N. 9 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 28 giugno 2007- 3 marzo 2008
Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello stato (merito) depositato in cancelleria il 3 marzo 2008 (della Camera dei deputati) Reati ministeriali - Provvedimento del Tribunale dei Ministri di Firenze in data 31 marzo - 4 aprile 2005, emesso nel procedimento penale a carico del Ministro Altero Matteoli per il reato di favoreggiamento, avente ad oggetto la dichiarazione della propria incompetenza funzionale, in conseguenza della ritenuta natura comune e non ministeriale del reato contestato, e la trasmissione degli atti alla Procura del Tribunale territorialmente competente - Provvedimento del Tribunale di Livorno, Sezione di Cecina, in composizione monocratica, di reiezione della richiesta formulata dal difensore dell'imputato di rinvio del procedimento penale per consentire al Parlamento una preliminare valutazione dei fatti contestati all'ex ministro Matteoli - Ricorso per conflitto tra poteri sollevato dalla Camera dei deputati - Denunciata violazione delle guarantigie costituzionali per i reati ministeriali - Richiesta alla Corte di dichiarare la non spettanza al Tribunale dei Ministri di Firenze di trasferire al giudice penale competente per territorio il procedimento instaurato ai sensi dell'art. 96 Cost., senza aver prima richiesto l'autorizzazione camerale e, comunque, senza aver previamente trasmesso alla Camera dei deputati gli atti del procedimento medesimo in modo da consentirle di valutare la sussistenza dei presupposti per l'attivazione delle guarantigie di cui trattasi, nonche' la non spettanza al Tribunale di Livorno, Sezione distaccata di Cecina, di proseguire il giudizio, non ritenendo necessario richiedere l'autorizzazione a procedere della Camera dei deputati - Conseguente richiesta di annullamento degli atti stessi - Richiesta alla Corte, ove escluda la possibilita' di interpretazione dell'art. 2, comma 1, della legge n. 219/1989, nel senso della necessita' di investire la Camera di appartenenza della valutazione circa la natura non ministeriale del reato ascritto, di sollevare dinanzi a se' stessa questione di legittimita' costituzionale della norma stessa in relazione all'art. 96 Cost. e agli artt. 8 e 9 della legge costituzionale n. 1/1989. - Provvedimento del Tribunale dei Ministri di Firenze 4 aprile 2005; Provvedimento del Tribunale di Livorno - Sez. distaccata di Cecina 4 dicembre 2006. - Costituzione, art. 96; legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, art. 8, comma 1.(GU n.14 del 26-3-2008 )
Ricorso della Camera dei deputati, in persona del Presidente Fausto Bertinotti, come da deliberazioni dell'Ufficio di Presidenza n. 65/2007 in data 16 maggio 2007 e dell'Assemblea della Camera dei deputati in data 16 maggio 2007, rappresentato e difeso, in virtu' di procura ad litem per notar Paolo Silvestro, in Roma, rep. n. 82991 del 25 giugno 2007, dall'avv. prof. Roberto Nania, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via Carlo Poma n. 2, nei confronti del Tribunale dei Ministri di Firenze; del Tribunale di Livorno, Sezione distaccata di Cecina, in relazione: al provvedimento in data 31 marzo - 4 aprile 2005, intestato Tribunale dei Ministri di Firenze, con cui il predetto Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Firenze, nell'ambito del procedimento iscritto al n. 12976/04 R.G.N.R.N. (N. 01/05 R.G. Tribunale dei ministri di Firenze) pendente a carico dell'allora Ministro Altero Matteoli, il quale all'epoca ricopriva la carica di membro della Camera dei deputati, ha disposto - in forza dell'art. 