N. 57 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 novembre 2007

  Ordinanza  del  27  novembre 2007 emessa dal Tribunale di Pordenone
nel  procedimento civile promosso da Baratto Spedizioni S.r.l. contro
Apigi International S.a.s.

  Procedimento  civile  -  Intervento volontario del terzo - Prevista
  facolta'  del  terzo  di intervenire nel processo sino a quando non
  vengano   precisate   le  conclusioni  -  Intervento  principale  o
  litisconsortile spiegato successivamente all'udienza fissata per la
  prima  comparizione  delle  parti e la trattazione, in pendenza del
  termine  concesso  dal giudice ai sensi dell'art. 183, comma sesto,
  n. 2,   cod.  proc.  civ.  -  Omessa  previsione  che  l'intervento
  principale o litisconsortile di cui all'art. 105, primo comma, cod.
  proc. civ., possa avvenire fino all'udienza di trattazione prevista
  dall'art.  183  cod.  proc.  civ.,  anziche'  sino a quando vengano
  precisate  le  conclusioni - Denunciata violazione del principio di
  ragionevolezza  sotto  il  profilo  della ritenuta incoerenza della
  disciplina   temporale  dell'intervento  del  terzo  rispetto  alla
  struttura del procedimento civile organizzato su rigide preclusioni
  e  su  un  numero  tendenzialmente  limitato  di udienze - Asserita
  lesione  del  principio  di ragionevole durata del processo, inteso
  anche  come garanzia del diritto alla maggiore speditezza possibile
  del giudizio.
  - Codice di procedura civile, art. 268, primo comma.
  - Costituzione, artt. 3 e 111, comma secondo.
  In subordine: Procedimento civile - Intervento volontario del terzo
  -  Prevista  facolta'  del terzo di intervenire nel processo sino a
  quando non vengano precisate le conclusioni - Intervento principale
  o  litisconsortile spiegato successivamente all'udienza fissata per
  la prima comparizione delle parti e la trattazione, in pendenza del
  termine  concesso  dal giudice ai sensi dell'art. 183, comma sesto,
  n. 2,  cod. proc. civ. - Omessa attribuzione al giudice, in caso di
  intervento  principale  o  litisconsortile,  del  potere-dovere  di
  fissare,  alla  prima  udienza successiva all'intervento del terzo,
  una  nuova  udienza  di  trattazione nel corso della quale le parti
  possano esercitare tutti i poteri previsti dall'art. 183 cod. proc.
  civ.  -  Incidenza sul diritto di difesa delle parti originarie del
  processo  - Lesione del diritto costituzionale al contraddittorio e
  del principio di parita' delle parti processuali.
  - Codice di procedura civile, art. 268, primo comma.
  - Costituzione, artt. 24 e 111, comma secondo.
(GU n.12 del 12-3-2008 )
                            IL TRIBUNALE
   A scioglimento della riserva di data 28 settembre 2007;
   Letti  gli  atti  ed esaminata la documentazione prodotta, osserva
quanto segue.
   Nel procedimento in oggetto Baratto Spedizioni S.r.l. conveniva in
giudizio  Apigi  International S.a.s. esponendo di avere concluso con
la convenuta nel giugno 2005 un contratto di trasporto merci, pagando
il  corrispettivo  di  euro 1.535,90. La merce era stata regolarmente
consegnata  al  vettore,  ma poco dopo la consegna l'automezzo su cui
era  stato  caricato  il  container  subiva un sinistro stradale e si
rovesciava con quanto trasportato.
   A  seguito  di cio' Baratto Spedizioni subiva un danno consistito,
oltre  che  nel  danneggiamento del container noleggiato di cui aveva
dovuto  risarcire  la  proprietaria,  nelle spese per recupero merce,
annullamento bolle doganali e per custodia merce rimasta in giacenza.
Chiedeva   quindi  l'attrice  che  Apigi  Intemational  S.a.s.  fosse
condannata   al   risarcimento  dei  danni  previa  dichiarazione  di
risoluzione del contratto di trasporto e conseguente restituzione del
prezzo.
   Si   costituiva   in   giudizio  la  convenuta  eccependo  in  via
preliminare  l'incompetenza  territoriale  del giudice adito e la sua
carenza   di   legittimazione   passiva.   A  tale  ultimo  proposito
evidenziava  che il contratto concluso con Baratto Spedizioni non era
affatto  un  contratto  di  trasporto ma di spedizione e che pertanto
essa  non poteva avere alcuna responsabilita' per l'inadempimento del
trasporto, eseguito da altra ditta la Trusendi S.r.l.
   Per  parte  sua  Apigi  aveva diligentemente adempiuto ad ogni suo
obbligo,  di  curare  la  spedizione  e  l'assolvimento  degli  oneri
doganali,  e  di  stipulare,  per  conto  di  Baratto  Spedizioni, il
contratto  di trasporto. Di quanto accaduto alla merce e al container
doveva  quindi  rispondere  esclusivamente  la  ditta trasportatrice.
Chiedeva  quindi che fosse dichiarata l'incompetenza territoriale del
giudice  adito  e  rigettata  la  domanda  attorea.  In  subordine la
riduzione del quantum del risarcimento richiesto.
   In  data  20  aprile  2007  si  svolgeva  l'udienza di trattazione
prevista dall'art. 183, c.p.c.
