N. 49 ORDINANZA 25 febbraio - 4 marzo 2008

  Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

  Reati  militari  -  Diffamazione  militare  -  Possibilita'  per il
  colpevole  di  provare, a sua discolpa, la verita' o notorieta' dei
  fatti  attribuiti  alla  persona  offesa  -  Mancata  previsione  -
  Denunciata  irragionevole  disparita'  di  trattamento  rispetto ai
  soggetti  imputati  dell'analogo  reato comune - Omessa descrizione
  del  caso  concreto,  impossibilita'  di  vagliare l'applicabilita'
  della norma al caso dedotto e conseguente carenza di motivazione in
  ordine alla rilevanza della questione - Manifesta inammissibilita'.
  - Cod. pen. mil. di pace, art. 227.
  - Costituzione, art. 3.
(GU n.12 del 12-3-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta  dai  signori:  Presidente:  Franco  BILE; Giudici: Giovanni
Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Paolo MADDALENA,
Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA,
Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe
TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 227 del codice
penale  militare di pace, promosso con ordinanza dell'11 ottobre 2005
dal Tribunale militare di Palermo nel procedimento penale a carico di
C.  C.,  iscritta  al  n. 19 del registro ordinanze 2006 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 5, 1ª serie speciale,
dell'anno 2006.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio del 30 gennaio 2008 il giudice
relatore Paolo Maria Napolitano.
   Ritenuto  che  il  Tribunale  militare  di  Palermo, con ordinanza
dell'11   ottobre   2005,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale,   in   riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,
dell'art.  227  del codice penale militare di pace nella parte in cui
non  prevede,  per  il delitto di diffamazione militare, una causa di
non  punibilita'  analoga  a  quella della prova liberatoria prevista
dall'art.  596, quarto comma, del codice penale per il corrispondente
delitto di diffamazione «ordinaria»;
     che  il  rimettente,  quanto  al fatto, riferisce unicamente che
l'imputato  Maresciallo  dei  carabinieri  C.C.  e'  stato  tratto  a
giudizio  per rispondere del reato di diffamazione militare aggravata
in  quanto  avrebbe  inviato  a  diverse  autorita'  un  esposto  dal
contenuto  lesivo  della  reputazione  del Brigadiere dei carabinieri
F.M., anche mediante l'attribuzione di fatti determinati;
     che il collegio rimettente precisa che all'udienza del 5 ottobre
2005   la   difesa   dell'imputato   ha   eccepito   l'illegittimita'
costituzionale  dell'art.  227 del codice penale militare di pace, in
relazione  all'art.  3  Cost.,  nella  parte  in  cui,  a  differenza
dell'art.  596,  terzo  e  quarto  comma,  cod.  pen.  non prevede la
possibilita' di provare i fatti attribuiti;
     che  il  rimettente  compie  una ricognizione dei dati normativi
vigenti  nella  quale  evidenzia, in primo luogo, che l'art. 596 cod.
pen.,  pur  escludendo  in  via  generale la prova liberatoria (primo
comma),  la  ammette  nelle  limitate  ipotesi  contemplate nei commi
secondo  e  terzo,  prevedendo  inoltre (quarto comma) che, una volta
provata  la  verita' del fatto, l'autore dell'imputazione non e' piu'
punibile;
     che  tale  causa di non punibilita' e', invece, del tutto ignota
al  codice  penale  militare  di  pace, che non contiene alcuna norma
analoga;
     che  anche  il  «codice  Rocco»,  in  origine, «non prevedeva la
possibilita'  della  prova  liberatoria, ma solo quella - eventuale -
del  deferimento  a  un giuri' d'onore del giudizio sulla verita' del
fatto»;
     che,  con  il  decreto  legislativo luogotenenziale 14 settembre
1944,  n. 288 (Provvedimenti relativi alla riforma della legislazione
penale),  venne  introdotta  la  modifica dell'art. 596 cod. pen. nei
termini tutt'oggi in vigore, senza pero' prevedere una corrispondente
disciplina per le fattispecie militari;
     che,   in  tal  modo,  il  trattamento  penalistico,  pressoche'
identico   quanto   alla  morfologia  complessiva  delle  due  figure
criminose  di  ingiuria  e diffamazione, ha finito per diversificarsi
profondamente in tema di cause di non punibilita';
     che l'attuale disarmonia, a parere del collegio rimettente, «non