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989 - una volta accertata la propria incompetenza funzionale a giudicare dei reati a quest'ultimo contestati in quanto ritenuti non ministeriali, la diretta trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il tribunale competente, senza che venisse preventivamente richiesta alla Camera dei deputati l'autorizzazione di cui all'art. 96, Cost. nonche' all'art. 8, comma 1, legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1; al provvedimento in data 4 dicembre 2006 con cui il Tribunale di Livorno, Sezione distaccata di Cecina, in composizione monocratica, ha ribadito, nell'ambito della prosecuzione del medesimo procedimento penale nei confronti del deputato Altero Matteoli (n. 7256/06 R.G. dib. - 2114/05 R.G.N.R.) - sempre in forza della predetta disposizione legislativa - la non operativita' nel caso di specie dell'obbligo di avanzare richiesta alla Camera competente dell'autorizzazione a procedere di cui sopra, non essendo previsto che la Camera stessa debba comunque interloquire nel procedimento in questione. F a t t o Nel corso delle indagini relative ad un procedimento penale nei confronti di un magistrato del Tribunale di Livorno e dell'allora Prefetto di Livorno, la Procura della Repubblica di Genova - ravvisando ipotesi di reati commessi da un Ministro - inviava la relativa notitia criminis alla Procura di Firenze, ritenuta competente per territorio. La Procura della Repubblica di Firenze, previa formulazione dei capi d'imputazione, trasmetteva gli atti al Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Firenze (cosiddetto Tribunale dei ministri), davanti al quale veniva incardinato il procedimento iscritto al n. 12976/04 R.G.N.R.N. (N. 01/05 R.G. - Tribunale dei ministri), a carico dell'on. Matteoli, all'epoca dei fatti Ministro dell'ambiente, per le ipotesi di reato di favoreggiamento e rivelazione di segreto d'ufficio. All'esito delle indagini espletate, il Tribunale dei ministri di Firenze riteneva che i reati ipotizzati a carico dell'on. Matteoli non potessero qualificarsi come reati ministeriali, trattandosi di fatti non connessi, se non per mero rapporto di occasionalita', con la carica istituzionalmente ricoperta. Sicche', con provvedimento in data 31 marzo - 4 aprile 2005, il Tribunale dei ministri dichiarava la propria incompetenza funzionale e ordinava contestualmente la trasmissione degli atti alla procura competente - individuata nella Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pisa - affinche' proseguisse il giudizio secondo il rito ordinario. Riteneva infatti che, una volta appurata detta incompetenza funzionale, ne derivasse «l'applicabilita' delle ordinarie regole di procedura penale cosi' come disposto dall'art. 2, comma 1, ultima parte, della legge n. 219/1989». La Procura di Pisa trasmetteva a sua volta gli atti alla Procura di Livorno, ritenuta competente per territorio, la quale - a seguito di parziale rigetto della richiesta di archiviazione da parte dell'ordinanza del g.i.p. in data 19 aprile 2006 - disponeva il rinvio a giudizio con riferimento alla sola ipotesi di reato di favoreggiamento. Nel corso del processo, con ordinanza assunta nell'udienza del 4 dicembre 2006, il Tribunale di Livorno dichiarava di condividere le argomentazioni in base alle quali il predetto Collegio di Firenze era pervenuto ad escludere la natura ministeriale delle ipotesi di reato di cui trattasi. Inoltre, il Tribunale di Livorno escludeva che - prima di disporre la prosecuzione del giudizio presso l'autorita' ordinaria competente - il Collegio per i reati ministeriali di Firenze avesse l'obbligo di inviare, ai sensi dell'art. 8 della legge costituzionale n. 1/1989, gli atti al Procuratore della Repubblica per la loro immediata trasmissione al Presidente della Camera competente ex art. 5, della stessa legge. Osservava difatti che - alla stregua dell'art. 2, comma 1, della legge n. 219/1989 - una volta ritenuta la non ministerialita' dei fatti contestati, la legge imponesse al Tribunale dei ministri soltanto l'obbligo di trasmettere gli atti all'autorita' giudiziaria competente a conoscere il diverso reato. Interpretazione questa che, secondo il Tribunale di Livorno, non si porrebbe in contrasto