   In  esito  ad essa il giudice su richiesta delle parti concedeva i
termini di cui all'art. 183 sesto comma e rinviava all'udienza del 28
settembre  2007.  Le  parti  depositavano  quindi la memoria prevista
dall'art.  183,  sesto  comma,  n. 1,  ove  ribadivano le domande, le
eccezioni e le conclusioni gia' proposte. In pendenza del termine per
il  deposito  delle memorie ai sensi dell'art. 183, sesto comma, n. 2
c.p.c. (termine scadente il 20 giugno 2006) precisamente con comparsa
di  intervento volontario ai sensi dell'art. 105 c.p.c. depositata in
cancelleria  il  15  giugno  2007,  si costituivano in giudizio Darko
Seth,  Mensah Emmanuel Ofosu e Akrofi Mensah Cristian. Esponevano gli
intervenuti,  cittadini ghanesi, che nel giugno 2005 avevano concluso
con  Baratto  Spedizioni  un  contratto  per il trasporto in Ghana di
merci   varie  (automobili  usate,  elettrodomestici,  materiale  per
l'edilizia e quant'altro) che tra il 9 e il 12 giugno avevano portato
presso  la  sede di Baratto Spedizioni e caricato su un container. Il
12  erano  stati  apposti  i  sigilli  al container e, secondo quanto
appreso  dopo,  questo era stato caricato su un automezzo, diretto al
porto di Marghera, che poco dopo la partenza aveva subito un sinistro
e  si  era rovesciato. La maggior parte delle merci andava distrutta,
in  specie  il materiale edilizio, mentre la parte restante risultava
gravemente   danneggiata.   A   seguito   di   quanto   accaduto  gli
intervenienti, rivoltisi a Baratto Spedizioni per il risarcimento del
danno,  venivano a sapere che questa si era rivolta ad altra ditta la
Apigi  International  S.a.s.  con  cui aveva concluso il contratto di
trasporto  e che il trasporto era stato eseguito dalla ditta Trusendi
Transport  s.r.l. di La Spezia, dichiarata fallita pochi mesi dopo il
sinistro.  In  ogni caso era evidente il loro diritto al risarcimento
del  danno  subito  ,  che quantificavano in euro 26.000,00 chiedendo
quindi  la  condanna  di Baratto Spedizioni e/o di Apigi Intemational
S.r.l.,  disgiuntamente  secondo  la  responsabilita'  di ognuna o in
solido tra loro a pagare tale somma.
   In  data  19  e  20 giugno 2007 rispettivamente la convenuta Apigi
International  e  l'attrice  Baratto  Spedizioni  S.r.l. depositavano
memorie  ai  sensi dell'art. 183, sesto comma, n. 2 in cui non veniva
fatto  cenno  alla  costituzione  in  giudizio  degli intervenuti. In
effetti  questa  veniva  comunicata  alle  parti  gia' in causa dalla
cancelleria   solo   in  data  19  giungo  2007  (vedi  biglietto  di
comunicazione di cancelleria).
   Il  20  giugno depositavano memoria istruttoria ai sensi dell'art.
183,  sesto comma, n. 2 anche gli intervenuti. Nel successivo termine
di  cui  all'art.  183,  sesto comma, n. 3 depositavano memorie Apigi
Iternational  S.a.s.  e  Baratto  Spedizioni  S.r.l.  La prima non si
opponeva  all'intervento  dei terzi limitandosi a chiedere il rigetto
delle domande formulate da essi nei confronti di Apigi International;
la  seconda  invece  chiedeva  che fosse dichiarato inammissibile per
tardivita'  l'intervento  dei  terzi  ai sensi dell'art. 268, secondo
comma  c.p.c,  essendo  evidente  che il terzo intervenuto non poteva
proporre  domande nuove che erano ormai precluse alle altre parti con
la  conseguenza che chi interviene in via principale o con intervento
litisconsortile  oltre  l'udienza  di  trattazione  subisce le stesse
preclusioni  delle  parti  originarie e dunque non puo' piu' proporre
domande   nuove;   un   tanto   anche  perche'  con  la  celebrazione
dell'udienza   di   trattazione   era   intervenuta   una   oggettiva
cristallizzazione  del  thema  decidendum  non  piu'  modificabile  e
ampliabile da nessuna delle parti del processo. Per i medesimi motivi
avrebbero   dovuto   altresi'   ritenersi   inammissibii  le  istanze
istruttorie formulate dai terzi intervenuti , avendo ad oggetto fatti
e  circostanze  decisamente  nuove  rispetto al processo tra le parti
originarie. In ogni caso rilevava che riconoscere la possibilita' per
il  terzo  interveniente  di  formulare  domande nuove oltre la prima
udienza  di  trattazione e oltre i termini di cui all'art. 183, sesto
comma,  n. 1, avrebbe costituito una palese violazione del diritto al
contraddittorio.  In  via  subordinata  per  la  denegata  ipotesi di
ritenuta ammissibilita' dell'intervento chiedeva di essere rimessa in
termini  ex  art. 184-bis c.p.c. al fine di consentire all'attrice la
chiamata  in  causa  di Apigi Intemational S.a.s. formulando apposita
domanda  di  manleva  nei  confronti  di  questa,  di formulare mezzi
istruttori  a  prova  diretta  e  contraria anche nei confronti degli
intervenuti  e  per  precisare  o  modificare le domande ed eccezioni
proposte.
   Il  28 settembre 2007 veniva tenuta l'udienza inizialmente fissata
per  l'ammissione delle prove. Baratto Spedizioni insisteva affinche'
il  giudice  trattenesse  la  causa in decisione per pronunciarsi tra
l'altro  sulla  questione  dell'ammissibilita' dell'intervento, ed in
subordine  insistendo  per  la  rimessione in termini ex art. 184-bis
c.p.c.;  Apigi  International  S.a.s. per la prima volta , dopo avere
insistito   sull'eccezione  di  incompetenza  territoriale,  rilevava
l'inammissibilita'  dell'intervento  in  quanto  tardivo chiedendo in
subordine  la  rimessione  in  termini; dal canto suo la difesa degli
intervenuti ribadiva l'ammissibilita' dell'intervento, possibile fino
all'udienza   di  precisazione  delle  conclusioni  come  ammesso  da
consolidata  giurisprudenza  di  legittimita'  e si opponeva altresi'
alla  rimessione in termini chiesta dalla altre parti, per non essere
l'istituto applicabile al caso di specie.
   Il giudice si riservava la decisione.
   A) Cio' premesso in punto svolgimento del processo il Tribunale di
Pordenone  intende sollevare questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  268,  primo  comma  c.p.c.  nella parte in cui ammette che
l'intervento  principale  o  litisconsortile  previsto dall'art. 105,
primo  comma  c.p.c. nella  parte possa  avere  luogo  fino a che non
vengano   precisate   le   conclusioni  e  non  fino  all'udienza  di
trattazione   prevista  dall'art.  183  c.p.c.,  per  violazione  del
principio  di  ragionevole  durata  del processo previsto dalla nuova
formulazione   dell'art.   111,  secondo  comma  ultima  parte  della
Costituzione,   nonche'  del  principio  di  ragionevolezza  previsto
dall'art. 3 Cost.
