N. 53 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 ottobre - 22 dicembre 2007

  Ordinanza  del 22 dicembre 2007 emessa dal Tribunale militare di La
Spezia nel procedimento penale militare a carico di G.F. ed altro

  Reati   militari   -  Definizione  -  Delitti  contro  la  pubblica
  amministrazione,  in  particolare delitti di peculato d'uso e abuso
  d'ufficio  (artt.  314, secondo comma, e 323 cod. pen.) commessi da
  appartenenti  alle  forze  armate con abuso dei poteri o violazione
  dei  doveri  inerenti  allo stato di militare o in luogo militare -
  Previsione  che  costituiscano  reati militari solo in applicazione
  della legge penale militare di guerra - Violazione del principio di
  ragionevolezza   e  del  principio  della  ragionevole  durata  del
  processo.
  -  Codice  penale  militare di pace, art. 37, in combinato disposto
  con  l'art.  47, comma secondo, n. 2, del codice penale militare di
  guerra,  aggiunto  dall'art.  2,  comma 1, lett. c), della legge 31
  gennaio 2002, n. 6; codice penale, artt. 314, comma secondo, e 323.
  - Costituzione, artt. 3 e 111.
(GU n.12 del 12-3-2008 )
                        IL TRIBUNALE MILITARE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa contro 1). G. F.,
nato  il 20 settembre 1970 a Corato, Maresciallo E.I.; 2) P. V., nato
il  19  luglio  1955  in  Sannicandro  di  Bari, 1° Maresciallo E.I.,
imputati  di  delitto  militare  di  concorso  in peculato, aggravato
(artt.  110 c.p.; 215 e 47 n. 2 c.p.m.p.) accertato in Pisa alla data
del  30  settembre 2005, per avere compiuto nella propria qualita' di
militari  dell'Esercito  in  servizio  alle  armi  presso  l'Ospedale
militare  «Bonomo»  di  Livorno  -  operando  in  concorso  tra  loro
nell'esercizio  delle  funzioni amministrative e di comando spettanti
al  P.,  ai  sensi  della pubblicazione S.M.E. «Movimenti, trasporti,
circolazioni  e  stazionamenti»  ed.  1994,  in  forza  della propria
qualifica  di  capo-macchina  nonche'  di  capo  del servizio isolato
automontato  che  entrambi svolgevano fuori sede poiche' comandati in
missione a Pisa - l'appropriazione delle risorse dell'amministrazione
militare  (in  termini  di  abusivo  consumo di carburante ed abusiva
usura  di parti meccaniche del mezzo) necessarie all'indebito impiego
del  veicolo  del  quale  avevano  il possesso funzionale per ragione
dell'incarico  ricoperto  (autovettura  FIAT «Brava» targata E.I.), e
che invece utilizzavano a fini di diporto personale utilizzandolo, in
particolare,  per  percorrere  la  citta'  durante le ore notturne ed
inoltre  per  avvicinare  prostitute,  ospitare nel veicolo taluna di
esse ed utilizzarne l'abitacolo come sede di consumazione di rapporti
sessuali a pagamento fruiti dal G.
   Con  la  circostanza  aggravante  comune di aver commesso il fatto
nella  qualita'  di militari rivestiti del grado di primo maresciallo
(il P.) e di maresciallo capo (il G.) (art. 47, n. 2 c.p.m.p.).
   Il  giudice  per  l'udienza  preliminare  presso  questo tribunale
militare  dispose il rinvio a giudizio degli imputati con decreto del
20 dicembre 2006.
   Il   dibattimento,   aperto   all'udienza   dell'11  aprile  2007,
proseguito  il  12  giugno  2007  e il 12 luglio 2007, si e' concluso
all'udienza del 25 ottobre 2007.
   Il  pubblico  ministero  ha  chiesto  la  condanna di entrambi gli
imputati  al  minimo  della  pena;  mentre le difese ne hanno chiesto
l'assoluzione per insussistenza del fatto.
   Il  tribunale,  ancor  prima  di valutare la responsabilita' degli
imputati,  ritiene  che  la qualificazione giuridica da attribuire al
fatto debba essere individuata nella fattispecie di peculato «d'uso»,
di cui all'art. 314, comma 2 c.p.
   Dalle    testimonianze    assunte    nel   corso   dell'istruzione
dibattimentale,  e'  emerso  che,  verso le ore 1.00 del 30 settembre
2005,  una  pattuglia  di  Carabinieri,  impegnata  nel  servizio  di
controllo della circolazione stradale sulla via Aurelia, in localita'
Darsena  Pisana,  fu avvicinata da una prostituta straniera; la donna
riferi'  a  uno  dei  militari di essere stata importunata poco tempo
prima  dagli  occupanti di un'automobile la cui targa recava la sigla
«E.I.», in caratteri rossi.