con la legge costituzionale n. 1/1989, in quanto la legge ordinaria si limiterebbe a disciplinare una ipotesi non prevista dalla menzionata legge costituzionale (quella appunto della ritenuta non ministerialita' del reato) ed a fronte della quale non potrebbe operare, per espressa volonta' legislativa, l'obbligo di trasmissione alla Camera di cui si e' detto. Con le richiamate statuizioni, l'autorita' giudiziaria, e per essa il Tribunale dei ministri di Firenze nonche' il Tribunale penale di Livorno (innanzi al quale e' tutt'ora pendente il giudizio di cui trattasi), ha posto in essere una convergente applicazione della legge n. 219/1989, che tuttavia - attese le serie censure di incostituzionalita' che possono investire la legge di cui e' stata fatta applicazione in parte qua, come in prosieguo si dimostrera' - risulta conseguentemente lesiva delle attribuzioni costituzionali della ricorrente Camera dei deputati, per i seguenti motivi di D i r i t t o Per la migliore intelligenza dei termini del presente ricorso per conflitto di attribuzione, e' bene anticipare subito che la Camera dei deputati prospetta in questa sede una lesione delle proprie attribuzioni derivante dall'applicazione, cui hanno proceduto gli atti in epigrafe, dell'art. 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989. Disposizione quest'ultima suscettibile, secondo la Camera ricorrente, di dar luogo appunto ad applicazioni lesive delle proprie prerogative, la' dove stabilisce che il Collegio «dispone l'archiviazione ... se il fatto integra un reato diverso da quelli indicati nell'art. 96 della Costituzione; in tale ultima ipotesi il collegio dispone altresi' la trasmissione degli atti alla autorita' giudiziaria competente a conoscere del diverso reato»; ma senza prescrivere che anche in detta ipotesi si debba comunque richiedere l'autorizzazione a procedere alla Camera competente. Sulla ammissibilita' del ricorso 1. - Giova preliminarmente osservare che nella specie sussistono i requisiti richiesti ai fini della ammissibilita' del presente ricorso per conflitto di attribuzione. In punto di legittimazione attiva, e' appena da precisare che secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale la Camera dei deputati, in quanto abilitata ad esprimere in via definitiva la volonta' del potere che essa rappresenta, e' facoltizzata a sollevare conflitto di attribuzione mediante il quale deduca la lesione delle proprie prerogative costituzionali (cfr., tra le altre, le sentenze nn. 225/2001; 263/2003; 284/2004; 451/2005) ed e' legittimata, segnatamente, ad essere parte nell'ambito di giudizi riguardanti le prerogative di cui all'art. 96, Cost. (cfr. l'ordinanza n. 217/1994 e la sentenza n. 403/1994). In ordine alla legittimazione passiva degli organi giurisdizionali indicati in epigrafe, giova rammentare che la gia' richiamata giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto «la legittimazione degli organi giudiziari che hanno adottato i provvedimenti in relazione ai quali e' promosso il conflitto di attribuzione a essere parti del medesimo, poiche', come ripetutamente affermato da questa Corte (da ultimo, ordinanze n. 84, n. 37 e n. 6 del 2002), i singoli organi giurisdizionali sono legittimati, nell'esercizio della funzione a essi assegnata dalla Costituzione ed esercitata in piena indipendenza, a essere parti nei conflitti costituzionali in questione» (cosi' l'ordinanza n. 126/2002). E' da evidenziare che tale ratio decidendi, e' stata applicata dalla Corte proprio con specifico riferimento al Collegio per i reati ministeriali in quanto «abilitato ad esercitare, nella materia, attribuzioni proprie ad esso conferite da norme di rango costituzionale» (cfr. l'ord. n. 217/1994, cit.). Quanto ai requisiti oggettivi del conflitto di attribuzione, nessun dubbio puo' esservi sulla loro sussistenza. E' noto che il conflitto risolvibile ai sensi degli articoli 134, Cost., e 37, legge n. 