N. 57 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 novembre 2007
Ordinanza del 27 novembre 2007 emessa dal Tribunale di Pordenone nel procedimento civile promosso da Baratto Spedizioni S.r.l. contro Apigi International S.a.s. Procedimento civile - Intervento volontario del terzo - Prevista facolta' del terzo di intervenire nel processo sino a quando non vengano precisate le conclusioni - Intervento principale o litisconsortile spiegato successivamente all'udienza fissata per la prima comparizione delle parti e la trattazione, in pendenza del termine concesso dal giudice ai sensi dell'art. 183, comma sesto, n. 2, cod. proc. civ. - Omessa previsione che l'intervento principale o litisconsortile di cui all'art. 105, primo comma, cod. proc. civ., possa avvenire fino all'udienza di trattazione prevista dall'art. 183 cod. proc. civ., anziche' sino a quando vengano precisate le conclusioni - Denunciata violazione del principio di ragionevolezza sotto il profilo della ritenuta incoerenza della disciplina temporale dell'intervento del terzo rispetto alla struttura del procedimento civile organizzato su rigide preclusioni e su un numero tendenzialmente limitato di udienze - Asserita lesione del principio di ragionevole durata del processo, inteso anche come garanzia del diritto alla maggiore speditezza possibile del giudizio. - Codice di procedura civile, art. 268, primo comma. - Costituzione, artt. 3 e 111, comma secondo. In subordine: Procedimento civile - Intervento volontario del terzo - Prevista facolta' del terzo di intervenire nel processo sino a quando non vengano precisate le conclusioni - Intervento principale o litisconsortile spiegato successivamente all'udienza fissata per la prima comparizione delle parti e la trattazione, in pendenza del termine concesso dal giudice ai sensi dell'art. 183, comma sesto, n. 2, cod. proc. civ. - Omessa attribuzione al giudice, in caso di intervento principale o litisconsortile, del potere-dovere di fissare, alla prima udienza successiva all'intervento del terzo, una nuova udienza di trattazione nel corso della quale le parti possano esercitare tutti i poteri previsti dall'art. 183 cod. proc. civ. - Incidenza sul diritto di difesa delle parti originarie del processo - Lesione del diritto costituzionale al contraddittorio e del principio di parita' delle parti processuali. - Codice di procedura civile, art. 268, primo comma. - Costituzione, artt. 24 e 111, comma secondo.(GU n.12 del 12-3-2008 )
IL TRIBUNALE A scioglimento della riserva di data 28 settembre 2007; Letti gli atti ed esaminata la documentazione prodotta, osserva quanto segue. Nel procedimento in oggetto Baratto Spedizioni S.r.l. conveniva in giudizio Apigi International S.a.s. esponendo di avere concluso con la convenuta nel giugno 2005 un contratto di trasporto merci, pagando il corrispettivo di euro 1.535,90. La merce era stata regolarmente consegnata al vettore, ma poco dopo la consegna l'automezzo su cui era stato caricato il container subiva un sinistro stradale e si rovesciava con quanto trasportato. A seguito di cio' Baratto Spedizioni subiva un danno consistito, oltre che nel danneggiamento del container noleggiato di cui aveva dovuto risarcire la proprietaria, nelle spese per recupero merce, annullamento bolle doganali e per custodia merce rimasta in giacenza. Chiedeva quindi l'attrice che Apigi Intemational S.a.s. fosse condannata al risarcimento dei danni previa dichiarazione di risoluzione del contratto di trasporto e conseguente restituzione del prezzo. Si costituiva in giudizio la convenuta eccependo in via preliminare l'incompetenza territoriale del giudice adito e la sua carenza di legittimazione passiva. A tale ultimo proposito evidenziava che il contratto concluso con Baratto Spedizioni non era affatto un contratto di trasporto ma di spedizione e che pertanto essa non poteva avere alcuna responsabilita' per l'inadempimento del trasporto, eseguito da altra ditta la Trusendi S.r.l. Per parte sua Apigi aveva diligentemente adempiuto ad ogni suo obbligo, di curare la spedizione e l'assolvimento degli oneri doganali, e di stipulare, per conto di Baratto Spedizioni, il contratto di trasporto. Di quanto accaduto alla merce e al container doveva quindi rispondere esclusivamente la ditta trasportatrice. Chiedeva quindi che fosse dichiarata l'incompetenza territoriale del giudice adito e rigettata la domanda attorea. In subordine la riduzione del quantum del risarcimento richiesto. In data 20 aprile 2007 si svolgeva l'udienza di trattazione prevista dall'art. 183, c.p.c. In esito ad essa il giudice su richiesta delle parti concedeva i termini di cui all'art. 183 sesto comma e rinviava all'udienza del 28 settembre 2007. Le parti depositavano quindi la memoria prevista dall'art. 183, sesto comma, n. 1, ove ribadivano le domande, le eccezioni e le conclusioni gia' proposte. In pendenza del termine per il deposito delle memorie ai sensi dell'art. 183, sesto comma, n. 2 c.p.c. (termine scadente il 20 giugno 2006) precisamente con comparsa di intervento volontario ai sensi dell'art. 105 c.p.c. depositata in cancelleria il 15 giugno 2007, si costituivano in giudizio Darko Seth, Mensah Emmanuel Ofosu e Akrofi Mensah Cristian. Esponevano gli intervenuti, cittadini ghanesi, che nel giugno 2005 avevano concluso con Baratto Spedizioni un contratto per il trasporto in Ghana di merci varie (automobili usate, elettrodomestici, materiale per l'edilizia e quant'altro) che tra il 9 e il 12 giugno avevano portato presso la sede di Baratto Spedizioni e caricato