   In  seguito,  mentre il militare stava riferendo al capo pattuglia
quanto  raccontato dalla donna, transito' in quel luogo un'auto «FIAT
Brava»  appartenente all'Esercito italiano, targata E.I., condotta da
un  uomo  in  abiti  civili  con  al fianco una donna, che i militari
dell'Arma  avevano  precedentemente  identificato come persona dedita
alla prostituzione.
   I  Carabinieri  intrapresero  subito  la  ricerca dell'auto ma non
riuscirono  a  rintracciarla, pur avendo subito incrociato ai margini
della  strada la donna intravista nell'abitacolo; soltanto dopo circa
due  ore,  i  militari appresero per radio che un'altra pattuglia del
Nucleo  radiomobile  di  Pisa  aveva  fermato  il  veicolo ricercato,
identificandone   il  conducente  nell'odierno  imputato  F.G.  Dalla
documentazione  acquisita  risulta  che  entrambi  gli  imputati sono
marescialli  dell'Esercito,  in  servizio  presso l'Ospedale militare
«Bonomo»  di  Bari  (non  di  Livorno, come erroneamente indicato nel
decreto  che  dispone  il giudizio); costoro erano stati comandati in
missione  di servizio a Pisa dal 29 settembre 2005 al 1 ottobre 2005,
come  da  foglio  di  viaggio  n°........  del  ...............,  con
autorizzazione all'uso dell'autovettura militare in questione.
   In  relazione a tali fatti, il Pubblico Ministero ha contestato il
reato  di  peculato militare (art. 215 c.p.m.p.) per l'appropriazione
del  veicolo,  ravvisata nella sua utilizzazione per «fini di diporto
personale ... in particolare, per percorrere la citta' durante le ore
notturne  ...  avvicinare  prostitute, ospitare nel veicolo taluna di
esse ed utilizzarne l'abitacolo come sede di consumazione di rapporti
sessuali».
   Il  tribunale  ritiene,  invece,  che nella condotta ascritta agli
imputati    sia   ravvisabile,   piuttosto,   lo   scopo   di   usare
momentaneamente  il  veicolo per poi restituirlo immediatamente nella
disponibilita'  dell'Amministrazione. In tal senso, pur senza entrare
nel  merito  delle  giustificazioni fornite in dibattimento, assumono
rilievo il breve intervallo di tempo entro il quale si e' esaurita la
vicenda  ricostruita  e la circostanza che per il giorno seguente era
gia'  programmato  il  rientro  degli  imputati  nella  sede di Bari,
mediante l'uso dell'auto in discussione.
   In un caso analogo, la suprema Corte di cassazione ha ravvisato il
peculato   d'uso   nell'utilizzazione   di   un   veicolo   sottratto
all'Amministrazione  militare  per  il tempo necessario a raggiungere
una  vicina  riserva  di  caccia e subito restituito (C. cass. VI, 10
marzo  1997,  Federighi,  G. Pen. 1998, 11, 21), precisando che l'uso
momentaneo  del  bene  non e' sinonimo d'istantaneita', ma implica la
sottrazione  della  cosa per un periodo temporaneo, certamente breve,
ma comunque tale da offendere il bene giuridico tutelato.
   E'  noto che la legge 26 aprile 1990, n. 86, con la quale e' stato
configurato  il  vigente  articolo 314 c.p. (peculato), ha introdotto
nell'ordinamento  la  fattispecie del cosiddetto «peculato d'uso», di
cui   all'art.   314,  comma  2  c.p.,  ormai  unanimemente  ritenuta
fattispecie  autonoma  di reato (C. cass. 29 aprile 1992, De Bortoli;
C. cass. 27 gennaio 1994, Liberatore).
   La novella normativa, tuttavia, non ha riguardato anche l'art. 215
c.p.m.p.  (peculato  militare),  tanto  da richiedere l'intervento di
codesta  Corte  per  espungerne la condotta per distrazione (sentenza
n. 448  del 4 dicembre 1991), perche' ormai soppressa nella rinnovata
fattispecie comune di peculato.
   Dall'omesso  coordinamento  normativo  da parte del Legislatore e'
derivato  che  il  reato  di  peculato militare non contempla la meno
grave  ipotesi  di condotta consistente nell'uso momentaneo del bene,
introdotta, invece, nella disciplina penale comune.
   Rispetto  a  quello  di  peculato  militare,  il  reato  comune di
peculato «d'uso» risulta meno grave e tutela beni giuridici omogenei;
tuttavia,  per le precedenti considerazioni questo tribunale militare
si  trova  nella  necessita'  di  dichiarare  il  proprio  difetto di
giurisdizione  in  ordine  alla  ravvisata  ipotesi  di  reato di cui
all'art.  314,  comma  2  c.p. e di trasmettere gli atti alla Procura
della Repubblica di Pisa.
   Questo  tribunale  militare  ritiene  che la regressione alla fase
iniziale del procedimento, pregiudicando l'attivita' processuale gia'
svolta  e la possibilita' per gli imputati di ottenere immediatamente
la  sentenza  di primo grado, contrasti con la ragionevole durata del
processo   e  sia  conseguenza  dell'applicazione  di  una  normativa
irragionevole.
   Codesta  Corte  ha  richiamato innumerevoli volte l'attenzione del
legislatore  sulla  necessita'  di  rimuovere le irrazionalita' della
legge  penale  militare;  con  specifico  riferimento  alle modifiche
introdotte  dalla  richiamata  legge  n. 86  del 1990 per il peculato
comune,  la  giurisprudenza costituzionale ha ritenuto non conforme a
razionalita'   la  loro  mancata  estensione  al  peculato  militare,
considerato  sostanzialmente identico alla corrispondente fattispecie
comune  (Sentenze  n. 4  del  14  gennaio 1974; n. 473 del 22 ottobre
1990; n. 448 del 13 dicembre 1991).
   Nella  richiamata  sentenza  n. 473 del 1990, una volta esclusa la
possibilita'  di  manipolare  l'art. 215 c.p.m.p. integrandolo con la
disposizione   di   cui   all'art.   314  comma  2,  c.p.,  la  Corte
costituzionale aveva auspicato che l'intervento del Legislatore fosse
emanato al piu' presto, «ad evitare che cosi' grave ed ingiustificato
divario  di trattamento abbia a perdurare fino alla promulgazione del
nuovo  codice  penale  militare  di  pace, tutt'altro che imminente a
quanto e' dato sapere».
   In  effetti,  trascorsi  quasi  vent'anni  da quella pronuncia, la
riforma  del  codice  penale  militare  di  pace  non e' stata ancora
attuata,  nonostante  le  numerose  e pressanti esortazioni formulate
nelle  sentenze  costituzionali  e nelle delibere del Consiglio della
magistratura militare.
   Nella corrente XV legislatura, pende presso la Camera dei deputati
la  proposta  di legge n. 2098 per la delega al Governo della riforma
del  codice  penale  militare  di pace che, per la parte d'interesse,
prevede   l'armonizzazione   dei   delitti  contro  l'amministrazione
militare  con  gli  analoghi istituti disciplinati dal codice penale,
«con  cio'  eliminando  anomalie  evidenti come nel caso del peculato
militare».
   Le  palesi  irrazionalita'  del sistema penale militare, peraltro,
non derivano soltanto dal mancato coordinamento con norme innovatrici
della  legislazione  penale  comune,  ma  soprattutto dal disomogeneo
riparto  di  giurisdizione  tra  l'autorita'  giudiziaria ordinaria e
quella  giudiziaria  militare.  La causa di tali effetti incongruenti
risiede,  oggi,  nella  nozione  meramente  formale di reato militare
contenuta  nell'art.  37  c.p.m.p.  (Qualunque violazione della legge
penale militare e' reato militare).
   Il   Legislatore  del  1941,  infatti,  ricalcando  l'art.  1  dei
previgenti  codici  militari per l'Esercito e la Marina del 1870, non
delineo'   una   fisionomia   di   reato   militare,  affidando  alla
discrezionalita'  legislativa i limiti oggettivi (art. 37 c.p.m.p.) e
soggettivi (art. 263 c.p.m.p.) della giurisdizione militare.
   In un contesto cui faceva da cornice l'art. 49 c.p.p. del 1930 che
stabiliva,  in  caso  di  connessione tra reati comuni e militari, la
prevalenza  del  giudice  militare  su quello ordinario, l'originario
testo  dell'art. 264 c.p.m.p., successivamente sostituito dall'art. 8
della  legge  23  marzo 1956 n. 167, chiudeva il sistema determinando
l'attrazione  nella  giurisdizione  militare  anche  di reati comuni,
purche'  «militarizzati»  dalle circostanze della loro commissione e,
per  talune  fattispecie,  addirittura  anche  se commessi da persone
estranee alle Forze Armate.
   In  definitiva, per la demarcazione tra la giurisdizione ordinaria
e  quella  militare  la  nozione  di  reato  militare non assumeva un
rilievo   essenziale;   cosicche'  l'inserimento  nel  codice  penale
militare  di  pace di taluni reati contro l'amministrazione militare,
la fede pubblica, la persona e il patrimonio rispondeva semplicemente
all'esigenza  di  differenziare parzialmente talune delle fattispecie
di  reato  gia'  previste  dal codice penale. Da qui deriva l'odierna
frammentarieta'  normativa che, includendo nella legge penale miliare
soltanto  alcuni  dei  reati  che  offendono  i beni giuridici appena
indicati,   rende   attualmente   irrazionale   e   carente  l'ambito
giurisdizionale dei tribunali militari.
   Come   e'   ben   noto,  infatti,  dall'entrata  in  vigore  della
Costituzione  il  concetto di reato militare costituisce, in tempo di
pace,   il   limite  oggettivo  della  giurisdizione'  dei  tribunali
militari;  pertanto  ogni  fattispecie non inclusa nella legge penale
militare   esorbita   le  attribuzioni  giurisdizionali  del  giudice
speciale,  indipendentemente  dalla  qualita'  militare  dei soggetti
coinvolti,  dall'incidenza  sul  servizio  o sui beni e gli interessi
dell'amministrazione militare.
   Nel  caso  in  esame,  infatti, pur trattandosi di reati contro la
pubblica amministrazione non appartengono alla giurisdizione militare
le  fattispecie di "peculato d'uso" (art. 314, comma 2, c.p.) e abuso
di ufficio (art. 323 c.p.), mentre vi appartiene il reato di peculato
militare (215 c.p.m.p.) perche' il legislatore ritenne di discostarsi
dalla   corrispondente  norma  comune  (314  c.p.)  per  le  qualita'
soggettive   richieste   in   capo   al   militare  agente  (funzioni
amministrative o di comando) e per un inferiore minimo edittale della
pena.
   Il  Legislatore,  con l'art. 2, comma 1, lettera c) della legge 31
gennaio  2002,  n. 6,  ha  finalmente  dettato una precisa nozione di
reato  militare,  pur  ai  soli  fini  del  codice penale militare di
guerra,  inserendola  nell'art.  47, commi 2, 3 e 4, c.p.m.g., che ha
assunto il seguente tenore:
   [II]  «Costituisce  altresi'  reato  militare ai fini del presente
codice,   ogni   altra   violazione   della   legge  penale  commessa
dall'appartenente alle Forze armate con abuso dei poteri o violazione
dei  doveri  inerenti  allo stato di militare, o in luogo militare, e
prevista  come  delitto contro: 1) la personalita' dello Stato; 2) la
pubblica  amministrazione;  3)  L'amministrazione della giustizia; 4)
l'ordine pubblico; 5) l'incolumita' pubblica; 6) la fede pubblica; 7)
la  moralita'  pubblica  e  il  buon  costume;  8)  la persona; 9) il
patrimonio;
   [III]  Costituisce  inoltre  reato  militare ogni altra violazione
della  legge  penale  commessa dall'appartenente alle Forze armate in
luogo  militare  o  a  causa  del  servizio  militare,  in offesa del
servizio militare o dell'amministrazione militare o di altro militare
o  di appartenente alla popolazione civile che si trova nei territori
di operazioni all'estero.
   [IV] Costituisce infine reato militare ogni altra violazione della
legge  penale  prevista  quale  delitto in materia di controllo delle
armi, munizioni ed esplosivi e di produzione, uso e traffico illecito
di  sostanze  stupefacenti  o  psicotrope, commessa dall'appartenente
alle Forze armate in luogo militare».
   Come   si   evince  dai  lavori  preparatori  di  tale  legge,  il
legislatore   intese   evitare   ogni  incertezza  o  sovrapposizione
dell'autorita'  giudiziaria  competente,  che sarebbe invece derivata
dall'applicazione della lacunosa normativa in tema di reato militare,
cosi'  razionalizzando  il  riparto  di  giurisdizione tra il giudice
ordinario e quello speciale.
   La  nuova  nozione  di  reato  militare  fornita  dal legislatore,
d'altra  parte,  non e' affatto assimilabile all'abrogata formula dei
reati   "militarizzati",   contenuta   nell'originaria   formulazione
dell'art.  264  c.p.m.p.;  il  vigente  art.  47  c.p.m.g.,  infatti,
definisce  direttamente come reati militari, quelle violazioni idonee
ad  offendere  significativi  interessi militari, individuate secondo
criteri  che,  nelle  varie  ipotesi,  sono costituiti dall'abuso dei
poteri o violazione dei doveri inerenti allo stato di militare, dalle
qualita'  del  soggetto  passivo, dalla causa del servizio militare o
dal luogo militare, dal nocumento al servizio militare.
   Detti   requisiti  segnano  lo  spartiacque  tra  le  due  diverse
giurisdizioni, mentre il rinvio a categorie di reati comuni contenuto
nell'art.  47  c.p.m.g.  costituisce un semplice accorgimento tecnico
che,  mediante  un agile richiamo, evita la riformulazione di tutti i
reati compresi nelle categorie richiamate dalla norma medesima.
   La  collocazione  sistematica nel codice penale militare di guerra
della  nozione  materiale  di  reato militare, contenuta nell'art. 47
c.p.m.g.,  parrebbe  non poter in alcun modo influire sul concetto di
reato militare per il tempo di pace.
   Tra  il  codice  militare  di  pace  e quello di guerra, tuttavia,
intercorre  un  rapporto  di complementarita', stabilito dall'art. 19
c.p.m.p.  («Le  disposizioni di questo codice si applicano anche alle
materie  regolate  dalla  legge  penale militare di guerra e da altre
leggi   penali   militari,  in  quanto  non  sia  da  esse  stabilito
altrimenti»)  e  dall'art.  47,  comma  1,  c.p.m.g.  («Nei  casi non
preveduti  da  questo codice, si applicano le disposizioni del codice
penale   militare   di   pace,   concernenti   i  reati  militari  in
particolare»).  Per  altro  verso,  l'art.  37 c.p.m.p., definendo il
reato   militare   come  «qualunque  violazione  della  legge  penale
militare»,  non  ha  fatto  distinzioni  tra  i due codici; cosicche'
risulta  decisiva  l'espressa  limitazione  («ai  fini  del  presente
codice») dell'ambito di applicabilitâ della nozione di reato militare
fornita dall'art. 47 c.p.m.g.
   D'altra  parte,  l'art.  9  c.p.m.g., come modificato dall'art. 2,
lettera a), legge 31 dicembre 2002 n. 6, prevedendo l'assoggettamento
alla  legge penale di guerra, «ancorche' in tempo di pace», dei corpi
di spedizione all'estero per operazioni militari armate, determina in
tali  situazioni  l'applicabilita'  della  nozione  di reato militare
delineata dall'art. 47 c.p.m.g.
   Il  testo  del  novellato  art.  47  c.p.m.g., infatti, proprio in
virtu'   dell'art.   9   c.p.m.g.  ha  in  realta'  esteso  anche  la
giurisdizione  penale militare per il tempo di pace; per tali ragioni
l'art.  9  del  decreto  legge  n. 421/2001,  convertito  in legge 31
dicembre   2002,   n. 6,   prevedeva   che   al  personale  impegnato
nell'operazione   «Enduring  Freedom»  non  si  applicassero  ne'  le
disposizioni    processuali    di    guerra    ne'   quelle   proprie
dell'ordinamento giudiziario militare di guerra.
   Ne  deriva  che in tempo di pace, secondo la normativa richiamata,
si  registrano  due  diverse  nozioni  di reato militare che, seppure
applicabili  a  situazioni  diverse,  riguardano fattispecie comunque
assegnate  alla  giurisdizione  di  un  tribunale  militare  previsto
dall'ordinamento  giudiziario  di  pace,  da  esercitarsi  secondo le
comuni regole del codice di procedura penale comune.
   In  conseguenza  della  nuova nozione di reato militare introdotta
nell'art.  47  c.p.m.g.,  dunque,  se  il  fatto in esame fosse stato
commesso  pur  sempre  in  tempo di pace, ma all'estero e da militari
appartenenti  ad  un  corpo  di  spedizione  per  operazioni militari
armate,  esso  sarebbe  rientrato  nella giurisdizione militare anche
qualora  fosse giuridicamente qualificato come peculato d'uso o abuso
d'ufficio   e   non   si   manifesterebbero  le  irrazionalita'  che,
ripetutamente evidenziate da codesta Corte, spingono questo giudice a
sollevare questione di legittimita' costituzionale.
   Non  sfugge  a  questo  tribunale che alla legge 31 dicembre 2002,
n. 6  sono seguite numerose leggi riguardanti gli interventi militari
italiani all'estero (legge n. 27 febbraio 2002, n. 15, legge 12 marzo
2004,  n. 68,  legge  4  agosto  2006,  n. 247, legge 20 ottobre 2006
n. 270  e  legge  29  marzo  2007  n. 38)  che,  pur non abrogando le
disposizioni  introdotte  con  legge  n. 6 del 2002, hanno limitato o
escluso l'applicabilita' del codice penale militare di guerra.
   In  particolare,  dalla  citata  legge  n. 247 del 2006 in poi, e'
stata  prevista l'applicabilita' del solo codice militare di pace per
tutte le missioni militari all'estero.
   In  relazione  a  fatti  commessi nel corso della missione in Irak
anteriormente  al  2006,  per  i  quali era in origine applicabile il
codice  di guerra, la suprema Corte di cassazione, con sentenza 25811
del  2007,  ha ritenuto applicabili le disposizioni sulla successione
delle leggi penali del tempo e, quindi, la disciplina piu' favorevole
per l'imputato, secondo quanto previsto dall'art. 2, comma 4, c.p.
   E'  noto  che,  per  i casi non preveduti dal codice di guerra, il
primo  comma  dell'art. 47 c.p.m.g. rende applicabili le disposizioni
del  codice  penale  militare di pace concernenti i reati militari in
particolare,  prevedendo  l'aumento  delle  pene detentive temporanee
previste dalle fattispecie in esse contenute.
   Con  la  citata  sentenza,  la suprema Corte ha ritenuto, in primo
luogo,  che  l'aumento  di  pena  previsto dall'art. 47, primo comma,
c.p.m.g. costituisca una generalizzata integrazione delle figure-base
dei  reati  contemplati  dal  codice  di  pace, anziche' una semplice
circostanza  aggravante  che,  come  tale,  rientrerebbe  sempre  nel
giudizio di comparazione con circostanze di segno opposto.
   In  secondo  luogo, la Corte, rilevato che la sopravvenuta legge 4
agosto  2006,  n. 247  ha fatto subentrare all'applicazione dell'art.
47,  primo  comma,  c.p.m.g  quella  del  codice  penale  militare di
pace, e'  giunta  alla  conclusione che anche ai fatti commessi sotto
l'efficacia  della  citata norma di guerra dovesse applicarsi il piu'
favorevole regime sanzionatorio per il tempo di pace.
   La Corte, quindi, sembra aver escluso che la normativa riguardante
la  missione  all'estero possa essere considerata legge eccezionale o
temporanea,  poiche'  tali  qualita',  a  norma dell'art. 2, comma 5,
c.p.,   renderebbero   inapplicabile  la  disciplina  dei  precedenti
capoversi dell'art. 2 c.p.
   Tanto  meno  potrebbe  essere  ritenuto  applicabile  il principio
dell'ultrattivita'  della legge penale di guerra, stabilito nell'art.
23 c.p.m.g., perche' esso presuppone la commissione di reati previsti
dalla legge penale militare di guerra «durante lo stato di guerra».
   Nell'ambito  di tali reati, anzi, quest'ultima norma introduce una
differenza sostanziale tra quelli commessi durante lo stato di guerra
e  quelli  che,  come  nel  caso  di  cui  all'art. 9 c.p.m.g., siano
commessi  in  tempo di pace. Da cio' e dalla normativa stratificatasi
negli  ultimi  anni in materia di missioni militari armate - compresa
la  legge  31  gennaio  2002, n. 6 - con cui sono state costantemente
disapplicate  le  norme  procedurali  e  ordinamentali  di guerra, si
desume come la disciplina delle operazioni militari armate all'estero
sia  propria della legge ordinaria del tempo di pace, come confermato
anche dalla richiamata sentenza 25811/2007.
   Peraltro, nel fornire la nozione di reato militare di cui all'art.
47  commi  2,  3 e 4 c.p.m.g., il legislatore si e' mantenuto entro i
rigorosi limiti che l'art. 103, comma 3, della Costituzione pone alla
giurisdizione  dei  tribunali  militari  per  il tempo di pace, cosi'
sottolineando  il  prevalente  intento di disciplinare una situazione
per il tempo di pace.
   Di  certo  va  considerata la circostanza che le missioni militari
fuori  dal territorio nazionale possano richiedere l'approntamento di
strumenti  giuridici  particolari, rispetto all'attivita' normalmente
svolta dalle Forze Armate suu territorio nazionale.
   Tuttavia,  se  in  vista  di  tali  piu'  delicate  e  particolari
esigenze,  mediante il combinato disposto degli art. 9 e 47 c.p.m.g.,
si  e'  ritenuto di espandere 12 giurisdizione del tribunale militare
di  Roma,  non risulta razionalmente giustificabile che quello stesso
tribunale  militare  e  gli altri dislocati sul territorio nazionale,
debbano  attenersi, per i fatti commessi in Italia, alla mortificante
irrazionalita'  di  una giurisdizione militare i cui limiti oggettivi
siano individuabili unicamente in base all'art. 37 c.p.m.p.
   Il  tribunale  militare  di Roma, del resto, pur competente in via
esclusiva  per  i reati commessi all'estero a norma dell'art. 9 della
legge  7  maggio  1981,  n. 180, non presenta alcuna peculiarita' che
possa  giustificare,  rispetto  agli  altri  tribunali  militari,  la
devoluzione  in  suo  favore  di  una  piu'  ampia  quota  di  quella
giurisdizione  che la consolidata giurisprudenza costituzionale ha da
tempo definito «eccezionale».
   D'altro  canto,  le numerose deroghe all'applicabilita' del codice
di guerra introdotte negli ultimi anni mostrano come, nella sostanza,
le missioni per le quali era in origine applicabile tale codice (e la
connessa  nozione  di  reato militare) non presentino caratteristiche
tali  da  giustificare una diversa concezione di reato militare per i
fatti commessi sul territorio nazionale.
   Tale  contingente  e  d'incerto  indirizzo  produzione  normativa,
semmai, sottolinea ancor piu' il cronico disinteresse del Legislatore
verso i numerosi e pressanti inviti rivoltigli da codesta Corte negli
ultimi  decenni,  affinche'  fosse  razionalizzata  la materia penale
militare per il tempo di pace.
   In  seguito  alle  considerazioni che precedono, questo tribunale,
ritiene  rilevante  e  non  manifestamente  infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  47,  comma 2, n. 2 c.p.m.g.,
nella parte in cui limita al solo codice penale militare di guerra la
nozione  di  reato  militare  intesa come ogni violazione della legge
penale  commessa  dall'appartenente  alle  Forze armate con abuso dei
poteri  o violazione dei doveri inerenti allo stato di militare, o in
luogo   militare,   e   prevista  come  delitto  contro  la  pubblica
amministrazione.