87/1953, si configura quando - sia sotto forma di vindicatio potestatis, sia sotto forma di conflitto da menomazione o da interferenza - si controverta in ordine alla delimitazione della sfera delle attribuzioni costituzionali di cui sono titolati i poteri dello Stato. Ora, che nella specie la controversia presenti siffatta natura risulta di immediata evidenza, chiedendosi alla Corte di stabilire se mediante i provvedimenti giurisdizionali di cui si tratta, pur adottati in applicazione di una disposizione di legge incidente sulla materia della guarentigia di cui all'art. 96, Cost., non risultino menomate le attribuzioni della Camera, attesa la incostituzionalita' dell'art. 2, comma 1, della legge n. 219/1989, per violazione delle disposizioni di rango costituzionale che attribuiscono alla Camera competenze in materia: e cio' con particolare riguardo, come sara' ulteriormente dimostrato nella parte sul merito del conflitto, alla competenza rimessa alla Camera stessa di verificare la sussistenza nel caso di specie - e quindi anche in caso di archiviazione per ritenuta non ministerialita' del reato - dei presupposti prefigurati dall'art. 96, Cost. (ossia che si tratti di «reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni» da parte dei Ministri) nonche' ad adottare se del caso le ulteriori valutazioni di cui all'art. 9, comma 3, legge cost. n. 1/ 1989 (ossia che «l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di Governo»). Quanto all'interesse specifico della Camera dei deputati a proporre il presente ricorso per conflitto di attribuzioni, giova sin d'ora osservare che la prosecuzione del giudizio penale nei termini sopra descritti ha leso la prerogativa di cui la Camera dei deputati era titolare all'epoca dell'omissivo comportamento dell'autorita' giudiziaria. Ne' potrebbe avere alcuna influenza il successivo mutamento della Camera di appartenenza da parte del Ministro in questione, posto che l'art. 96, Cost., radica a tal fine la competenza nell'Organo parlamentare di appartenenza avendo riguardo al momento dell'esercizio delle funzioni ministeriali da parte dell'inquisito; sicche' non puo' qui operare la competenza del Senato della Repubblica (art. 5, seconda parte, della legge cost. n. 1/1989) la quale muove dal diverso presupposto che il ministro interessato non abbia mai rivestito la carica di parlamentare. Merita aggiungersi che il procedimento che ha portato alla determinazione della Camera di elevare il presente conflitto ha preso l'avvio sin dalla precedente legislatura, ossia quando l'ex ministro ricopriva la carica di deputato ed al contempo esercitava le funzioni ministeriali (cfr. resoconto della seduta della Giunta per le autorizzazioni in data 27 aprile 2005). Tale impostazione e' peraltro coerente con la ratio che informa il sistema delle prerogative di carattere «funzionale» - a cominciare dalla guarentigia della insindacabilita' di cui all'art. 68, primo comma, Cost. - rispetto alle quali i poteri connessi all'esercizio della prerogativa spettano sempre alla Camera cui il soggetto interessato appartenga al momento del fatto, essendo irrilevante la posizione che quest'ultimo ricopre nel momento in cui e' chiamato in giudizio (cfr. sent. Corte cost. nn. 252/1999 e 154/2004). Su questa linea d'altronde si e' mossa la stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 403/1994, quando ha riconosciuto la perdurante legittimazione soggettiva della Camera dei deputati in un conflitto riguardante l'autorizzazione a procedere nonostante il ministro indagato avesse perduta la posizione di parlamentare. Ne' puo' essere omessa la sentenza n. 154 del 2004, dove si e' riconosciuta la legittimazione al conflitto di un ex Presidente della Repubblica, proprio assumendo, a parte le ulteriori particolarita' della fattispecie, il carattere funzionale della prerogativa dell'immunita' presidenziale, con la conseguente perduranza della possibilita' di far valere la lesione prodottasi durante la pendenza dell'esercizio delle funzioni presidenziali. Diversamente opinando, del resto, la lesione prodottasi sarebbe destinata a rimanere priva di tutela, essendo soltanto la Camera dei deputati, in capo alla quale la lesione stessa si e' consumata, ad essere legittimata a dolersene sotto il profilo qui considerato. Resta poi ferma l'ammissibilita' del conflitto a fronte della circostanza - evidenziata fin dalla parte introduttiva - che nell'ambito del conflitto stesso viene proposta questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, ultima parte, della legge n. 219/1989. E' invero da rammentare al riguardo che il conflitto di attribuzioni e' preordinato alla garanzia della integrita' «della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali» (art. 37, legge n. 87/1953), a prescindere dalla «natura degli atti da cui possa derivare la lesione all'anzidetta "sfera di attribuzioni"», specie considerando che «il giudizio per conflitto di attribuzioni non e' giudizio sulla legittimita' di atti (anche se, a seconda dell'esito del giudizio stesso, puo' conseguire l'annullamento dell'atto lesivo) ma e' garanzia dell'ordine costituzionale delle competenze» (cosi', la sentenza n. 457/1999). Dal che discende che l'impugnazione di atti mediante conflitto di attribuzione potrebbe anche riguardare in via diretta provvedimenti legislativi, quando il Potere interessato non abbia la facolta' - come nella specie certamente non l'avrebbe la Camera ricorrente - di far valere l'illegittimita' costituzionale della legge sotto alcuna delle modalita' previste dal nostro ordinamento in vista dell'accesso al relativo giudizio davanti alla Corte costituzionale (cfr. ancora la sentenza n. 457/1999; nonche' la sentenza n. 139/2001, dove, tenendosi fermo l'assunto di cui sopra, una parziale inammissibilita' del ricorso ha riguardato le sole censure di illegittimita' non suscettibili di ridondare «di per se' in lesione delle attribuzioni» del potere ricorrente). Nel medesimo senso depone inoltre la circostanza - deducibile dalla giurisprudenza della Corte - che alla Camera sarebbe precluso anche l'intervento nell'eventuale giudizio incidentale in quanto estranea al giudizio a quo, pur quando si verta su norme che ne definiscano attribuzioni «ancorche' ricollegabili, in tesi, a previsioni di rango costituzionale; attribuzioni alla cui tutela e' invero predisposto il distinto strumento del conflitto» (sentenza n. 163/2005). Fermo quanto appena osservato, e' da dire che tanto piu' certa risulta l'ammissibilita' del conflitto laddove esso, come nella specie, venga elevato a fronte di specifici provvedimenti giudiziari rispetto ai quali sia logicamente pregiudiziale la risoluzione della questione di costituzionalita' della legge che ne costituisce la base legale, beninteso sotto il profilo strettamente inerente alla dedotta lesione delle competenze costituzionali della ricorrente. Che sia cosi' e' comprovato dal fatto che la Corte costituzionale, quando e' stata chiamata a risolvere conflitti in relazione ad atti emanati in applicazione di norme sospettate di incostituzionalita', non ha mai esitato, accertatane la rilevanza, a sollevare - anche d'ufficio - la relativa questione di legittimita' costituzionale innanzi a se' medesima, sospendendo il giudizio per conflitto in attesa della risoluzione di detta questione pregiudiziale (cfr. ordinanza n. 44/1978, sentenza n. 68/1978, sentenza n. 69/1978; e cio' anche nei conflitti tra enti, cfr. ordinanza n. 42/2001 e sentenza n. 288/2001). Sul merito 2. - Venendo adesso al merito, si e' gia' avuto modo di rammentare che il Tribunale dei ministri di Firenze - archiviando il procedimento innanzi a se' - ha dichiarato la propria incompetenza funzionale a «delibare il fumus della fondatezza della accusa» in quanto, a suo avviso, i reati contestati all'ex ministro non avrebbero «alcun rapporto - se non di mera occasionalita' - con la sua carica istituzionale» (provvedimento 31 marzo - 4 aprile 2005, pag. 6). Di conseguenza, facendo applicazione dell'art. 2, comma 1, ultima parte della legge n. 219/1989, il predetto Tribunale ha trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica presso il tribunale ritenuto competente per territorio (inizialmente individuato nel Tribunale di Pisa). Di talche' la predetta autorita' giudiziaria ha ritenuto di non dover previamente richiedere l'autorizzazione a procedere da parte della Camera dei deputati ai sensi dell'art. 96, Cost., e art. 8 legge cost., n.1/1989. Convergente valutazione e' stata espressa dal Tribunale di Livorno (dichiaratosi effettivamente competente per territorio a seguito di ricevimento del fascicolo da parte della Procura di Pisa), il quale ha peraltro esplicitamente affermato come nella specie non fosse necessaria l'autorizzazione camerale «per procedere con riferimento al reato non ministeriale» (ord. cit., in data 4 dicembre 2006, pag. 2). Come si vede, il modus procedendi dell'autorita' giudiziaria e' basato sul presupposto che ai sensi della normativa vigente non sussiste a carico della medesima autorita' giudiziaria l'obbligo di trasmettere gli atti alla Camera onde consentirle di esercitare le proprie competenze al riguardo. Per cui, ai fini della soluzione del presente conflitto, risulta pregiudiziale che venga accertata la incostituzionalita' della legge n. 219/1989, e segnatamente dell'art. 2, comma 1, ultima parte, in quanto idonea a determinare la lesione delle prerogative che sono costituzionalmente assegnate alla Camera ricorrente mediante gli atti che, come nella specie, vi diano applicazione. A) E' da ricordare che l'art. 96, Cost., nel testo novellato dall'art. 1 della legge cost. n. 1/1989, stabilisce che i ministri, anche se cessati dalla carica, «sono sottoposti, per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale». Tali norme di attuazione - che l'art. 96 vuole siano di rango costituzionale - sono state introdotte dai successivi articoli della stessa legge cost. n. 1/1989, cit., che hanno disciplinato le modalita' di esercizio della menzionata guarentigia. In particolare, l'art. 9, comma 3, della legge citata, stabilisce che la Camera competente, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, puo' «negare l'autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione insindacabile, che l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di Governo». Come si sa, la competenza dell'Organo parlamentare a conoscere dei reati ministeriali al fine di individuare - escludendone l'antigiuridicita' - quelli che siano preordinati alla tutela di interessi di rilievo costituzionale o di preminenti interessi pubblici, rappresenta il definitivo superamento dell'ormai obsoleto ruolo accusatorio originariamente appartenuto al Parlamento. Ruolo accusatorio, risalente nella nostra esperienza costituzionale all'ordinamento statutario (che riconosceva la prerogativa di accusare i ministri del Re quale «diritto» della Camera dei deputati; cfr. l'art. 47, Statuto), fatto proprio dalla precedente formulazione dell'art. 96, Cost., a mente della quale i ministri potevano essere posti «in stato d'accusa dal Parlamento in seduta comune, per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni». Invero, anche il mutamento dei rapporti fra i poteri dello Stato - e segnatamente dei rapporti fra Parlamento e Governo - ha spinto il legislatore costituzionale ad innovare l'istituto in questione convertendolo da anomalo strumento preordinato a far valere la responsabilita' del Governo innanzi alle Camere rappresentative, in istituto posto a garanzia del corretto funzionamento del sistema democratico-parlamentare e della integrita' delle funzioni dell'organo esecutivo e dei suoi componenti (art. 94 ss., Cost.). In ragione del profondo mutamento dell'istituto sopra descritto, l'art. 8 della menzionata legge cost. n. 1/1989, al fine di rendere concretamente operante detta prerogativa, prevede che - prima dell'esercizio dell'azione penale - le ipotesi di reato di cui all'art. 96, Cost., vengano sottoposte ad un duplice vaglio: una prima valutazione, in ordine alla meritevolezza circa la prosecuzione del procedimento, e' assegnata ad un Collegio specializzato in materia di reati ministeriali (il cosiddetto Tribunale dei ministri); una seconda valutazione, riguardante l'esistenza dei presupposti per l'attivazione della relativa guarentigia, spetta invece alla Camera competente. La legge costituzionale stabilisce infatti che il procuratore della Repubblica trasmetta tutte le denunzie concernenti i reati di cui all'art. 96, Cost., al Collegio per i reati ministeriali il quale «se non ritiene che si debba disporre l'archiviazione, trasmette gli atti con relazione motivata al Procuratore della Repubblica per la loro immediata rimessione al Presidente della Camera competente ai sensi dell'art. 5» (art. 8, comma 1). Mentre, «in caso diverso, il collegio, sentito il pubblico ministero, dispone l'archiviazione con decreto non impugnabile» (art. 8, comma 2). La ratio della ineludibile alternativa di fronte alla quale la legge costituzionale pone il Collegio per i reati ministeriali appare chiara. A meno che il processo penale non sia destinato ad arrestarsi in via definitiva a seguito della palese infondatezza della notizia di reato (ovvero delle ulteriori ipotesi che ne determinano l'immediata conclusione), la Camera interessata deve essere messa nelle condizioni di avere adeguata cognizione delle imputazioni a carico dei membri del Governo, al fine di esprimere le valutazioni di propria spettanza: pronunziarsi anzitutto in ordine alla ministerialita' dell'ipotesi di reato ed in via logicamente successiva in ordine alle motivazioni e alle finalita' cui sia eventualmente preordinato l'ipotetico illecito ministeriale. Basti dire, a conferma di quanto postulato in ordine alla indispensabilita' di siffatto passaggio parlamentare in cui si esprime l'esigenza di cognizione da parte della Camera di appartenenza della vicenda penale riguardante un ministro, che il medesimo articolo in esame dispone che l'obbligo di informativa nei confronti dell'organo parlamentare grava sull'autorita' giudiziaria anche nell'ipotesi della definitiva archiviazione non accompagnata da alcuna ulteriore disposizione relativa alla translatio judicii (art. 8, comma 4, legge cost. n. 1/1989). B) Quanto svolto trova ulteriore riprova nel fatto che la legge costituzionale n. 1/1989 tipizza una rigorosa cadenza procedimentale, la quale scaturisce dalla formulazione dell'imputazione da parte del Procuratore della Repubblica ed e' destinata a concludersi - ove la competente autorita' giudiziaria ritenga il giudizio meritevole di prosecuzione - con la concessione o la negazione dell'autorizzazione a procedere da parte della Camera competente. A tale scopo, la richiamata legge costituzionale ha cura di fissare anche i termini che ogni singola fase del procedimento deve rispettare: e' difatti previsto che, ove riceva la notizia di reato rispetto alla quale ravvisi un fumus di ministerialita', il Procuratore della Repubblica - omessa ogni indagine - debba trasmettere, entro quindici giorni, gli atti al Tribunale dei ministri, informando gli interessati (art. 6, comma 2, legge cost., n. 1/1989); ricevuti gli atti, il Collegio del tribunale ha a disposizione novanta giorni per pronunziarsi sull'archiviazione che e' disposta con decreto non impugnabile, sentito il pubblico ministero (art. 8, commi 1 e 2); il procuratore della Repubblica puo' richiedere lo svolgimento di ulteriori indagini, da compiersi entro il termine di ulteriori sessanta giorni (art. 8, comma 3). E' ancora previsto che, entro il medesimo termine (novanta o centocinquanta giorni), il Collegio - ove disponga la prosecuzione del giudizio - debba