su un container. Il 12 erano stati apposti i sigilli al container e, secondo quanto appreso dopo, questo era stato caricato su un automezzo, diretto al porto di Marghera, che poco dopo la partenza aveva subito un sinistro e si era rovesciato. La maggior parte delle merci andava distrutta, in specie il materiale edilizio, mentre la parte restante risultava gravemente danneggiata. A seguito di quanto accaduto gli intervenienti, rivoltisi a Baratto Spedizioni per il risarcimento del danno, venivano a sapere che questa si era rivolta ad altra ditta la Apigi International S.a.s. con cui aveva concluso il contratto di trasporto e che il trasporto era stato eseguito dalla ditta Trusendi Transport s.r.l. di La Spezia, dichiarata fallita pochi mesi dopo il sinistro. In ogni caso era evidente il loro diritto al risarcimento del danno subito , che quantificavano in euro 26.000,00 chiedendo quindi la condanna di Baratto Spedizioni e/o di Apigi Intemational S.r.l., disgiuntamente secondo la responsabilita' di ognuna o in solido tra loro a pagare tale somma. In data 19 e 20 giugno 2007 rispettivamente la convenuta Apigi International e l'attrice Baratto Spedizioni S.r.l. depositavano memorie ai sensi dell'art. 183, sesto comma, n. 2 in cui non veniva fatto cenno alla costituzione in giudizio degli intervenuti. In effetti questa veniva comunicata alle parti gia' in causa dalla cancelleria solo in data 19 giungo 2007 (vedi biglietto di comunicazione di cancelleria). Il 20 giugno depositavano memoria istruttoria ai sensi dell'art. 183, sesto comma, n. 2 anche gli intervenuti. Nel successivo termine di cui all'art. 183, sesto comma, n. 3 depositavano memorie Apigi Iternational S.a.s. e Baratto Spedizioni S.r.l. La prima non si opponeva all'intervento dei terzi limitandosi a chiedere il rigetto delle domande formulate da essi nei confronti di Apigi International; la seconda invece chiedeva che fosse dichiarato inammissibile per tardivita' l'intervento dei terzi ai sensi dell'art. 268, secondo comma c.p.c, essendo evidente che il terzo intervenuto non poteva proporre domande nuove che erano ormai precluse alle altre parti con la conseguenza che chi interviene in via principale o con intervento litisconsortile oltre l'udienza di trattazione subisce le stesse preclusioni delle parti originarie e dunque non puo' piu' proporre domande nuove; un tanto anche perche' con la celebrazione dell'udienza di trattazione era intervenuta una oggettiva cristallizzazione del thema decidendum non piu' modificabile e ampliabile da nessuna delle parti del processo. Per i medesimi motivi avrebbero dovuto altresi' ritenersi inammissibii le istanze istruttorie formulate dai terzi intervenuti , avendo ad oggetto fatti e circostanze decisamente nuove rispetto al processo tra le parti originarie. In ogni caso rilevava che riconoscere la possibilita' per il terzo interveniente di formulare domande nuove oltre la prima udienza di trattazione e oltre i termini di cui all'art. 183, sesto comma, n. 1, avrebbe costituito una palese violazione del diritto al contraddittorio. In via subordinata per la denegata ipotesi di ritenuta ammissibilita' dell'intervento chiedeva di essere rimessa in termini ex art. 184-bis c.p.c. al fine di consentire all'attrice la chiamata in causa di Apigi Intemational S.a.s. formulando apposita domanda di manleva nei confronti di questa, di formulare mezzi istruttori a prova diretta e contraria anche nei confronti degli intervenuti e per precisare o modificare le domande ed eccezioni proposte. Il 28 settembre 2007 veniva tenuta l'udienza inizialmente fissata per l'ammissione delle prove. Baratto Spedizioni insisteva affinche' il giudice trattenesse la causa in decisione per pronunciarsi tra l'altro sulla questione dell'ammissibilita' dell'intervento, ed in subordine insistendo per la rimessione in termini ex art. 184-bis c.p.c.; Apigi International S.a.s. per la prima volta , dopo avere insistito sull'eccezione di incompetenza territoriale, rilevava l'inammissibilita' dell'intervento in quanto tardivo chiedendo in subordine la rimessione in termini; dal canto suo la difesa degli intervenuti ribadiva l'ammissibilita' dell'intervento, possibile fino all'udienza di precisazione delle conclusioni come ammesso da consolidata giurisprudenza di legittimita' e si opponeva altresi' alla rimessione in termini chiesta dalla altre parti, per non essere l'istituto applicabile al caso di specie. Il giudice si riservava la decisione. A) Cio' premesso in punto svolgimento del processo il Tribunale di Pordenone intende sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 268, primo comma c.p.c. nella parte in cui ammette che l'intervento principale o litisconsortile previsto dall'art. 105, primo comma c.p.c. nella parte possa avere luogo fino a che non vengano precisate le conclusioni e non fino all'udienza di trattazione prevista dall'art. 183 c.p.c., per violazione del principio di ragionevole durata del processo previsto dalla nuova formulazione dell'art. 111, secondo comma ultima parte della Costituzione, nonche' del principio di ragionevolezza previsto dall'art. 3 Cost. La questione e' rilevante nel giudizio che ci occupa in quanto i terzi intervenienti hanno spiegato il loro intervento successivamente allo svolgimento della prima udienza di trattazione nelle more del termine previsto dall'art. 183, sesto comma, n. 2 c.p.c. Le controparti, avverso entrambe le quali gli intervenuti hanno proposto domande (con cio' dispiegando intervento principale) hanno chiesto che venga dichiarata