appare  comprensibile  sotto  il  profilo  della  ragionevolezza, non
essendo  possibile  individuare  alcun valido motivo della perdurante
sperequazione;  e  per  cio'  stesso  appare ingiustificata ex art. 3
Cost.,  poiche'  finisce  per  trattare  la  posizione  dei  militari
imputati  di  ingiuria e diffamazione in modo pesantemente diverso da
quello  previsto per i non appartenenti alle forze armate imputati di
illeciti del tutto analoghi»;
     che  il  Tribunale  militare  di  Palermo,  con riferimento alla
rilevanza  della  questione,  sottolinea che l'esito del procedimento
sarebbe  ben  diverso  ammettendosi o negandosi la possibilita' della
prova  liberatoria:  poiche'  in  un caso si potrebbe pervenire a una
pronuncia favorevole all'imputato nei termini previsti dall'art. 596,
quarto  comma,  cod.  pen.  e,  nell'altro, ad una soluzione di segno
contrario;
     che  e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,   che  ha  chiesto  alla  Corte  di  dichiarare  la  questione
inammissibile o infondata.
   Considerato  che  il  Tribunale militare di Palermo, con ordinanza
del   5   ottobre   2005,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale,   in   riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,
dell'art.  227 del codice penale militare di pace, nella parte in cui
non  prevede per il delitto di diffamazione militare una causa di non
punibilita'   analoga  a  quella  della  prova  liberatoria  prevista
dall'art.  596, comma quarto, del codice penale per il corrispondente
delitto di diffamazione «ordinaria»;
     che, secondo il rimettente, l'esclusione della prova liberatoria
per  il  delitto  di  diffamazione  militare  e'  in contrasto con il
principio  di  ragionevolezza  in  quanto  non  vi  e' alcuna ragione
giustificatrice  del  diverso  trattamento  dei  militari imputati di
ingiuria  e  diffamazione  rispetto  ai  non  appartenenti alle forze
armate imputati di illeciti del tutto analoghi;
     che la questione e' manifestamente inammissibile;
     che  il  rimettente  omette  del  tutto  la descrizione del caso
concreto  sottoposto  al  suo  esame rendendo in tal modo impossibile
ogni valutazione circa la rilevanza della questione;
     che,  in  particolare, il Tribunale militare non riporta il capo
d'imputazione,  ne'  indica alcuna circostanza di fatto relativa alla
vicenda del giudizio a quo;
     che  l'incertezza  sulla  vicenda  processuale si riflette anche
sulla stessa applicabilita' della norma evocata, in quanto l'art. 596
cod.  pen., dopo aver stabilito, al primo comma, il principio secondo
il  quale  il colpevole dei delitti di ingiuria e diffamazione non e'
ammesso a provare a sua discolpa la verita' o la notorieta' del fatto
attribuito  alla persona offesa, prevede, al terzo comma, le relative
eccezioni;
     che  il  rimettente  non indica quale delle tre ipotesi previste
dall'art.  596,  terzo  comma,  cod. pen. ricorra nel caso di specie,
ovvero:  se la persona offesa sia un pubblico ufficiale ed il fatto a
lui  attribuito si riferisca all'esercizio delle sue funzioni; se per
il  fatto  attribuito  alla  persona  offesa  penda contro di essa un
procedimento  penale;  se la persona offesa abbia chiesto formalmente
l'accertamento della verita' o della falsita' del fatto attribuitole;
     che,   secondo  la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,
l'insufficiente  descrizione  della fattispecie, poiche' impedisce di
vagliare  l'effettiva  applicabilita' della norma ai casi dedotti, si
risolve  in  carente  motivazione  sulla  rilevanza  della questione,
determinandone,  conseguentemente, la manifesta inammissibilita' (tra
le ultime, ordinanze n. 45 e n. 31 del 2007);
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
              Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale dell'art. 227 del codice penale militare
di  pace sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal
Tribunale militare di Palermo con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2008.
                         Il Presidente: Bile
                      Il redattore: Napolitano
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 4 marzo 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola