N. 53 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 ottobre - 22 dicembre 2007
Ordinanza del 22 dicembre 2007 emessa dal Tribunale militare di La Spezia nel procedimento penale militare a carico di G.F. ed altro Reati militari - Definizione - Delitti contro la pubblica amministrazione, in particolare delitti di peculato d'uso e abuso d'ufficio (artt. 314, secondo comma, e 323 cod. pen.) commessi da appartenenti alle forze armate con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti allo stato di militare o in luogo militare - Previsione che costituiscano reati militari solo in applicazione della legge penale militare di guerra - Violazione del principio di ragionevolezza e del principio della ragionevole durata del processo. - Codice penale militare di pace, art. 37, in combinato disposto con l'art. 47, comma secondo, n. 2, del codice penale militare di guerra, aggiunto dall'art. 2, comma 1, lett. c), della legge 31 gennaio 2002, n. 6; codice penale, artt. 314, comma secondo, e 323. - Costituzione, artt. 3 e 111.(GU n.12 del 12-3-2008 )
IL TRIBUNALE MILITARE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa contro 1). G. F., nato il 20 settembre 1970 a Corato, Maresciallo E.I.; 2) P. V., nato il 19 luglio 1955 in Sannicandro di Bari, 1° Maresciallo E.I., imputati di delitto militare di concorso in peculato, aggravato (artt. 110 c.p.; 215 e 47 n. 2 c.p.m.p.) accertato in Pisa alla data del 30 settembre 2005, per avere compiuto nella propria qualita' di militari dell'Esercito in servizio alle armi presso l'Ospedale militare «Bonomo» di Livorno - operando in concorso tra loro nell'esercizio delle funzioni amministrative e di comando spettanti al P., ai sensi della pubblicazione S.M.E. «Movimenti, trasporti, circolazioni e stazionamenti» ed. 1994, in forza della propria qualifica di capo-macchina nonche' di capo del servizio isolato automontato che entrambi svolgevano fuori sede poiche' comandati in missione a Pisa - l'appropriazione delle risorse dell'amministrazione militare (in termini di abusivo consumo di carburante ed abusiva usura di parti meccaniche del mezzo) necessarie all'indebito impiego del veicolo del quale avevano il possesso funzionale per ragione dell'incarico ricoperto (autovettura FIAT «Brava» targata E.I.), e che invece utilizzavano a fini di diporto personale utilizzandolo, in particolare, per percorrere la citta' durante le ore notturne ed inoltre per avvicinare prostitute, ospitare nel veicolo taluna di esse ed utilizzarne l'abitacolo come sede di consumazione di rapporti sessuali a pagamento fruiti dal G. Con la circostanza aggravante comune di aver commesso il fatto nella qualita' di militari rivestiti del grado di primo maresciallo (il P.) e di maresciallo capo (il G.) (art. 47, n. 2 c.p.m.p.). Il giudice per l'udienza preliminare presso questo tribunale militare dispose il rinvio a giudizio degli imputati con decreto del 20 dicembre 2006. Il dibattimento, aperto all'udienza dell'11 aprile 2007, proseguito il 12 giugno 2007 e il 12 luglio 2007, si e' concluso all'udienza del 25 ottobre 2007. Il pubblico ministero ha chiesto la condanna di entrambi gli imputati al minimo della pena; mentre le difese ne hanno chiesto l'assoluzione per insussistenza del fatto. Il tribunale, ancor prima di valutare la responsabilita' degli imputati, ritiene che la qualificazione giuridica da attribuire al fatto debba essere individuata nella fattispecie di peculato «d'uso», di cui all'art. 314, comma 2 c.p. Dalle testimonianze assunte nel corso dell'istruzione dibattimentale, e' emerso che, verso le ore 1.00 del 30 settembre 2005, una pattuglia di Carabinieri, impegnata nel servizio di controllo della circolazione stradale sulla via Aurelia, in localita' Darsena Pisana, fu avvicinata da una prostituta straniera; la donna riferi' a uno dei militari di essere stata importunata poco tempo prima dagli occupanti di un'automobile la cui targa recava la sigla «E.I.», in caratteri rossi. In seguito, mentre il militare stava riferendo al capo pattuglia quanto raccontato dalla donna, transito' in quel luogo un'auto «FIAT Brava» appartenente all'Esercito italiano, targata E.I., condotta da un uomo in abiti civili con al fianco una donna, che i militari dell'Arma avevano precedentemente identificato come persona dedita alla prostituzione. I Carabinieri intrapresero subito la ricerca dell'auto ma non riuscirono a rintracciarla, pur avendo subito incrociato ai margini della strada la donna intravista nell'abitacolo; soltanto dopo circa due ore, i militari appresero per radio che un'altra pattuglia del Nucleo radiomobile di Pisa aveva fermato il veicolo ricercato, identificandone il conducente nell'odierno imputato F.G. Dalla documentazione acquisita risulta che entrambi gli imputati sono marescialli dell'Esercito, in servizio presso l'Ospedale militare «Bonomo» di Bari (non di Livorno, come erroneamente indicato nel decreto che dispone il giudizio); costoro erano stati comandati in missione di servizio a Pisa dal 29 settembre 2005 al 1 ottobre 2005, come da foglio di viaggio n°........ del ..............., con autorizzazione all'uso dell'autovettura militare in questione. In relazione a tali fatti, il Pubblico Ministero ha contestato il reato di peculato militare (art. 215 c.p.m.p.) per l'appropriazione del veicolo, ravvisata nella sua utilizzazione per «fini di diporto personale ... in particolare, per percorrere la citta' durante le ore notturne ... avvicinare prostitute, ospitare nel veicolo taluna di esse ed utilizzarne l'abitacolo come sede di consumazione di rapporti sessuali». Il tribunale ritiene, invece, che nella condotta ascritta agli imputati sia ravvisabile, piuttosto, lo scopo di usare momentaneamente il veicolo per poi restituirlo immediatamente nella disponibilita' dell'Amministrazione. In tal senso, pur senza entrare nel merito delle giustificazioni fornite in dibattimento, assumono rilievo il breve intervallo di tempo entro il quale si e' esaurita la vicenda ricostruita e la circostanza che per il giorno seguente era gia' programmato il rientro degli imputati nella sede di Bari, mediante l'uso dell'auto in discussione. In un caso analogo, la suprema Corte di cassazione ha ravvisato il peculato d'uso nell'utilizzazione di un veicolo sottratto all'Amministrazione militare per il tempo necessario a raggiungere una vicina riserva di caccia e subito restituito (C. cass. VI, 10 marzo 1997, Federighi, G. Pen. 1998, 11, 21), precisando che l'uso momentaneo del bene non e' sinonimo d'istantaneita', ma implica la sottrazione della cosa per un periodo temporaneo, certamente breve, ma comunque tale da offendere il bene giuridico tutelato. E' noto che la legge 26 aprile 1990, n. 86, con la quale e' stato configurato il vigente articolo 314 c.p. (peculato), ha introdotto nell'ordinamento la fattispecie del cosiddetto «peculato d'uso», di cui all'art. 314, comma 2 c.p., ormai unanimemente ritenuta fattispecie autonoma di reato (C. cass. 29 aprile 1992, De Bortoli; C. cass. 27 gennaio 1994, Liberatore). La novella normativa, tuttavia, non ha riguardato anche l'art. 215 c.p.m.p. (peculato militare), tanto da richiedere l'intervento di codesta Corte per espungerne la condotta per distrazione (sentenza n. 448 del 4 dicembre 1991), perche' ormai soppressa nella rinnovata fattispecie comune di peculato. Dall'omesso coordinamento normativo da parte del Legislatore e' derivato che il reato di peculato militare non contempla la meno grave ipotesi di condotta consistente nell'uso momentaneo del bene, introdotta, invece, nella disciplina penale comune. Rispetto a quello di peculato militare, il reato comune di peculato «d'uso» risulta meno grave e tutela beni giuridici omogenei; tuttavia, per le precedenti considerazioni questo tribunale militare si trova nella necessita' di dichiarare il proprio difetto di giurisdizione in ordine alla ravvisata ipotesi di reato di cui all'art. 314, comma 2 c.p. e di trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica di Pisa. Questo tribunale militare ritiene che la regressione alla fase iniziale del procedimento, pregiudicando l'attivita' processuale gia' svolta e la possibilita' per gli imputati di ottenere immediatamente la sentenza di primo grado, contrasti con la ragionevole durata del processo e sia conseguenza dell'applicazione di