l'inammissibilita' dell'intervento per tardivita'. Il giudice istruttore deve decidere sull'ammissibiita' dell'intervento - che appare rispettoso delle condizioni previste dall'art. 105 c.p.c. (con esso si fa valere un diritto relativo all'oggetto e dipendente dal titolo gia' dedotto nel processo gia' pendente) - e delle domande con esso proposte anche al fine di valutare, ritenuto che l'eccezione di incompetenza territoriale appare allo stato non fondata, l'ammissibilita' o meno dei mezzi istruttori richiesti dagli intervenuti con memoria apposita, depositata l'ultimo giorno utile. E' infine rilevante anche al fine di valutare la subordinata richiesta di rimessione in termini avanzata dalle parti originarie per il caso di ritenuta ammissibilita' dell'intervento. La questione e' altresi' non manifestamente infondata. Invero e' consolidato indirizzo della suprema Corte (vedi in particolare Cass. 14 maggio 1999, n. 4771; Cass. 3 novembre 2004, n. 21060; Cass. 28 luglio 2005, n. 15787; Cass: 14 febbraio 2006, n. 3186; Cass. 5 maggio 2006, n. 10371; Cass. 31 gennaio 2007, n. 2093) ammettere l'intervento fino all'udienza di precisazione delle conclusioni in quanto la formulazione della domanda costituisce l'essenza stessa dell'intervento principale e litisconsortile, sicche' la preclusione sancita dall'art. 268, secondo comma c.p.c. non si estende all'attivita' assertiva del volontario interveniente nei cui confronti non e' operante il divieto di proporre domande nuove ed autonome fino all'udienza di precisazione delle conclusioni configurandosi solo l'obbligo, per l'interventore stesso ed avuto riguardo al momento della sua costituzione, di accettare lo stato del processo in relazione alle preclusioni istruttorie gia' verificatesi per le parti originarie. A prescindere da ogni valutazione dell'iter argomentativo della Corte occorre senz'altro dare atto che una diversa interpretazione dell'art. 268 c.p.c., suggerita da copiosa e autorevole dottrina volta a limitare a fasi processuali iniziali gli interventi con cui si propongono domande nuove e ad ammettere fino all'udienza di precisazione delle conclusioni il solo intervento adesivo dipendente con cui non si fanno valere nuove domande ma solo si sostengono le ragioni dell'una o dell'altra parte, si scontra con la formulazione chiarissima del primo comma dell'art. 268 c.p.c., ove, senza distinzioni di sorta, e' ammesso l'intervento fino alla precisazione delle conclusioni. Lo stesso secondo comma dell'art. 268 avalla un'interpretazione non riduttiva del primo comma. La norma dispone che, salva ovviamente l'ipotesi di litisconsorzio necessario, il terzo interveniente sia comunque - si ritiene proprio al fine di non ritardare eccessivamente il processo introdotto da altre parti - sottoposto alle preclusioni che hanno gia' subito le parti originarie. Con cio' la legge sembra apparentemente risolvere gran parte dei problemi inerenti alla tutela del contraddittorio nei confronti delle parti originarie e di conseguenza inerenti alla durata (eccessiva) del processo. Si tratta pero' di mera apparenza: la suprema Corte nelle citate sentenze infatti non ha mancato di chiarire che le preclusioni cui si riferisce l'art. 268, secondo comma sono solo ed esclusivamente quelle istruttorie gia' verificatesi tra le parti originarie, e cio' per il chiaro motivo che non e' possibile estendere quelle preclusioni anche alla proposizione della domanda, che appunto costituendo l'essenza stessa dell'intervento non puo' essere in alcun modo preclusa. Le considerazioni della Cassazione non possono che essere condivise. Invero o si ritorna a ritenere che il primo comma dell'art. 268 c.p.c. riguarda solo l'intervento adesivo dipendente rispetto al quale non e' necessario prefigurare preclusioni diverse da quelle istruttorie (ma la correttezza di tale interpretazione e' gia' stata esclusa) oppure se si ammette l'intervento senza distinzioni di sorta si deve ammettere anche la proposizione di domande nuove, fino alla precisazione delle conclusioni. L'ammissione dell'intervento principale e litisconsortile fino alla fine del processo non e' pero' priva di conseguenze per il processo civile in generale e per il processo che ci occupa in particolare. Essa comporta senz'altro un notevole ampliamento del thema decidendum rispetto a quello originariamente introdotto dalle parti e nel caso che ci occupa anche un notevole ampliamento dei fatti su cui occorre decidere e dell'istruttoria da svolgere su quei fatti. Infatti l'intervento e' stato espletato cinque giorni prima della scadenza del termine previsto dall'art. 183, sesto comma, n. 2 c.p.c. quando ancora le parti originarie potevano indicare mezzi di prova ed effettuare produzioni documentali; e la difesa degli intervenuti non ha mancato di depositare, l'ultimo giorno utile per farlo, una memoria istruttoria in cui chiede l'ammissione di prova per interpello e testi, l'ammissione di consulenza tecnica d'ufficio e l'esibizione di documentazione ai sensi dell'art. 210 c.p.c . In altre parole nel caso che ci occupa non pare che gli intervenienti possano subire un qualche pregiudizio dall'essersi costituiti dopo l'udienza di trattazione , essendo, a norma dell'art. 268, secondo comma, in termini anche per provare, e non solo per allegare, i fatti su cui si basano le loro domande. Gia' sotto questo profilo quindi si delinea un notevole aggravamento del processo (inteso come volume di attivita' processuale), peraltro inevitabile in un sistema processuale che prevede l'intervento volontario principale e litisconsortile. Ma un aggravamento ancora ulteriore sia dell'attivita' che dei tempi processuali deve essere messo in conto per la innegabile necessita' di tutelare il diritto al contraddittorio delle parti originarie, diritto costituzionalmente garantito dall'art. 24 e dall'art. 111, primo comma Cost., parte prima e al quale deve essere riconosciuto un rango superiore rispetto al principio di ragionevole durata del processo, in quanto inerisce direttamente a diritti fondamentali della persona, cosi' come la parita' delle parti e la terzieta' del giudice. Si puo' discutere (e lo faremo infra) sulle modalita' con cui tale diritto deve essere tutelato (in proposito le parti originarie hanno richiesto la rimessione in termini ex art. 184-bis c.p.c., ma si puo' anche ipotizzare una sorta di retrocessione del processo ad una fase anteriore con obbligo per il giudice di fissare nuova udienza di trattazione e di concedere, se richiesto, altri termini ex art. 183, sesto comma c.p.c.) ma non si puo' dubitare che il diritto delle parti originarie di reagire alla domanda introdotta nel giudizio allegando le proprie difese, eccezioni, domande riconvenzionali e chiedendo la chiamata di terzi, deve essere garantito, e che tale tutela non puo' essere data se non dilatando notevolmente i tempi processuali che il legislatore, a partire dal 1990, fino alla recente riforma processualcivilistica del 2005, ha innegabilmente voluto scanditi da rigide preclusioni e un numero per cosi' dire «chiuso» di udienze, proprio al dichiarato e notissimo fine di attuare concretamente il principio della ragionevole durata del processo. L'inserimento dell'intervento nelle rigide scansioni del processo ne altera indiscutibilmente la successione costringendo il giudice, qualora le parti orginarie lo richiedano (come nel caso di specie ove parte attrice ha chiesto di essere rimessa in termini per proporre domanda di manleva nei confronti della convenuta) a fissare ulteriori udienze, non previste nell'impianto del processo civile o a concedere termini ugualmente non previsti per le attivita' difensive delle parti originarie. E allora non e' chi non veda come l'art. 268, primo comma c.p.c. si giustificava nell'ambito di un processo privo di scadenze e preclusioni per le parti quale era quello ante riforma del 1990, ma costituisce una grave disarmonia nel processo odierno, ove quelle scadenze e preclusioni si sono fatte via via sempre piu' stringenti per le parti, e ove tuttavia l'interveniente ha la possibilita' di introdurre un processo nuovo (rectius piu' ampio) rispetto a quello voluto dalle parti inizialmente costituite, cosi' costringendole a subire i conseguenti dilatati tempi processuali senza che queste possano fare alcunche' per evitarlo. E in tale prospettiva si evidenzia da un lato l'irragionevolezza di una disposizione di legge che snatura totalmente il nuovo processo civile consentendo, senza valida giustificazione come si vedra', inutili e rilevanti complicazioni; dall'altro la violazione del diritto delle parti originarie e in special modo dell'attore a vedere definita la sua domanda entro tempi ragionevoli e comunque non piu' ampi di quelli che richiedono le prospettazioni delle parti originarie (oltre che le note difficolta' dell'amministrazione della giustizia). A tal proposito ci si riporta a quanto da tempo sostiene chiarissima dottrina e cioe' che la tutela giurisdizionale e' effettiva solo se tempestiva e quindi solo se la distensione diacronica del procedimento giurisdizionale viene contenuta nei limiti strettamente necessari ad assicurare una decisione conforme a giustizia, in altre parole il primo comma dell'art. 24 Cost. e ora l'art. 111 Cost., secondo comma, ultima parte, riconoscono a ciascuno anche il diritto alla maggior speditezza possibile del giudizio avente ad oggetto un proprio diritto. Peraltro facendo del legislatore ordinario il destinatario diretto del dovere di assicurare la ragionevole durata del processo l'art. 111, secondo comma Cost. concepisce quella in discussione oltre che come una garanzia soggettiva anche come una garanzia oggettiva destinata ad incidere sull'organizzazione tecnica del processo (oltre che sul funzionamento dell'amministrazione giudiziaria), ed e' innegabile che la garanzia in parola comporta anzitutto il dovere del legislatore ordinario di dare al processo una struttura tale da assicurargli la maggiore rapidita' possibile. Si tratta di concetti non estranei alla giurisprudenza della Corte costituzionale che nella sentenza 22 ottobre 1999 n. 388 affermava: «l'effettivita' della tutela dei propri diritti cui e' preordinata l'azione, ed in definitiva la stessa efficacia della giurisdizione si combina con la ragionevole durata del processo ... (omissis) i diritti umani... trovano espressione e non meno intensa garanzia nella Costituzione» e che cio' vale «per il diritto di agire a tutela dei propri diritti e interessi garantito dall'art. 24 Cost. che implica una ragionevole durata del processo perche' la decisione giurisdizionale alla quale e' preordinata l'azione ... assicuri l'efficace protezione di questo e in definitiva la realizzazione della giustizia ...». Al contrario i diritti degli intervenienti, e in particolar modo il diritto ex art. 24, primo comma Cost. non subirebbe alcuna lesione dallo spostamento del termine preclusivo per l'intervento principale e litisconsortile ad un momento anteriore a quello oggi previsto dall'art. 268 c.p.c e segnatamente ad un momento in cui ancora il thema decidendum non e' cristallizzato e ed e' ancora prevista per le parti la possibilita' di proporre domande, eccezioni etc., in quanto egli potra' sempre far valere le sue ragioni in un separato giudizio (salvo chiederne la riunione col primo ai sensi dell'art. 274 o dell'art. 40 c.p.c., ma in tal modo lasciandosi al giudice la discrezionalita' di decidere sull'opportunita' di essa ai sensi dell'art. 274 c.p.c. o con i limiti di cui all'art. 40, secondo comma) oppure con l'intervento in appello ex art. 344 o con l'opposizione di terzo. Si osserva a tal proposito che e' stato giustamente detto che il principio di ragionevole durata del processo garantisce solo l'economia interna del processo (risparmio di attivita' e di tempo) e non quella esterna, prevenendo il sorgere di altri processi. Al principio di economia processuale esterna puo' assegnarsi solo la funzione di criterio di razionalizzazione dei valori costituzionali inerenti alla giurisdizione, vale a dire di fattore giustificativo di limitazioni (ragionevoli) eventualmente poste dal legislatore nei confronti di determinate garanzie costituzionali del processo (quindi norma parametro nel sindacato di ragionevolezza e non valore costituzionale in senso proprio). In tal modo delineata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 268, primo comma c.p.c si presenta ossequiosa dei principi che in materia processuale civile ha gia' delineato la Corte costituzionale. A tal proposito si evidenzia che, chiamata a giudicare sulla legittimita' costituzionale dell'art. 268, secondo comma c.p.c. la Corte, con ordinanza n. 215 del 2005 ha dichiarato che «il sistema delle preclusioni nel giudizio civile (che costituisce cardine e tratto fondante della riforma del 1990) si configura come regola funzionale alla concreta attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo che ha trovato espressa e puntuale affermazione nella sopravvenuta nuova formulazione dell'art. 111 Cost. 2. Ed ancora nello stesso provvedimento "viceversa il simultaneus processus non e' oggetto di garanzia costituzionale trattandosi di un mero espediente finalizzato (ove possibile) all'economia dei giudizi e alla prevenzione del pericolo di giudicati coniraddittori (in tal senso ordinanze n. 124 /2005, n. 90/2002 e n. 398/2000) sicche' la sua inattuabilita' non lede ne' il diritto di azione ne' quello di difesa se la pretesa sostanziale del soggetto interessato puo' essere fatta valere nella competente sede giudiziaria con pienezza di contraddittorio e di difesa ..." e ancora nella stessa ordinanza "tali considerazioni consentono di superare le censure riferite alla dedotta violazione dell'art. 24 Cost. giacche' il terzo che ritiene che da un giudizio inter alios possano derivare pregiudizi alla propria posizione sostanziale ha, in alternativa all'intervento, la piena facolta' riproporre un autonomo giudizio oltre che di avversi dei rimedi di cui agli artt. 274, 344 e 404 c.p.c. .. (omissis); .... in questo contesto gli eventuali condizionamenti di ordine temporale alla proposizione dell'intervento (cfr. art. 419 c.p.c.) ovvero le preclusioni all'apporto probatorio a sostegno della relativa domanda si rivelano strumenti certamente razionali utilizzabili dal legislatore nella sua discrezionalita' per conseguire l'obiettivo di un ordinato svolgimento del giudizio...."». Per completezza si osserva che la ritenuta legittimita' costituzionale del secondo comma dell'art. 268 c.p.c. cosi' come interpretato dalla Corte di cassazione (vedi supra) non puo' far superare le forti e fondate perpiessita' che una parte della dottrina e della giurisprudenza di merito denunciano in merito alla discrasia di un sistema che ammette la proposizione di domande nuove da parte di terzi fmo a poco prima della conclusione del processo, ma non consente agli stessi terzi di provare i fatti che allegano a sostegno delle stesse. Discrasia che ancora una volta denuncia l'irragionevolezza dell'ammissibilita' dell'intervento fino alla precisazione delle conclusioni e che sarebbe superata se, come si chiede, l'intervento fosse ammesso solo fino all'udienza di trattazione, quando per tutte le parti e quindi anche per il terzo devono ancora decorrere i termini per proporre istanze istruttorie. Ancora: le riforme processuali, a partire dal 1990 in poi, hanno creato molteplici preclusioni, pure rispetto alla facolta' delle parti di chiamare in causa un terzo, e cio' all'evidente fine di dare al processo uno svolgimento ordinato e il piu' possibile rapido e concentrato, sicche' non si vede come il medesimo ordinamento, pena l'irragionevolezza del sistema, possa consentire ai terzi di intervenire nel processo con domande nuove, fino alla precisazione delle conclusioni. Ed infine: certa dottrina ha suggerito che, di fronte all'intervento di terzi, la ragionevole durata del processo puo' essere comunque salvaguardata dall'esistenza in capo al giudice, tutte le volte che la causa sia matura per la decisione o comunque l'intervento ritarderebbe o renderebbe piu' gravoso il processo, del potere di estromettere il terzo e disporre la separazione del giudizio a norma dell'art. 103, secondo comma c.p.c. Il suggerimento e' sorprendente: a che fine ammettere l'intervento per poi immediatamente dopo estromettere il terzo il cui intervento oltre certi limiti temporali, e in particolar modo se l'interveniente non incorre in decadenze istruttorie, per forza di cose ritarda e rende piu' gravoso il processo. A questo punto non resta che chiarire che il termine dell'udienza di trattazione, eventualmente anche