   La  norma  censurata  appare  in  contrasto  con  l'art.  3  della
Costituzione   per  difetto  di  ragionevolezza  perche',  risultando
applicabile  anche  in  tempo  di  pace  per  il  combinato  disposto
dell'art.  9  c.p.m.g.,  determina  una  ingiustificata disparita' di
trattamento  nel  giudizio  di  fatti  commessi  in tempo di pace sul
territorio  nazionale  e  fatti  commessi,  sempre  in tempo di pace,
nell'ambito  operazioni  militari  armate all'estero che, come detto,
sono state regolate da legge ordinaria in un contesto ordinamentale e
processuale di pace.
   Detta  disparita'  di trattamento si riverbera anche sul principio
di  ragionevole  durata  del  processo  sancito  dall'art.  111 della
Costituzione  poiche'  questo giudice, anziche' potersi esprimere nel
merito  dopo  avere definito il fatto in modo giuridicamente diverso,
dovrebbe  trasmettere  gli  atti  processuali alla competente Procura
della  Repubblica ordinaria, cosi' facendo regredire il processo alla
fase   iniziale  delle  indagini  preliminari,  nonostante  il  reato
ravvisato  sia  di  minor  gravita' e leda il medesimo bene giuridico
tutelato dal reato di peculato militare.
   Con   sentenza  n. 298  del  1995  codesta  Corte  costituzionale,
chiamata  a  pronunciarsi  in  relazione  all'art.  37  c.p.m.p.,  ha
ribadito  la propria giurisprudenza in materia, affermando che «nello
scegliere  il  tipo  di  illecito,  militare o comune, il legislatore
resta    infatti    libero,   purche'   osservi   il   canone   della
ragionevolezza»; inoltre, proprio affrontando la tematica dei delitti
di  peculato  d'uso  e  di  abuso  d'ufficio  commessi  in situazioni
riguardanti  la «materia militare», si e' osservato che «in forza del
principio  di  stretta legalita' solennemente affermato nell'art. 25,
secondo  comma,  della  Costituzione,  spetta  al  legislatore sia la
creazione  di  nuove  figure  di  reato  sia la sottrazione di alcune
fattispecie  alla  disciplina comune per ricondurle in una disciplina
speciale che tuteli piu' congruamente gli interessi coinvolti».
   In quel caso, infatti, non essendovi allora nell'ordinamento altra
nozione  di  reato  militare  se non quella meramente formale fornita
dall'art.  37  c.p.m.p.,  la  Corte  escluse  che, per rimediare alle
riconosciute  irrazionalita'  normative, si potessero attribuire alla
giurisdizione  penale  militare  i  reati  di  peculato d'uso o abuso
d'ufficio, ove commessi in circostanze attinenti la materia militare,
senza violare il principio di stretta legalita'.
   Oggi,  come si e' detto, e' ravvisabile un termine di comparazione
normativa nella nozione di reato militare introdotta dalla legge n. 6
del  2002,  in cui il legislatore ha individuato il discrimine tra le
due  giurisdizioni  nell'abuso  dei  poteri  o  nella viola.zione dei
doveri  inerenti  allo  stato  di  militare,  ovvero  nella  qualita'
militare  del  luogo  in  cui  e'  stato  commesso  il fatto. Secondo
l'opinione di questo giudice, il mutato assetto normativo consente di
assoggettare al vaglio di ragionevolezza la scelta del legislatore di
non  estendere  la  nuova  nozione  di  reato militare anche ai fatti
commessi in tempo di pace sul territorio nazionale.
   La    richiamata    riserva    di    legge,    tuttavia,   implica
l'inammissibilita'  delle  questioni  di  costituzionalitâ  in  malam
partem,  dovendosi  ritenere  tali  quelle  tendenti  ad  ampliare la
portata  della  norma  incriminatrice,  ad  aggravare  il trattamento
sanzionatorio  o  ad  incidere  negativamente  su cosiddette norme di
favore (scriminanti, scusanti, esimenti, attenuanti ecc.).
   L'accoglimento  della  presente  eccezione,  gia'  sotto l'aspetto
processuale,  non  comporterebbe  alcun  effetto  deteriore  per  gli
imputati;  anzi,  nel  processo  penale  militare e'  sempre prevista
l'udienza  preliminare,  diversamente  da  quanto  avviene  nel  rito
ordinario  per  i reati di peculato d'uso e abuso d'uffcio. Dal punto
di vista ordinamentale, inoltre, il tribunale militare che celebra il
dibattimento e'  composto  anche  da  un ufficiale delle Forze Armate
che,  secondo  quanto evidenziato nella sentenza costituzionale n. 49
del  16  febbraio 1989, e' chiamato ad «aiutare il collegio a fondare
le proprie valutazioni sulla piena conoscenza e la piena comprensione
dei  molteplici  aspetti  del  concreto  atteggiarsi di quel settore;
delle  condizioni  che  lo  caratterizzano  e  dei problemi che vi si
pongono».
   Passando ad esaminare gli aspetti sostanziali, si rileva che nella
nozione di reato militare introdotta dalla legge n. 6 del 2002 non e'
previsto  alcun  inasprimento  delle  sanzioni;  tale circostanza, in
sintonia con i lavori preparatori, conferma l'intento del legislatore
di razionalizzare la giurisdizione militare, altrimenti disarticolata
e  lacunosa. In altre parole, l'estensione della novellata nozione di
reato militare al caso di specie consentirebbe di applicare le stesse
norme che sarebbero applicabili da parte del giudice ordinario.
   Per  tale ragione non sembra giustificabile la scelta di escludere
dall'intervento   di   razionalizzazione   l'ambito  oggettivo  della
giurisdizione militare che, esercitata in tempo di pace, si dispieghi
sui fatti non riguardanti le missioni all'estero.
   L'inserimento della nozione materiale di reato militare nel codice
penale  miitare  di  guerra,  infatti, ha corrisposto all'esigenza di
meglio  disciplinare  le missioni militari all'estero per il tempo di
pace;  alle  quali,  ex  art.  9  c.p.m.g., dovrebbe essere, di norma
applicato il codice di guerra.
   E' pur vero che le deroghe all'applicabilita' del codice di guerra
ristabiliscono  l'irrazionale  riparto  di  giurisdizione anche per i
fatti  commessi  nel  corso  di  missioni all'estero, parificandoli a
quelli occorsi in Italia; tuttavia esse non sono abrogatici dell'art.
2  della  legge  n. 6  del  2002  e  inoltre,  come  si  ricava anche
dall'enunciato della citata sentenza della suprema Corte n. 25811 del
2007,  il piu' gravoso regime del codice di guerra cui il legislatore
ha  inteso  derogare  risiede  essenzialmente  negli  aumenti di pena
previsti dall'art. 47, comma 1, c.p.m.g.
   Sempre  secondo  la  prospettiva  sostanziale,  si  osserva che in
virtu' dell'art. 16 c.p. risultano applicabili agli imputati militari
anche le cosiddette norme di favore previste dal codice penale comune
che,  in  tal  modo,  si  aggiungono a specifiche norme di favore del
codice  penale militare di pace, quali quelle previste dagli artt. 41
,  44,  48 c.p.m.p. Nel caso in esame, per esempio, le valutazioni di
eccellenza   contenute   nei   rapporti  informativi  degli  imputati
potrebbero   comportare,   in   caso   di   condanna,  l'applicazione
dell'attenuante  dell'ottima  condotta  militare, di cui all'art. 48,
ultima parte, c.p.m.p.
   Per   contro,   molte   delle   deroghe   alla  disciplina  comune
originariamente  contenuta nei codici militari sono ormai venute meno
e quelle rimaste rivestono scarso rilievo.
   Agli   imputati,   invero,   e'   stata   contestata  l'aggravante
dell'essere  militari rivestiti di un grado militare, di cui all'art.
47  n. 2  c.p.m.p.;  tuttavia,  considerato che il reato in questione
implica   funzioni   amministrative  o  di  comando  che,  di  fatto,
presuppongono   l'attribuzione   di   un   grado,  appare  quantomeno
discutibile la concreta incidenza della contestata aggravante.
   In  termini  astratti,  infine,  l'eventualita'  di  applicare sia
attenuanti sia aggravanti non previste nel codice penale comune (art.
47  e  48  c.p.m.p.) non sembra attribuire alla presente questione di
costituzionalita' implicazioni certamente sfavorevoli per l'imputato.
                              P. Q. M.
   Visti gli artt. 23 e ss., legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  del  combinato  disposto dagli artt. 37
c.p.m.p. e 47 comma 2 n. 2 c.p.m.g., cosi' come inserito dall'art. 2,
comma  1,  lettera  c)  della legge 31 gennaio 2002 n. 6, 314 comma 2
c.p.  e 323 c.p., in relazione agli artt. 3 e 111 della Costituzione,
nella  parte  in cui l'art. 47, comma 2 c.p.m.g., cosi' come inserito
dall'art.  2,  comma 1 , lettera c) della legge 31 gennaio 2002 n. 6,
prevede che costituiscano reati militari i delitti contro la pubblica
amministrazione, in particolare i delitti di cui agli artt. 314 comma
2 e 323 c.p., se commessi da appartenenti alle Forze armate con abuso
dei  poteri o violazione dei doveri inerenti allo stato di militare o
in  luogo  militare,  solo in caso di applicazione della legge penale
militare di guerra, ancorche' in tempo di pace;
   Dispone la sospensione del presente processo;
   Ordina trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale;
   Manda alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza al
Presidente  del  Consiglio  dei ministri e ai Presidenti della Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica.
     Cosi' deciso in La Spezia, il giorno 25 ottobre 2007.
                   Il Presidente estensore: Bacci