una normativa irragionevole. Codesta Corte ha richiamato innumerevoli volte l'attenzione del legislatore sulla necessita' di rimuovere le irrazionalita' della legge penale militare; con specifico riferimento alle modifiche introdotte dalla richiamata legge n. 86 del 1990 per il peculato comune, la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto non conforme a razionalita' la loro mancata estensione al peculato militare, considerato sostanzialmente identico alla corrispondente fattispecie comune (Sentenze n. 4 del 14 gennaio 1974; n. 473 del 22 ottobre 1990; n. 448 del 13 dicembre 1991). Nella richiamata sentenza n. 473 del 1990, una volta esclusa la possibilita' di manipolare l'art. 215 c.p.m.p. integrandolo con la disposizione di cui all'art. 314 comma 2, c.p., la Corte costituzionale aveva auspicato che l'intervento del Legislatore fosse emanato al piu' presto, «ad evitare che cosi' grave ed ingiustificato divario di trattamento abbia a perdurare fino alla promulgazione del nuovo codice penale militare di pace, tutt'altro che imminente a quanto e' dato sapere». In effetti, trascorsi quasi vent'anni da quella pronuncia, la riforma del codice penale militare di pace non e' stata ancora attuata, nonostante le numerose e pressanti esortazioni formulate nelle sentenze costituzionali e nelle delibere del Consiglio della magistratura militare. Nella corrente XV legislatura, pende presso la Camera dei deputati la proposta di legge n. 2098 per la delega al Governo della riforma del codice penale militare di pace che, per la parte d'interesse, prevede l'armonizzazione dei delitti contro l'amministrazione militare con gli analoghi istituti disciplinati dal codice penale, «con cio' eliminando anomalie evidenti come nel caso del peculato militare». Le palesi irrazionalita' del sistema penale militare, peraltro, non derivano soltanto dal mancato coordinamento con norme innovatrici della legislazione penale comune, ma soprattutto dal disomogeneo riparto di giurisdizione tra l'autorita' giudiziaria ordinaria e quella giudiziaria militare. La causa di tali effetti incongruenti risiede, oggi, nella nozione meramente formale di reato militare contenuta nell'art. 37 c.p.m.p. (Qualunque violazione della legge penale militare e' reato militare). Il Legislatore del 1941, infatti, ricalcando l'art. 1 dei previgenti codici militari per l'Esercito e la Marina del 1870, non delineo' una fisionomia di reato militare, affidando alla discrezionalita' legislativa i limiti oggettivi (art. 37 c.p.m.p.) e soggettivi (art. 263 c.p.m.p.) della giurisdizione militare. In un contesto cui faceva da cornice l'art. 49 c.p.p. del 1930 che stabiliva, in caso di connessione tra reati comuni e militari, la prevalenza del giudice militare su quello ordinario, l'originario testo dell'art. 264 c.p.m.p., successivamente sostituito dall'art. 8 della legge 23 marzo 1956 n. 167, chiudeva il sistema determinando l'attrazione nella giurisdizione militare anche di reati comuni, purche' «militarizzati» dalle circostanze della loro commissione e, per talune fattispecie, addirittura anche se commessi da persone estranee alle Forze Armate. In definitiva, per la demarcazione tra la giurisdizione ordinaria e quella militare la nozione di reato militare non assumeva un rilievo essenziale; cosicche' l'inserimento nel codice penale militare di pace di taluni reati contro l'amministrazione militare, la fede pubblica, la persona e il patrimonio rispondeva semplicemente all'esigenza di differenziare parzialmente talune delle fattispecie di reato gia' previste dal codice penale. Da qui deriva l'odierna frammentarieta' normativa che, includendo nella legge penale miliare soltanto alcuni dei reati che offendono i beni giuridici appena indicati, rende attualmente irrazionale e carente l'ambito giurisdizionale dei tribunali militari. Come e' ben noto, infatti, dall'entrata in vigore della Costituzione il concetto di reato militare costituisce, in tempo di pace, il limite oggettivo della giurisdizione' dei tribunali militari; pertanto ogni fattispecie non inclusa nella legge penale militare esorbita le attribuzioni giurisdizionali del giudice