rifissata ai sensi dell'art. 183, secondo comma, e' scelta obbligata in quanto essa e' il nuovo fulcro del processo civile e vi si giunge quando ancora amplissime sono per le parti le possibilita' di presentare domande nuove ed eccezioni conseguenza di domande ed eccezioni di altri, di dichiarare l'intenzione di chiamare in causa un terzo (chiamata cui le parti originarie hanno diritto conflgurandosi, nei confronti della domanda proposta contro di loro dal terzo, come convenute) e di chiedere i termini per precisare le domande ed eccezioni gia' proposte, per replicare alle domande nuove o modificate delle altre parti, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle stesse e per indicare i mezzi di prova e la prova contraria. In altre parole la prima udienza di trattazione ove tra l'altro il giudice compie tutte le attivita' di controllo della corretta instaurazione del contraddittorio e della regolarita' degli atti processuali si presenta senz'altro come l'ultimo termine utile per l'intervento di terzi senza che questo si riverberi negativamente sulle scansioni processuali facendo si' che il terzo intervenuto e le parti originarie possano utilizzare la stessa udienza e i successivi termini previsti dall'art. 183, sesto comma c.p.c. anche in relazione alle nuove domande introdotte dal terzo e alle nuove esigenze difensive, senza necessita' di fissare altre udienze non previste dalla legge o concedere termini per la difesa delle parti originarie ugualmente non previsti e comunque contrari al principio di ragionevole durata del processo civile. In questo senso una parte della piu' recente dottrina secondo cui «in generale il nuovo e assai piu' contratto impianto processuale in vigore a seguito della riforma del 2005 si armonizza meglio con una chiara saracinesca posta agli interventi ex art. 105 c.p.c. (cosi' come previsto per il rito del lavoro dall'art. 419 c.p.c. e per il rito societario dall'art. 14, decreto legislativo n. 5/2003) e in effetti su un versante contiguo costituira' ostacolo anche alla riunione dei processi connessi e affidera' pressoche' solo agli artt. 344 e 404 c.p.c. il compito di ridare evidenza e rilevanza processuale alle posizioni dei terzi titolari di pretese incompatibili oppure diritti e obblighi dipendenti». Tale «saracinesca» non puo' che essere individuata nella nuova e tendenzialmente unica udienza di trattazione, essendo termini anteriori a questa incompatibili con la sopravvivenza in concreto dell'istituto dell'intervento volontario, termini successivi incompatibili con la struttura del nuovo processo civile e con il principio di ragionevole durata del processo. B) nel caso in cui la Corte costituzionale dichiari inammissibile o non accolga la questione di legittimita' Costituzionale prospettata in via principale e ritenga conforme a Costituzione l'art. 268, primo comma c.p.c. ove ammette l'intervento principale e litisconsortile fino all'udienza di precisazione delle conclusioni si propone la seguente subordinata: come anticipato il problema che a questo punto si pone e' il diritto al contraddittorio delle parti originarie. La questione e' rilevante in quanto nel caso di specie una volta spirati i termini di cui al n. 2 del sesto comma dell'art. 183 c.p.c. mentre Apigi International si e' limitata a difendersi dalle pretese dei terzi intervenuti chiedendo solo il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti e solo all'udienza del 28 settembre 2007 ha chiesto di essere rimessa in termini senza neppure dichiarare a che fine, Baratto Spedizioni S.r.1. ha chiesto di essere rimessa in termini ex art. 184-bis c.p.c. al fine di consentirle la chiamata in causa di Apigi International S.a.s. formulando apposita domanda di manleva nei confronti di questa, di formulare mezzi istruttori a prova diretta anche nei confronti degli intervenuti e per precisare o modificare le domande ed eccezioni proposte. In particolare, prima ancora dei limiti probatori l'attrice non ha avuto la possibilita', perche' preclusa dalla fase processuale, di proporre le domande e le eccezioni conseguenza delle domande svolte dal terzo (salvo quanto dedotto ed eccepito con la memoria ex art. 183, sesto comma n. 3 e a verbale, ma con gli insuperabili limiti di ammissibilita' per intervenuta preclusione connessa alla fase processuale) ne' ha potuto precisare o modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni gia' proposte. La domanda proposta dal terzo come e' stato osservato in caso simile «ha chiaramente alterato l'impostazione originaria della causa che l'attore e il convenuto avevano impostato» generando per l'attore l'esigenza di effettuare nuove domande per contrastare la pretesa degli intervenuti. La questione e' altresi' non manifestamente infondata. Se da un lato si riconosce al terzo il potere di proporre, fino al momento della precisazione delle conclusioni, una domanda in un processo iniziato da altre parti dall'altro occorre, in forza del diritto costituzionale al contraddittorio, garantire alle altre parti meccanismi processuali che consentano loro di esercitare appieno il loro diritto di difesa in senso ampio riconoscendogli tutti gli strumenti che il processo civile attribuisce al convenuto. In altre parole se l'intervento e' ammissibile fino al momento della precisazione delle conclusioni cio' non deve trasformarsi per il terzo in un vero e proprio vantaggio processuale e ritorcersi contro il diritto di difesa delle parti originarie del processo che allo stato della legge appare eccessivamente compromesso. Il problema