   La  questione  e' rilevante nel giudizio che ci occupa in quanto i
terzi intervenienti hanno spiegato il loro intervento successivamente
allo  svolgimento  della  prima udienza di trattazione nelle more del
termine   previsto   dall'art.  183,  sesto  comma,  n. 2  c.p.c.  Le
controparti, avverso entrambe le quali gli intervenuti hanno proposto
domande  (con  cio'  dispiegando intervento principale) hanno chiesto
che   venga   dichiarata   l'inammissibilita'   dell'intervento   per
tardivita'.  Il  giudice  istruttore deve decidere sull'ammissibiita'
dell'intervento  -  che  appare  rispettoso delle condizioni previste
dall'art.  105  c.p.c.  (con  esso  si  fa valere un diritto relativo
all'oggetto  e  dipendente  dal titolo gia' dedotto nel processo gia'
pendente)  -  e  delle  domande  con  esso  proposte anche al fine di
valutare,  ritenuto  che  l'eccezione  di  incompetenza  territoriale
appare  allo  stato  non  fondata,  l'ammissibilita' o meno dei mezzi
istruttori   richiesti   dagli   intervenuti  con  memoria  apposita,
depositata  l'ultimo  giorno utile. E' infine rilevante anche al fine
di  valutare  la  subordinata  richiesta  di  rimessione  in  termini
avanzata   dalle   parti   originarie   per   il   caso  di  ritenuta
ammissibilita' dell'intervento.
   La questione e' altresi' non manifestamente infondata.
   Invero  e'  consolidato  indirizzo  della  suprema  Corte (vedi in
particolare  Cass.  14  maggio  1999, n. 4771; Cass. 3 novembre 2004,
n. 21060;  Cass.  28  luglio  2005, n. 15787; Cass: 14 febbraio 2006,
n. 3186;  Cass.  5  maggio  2006,  n. 10371;  Cass.  31 gennaio 2007,
n. 2093)  ammettere  l'intervento  fino  all'udienza  di precisazione
delle conclusioni in quanto la formulazione della domanda costituisce
l'essenza   stessa   dell'intervento  principale  e  litisconsortile,
sicche'  la  preclusione  sancita dall'art. 268, secondo comma c.p.c.
non  si  estende all'attivita' assertiva del volontario interveniente
nei  cui  confronti  non  e'  operante il divieto di proporre domande
nuove  ed autonome fino all'udienza di precisazione delle conclusioni
configurandosi  solo  l'obbligo,  per  l'interventore stesso ed avuto
riguardo al momento della sua costituzione, di accettare lo stato del
processo  in relazione alle preclusioni istruttorie gia' verificatesi
per le parti originarie.
   A  prescindere  da  ogni valutazione dell'iter argomentativo della
Corte  occorre  senz'altro  dare atto che una diversa interpretazione
dell'art.  268  c.p.c.,  suggerita  da  copiosa e autorevole dottrina
volta  a  limitare a fasi processuali iniziali gli interventi con cui
si  propongono  domande  nuove  e  ad  ammettere  fino all'udienza di
precisazione  delle conclusioni il solo intervento adesivo dipendente
con  cui  non  si fanno valere nuove domande ma solo si sostengono le
ragioni  dell'una  o dell'altra parte, si scontra con la formulazione
chiarissima   del  primo  comma  dell'art.  268  c.p.c.,  ove,  senza
distinzioni  di sorta, e' ammesso l'intervento fino alla precisazione
delle  conclusioni.  Lo  stesso  secondo  comma  dell'art. 268 avalla
un'interpretazione  non  riduttiva  del primo comma. La norma dispone
che,  salva  ovviamente  l'ipotesi  di  litisconsorzio necessario, il
terzo  interveniente sia comunque - si ritiene proprio al fine di non
ritardare  eccessivamente  il  processo  introdotto  da altre parti -
sottoposto   alle   preclusioni   che  hanno  gia'  subito  le  parti
originarie.  Con  cio'  la legge sembra apparentemente risolvere gran
parte  dei  problemi  inerenti  alla  tutela  del contraddittorio nei
confronti  delle  parti  originarie  e  di  conseguenza inerenti alla
durata (eccessiva) del processo.
   Si  tratta  pero' di mera apparenza: la suprema Corte nelle citate
sentenze infatti non ha mancato di chiarire che le preclusioni cui si
riferisce  l'art.  268,  secondo  comma  sono  solo ed esclusivamente
quelle  istruttorie gia' verificatesi tra le parti originarie, e cio'
per   il   chiaro  motivo  che  non  e'  possibile  estendere  quelle
preclusioni  anche  alla  proposizione  della  domanda,  che  appunto
costituendo l'essenza stessa dell'intervento non puo' essere in alcun
modo  preclusa.  Le  considerazioni  della Cassazione non possono che
essere  condivise.  Invero o si ritorna a ritenere che il primo comma
dell'art.  268  c.p.c.  riguarda solo l'intervento adesivo dipendente
rispetto  al  quale non e' necessario prefigurare preclusioni diverse
da  quelle  istruttorie (ma la correttezza di tale interpretazione e'
gia'   stata   esclusa)  oppure  se  si  ammette  l'intervento  senza
distinzioni  di  sorta  si  deve  ammettere  anche la proposizione di
domande nuove, fino alla precisazione delle conclusioni.
   L'ammissione  dell'intervento  principale  e  litisconsortile fino
alla  fine  del  processo  non  e'  pero' priva di conseguenze per il
processo  civile  in  generale  e  per  il  processo che ci occupa in
particolare.  Essa  comporta  senz'altro  un notevole ampliamento del
thema  decidendum  rispetto a quello originariamente introdotto dalle
parti  e  nel  caso  che  ci occupa anche un notevole ampliamento dei
fatti  su cui occorre decidere e dell'istruttoria da svolgere su quei
fatti.  Infatti  l'intervento  e' stato espletato cinque giorni prima
della  scadenza del termine previsto dall'art. 183, sesto comma, n. 2
c.p.c.  quando  ancora le parti originarie potevano indicare mezzi di
prova  ed  effettuare  produzioni  documentali;  e  la  difesa  degli
intervenuti  non  ha mancato di depositare, l'ultimo giorno utile per
farlo,  una  memoria  istruttoria in cui chiede l'ammissione di prova
per  interpello e testi, l'ammissione di consulenza tecnica d'ufficio
e  l'esibizione  di  documentazione ai sensi dell'art. 210 c.p.c . In
altre  parole  nel  caso che ci occupa non pare che gli intervenienti
possano  subire  un  qualche pregiudizio dall'essersi costituiti dopo
l'udienza  di  trattazione  , essendo, a norma dell'art. 268, secondo
comma, in termini anche per provare, e non solo per allegare, i fatti
su cui si basano le loro domande.