speciale, indipendentemente dalla qualita' militare dei soggetti coinvolti, dall'incidenza sul servizio o sui beni e gli interessi dell'amministrazione militare. Nel caso in esame, infatti, pur trattandosi di reati contro la pubblica amministrazione non appartengono alla giurisdizione militare le fattispecie di "peculato d'uso" (art. 314, comma 2, c.p.) e abuso di ufficio (art. 323 c.p.), mentre vi appartiene il reato di peculato militare (215 c.p.m.p.) perche' il legislatore ritenne di discostarsi dalla corrispondente norma comune (314 c.p.) per le qualita' soggettive richieste in capo al militare agente (funzioni amministrative o di comando) e per un inferiore minimo edittale della pena. Il Legislatore, con l'art. 2, comma 1, lettera c) della legge 31 gennaio 2002, n. 6, ha finalmente dettato una precisa nozione di reato militare, pur ai soli fini del codice penale militare di guerra, inserendola nell'art. 47, commi 2, 3 e 4, c.p.m.g., che ha assunto il seguente tenore: [II] «Costituisce altresi' reato militare ai fini del presente codice, ogni altra violazione della legge penale commessa dall'appartenente alle Forze armate con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti allo stato di militare, o in luogo militare, e prevista come delitto contro: 1) la personalita' dello Stato; 2) la pubblica amministrazione; 3) L'amministrazione della giustizia; 4) l'ordine pubblico; 5) l'incolumita' pubblica; 6) la fede pubblica; 7) la moralita' pubblica e il buon costume; 8) la persona; 9) il patrimonio; [III] Costituisce inoltre reato militare ogni altra violazione della legge penale commessa dall'appartenente alle Forze armate in luogo militare o a causa del servizio militare, in offesa del servizio militare o dell'amministrazione militare o di altro militare o di appartenente alla popolazione civile che si trova nei territori di operazioni all'estero. [IV] Costituisce infine reato militare ogni altra violazione della legge penale prevista quale delitto in materia di controllo delle armi, munizioni ed esplosivi e di produzione, uso e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, commessa dall'appartenente alle Forze armate in luogo militare». Come si evince dai lavori preparatori di tale legge, il legislatore intese evitare ogni incertezza o sovrapposizione dell'autorita' giudiziaria competente, che sarebbe invece derivata dall'applicazione della lacunosa normativa in tema di reato militare, cosi' razionalizzando il riparto di giurisdizione tra il giudice ordinario e quello speciale. La nuova nozione di reato militare fornita dal legislatore, d'altra parte, non e' affatto assimilabile all'abrogata formula dei reati "militarizzati", contenuta nell'originaria formulazione dell'art. 264 c.p.m.p.; il vigente art. 47 c.p.m.g., infatti, definisce direttamente come reati militari, quelle violazioni idonee ad offendere significativi interessi militari, individuate secondo criteri che, nelle varie ipotesi, sono costituiti dall'abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti allo stato di militare, dalle qualita' del soggetto passivo, dalla causa del servizio militare o dal luogo militare, dal nocumento al servizio militare. Detti requisiti segnano lo spartiacque tra le due diverse giurisdizioni, mentre il rinvio a categorie di reati comuni contenuto nell'art. 47 c.p.m.g. costituisce un semplice accorgimento tecnico che, mediante un agile richiamo, evita la riformulazione di tutti i reati compresi nelle categorie richiamate dalla norma medesima. La collocazione sistematica nel codice penale militare di guerra della nozione materiale di reato militare, contenuta nell'art. 47 c.p.m.g., parrebbe non poter in alcun modo influire sul concetto di reato militare per il tempo di pace. Tra il codice militare di pace e quello di guerra, tuttavia, intercorre un rapporto di complementarita', stabilito dall'art. 19 c.p.m.p. («Le disposizioni di questo codice si applicano anche alle materie regolate dalla legge penale militare di guerra e da altre leggi penali militari, in quanto non sia da esse stabilito altrimenti») e dall'art. 47, comma 1, c.p.m.g. («Nei casi non preveduti da questo codice, si applicano le disposizioni del codice penale militare di pace, concernenti i reati militari in particolare»). Per altro verso, l'art. 37 c.p.m.p., definendo il reato militare come «qualunque violazione della legge penale militare», non ha fatto distinzioni tra i due codici; cosicche' risulta decisiva l'espressa limitazione («ai fini del presente codice») dell'ambito di applicabilitâ della nozione di reato militare fornita dall'art. 47 c.p.m.g. D'altra parte, l'art. 9 c.p.m.g., come modificato dall'art. 2, lettera a), legge 31 dicembre 2002 n. 6, prevedendo l'assoggettamento alla legge penale di guerra, «ancorche' in tempo di pace», dei corpi di spedizione all'estero per operazioni militari armate, determina in tali situazioni l'applicabilita' della nozione di reato militare delineata dall'art. 47 c.p.m.g. Il testo del novellato art. 47 c.p.m.g., infatti, proprio in virtu' dell'art. 9 c.p.m.g. ha in realta' esteso anche la giurisdizione penale militare per il tempo di pace; per tali ragioni l'art. 9 del decreto legge n. 421/2001, convertito in legge 31 dicembre 2002, n. 6, prevedeva che al personale impegnato nell'operazione «Enduring Freedom» non si applicassero ne' le disposizioni processuali di guerra ne' quelle proprie dell'ordinamento giudiziario militare di guerra. Ne deriva che in tempo di pace, secondo la normativa richiamata, si registrano due diverse nozioni di reato militare che, seppure applicabili a situazioni diverse, riguardano fattispecie comunque assegnate alla giurisdizione di un tribunale militare previsto dall'ordinamento giudiziario di pace, da esercitarsi secondo le comuni regole del codice di procedura penale comune. In conseguenza della nuova nozione di reato militare introdotta nell'art. 47 c.p.m.g., dunque, se il fatto in esame fosse stato commesso pur sempre in tempo di pace, ma all'estero e da militari appartenenti ad un corpo di spedizione per operazioni militari armate, esso sarebbe rientrato nella giurisdizione militare anche qualora fosse giuridicamente qualificato come peculato d'uso o abuso d'ufficio e non si manifesterebbero le irrazionalita' che, ripetutamente evidenziate da codesta Corte, spingono questo giudice a sollevare questione di legittimita' costituzionale. Non sfugge a questo tribunale che alla legge 31 dicembre 2002, n. 6 sono seguite numerose leggi riguardanti gli interventi militari italiani all'estero (legge n. 27 febbraio 2002, n. 15, legge 12 marzo 2004, n. 68, legge 4 agosto 2006, n. 247, legge 20 ottobre 2006 n. 270 e legge 29 marzo 2007 n. 38) che, pur non abrogando le disposizioni introdotte con legge n. 6 del 2002, hanno limitato o escluso l'applicabilita' del codice penale militare di guerra. In particolare, dalla citata legge n. 247 del 2006 in poi, e' stata prevista l'applicabilita' del solo codice militare di pace per tutte le missioni militari all'estero. In relazione a fatti commessi nel corso della missione in Irak anteriormente al 2006, per i quali era in origine applicabile il codice di guerra, la suprema Corte di cassazione, con sentenza 25811 del 2007, ha ritenuto applicabili le disposizioni sulla successione delle leggi penali del tempo e, quindi, la disciplina piu' favorevole per l'imputato, secondo quanto previsto dall'art. 2, comma 4, c.p. E' noto che, per i casi non preveduti dal codice di guerra, il primo comma dell'art. 47 c.p.m.g. rende applicabili le disposizioni del codice penale militare di pace concernenti i reati militari in particolare, prevedendo l'aumento delle pene detentive temporanee previste dalle fattispecie in esse contenute. Con la citata sentenza, la suprema Corte ha ritenuto, in primo luogo, che l'aumento di pena previsto dall'art. 47, primo comma, c.p.m.g. costituisca una generalizzata integrazione delle figure-base dei reati contemplati dal codice di pace, anziche' una semplice circostanza aggravante che, come tale, rientrerebbe sempre nel giudizio di comparazione con circostanze di segno opposto. In secondo luogo, la Corte, rilevato che la sopravvenuta legge 4 agosto 2006, n. 247 ha fatto subentrare all'applicazione dell'art. 47, primo comma, c.p.m.g quella del codice penale militare di pace, e' giunta alla conclusione che anche ai fatti commessi sotto l'efficacia della citata norma di guerra dovesse applicarsi il piu' favorevole regime sanzionatorio per il tempo di pace. La Corte, quindi, sembra aver escluso che la normativa riguardante la missione all'estero possa essere considerata legge eccezionale o temporanea, poiche' tali qualita', a norma dell'art. 2, comma 5, c.p., renderebbero inapplicabile la disciplina dei precedenti capoversi dell'art. 2 c.p. Tanto meno potrebbe essere ritenuto applicabile il principio dell'ultrattivita' della legge penale di guerra, stabilito nell'art. 23 c.p.m.g., perche' esso presuppone la commissione di reati previsti dalla legge penale militare di guerra «durante lo stato di guerra». Nell'ambito di tali reati, anzi, quest'ultima norma introduce una differenza sostanziale tra quelli commessi durante lo stato di guerra e quelli che, come nel caso di cui all'art. 9 c.p.m.g., siano commessi in tempo di pace. Da cio' e dalla normativa stratificatasi negli ultimi anni in materia di missioni militari armate - compresa la legge 31 gennaio 2002, n. 6 - con cui sono state costantemente disapplicate le norme procedurali e ordinamentali di guerra, si desume come la disciplina delle operazioni militari armate all'estero sia propria della legge ordinaria del tempo di pace, come confermato anche dalla richiamata sentenza 25811/2007. Peraltro, nel fornire la nozione di reato militare di cui all'art. 47 commi 2, 3 e 4 c.p.m.g., il legislatore si e' mantenuto entro i rigorosi limiti che l'art. 103, comma 3, della Costituzione pone alla giurisdizione dei tribunali militari per il tempo di pace, cosi' sottolineando il prevalente intento di disciplinare una situazione per il tempo di pace. Di certo va considerata la circostanza che le missioni militari fuori dal territorio nazionale possano richiedere l'approntamento di strumenti giuridici particolari, rispetto all'attivita' normalmente svolta dalle Forze Armate suu territorio nazionale. Tuttavia, se in vista di tali piu' delicate e particolari esigenze, mediante il combinato disposto degli art. 9 e 47 c.p.m.g., si e' ritenuto di espandere 12 giurisdizione del tribunale militare di Roma, non risulta razionalmente giustificabile che quello stesso tribunale militare e gli altri dislocati sul territorio nazionale, debbano attenersi, per i fatti commessi in Italia, alla mortificante irrazionalita' di una giurisdizione militare i cui limiti oggettivi siano individuabili unicamente in base all'art. 37 c.p.m.p. Il tribunale militare di Roma, del resto, pur competente in via esclusiva per i reati commessi all'estero a norma dell'art. 9 della legge 7 maggio 1981, n. 180, non presenta alcuna peculiarita' che possa giustificare, rispetto agli altri tribunali militari, la devoluzione in suo favore di una piu' ampia quota di quella giurisdizione che la consolidata giurisprudenza costituzionale ha da tempo definito «eccezionale». D'altro canto, le numerose deroghe all'applicabilita' del codice di guerra introdotte negli ultimi anni mostrano come, nella sostanza, le missioni per le quali era in origine applicabile tale codice (e la connessa nozione di reato militare) non presentino caratteristiche tali da giustificare una diversa concezione di reato militare per i fatti commessi sul territorio nazionale. Tale contingente e d'incerto indirizzo produzione normativa, semmai, sottolinea ancor piu' il cronico disinteresse del Legislatore verso i numerosi e pressanti inviti rivoltigli da codesta Corte negli ultimi decenni, affinche' fosse razionalizzata la materia penale militare per il tempo di pace. In seguito alle considerazioni che precedono, questo tribunale, ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 47, comma 2, n. 2 c.p.m.g., nella parte in cui limita al solo codice penale militare di guerra la nozione di reato militare intesa come ogni violazione della legge penale commessa dall'appartenente alle Forze armate con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti allo stato di militare, o in luogo militare, e prevista come delitto contro la pubblica amministrazione. La norma censurata appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione per difetto di ragionevolezza perche', risultando applicabile anche in tempo di pace per il combinato disposto dell'art. 9 c.p.m.g., determina una ingiustificata disparita' di trattamento nel giudizio di fatti commessi in tempo di pace sul territorio nazionale e fatti commessi, sempre in tempo di pace, nell'ambito operazioni militari armate all'estero che, come detto, sono state regolate da legge ordinaria in un contesto ordinamentale e processuale di pace. Detta disparita' di trattamento si riverbera anche sul principio di ragionevole durata del processo sancito dall'art. 111 della Costituzione poiche' questo giudice, anziche' potersi esprimere nel merito dopo avere definito il fatto in modo giuridicamente diverso, dovrebbe trasmettere gli atti processuali alla competente Procura della Repubblica ordinaria, cosi' facendo regredire il processo alla fase iniziale delle indagini preliminari, nonostante il reato ravvisato sia di minor gravita' e leda il medesimo bene giuridico tutelato dal reato di peculato militare. Con sentenza n. 298 del 1995 codesta Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi in relazione all'art. 37 c.p.m.p., ha ribadito la propria giurisprudenza in materia, affermando che «nello scegliere il tipo di illecito, militare o comune, il legislatore resta infatti libero, purche' osservi il canone della ragionevolezza»; inoltre, proprio affrontando la tematica dei delitti di peculato d'uso e di abuso d'ufficio commessi in situazioni riguardanti la «materia militare», si e' osservato che «in forza del principio di stretta legalita' solennemente affermato nell'art. 25, secondo comma, della Costituzione, spetta al legislatore sia la creazione di nuove figure di reato sia la sottrazione di alcune fattispecie alla disciplina comune per ricondurle in una disciplina speciale che tuteli piu' congruamente gli interessi coinvolti». In quel caso, infatti, non essendovi allora nell'ordinamento altra nozione di reato militare se non quella meramente formale fornita dall'art. 37 c.p.m.p., la Corte escluse che, per rimediare alle riconosciute irrazionalita' normative, si potessero attribuire alla giurisdizione penale militare i reati di peculato d'uso o abuso d'ufficio, ove commessi in circostanze attinenti la materia militare, senza violare il principio di stretta legalita'. Oggi, come si e' detto, e' ravvisabile un termine di comparazione normativa nella nozione di reato militare introdotta dalla legge n. 6 del 2002, in cui il legislatore ha individuato il discrimine tra le due giurisdizioni nell'abuso dei poteri o nella viola.zione dei doveri inerenti allo stato di militare, ovvero nella qualita' militare del luogo in cui e' stato commesso il fatto. Secondo l'opinione di questo giudice, il mutato assetto normativo consente di assoggettare al vaglio di ragionevolezza la scelta del legislatore di non estendere la nuova nozione di reato militare anche ai fatti commessi in tempo di pace sul territorio nazionale. La richiamata riserva di legge, tuttavia, implica l'inammissibilita' delle questioni di costituzionalitâ in malam partem, dovendosi ritenere tali quelle tendenti ad ampliare la portata della norma incriminatrice, ad aggravare il trattamento sanzionatorio o ad incidere negativamente su cosiddette norme di favore (scriminanti, scusanti, esimenti, attenuanti ecc.). L'accoglimento della presente eccezione, gia' sotto l'aspetto processuale, non comporterebbe alcun effetto deteriore per gli imputati; anzi, nel processo penale militare e' sempre prevista l'udienza preliminare, diversamente da quanto avviene nel rito ordinario per i reati di peculato d'uso e abuso d'uffcio. Dal punto di vista ordinamentale, inoltre, il tribunale militare che celebra il dibattimento e' composto anche da un ufficiale delle Forze Armate che, secondo quanto evidenziato nella sentenza costituzionale n. 49 del 16 febbraio 1989, e' chiamato ad «aiutare il collegio a fondare le proprie valutazioni sulla piena conoscenza e la piena comprensione dei molteplici aspetti del concreto atteggiarsi di quel settore; delle condizioni che lo caratterizzano e dei problemi che vi si pongono». Passando ad esaminare gli aspetti sostanziali, si rileva che nella nozione di reato militare introdotta dalla legge n. 6 del 2002 non e' previsto alcun inasprimento delle sanzioni; tale circostanza, in sintonia con i lavori preparatori, conferma l'intento del legislatore di razionalizzare la giurisdizione militare, altrimenti disarticolata e lacunosa. In altre parole, l'estensione della novellata nozione di reato militare al caso di specie consentirebbe di applicare le stesse norme che sarebbero applicabili da parte del giudice ordinario. Per tale ragione non sembra giustificabile la scelta di escludere dall'intervento di razionalizzazione l'ambito oggettivo della giurisdizione militare che, esercitata in tempo di pace, si dispieghi sui fatti non riguardanti le missioni all'estero. L'inserimento della nozione materiale di reato militare nel codice penale miitare di guerra, infatti, ha corrisposto all'esigenza di meglio disciplinare le missioni militari all'estero per il tempo di pace; alle quali, ex art. 9 c.p.m.g., dovrebbe essere, di norma applicato il codice di guerra. E' pur vero che le deroghe all'applicabilita' del codice di guerra ristabiliscono l'irrazionale riparto di giurisdizione anche per i fatti commessi nel corso di missioni all'estero, parificandoli a quelli occorsi in Italia; tuttavia esse non sono abrogatici dell'art. 2 della legge n. 6 del 2002 e inoltre, come si ricava anche dall'enunciato della citata sentenza della suprema Corte n. 25811 del 2007, il piu' gravoso regime del codice di guerra cui il legislatore ha inteso derogare risiede essenzialmente negli aumenti di pena previsti dall'art. 47, comma 1, c.p.m.g. Sempre secondo la prospettiva sostanziale, si osserva che in virtu' dell'art. 16 c.p. risultano applicabili agli imputati militari anche le cosiddette norme di favore previste dal codice penale comune che, in tal modo, si aggiungono a specifiche norme di favore del codice penale militare di pace, quali quelle previste dagli artt. 41 , 44, 48 c.p.m.p. Nel caso in esame, per esempio, le valutazioni di eccellenza contenute nei rapporti informativi degli imputati potrebbero comportare, in caso di condanna, l'applicazione dell'attenuante dell'ottima condotta militare, di cui all'art. 48, ultima parte, c.p.m.p. Per contro, molte delle deroghe alla disciplina comune originariamente contenuta nei codici militari sono ormai venute meno e quelle rimaste rivestono scarso rilievo. Agli imputati, invero, e' stata contestata l'aggravante dell'essere militari rivestiti di un grado militare, di cui all'art. 47 n. 2 c.p.m.p.; tuttavia, considerato che il reato in questione implica funzioni amministrative o di comando che, di fatto, presuppongono l'attribuzione di un grado, appare quantomeno discutibile la concreta incidenza della contestata aggravante. In termini astratti, infine, l'eventualita' di applicare sia attenuanti sia aggravanti non previste nel codice penale comune (art. 47 e 48 c.p.m.p.) non sembra attribuire alla presente questione di costituzionalita' implicazioni certamente sfavorevoli per l'imputato.
P. Q. M. Visti gli artt. 23 e ss., legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto dagli artt. 37 c.p.m.p. e 47 comma 2 n. 2 c.p.m.g., cosi' come inserito dall'art. 2, comma 1, lettera c) della legge 31 gennaio 2002 n. 6, 314 comma 2 c.p. e 323 c.p., in relazione agli artt. 3 e 111 della Costituzione, nella parte in cui l'art. 47, comma 2 c.p.m.g., cosi' come inserito dall'art. 2, comma 1 , lettera c) della legge 31 gennaio 2002 n. 6, prevede che costituiscano reati militari i delitti contro la pubblica amministrazione, in particolare i delitti di cui agli artt. 314 comma 2 e 323 c.p., se commessi da appartenenti alle Forze armate con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti allo stato di militare o in luogo militare, solo in caso di applicazione della legge penale militare di guerra, ancorche' in tempo di pace; Dispone la sospensione del presente processo; Ordina trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale; Manda alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in La Spezia, il giorno 25 ottobre 2007. Il Presidente estensore: Bacci