dei poteri delle parti originarie rispetto alle domande formulate dal terzo e' gia' stato esaminato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 193 del 1983: con quella sentenza la Corte aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 419 c.p.c. nella parte in cui ove un terzo spieghi intervento volontario non attribuisce al giudice il potere dovere di fissare, con il rispetto del termine di cui all'art. 415, quinto comma c.p.c., una nuova udienza non meno di dieci giorni prima della quale le parti originarie potranno depositare memoria e di disporre che entro cinque giorni siano notificati alle parti originarie il provvedimento di fissazione e la memoria dell'interveniente e che sia notificato a quest'ultimo il provvedimento di fissazione della nuova udienza. In quell'occasione la corte aveva operato un confronto tra l'art. 420, commi 9 e 10 e l'art. 419 c.p.c. osservando che «se si riflette sull'ampliatio della cognizione propria della originaria lite provocata (.... ) anche nelle aree in cui affondano le radici gli interventi volontari principale e adesivo autonomo nonche' dello stesso intervento adesivo dipendente, non si vede perche' il diritto di difesa delle parti originarie contro le quali si appuntano le pretese degli intervenienti volontari e dell'avversario del coadiuvato dell'interveniente adesivo dipendente devono essere garantite in guisa diversa e meno incisiva del modo con cui al legislatore e' parso giusto assicurarlo allorquando ha plasmato il nono e il decimo comma dell'art. 420 c.p.c.» (che disciplina la chiamata in causa a norma degli artt. 102, secondo comma 106 e 107 c.p.c.). Come appare evidente la decisione della Corte ha tenuto conto della particolare struttura del processo del lavoro ove l'udienza prevista dall'art. 420 c.p.c. e', o comunque potrebbe essere, l'unica e concludersi con la sentenza pronunciata al termine di essa. Alla stessa udienza devono tendenzialmente essere assunte le prove ed effettuata se possibile ogni altra attivita' propedeutica alla decisione. Per tale motivo ex art. 419 c.p.c. l'intervento e' ammesso fino al termine stabilito per la costituzione del convenuto, deve cioe' precedere l'udienza ex art. 420 c.p.c. in quanto a tale udienza occorre giungere a contraddittorio per cosi' dire «completo». Per lo stesso motivo la Corte con la sentenza 193 del 1983 ha stabilito che a seguito della costituzione del terzo interveniente le parti originarie dovevano essere messe in grado, sempre prima dell'udienza di discussione che andava opportunamente posticipata, di predisporre le loro difese con memorie da depositarsi non meno di dieci giorni prima della nuova data fissata per quell'udienza. Il processo civile ordinario pur se da ultimo sempre piu' contratto, prevede ancora una pluralita' di udienze che vanno dalla prima e, salve ipotesi specificamente disciplinate, unica udienza di trattazione, all'udienza di eventuale ammissione delle prove (che pur se non prevista espressamente dalla legge nella prassi va sostituendo la riserva per ammissione prove prevista dall'art. 183, settimo comma ultima parte per il caso in cui le parti abbiano chiesto i termini di cui al sesto comma), all'udienza per l'assunzione dei mezzi di prova ex art. 184, eventualmente preceduta o seguita dall'udienza per la conciliazione delle parti ex art. 185 c.p.c. Si tratta quindi di individuare quale momento processuale e' idoneo a garantire il contraddittorio delle parti originarie nei confronti del terzo intervenuto per concludere che se l'intervento viene dispiegato dopo tale momento il processo deve retrocedere fino ad esso per consentire alle parti originarie di dispiegare le loro difese. Orbene tale momento non puo' che essere di nuovo individuato nell'udienza di trattazione del nuovo art. 183 c.p.c. con il ripristino per tutte le parti di ogni corrispondente potere. Sara' cosi' consentito innanzitutto al giudice di effettuare tutti I controlli previsti dall'art. 183, primo comma in quanto compatibili con la particolarita' del caso (e ad esempio lo sono i controlli sulla validita' dell'atto di intervento e sul difetto di rappresentanza e autorizzazione), fissando eventualmente nuova udienza di trattazione. Sara' consentito al giudice di tentare nuovamente la conciliazione della lite. Sara' consentito infine allo stesso di esercitare, anche nei confronti dell'interveniente tutti i poteri di cui al quarto comma. Quanto alle parti originarie potranno: proporre le domande (anche riconvenzionali) e le eccezioni che sono conseguenza delle domande proposte dall'intervenuto; potranno dichiarare di voler chiamare un terzo in causa e ottenere uno spostamento dell'udienza di trattazione ai sensi dell'art. 269 terzo comma; potranno infine precisare e modificare le domande e eccezioni e le conclusioni gia' formulate. Tutti potranno chiedere al giudice i termini di cui all'art. 183 sesto comma c.p.c.: come e' noto la concessione di tali termini da' alle parti ulteriori ampie possibilita' di contraddittorio soprattutto ove si interpreti la lettera della legge tenendo conto della peculiarita' della situazione che si verifica con l'intervento del terzo. Infine tutte le parti potranno articolare i mezzi di prova diretta e contraria in ordine ad un tema processuale regolarmente cristallizzatosi nel contraddittorio delle parti. In conclusione appare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 268, primo comma c.p.c. per violazione dell'art. 24 e dell'art. 111, secondo comma Cost. che prevede che il processo si svolge nel contraddittorio tra le parti in condizioni di parita', nella parte in cui non attribuisce al giudice in caso di intervento volontario o litisconsortile il potere-dovere di fissare, alla prima udienza successiva all'intervento del terzo, una nuova udienza di trattazione nel corso della quale le parti potranno esercitare tutti i poteri previsti dall'art. 183 c.p.c. La questione appare non manifestamente infondata anche con riferimento a due eccezioni che potrebbero essere proposte in questa sede. La prima e' relativa alla ritenuta possibilita' per il giudice avanti al quale e' stato spiegato l'intervento di fissare di sua iniziativa altra udienza. Tale eccezione non merita accoglimento perche' come gia' osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 193/1983 «le ipotesi di fissazione di altra udienza sono tassative anche nel rito civile e la sequenza delle udienze e' scandita in maniera precisa dal codice di rito e al diritto di difesa dell'interveniente e delle altre parti originarie non puo' sopperirsi con le normali tecniche applicative delle norme ordinarie o peggio con la violazione delle stesse». La seconda e' relativa all'applicabilita', al caso che ci occupa, dell'istituto della rimessione in termini. A tal proposito si osserva che l'istituto in questione previsto dall'art. 184-bis c.p.c. non pare applicabile non tanto per quanto afferma la Corte di cassazione - secondo cui l'istituto de quo riguarda le sole ipotesi in cui le parti costituite siano decadute dal potere di compiere determinate attivita' difensive nell'ambito della trattazione della causa e non e' utilizzabile per le situazioni esterne allo svolgimento del giudizio per le quali vige la regola dell'improrogabilita' dei termini perentori che impedisce di utilizzare l'istituto stesso anche per le decadenze relative al compimento del termine perentorio per instaurare il giudizio (vedi ad es. Cass. n. 10094/1997 e Cass. 12935/2000) -, in quanto nel caso di intervento di terzi si discute proprio di decadenza dai poteri processuali in cui siano incorse le parti in relazione alla trattazione della causa; quanto piuttosto per la portata dell'istituto che si evince dalla stessa lettera dell'art. 184-bis c.p.c. ove si parla di «decadenze in cui e' incorsa la parte per causa ad essa non imputabile», mentre nel caso di specie la parte non e' incorsa in nessuna decadenza nei confronti del terzo interveniente, non avendo mai potuto disporre di termini per difendersi da esso per l'ovvio motivo che prima dell'intervento il terzo non era parte in causa. Sicche' l'esigenza di difesa sorge per la prima volta ex novo dopo l'intervento del terzo, quando la parte e' incorsa in preclusioni legate non certo al fatto che le parti originarie hanno seppur incolpevolmente lasciato decorrere dei termini rimanendo inerti, ma alla stessa struttura dell'attuale processo civile. Se poi si volesse accedere ad un'interpretazione estensiva dell'istituto in questione come strumento utilizzabile per rimediare non solo a decadenze derivanti da impedimenti di natura strettamente materiale o comunque obiettiva, ma anche per ammettere i nova che comunque possano reputarsi giustificati da eventi o da esigenze difensive realmente sopravvenute, dovra' comunque prendersi atto che una cosa e' la mera concessione di termini per il deposito di memorie difensive in senso lato, cosa ben diversa e' la fissazione di una nuova udienza con il piu' ampio sviluppo della trattazione da essa consentito, con sviluppo della dialettica, non solo tra le parti ma tra le parti e il giudice istruttore. Senza contare che l'individuazione di un momento processuale cui far regredire la causa in caso di intervento tardivo di terzo consente di individuare altresi' con precisione i poteri delle varie parti in causa, mentre la concessione della rimessione in termini lascia eccessiva discrezionalita' al giudice nell'individuazione e scansione dei termini stessi e dei poteri che in essi possono essere esercitati (e cio' proprio perche' la legge non prevede i termini e i poteri cui le parti hanno diritto in caso di intervento di terzo).
P. Q. M. Visti gli artt. 23 e ss., legge n. 87/1953; Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 268, primo comma c.p.c. nella parte in cui ammette che l'intervento principale o litisconsortile previsto dall'art. 105, primo comma c.p.c. possa avere luogo fmo a che non vengano precisate le conclusioni anziche' fino all'udienza di trattazione prevista dall'art. 183 c.p.c., per violazione del principio di ragionevole durata del processo previsto dalla nuova formulazione dell'art. 111, secondo comma ultima parte della Costituzione e del principio di ragionevolezza previsto dall'art. 3 Cost.; In subordine, per il caso di dichiarazione di inammissibilita' o di rigetto della principale, ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 268, primo comma c.p.c. per violazione dell'art. 24 e dell'art. 111, secondo comma Cost. parte prima, nella parte in cui non attribuisce al giudice in caso di intervento volontario o litisconsortile il potere dovere di fissare, alla prima udienza successiva all'intervento del terzo, una nuova udienza di trattazione nel corso della quale le parti possano esercitare tutti i poteri previsti dall'art. 183 c.p.c.; Sospende il processo; Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica; Dispone la trasmissione degli atti del procedimento e della presente ordinanza alla Corte costituzionale. La cancelleria curera' tali adempimenti. Pordenone, addi' 26 novembre 2007 Il giudice: Dragotto