/1988)   anche  nei  periodi  di  astensione  obbligatoria  per
maternita'  e  puerperio,  mentre  le  donne  magistrato  (avvocato e
procuratore  dello  Stato)  non  ricevono  alcunche',  nella medesima
situazione, a quel titolo.
   Osserva,  al  riguardo,  il Collegio, nei limiti della valutazione
della  non  manifesta  infondatezza  della  prospettata  eccezione di
incostituzionalita'  dell'art.  3, legge n. 27/1981, che la posizione
delle  diverse  categorie  di  lavoratrici  considerate  non presenta
differenze  tali  da  giustificare  l'attribuzione  ad  una  sola del
diritto  all'indennita'  di  giudiziaria  nei  periodi  di astensione
obbligatoria  dal  lavoro  per  maternita'  e  puerperio e che, anzi,
l'identita'  della  ratio  dell'attribuzione ad entrambe del medesimo
emolumento  (agevolmente  ravvisabile nell'esigenza di compensare con
un'ulteriore  voce  "retributiva" la gravosita' dell'impegno connesso
all'esercizio  dell'attivita'  giudiziaria,  cui  concorre  anche  il
personale  dirigente  delle cancellerie e delle segreterie) impone di
escludere  la  compatibilita'  di una diversa disciplina dei relativi
diritti  tra  classi  di  dipendenti  del tutto omologhe, quanto alla
spettanza    dell'indennita'    giudiziaria,    con    il   parametro
costituzionale  (art.  3)  che  esige  la  parita'  di trattamento di
situazioni uguali (cfr. Corte cost., 26 novembre 2002, n. 476, in cui
si   ribadisce  il  principio,  costituzionalmente  garantito,  della
necessita'  dell'identita'  di  disciplina  di  fattispecie connotate
dagli  stessi  caratteri o, comunque, non adeguatamente differenziate
tra loro)».
   Con  l'ordinanza  n. 2280  del  2007, il Consiglio di Stato ha poi
precisato, ed il Collegio condivide, che «se la protezione del valore
della  maternita'  puo'  essere attuata con interventi legislativi di
contenuto e modalita' anche diversi in relazione alle caratteristiche
di  ciascuna  delle  situazioni considerate (Corte cost., 14 dicembre
2001,  n. 405),  appare  discriminatoria  l'assenza di tutela, che si
realizza nel momento in cui, in presenza di una identica situazione e
di   un  medesimo  evento,  alcuni  soggetti  si  vedono  privati  di
provvidenze  riconosciute,  invece,  in capo ad altri, che si trovano
nelle  medesime  condizioni  (Corte  cost., 14 ottobre 2005, n. 385);
discriminazione  oggi  evidente,  alla luce della norma sopravvenuta,
all'interno  della  stessa  categoria  delle donne-magistrato, che si
vedono  attribuite  una  differente  tutela  della  maternita', senza
alcuna  ragione  logica,  solo a seconda della collocazione temporale
dell'evento  maternita'  rispetto  all'entrata  in vigore della norma
stessa».
   Ad  avviso  di  questo  Collegio,  inoltre,  se  il legislatore ha
ritenuto  necessario  prevedere,  con  la  novella di cui all'art. 1,
comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, una specifica misura
a   sostegno   della   maternita',   quindi   in  diretta  attuazione
dell'articolo  37  della  Costituzione;  la  mancata previsione della
stessa  misura,  in  casi analoghi verificatisi prima dell'entrata in
vigore  della norma, determina, oltre alla violazione dell'articolo 3
della  Costituzione,  anche  quella  del  parametro  di cui al citato
articolo 37.
   Ne'   appare  condivisibile  ritenere,  come  mostra  l'avvocatura
erariale   nelle   proprie   difese,   che   tale  risultato  sarebbe
trascurabile per le sole carriere di magistratura ed avvocatura dello
Stato, per il fatto che esse sarebbero caratterizzate da retribuzioni
maggiori   rispetto  a  quelle  delle  carriere  nelle  segreterie  e
cancellerie giudiziarie.
   Fermo restando che simili considerazioni non sono verificabili per
la  generalita'  dei  casi,  occorre  piuttosto porre attenzione alla
circostanza che l'indennita' giudiziaria incide sulla retribuzione in
misura percentuale maggiore proprio nelle carriere di magistratura ed
avvocatura dello Stato.
   Sul    magistrato   o   avvocato   dello   Stato   la   privazione
dell'indennita'  giudiziaria opera con peso certamente non inferiore,
anzi  forse  maggiore,  rispetto  ai  dipendenti  delle  segreterie e
cancellerie giudiziarie.
   Di  qui  l'ulteriore  sospetto di illegittimita' costituzionale in
relazione  agli  indicati parametri di cui agli articoli 3 e 37 della
Costituzione.
                              P. Q. M.
   Sospende  il presente procedimento ed ordina la trasmissione degli
atti  alla  Corte  Costituzionale, per la definizione della questione
della costituzionalita' dell'art. 3, comma 1, della legge 19 febbraio
1981,  n. 27,  nella  versione  antecedente  alle  modifiche  ad esso
apportate  dall'art.  1,  comma  325,  della  legge 30 dicembre 2004,
n. 311,  nella  parte  in  cui  esclude  la corresponsione, durante i
periodi  di  astensione  obbligatoria dal lavoro ai sensi dell'art. 4
della  legge  30  dicembre  1971,  n. 1204, della speciale indennita'
dallo  stesso  istituita,  per violazione degli articoli 3 e 37 della
Costituzione,  in relazione all'art. 21 del d.P.R. n. 44/1990 ed alle
omologhe  previsioni  dei contratti collettivi successivi relativi al
personale  del  comparto  Ministeri,  nonche' in relazione alla nuova
disciplina recata dall'art. 3 medesimo nella versione sopravvenuta.
   Ordina  che  la  presente  ordinanza  sia notificata, a cura della
Segreteria,  alle  parti  in causa ed al Presidente del Consiglio dei
ministri,  nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati
e del Senato della Repubblica.
   Cosi'  deciso  in  Lecce,  nella Camera di consiglio del 13 giugno
2007.
                       Il Presidente: Ravelli
                                              L'estensore: Balloriani