   Gia'   sotto   questo   profilo  quindi  si  delinea  un  notevole
aggravamento   del   processo   (inteso   come  volume  di  attivita'
processuale),  peraltro  inevitabile  in  un  sistema processuale che
prevede  l'intervento  volontario principale e litisconsortile. Ma un
aggravamento  ancora  ulteriore  sia  dell'attivita'  che  dei  tempi
processuali  deve  essere messo in conto per la innegabile necessita'
di  tutelare  il  diritto  al contraddittorio delle parti originarie,
diritto  costituzionalmente  garantito  dall'art. 24 e dall'art. 111,
primo comma Cost., parte prima e al quale deve essere riconosciuto un
rango  superiore  rispetto  al  principio  di  ragionevole durata del
processo,  in  quanto  inerisce  direttamente  a diritti fondamentali
della  persona,  cosi' come la parita' delle parti e la terzieta' del
giudice.
   Si puo' discutere (e lo faremo infra) sulle modalita' con cui tale
diritto  deve essere tutelato (in proposito le parti originarie hanno
richiesto la rimessione in termini ex art. 184-bis c.p.c., ma si puo'
anche  ipotizzare una sorta di retrocessione del processo ad una fase
anteriore  con  obbligo  per  il  giudice di fissare nuova udienza di
trattazione  e di concedere, se richiesto, altri termini ex art. 183,
sesto  comma  c.p.c.)  ma  non  si puo' dubitare che il diritto delle
parti  originarie  di  reagire  alla  domanda introdotta nel giudizio
allegando  le  proprie  difese,  eccezioni, domande riconvenzionali e
chiedendo  la  chiamata  di  terzi, deve essere garantito, e che tale
tutela  non  puo'  essere  data se non dilatando notevolmente i tempi
processuali che il legislatore, a partire dal 1990, fino alla recente
riforma  processualcivilistica  del  2005,  ha  innegabilmente voluto
scanditi da rigide preclusioni e un numero per cosi' dire «chiuso» di
udienze,   proprio   al   dichiarato  e  notissimo  fine  di  attuare
concretamente  il  principio  della  ragionevole durata del processo.
L'inserimento  dell'intervento nelle rigide scansioni del processo ne
altera  indiscutibilmente  la  successione  costringendo  il giudice,
qualora le parti orginarie lo richiedano (come nel caso di specie ove
parte  attrice  ha  chiesto di essere rimessa in termini per proporre
domanda di manleva nei confronti della convenuta) a fissare ulteriori
udienze, non previste nell'impianto del processo civile o a concedere
termini  ugualmente  non  previsti  per  le attivita' difensive delle
parti originarie.
   E  allora  non e' chi non veda come l'art. 268, primo comma c.p.c.
si  giustificava  nell'ambito  di  un  processo  privo  di scadenze e
preclusioni  per  le parti quale era quello ante riforma del 1990, ma
costituisce  una  grave  disarmonia  nel processo odierno, ove quelle
scadenze  e  preclusioni si sono fatte via via sempre piu' stringenti
per  le  parti,  e ove tuttavia l'interveniente ha la possibilita' di
introdurre  un  processo nuovo (rectius piu' ampio) rispetto a quello
voluto  dalle  parti  inizialmente costituite, cosi' costringendole a
subire  i  conseguenti  dilatati  tempi  processuali senza che queste
possano  fare  alcunche'  per  evitarlo.  E  in  tale  prospettiva si
evidenzia  da un lato l'irragionevolezza di una disposizione di legge
che  snatura  totalmente  il nuovo processo civile consentendo, senza
valida   giustificazione   come   si   vedra',  inutili  e  rilevanti
complicazioni;  dall'altro  la  violazione  del  diritto  delle parti
originarie  e  in  special  modo dell'attore a vedere definita la sua
domanda  entro  tempi  ragionevoli e comunque non piu' ampi di quelli
che richiedono le prospettazioni delle parti originarie (oltre che le
note   difficolta'   dell'amministrazione  della  giustizia).  A  tal
proposito  ci  si  riporta  a  quanto  da  tempo sostiene chiarissima
dottrina  e  cioe' che la tutela giurisdizionale e' effettiva solo se
tempestiva   e   quindi   solo   se  la  distensione  diacronica  del
procedimento  giurisdizionale viene contenuta nei limiti strettamente
necessari  ad assicurare una decisione conforme a giustizia, in altre
parole  il  primo  comma  dell'art.  24 Cost. e ora l'art. 111 Cost.,
secondo  comma, ultima parte, riconoscono a ciascuno anche il diritto
alla  maggior  speditezza possibile del giudizio avente ad oggetto un
proprio  diritto.  Peraltro  facendo  del  legislatore  ordinario  il
destinatario  diretto  del dovere di assicurare la ragionevole durata
del  processo  l'art.  111,  secondo comma Cost. concepisce quella in
discussione  oltre  che  come  una garanzia soggettiva anche come una
garanzia  oggettiva destinata ad incidere sull'organizzazione tecnica
del   processo  (oltre  che  sul  funzionamento  dell'amministrazione
giudiziaria),  ed  e'  innegabile  che la garanzia in parola comporta
anzitutto il dovere del legislatore ordinario di dare al processo una
struttura  tale  da  assicurargli la maggiore rapidita' possibile. Si
tratta  di  concetti  non  estranei  alla  giurisprudenza della Corte
costituzionale  che  nella sentenza 22 ottobre 1999 n. 388 affermava:
«l'effettivita'  della  tutela  dei propri diritti cui e' preordinata
l'azione, ed in definitiva la stessa efficacia della giurisdizione si
combina  con  la  ragionevole  durata  del  processo  ... (omissis) i
diritti  umani...  trovano  espressione  e  non meno intensa garanzia
nella Costituzione» e che cio' vale «per il diritto di agire a tutela
dei  propri  diritti  e  interessi  garantito  dall'art. 24 Cost. che
implica  una  ragionevole  durata  del  processo perche' la decisione
giurisdizionale  alla  quale  e'  preordinata  l'azione  ... assicuri
l'efficace  protezione  di  questo  e  in definitiva la realizzazione
della giustizia ...».
   Al  contrario  i diritti degli intervenienti, e in particolar modo
il diritto ex art. 24, primo comma Cost. non subirebbe alcuna lesione
dallo  spostamento del termine preclusivo per l'intervento principale
e  litisconsortile  ad  un  momento  anteriore a quello oggi previsto
dall'art.  268  c.p.c  e  segnatamente ad un momento in cui ancora il
thema decidendum non e' cristallizzato e ed e' ancora prevista per le
parti  la possibilita' di proporre domande, eccezioni etc., in quanto
egli  potra' sempre far valere le sue ragioni in un separato giudizio
(salvo  chiederne  la  riunione  col  primo  ai sensi dell'art. 274 o
dell'art.  40  c.p.c.,  ma  in  tal  modo  lasciandosi  al giudice la
discrezionalita'  di  decidere  sull'opportunita'  di  essa  ai sensi
dell'art.  274  c.p.c.  o  con  i  limiti di cui all'art. 40, secondo
comma)  oppure  con  l'intervento  in  appello  ex  art.  344  o  con
l'opposizione  di  terzo.  Si  osserva  a  tal proposito che e' stato
giustamente detto che il principio di ragionevole durata del processo
garantisce   solo  l'economia  interna  del  processo  (risparmio  di
attivita'  e di tempo) e non quella esterna, prevenendo il sorgere di
altri  processi.  Al  principio  di economia processuale esterna puo'
assegnarsi  solo  la  funzione  di  criterio di razionalizzazione dei
valori  costituzionali  inerenti  alla  giurisdizione, vale a dire di
fattore  giustificativo  di  limitazioni  (ragionevoli) eventualmente
poste   dal   legislatore   nei  confronti  di  determinate  garanzie
costituzionali  del processo (quindi norma parametro nel sindacato di
ragionevolezza e non valore costituzionale in senso proprio).
   In tal modo delineata, la questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  268, primo comma c.p.c si presenta ossequiosa dei principi
che  in  materia  processuale  civile  ha  gia'  delineato  la  Corte
costituzionale.
   A  tal  proposito  si  evidenzia  che,  chiamata a giudicare sulla
legittimita'  costituzionale  dell'art.  268, secondo comma c.p.c. la
Corte,  con  ordinanza  n. 215 del 2005 ha dichiarato che «il sistema
delle  preclusioni  nel  giudizio  civile  (che costituisce cardine e
tratto  fondante  della  riforma  del  1990) si configura come regola
funzionale  alla  concreta  attuazione  del  principio costituzionale
della  ragionevole  durata  del  processo  che  ha trovato espressa e
puntuale affermazione nella sopravvenuta nuova formulazione dell'art.
111  Cost.  2.  Ed  ancora  nello  stesso provvedimento "viceversa il
simultaneus  processus  non  e'  oggetto  di  garanzia costituzionale
trattandosi   di  un  mero  espediente  finalizzato  (ove  possibile)
all'economia dei giudizi e alla prevenzione del pericolo di giudicati
coniraddittori  (in  tal  senso  ordinanze n. 124 /2005, n. 90/2002 e
n. 398/2000) sicche' la sua inattuabilita' non lede ne' il diritto di
azione  ne'  quello  di difesa se la pretesa sostanziale del soggetto
interessato   puo'   essere   fatta   valere  nella  competente  sede
giudiziaria con pienezza di contraddittorio e di difesa ..." e ancora
nella stessa ordinanza "tali considerazioni consentono di superare le
censure  riferite alla dedotta violazione dell'art. 24 Cost. giacche'
il  terzo che ritiene che da un giudizio inter alios possano derivare
pregiudizi  alla  propria  posizione  sostanziale  ha, in alternativa
all'intervento,  la  piena  facolta'  riproporre un autonomo giudizio
oltre  che  di  avversi  dei  rimedi di cui agli artt. 274, 344 e 404
c.p.c.   ..   (omissis);   ....  in  questo  contesto  gli  eventuali
condizionamenti di ordine temporale alla proposizione dell'intervento
(cfr. art. 419 c.p.c.) ovvero le preclusioni all'apporto probatorio a
sostegno  della  relativa  domanda  si  rivelano strumenti certamente
razionali utilizzabili dal legislatore nella sua discrezionalita' per
conseguire l'obiettivo di un ordinato svolgimento del giudizio...."».
   Per   completezza   si   osserva   che  la  ritenuta  legittimita'
costituzionale  del  secondo  comma  dell'art.  268 c.p.c. cosi' come
interpretato  dalla  Corte  di  cassazione  (vedi supra) non puo' far
superare le forti e fondate perpiessita' che una parte della dottrina
e  della giurisprudenza di merito denunciano in merito alla discrasia
di  un  sistema che ammette la proposizione di domande nuove da parte
di  terzi  fmo  a  poco  prima della conclusione del processo, ma non
consente agli stessi terzi di provare i fatti che allegano a sostegno
delle    stesse.    Discrasia   che   ancora   una   volta   denuncia
l'irragionevolezza   dell'ammissibilita'  dell'intervento  fino  alla
precisazione  delle  conclusioni  e  che sarebbe superata se, come si
chiede,   l'intervento   fosse   ammesso  solo  fino  all'udienza  di
trattazione,  quando  per  tutte le parti e quindi anche per il terzo
devono ancora decorrere i termini per proporre istanze istruttorie.
   Ancora:  le  riforme processuali, a partire dal 1990 in poi, hanno
creato  molteplici  preclusioni,  pure  rispetto  alla facolta' delle
parti di chiamare in causa un terzo, e cio' all'evidente fine di dare
al  processo  uno  svolgimento  ordinato e il piu' possibile rapido e
concentrato,  sicche'  non si vede come il medesimo ordinamento, pena
l'irragionevolezza   del   sistema,  possa  consentire  ai  terzi  di
intervenire  nel  processo  con domande nuove, fino alla precisazione
delle conclusioni.
   Ed   infine:   certa   dottrina   ha   suggerito  che,  di  fronte
all'intervento  di  terzi,  la  ragionevole  durata del processo puo'
essere  comunque  salvaguardata  dall'esistenza  in  capo al giudice,
tutte  le  volte  che la causa sia matura per la decisione o comunque
l'intervento  ritarderebbe o renderebbe piu' gravoso il processo, del
potere  di  estromettere  il  terzo  e  disporre  la  separazione del
giudizio  a norma dell'art. 103, secondo comma c.p.c. Il suggerimento
e'   sorprendente:   a   che  fine  ammettere  l'intervento  per  poi
immediatamente  dopo  estromettere  il  terzo il cui intervento oltre
certi  limiti  temporali, e in particolar modo se l'interveniente non
incorre  in  decadenze istruttorie, per forza di cose ritarda e rende
piu' gravoso il processo.
   A  questo punto non resta che chiarire che il termine dell'udienza
di trattazione, eventualmente anche rifissata ai sensi dell'art. 183,
secondo  comma, e' scelta obbligata in quanto essa e' il nuovo fulcro
del  processo civile e vi si giunge quando ancora amplissime sono per
le  parti  le  possibilita'  di presentare domande nuove ed eccezioni
conseguenza   di   domande  ed  eccezioni  di  altri,  di  dichiarare
l'intenzione  di  chiamare  in  causa un terzo (chiamata cui le parti
originarie  hanno diritto conflgurandosi, nei confronti della domanda
proposta  contro  di  loro dal terzo, come convenute) e di chiedere i
termini  per  precisare  le  domande  ed eccezioni gia' proposte, per
replicare  alle  domande  nuove  o  modificate delle altre parti, per
proporre  le  eccezioni  che  sono  conseguenza  delle  stesse  e per
indicare  i  mezzi  di prova e la prova contraria. In altre parole la
prima  udienza di trattazione ove tra l'altro il giudice compie tutte
le   attivita'   di   controllo   della  corretta  instaurazione  del
contraddittorio   e  della  regolarita'  degli  atti  processuali  si
presenta  senz'altro  come l'ultimo termine utile per l'intervento di
terzi  senza  che  questo  si riverberi negativamente sulle scansioni
processuali   facendo  si'  che  il  terzo  intervenuto  e  le  parti
originarie  possano  utilizzare  la  stessa  udienza  e  i successivi
termini previsti dall'art. 183, sesto comma c.p.c. anche in relazione
alle  nuove  domande  introdotte  dal  terzo  e  alle  nuove esigenze
difensive,  senza  necessita'  di  fissare altre udienze non previste
dalla  legge o concedere termini per la difesa delle parti originarie
ugualmente   non   previsti  e  comunque  contrari  al  principio  di
ragionevole  durata  del  processo  civile. In questo senso una parte
della piu' recente dottrina secondo cui «in generale il nuovo e assai
piu' contratto impianto processuale in vigore a seguito della riforma
del  2005  si  armonizza meglio con una chiara saracinesca posta agli
interventi  ex  art.  105 c.p.c. (cosi' come previsto per il rito del
lavoro  dall'art.  419  c.p.c. e per il rito societario dall'art. 14,
decreto  legislativo  n. 5/2003) e in effetti su un versante contiguo
costituira'  ostacolo  anche  alla  riunione  dei processi connessi e
affidera'  pressoche'  solo agli artt. 344 e 404 c.p.c. il compito di
ridare  evidenza  e  rilevanza  processuale  alle posizioni dei terzi
titolari   di   pretese   incompatibili  oppure  diritti  e  obblighi
dipendenti». Tale «saracinesca» non puo' che essere individuata nella
nuova e tendenzialmente unica udienza di trattazione, essendo termini
anteriori  a  questa  incompatibili  con la sopravvivenza in concreto
dell'istituto    dell'intervento   volontario,   termini   successivi
incompatibili  con  la  struttura  del nuovo processo civile e con il
principio di ragionevole durata del processo.
   B)  nel caso in cui la Corte costituzionale dichiari inammissibile
o non accolga la questione di legittimita' Costituzionale prospettata
in via principale e ritenga conforme a Costituzione l'art. 268, primo
comma  c.p.c.  ove  ammette l'intervento principale e litisconsortile
fino  all'udienza  di  precisazione  delle  conclusioni si propone la
seguente subordinata:
     come  anticipato  il  problema  che a questo punto si pone e' il
diritto  al  contraddittorio  delle parti originarie. La questione e'
rilevante in quanto nel caso di specie una volta spirati i termini di
cui  al  n. 2  del  sesto  comma  dell'art.  183  c.p.c. mentre Apigi
International  si  e'  limitata  a difendersi dalle pretese dei terzi
intervenuti chiedendo solo il rigetto della domanda proposta nei suoi
confronti  e  solo  all'udienza  del  28 settembre 2007 ha chiesto di
essere  rimessa  in  termini  senza  neppure  dichiarare  a che fine,
Baratto  Spedizioni S.r.1. ha chiesto di essere rimessa in termini ex
art.  184-bis  c.p.c.  al fine di consentirle la chiamata in causa di
Apigi International S.a.s. formulando apposita domanda di manleva nei
confronti  di  questa,  di formulare mezzi istruttori a prova diretta
anche nei confronti degli intervenuti e per precisare o modificare le
domande  ed  eccezioni  proposte.  In  particolare,  prima ancora dei
limiti  probatori  l'attrice  non  ha  avuto la possibilita', perche'
preclusa  dalla  fase  processuale,  di  proporre  le  domande  e  le
eccezioni  conseguenza  delle  domande svolte dal terzo (salvo quanto
dedotto  ed eccepito con la memoria ex art. 183, sesto comma n. 3 e a
verbale,  ma  con  gli  insuperabili  limiti  di  ammissibilita'  per
intervenuta preclusione connessa alla fase processuale) ne' ha potuto
precisare o modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni gia'
proposte.  La  domanda  proposta dal terzo come e' stato osservato in
caso  simile «ha chiaramente alterato l'impostazione originaria della
causa  che  l'attore  e il convenuto avevano impostato» generando per
l'attore  l'esigenza  di  effettuare nuove domande per contrastare la
pretesa degli intervenuti.
   La  questione  e'  altresi' non manifestamente infondata. Se da un
lato  si  riconosce  al  terzo il potere di proporre, fino al momento
della  precisazione  delle  conclusioni,  una  domanda in un processo
iniziato  da  altre  parti  dall'altro  occorre, in forza del diritto
costituzionale   al   contraddittorio,  garantire  alle  altre  parti
meccanismi  processuali  che consentano loro di esercitare appieno il
loro  diritto  di  difesa  in  senso  ampio riconoscendogli tutti gli
strumenti  che  il processo civile attribuisce al convenuto. In altre
parole   se   l'intervento  e'  ammissibile  fino  al  momento  della
precisazione  delle  conclusioni  cio'  non  deve trasformarsi per il
terzo  in un vero e proprio vantaggio processuale e ritorcersi contro
il  diritto  di  difesa  delle parti originarie del processo che allo
stato della legge appare eccessivamente compromesso.
   Il  problema  dei  poteri  delle  parti  originarie  rispetto alle
domande  formulate  dal  terzo  e'  gia'  stato esaminato dalla Corte
costituzionale  con  sentenza n. 193 del 1983: con quella sentenza la
Corte  aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 419
c.p.c.  nella parte in cui ove un terzo spieghi intervento volontario
non  attribuisce  al  giudice  il  potere  dovere  di fissare, con il
rispetto  del  termine  di cui all'art. 415, quinto comma c.p.c., una
nuova  udienza  non  meno  di dieci giorni prima della quale le parti
originarie potranno depositare memoria e di disporre che entro cinque
giorni  siano  notificati  alle  parti originarie il provvedimento di
fissazione  e  la  memoria  dell'interveniente e che sia notificato a
quest'ultimo  il  provvedimento di fissazione della nuova udienza. In
quell'occasione  la  corte aveva operato un confronto tra l'art. 420,
commi 9  e 10  e  l'art.  419  c.p.c.  osservando che «se si riflette
sull'ampliatio   della   cognizione  propria  della  originaria  lite
provocata  (....  )  anche  nelle aree in cui affondano le radici gli
interventi  volontari  principale  e  adesivo  autonomo nonche' dello
stesso  intervento adesivo dipendente, non si vede perche' il diritto
di  difesa  delle  parti  originarie  contro le quali si appuntano le
pretese   degli   intervenienti   volontari   e  dell'avversario  del
coadiuvato   dell'interveniente   adesivo  dipendente  devono  essere
garantite  in  guisa  diversa  e  meno  incisiva  del modo con cui al
legislatore  e'  parso  giusto assicurarlo allorquando ha plasmato il
nono  e  il  decimo  comma  dell'art.  420 c.p.c.» (che disciplina la
chiamata  in  causa  a norma degli artt. 102, secondo comma 106 e 107
c.p.c.).
   Come  appare  evidente  la  decisione  della Corte ha tenuto conto
della  particolare  struttura  del  processo del lavoro ove l'udienza
prevista dall'art. 420 c.p.c. e', o comunque potrebbe essere, l'unica
e  concludersi  con  la sentenza pronunciata al termine di essa. Alla
stessa  udienza  devono  tendenzialmente  essere  assunte le prove ed
effettuata  se  possibile  ogni  altra  attivita'  propedeutica  alla
decisione. Per tale motivo ex art. 419 c.p.c. l'intervento e' ammesso
fino  al  termine  stabilito  per la costituzione del convenuto, deve
cioe' precedere l'udienza ex art. 420 c.p.c. in quanto a tale udienza
occorre  giungere a contraddittorio per cosi' dire «completo». Per lo
stesso  motivo la Corte con la sentenza 193 del 1983 ha stabilito che
a  seguito  della  costituzione  del  terzo  interveniente  le  parti
originarie  dovevano essere messe in grado, sempre prima dell'udienza
di  discussione che andava opportunamente posticipata, di predisporre
le  loro  difese  con memorie da depositarsi non meno di dieci giorni
prima della nuova data fissata per quell'udienza.
   Il  processo  civile  ordinario  pur  se  da  ultimo  sempre  piu'
contratto,  prevede  ancora una pluralita' di udienze che vanno dalla
prima  e, salve ipotesi specificamente disciplinate, unica udienza di
trattazione, all'udienza di eventuale ammissione delle prove (che pur
se non prevista espressamente dalla legge nella prassi va sostituendo
la riserva per ammissione prove prevista dall'art. 183, settimo comma
ultima parte per il caso in cui le parti abbiano chiesto i termini di
cui  al sesto comma), all'udienza per l'assunzione dei mezzi di prova
ex  art.  184,  eventualmente preceduta o seguita dall'udienza per la
conciliazione delle parti ex art. 185 c.p.c.
   Si  tratta  quindi  di  individuare  quale  momento processuale e'
idoneo  a  garantire  il  contraddittorio  delle parti originarie nei
confronti  del  terzo  intervenuto per concludere che se l'intervento
viene  dispiegato dopo tale momento il processo deve retrocedere fino
ad  esso  per  consentire alle parti originarie di dispiegare le loro
difese.
   Orbene  tale  momento  non  puo'  che  essere di nuovo individuato
nell'udienza  di  trattazione  del  nuovo  art.  183  c.p.c.  con  il
ripristino  per  tutte  le parti di ogni corrispondente potere. Sara'
cosi'  consentito  innanzitutto  al  giudice  di  effettuare  tutti I
controlli  previsti  dall'art. 183, primo comma in quanto compatibili
con  la  particolarita'  del  caso  (e ad esempio lo sono i controlli
sulla   validita'   dell'atto   di   intervento   e  sul  difetto  di
rappresentanza   e   autorizzazione),  fissando  eventualmente  nuova
udienza  di  trattazione.  Sara'  consentito  al  giudice  di tentare
nuovamente la conciliazione della lite.
   Sara'  consentito  infine  allo  stesso  di  esercitare, anche nei
confronti  dell'interveniente  tutti i poteri di cui al quarto comma.
Quanto  alle  parti  originarie  potranno: proporre le domande (anche
riconvenzionali)  e  le  eccezioni che sono conseguenza delle domande
proposte  dall'intervenuto;  potranno dichiarare di voler chiamare un
terzo in causa e ottenere uno spostamento dell'udienza di trattazione
ai  sensi  dell'art.  269  terzo  comma;  potranno infine precisare e
modificare le domande e eccezioni e le conclusioni gia' formulate.
   Tutti  potranno  chiedere al giudice i termini di cui all'art. 183
sesto  comma  c.p.c.: come e' noto la concessione di tali termini da'
alle   parti   ulteriori   ampie   possibilita'   di  contraddittorio
soprattutto  ove  si  interpreti la lettera della legge tenendo conto
della  peculiarita' della situazione che si verifica con l'intervento
del terzo. Infine tutte le parti potranno articolare i mezzi di prova
diretta  e  contraria  in  ordine ad un tema processuale regolarmente
cristallizzatosi nel contraddittorio delle parti.
   In  conclusione appare rilevante e non manifestamente infondata la
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 268, primo comma
c.p.c.  per  violazione  dell'art.  24 e dell'art. 111, secondo comma
Cost.  che  prevede che il processo si svolge nel contraddittorio tra
le parti in condizioni di parita', nella parte in cui non attribuisce
al  giudice  in  caso  di  intervento volontario o litisconsortile il
potere-dovere    di    fissare,   alla   prima   udienza   successiva
all'intervento  del terzo, una nuova udienza di trattazione nel corso
della  quale  le  parti  potranno  esercitare tutti i poteri previsti
dall'art. 183 c.p.c.
   La   questione  appare  non  manifestamente  infondata  anche  con
riferimento  a due eccezioni che potrebbero essere proposte in questa
sede.  La prima e' relativa alla ritenuta possibilita' per il giudice
avanti  al  quale  e'  stato  spiegato l'intervento di fissare di sua
iniziativa  altra  udienza.  Tale  eccezione  non merita accoglimento
perche' come gia' osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza
n. 193/1983 «le ipotesi di fissazione di altra udienza sono tassative
anche  nel  rito  civile  e  la sequenza delle udienze e' scandita in
maniera   precisa   dal  codice  di  rito  e  al  diritto  di  difesa
dell'interveniente e delle altre parti originarie non puo' sopperirsi
con  le  normali  tecniche applicative delle norme ordinarie o peggio
con la violazione delle stesse».
   La  seconda e' relativa all'applicabilita', al caso che ci occupa,
dell'istituto della rimessione in termini. A tal proposito si osserva
che  l'istituto  in  questione  previsto dall'art. 184-bis c.p.c. non
pare  applicabile non tanto per quanto afferma la Corte di cassazione
-  secondo  cui  l'istituto de quo riguarda le sole ipotesi in cui le
parti  costituite  siano  decadute dal potere di compiere determinate
attivita'  difensive  nell'ambito della trattazione della causa e non
e'  utilizzabile  per  le  situazioni  esterne  allo  svolgimento del
giudizio  per  le  quali  vige  la  regola  dell'improrogabilita' dei
termini perentori che impedisce di utilizzare l'istituto stesso anche
per  le  decadenze  relative al compimento del termine perentorio per
instaurare  il  giudizio  (vedi  ad  es.  Cass. n. 10094/1997 e Cass.
12935/2000)  -,  in quanto nel caso di intervento di terzi si discute
proprio  di  decadenza dai poteri processuali in cui siano incorse le
parti in relazione alla trattazione della causa; quanto piuttosto per
la portata dell'istituto che si evince dalla stessa lettera dell'art.
184-bis  c.p.c. ove si parla di «decadenze in cui e' incorsa la parte
per causa ad essa non imputabile», mentre nel caso di specie la parte
non   e'  incorsa  in  nessuna  decadenza  nei  confronti  del  terzo
interveniente,   non  avendo  mai  potuto  disporre  di  termini  per
difendersi  da  esso  per l'ovvio motivo che prima dell'intervento il
terzo  non era parte in causa. Sicche' l'esigenza di difesa sorge per
la  prima  volta ex novo dopo l'intervento del terzo, quando la parte
e'  incorsa  in  preclusioni  legate  non certo al fatto che le parti
originarie   hanno  seppur  incolpevolmente  lasciato  decorrere  dei
termini  rimanendo  inerti,  ma  alla  stessa  struttura dell'attuale
processo civile.
   Se   poi  si  volesse  accedere  ad  un'interpretazione  estensiva
dell'istituto  in questione come strumento utilizzabile per rimediare
non  solo a decadenze derivanti da impedimenti di natura strettamente
materiale  o  comunque  obiettiva,  ma anche per ammettere i nova che
comunque  possano  reputarsi  giustificati  da  eventi  o da esigenze
difensive  realmente sopravvenute, dovra' comunque prendersi atto che
una cosa e' la mera concessione di termini per il deposito di memorie
difensive  in  senso  lato,  cosa ben diversa e' la fissazione di una
nuova  udienza  con  il piu' ampio sviluppo della trattazione da essa
consentito,  con  sviluppo della dialettica, non solo tra le parti ma
tra   le   parti   e   il   giudice  istruttore.  Senza  contare  che
l'individuazione di un momento processuale cui far regredire la causa
in  caso  di  intervento  tardivo  di  terzo  consente di individuare
altresi'  con  precisione i poteri delle varie parti in causa, mentre
la   concessione   della   rimessione  in  termini  lascia  eccessiva
discrezionalita'  al  giudice  nell'individuazione  e  scansione  dei
termini  stessi e dei poteri che in essi possono essere esercitati (e
cio' proprio perche' la legge non prevede i termini e i poteri cui le
parti hanno diritto in caso di intervento di terzo).
                              P. Q. M.
   Visti gli artt. 23 e ss., legge n. 87/1953;
   Ritenutane  la  rilevanza  e la non manifesta infondatezza solleva
d'ufficio  la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 268,
primo  comma  c.p.c.  nella  parte  in  cui  ammette che l'intervento
principale  o  litisconsortile  previsto  dall'art.  105, primo comma
c.p.c.  possa  avere  luogo  fmo  a  che  non  vengano  precisate  le
conclusioni   anziche'   fino  all'udienza  di  trattazione  prevista
dall'art.  183  c.p.c.,  per  violazione del principio di ragionevole
durata  del processo previsto dalla nuova formulazione dell'art. 111,
secondo  comma  ultima  parte  della  Costituzione e del principio di
ragionevolezza previsto dall'art. 3 Cost.;
   In  subordine,  per il caso di dichiarazione di inammissibilita' o
di  rigetto  della  principale,  ritenutane  la  rilevanza  e  la non
manifesta infondatezza solleva d'ufficio la questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  268, primo  comma  c.p.c.  per  violazione
dell'art.  24 e dell'art. 111, secondo comma Cost. parte prima, nella
parte  in  cui  non  attribuisce  al  giudice  in  caso di intervento
volontario  o litisconsortile il potere dovere di fissare, alla prima
udienza  successiva  all'intervento  del  terzo, una nuova udienza di
trattazione nel corso della quale le parti possano esercitare tutti i
poteri previsti dall'art. 183 c.p.c.;
   Sospende il processo;
   Dispone  che  la presente ordinanza sia notificata alle parti e al
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e comunicata al Presidente
della   Camera   dei  deputati  e  al  Presidente  del  Senato  della
Repubblica;
   Dispone  la  trasmissione  degli  atti  del  procedimento  e della
presente ordinanza alla Corte costituzionale.
   La cancelleria curera' tali adempimenti.
     Pordenone, addi' 26 novembre 2007
                        Il giudice: Dragotto