trasmettere nuovamente gli atti al Procuratore per la loro «immediata remissione» alla Camera competente (art. 8, comma 1), il cui Presidente invia «immediatamente» gli atti ricevuti alla Giunta per le autorizzazioni a procedere (art. 9, comma 1), di modo che quest'ultima possa predisporre una relazione scritta per relazionare l'Assemblea (art. 9, comma 2). L'Assemblea, in ogni caso, deve riunirsi entro sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte del Presidente per concedere o negare l'autorizzazione (art. 9, comma 3), salva l'ipotesi di propria incompetenza (art. 18-ter, reg. Camera, e art. 135-bis, reg. Senato). E' infine stabilito che l'Assemblea, in caso di prosecuzione del giudizio, rimetta gli atti al Collegio perche' il procedimento continui secondo le norme vigenti (art. 9, comma 4). C) Come si vede, l'iniziale valutazione del procuratore, cui spetta pronunziarsi in merito alla connessione del fatto reato con la funzione ministeriale (cfr. Cass. pen., sez. VI, n. 8854 del 20 maggio 1998), condiziona la successiva fase d'indagine che viene conseguentemente ad essere irreggimentata nell'ambito del quel peculiare procedimento prefigurato dalla legge cost. n. 1/1989; procedimento, che - una volta fissato il capo di imputazione sulla cui base viene individuata la competenza del Tribunale dei ministri (cfr., Cass. pen., sez. I, n. 5581 del 1° novembre 1995, ove si afferma, sottolineando in tal modo la portata vincolante della imputazione, che detta competenza non puo' estendersi ad ulteriori ipotesi non previste nell'imputazione stessa) - non puo' piu' transitare al giudice penale ordinario senza il previo passaggio per la via parlamentare. Ne' puo' accadere diversamente la' dove il Tribunale dei ministri intenda tornare, qualora cio' si renda possibile, sulla iniziale qualificazione del fatto ad opera della stessa autorita' giudiziaria, ipotizzando la sussistenza di reati cosi' detti «comuni», ossia di competenza della magistratura ordinaria. Come si e' visto, infatti, la richiesta di autorizzazione a procedere - non implicando peraltro una valutazione nel merito delle accuse (Cass. pen., sez. VI, n. 706 del 19 febbraio 1997) - si configura esclusivamente come alternativa procedurale alla decisione di archiviazione, e deve quindi essere disposta in ragione dell'unica circostanza che il Tribunale dei ministri ritenga il procedimento meritevole di prosecuzione, e senza che possa rilevare di fronte a quale autorita' giudiziaria debba svolgersi la fase successiva del giudizio. Tanto piu' che, a seguito della decisione n. 134/2002 di codesta Corte, successivamente all'autorizzazione camerale, non e' dato distinguere fra ipotesi di competenza del Tribunale dei ministri e ipotesi di competenza del giudice ordinario, essendo soltanto quest'ultimo ad essere sempre e comunque investito, «secondo le norme vigenti», del prosieguo del giudizio nella fase successiva alle indagini (art. 9, comma 4, legge cost., n. 1/1989; cfr., in senso conforme, l'art. 3, comma 1, della legge n. 219/1989). In conclusione, anche ad ammettere la possibilita' della riqualificazione dell'ipotesi di reato da parte del Tribunale per i ministri, l'Organo parlamentare mantiene intatta la prerogativa di essere destinatario della richiesta di autorizzazione per il solo fatto che il procedimento e' destinato a proseguire oltre la fase dell'indagine sommaria, e cio' al fine di concorrere alla verifica circa la sussistenza dei presupposti del reato ministeriale, se del caso anche declinando la propria competenza si' da imprimere carattere definitivo all'ipotesi avanzata dal Tribunale medesimo. 3. - Fatte queste considerazioni in ordine alla esatta fisionomia delle attribuzioni che la normazione di rango costituzionale deferisce alla Camera dei deputati e alla disciplina di carattere procedimentale che e' volta a consentirne l'esercizio, e' ora da esaminare l'art. 2, comma 1, della legge ordinaria n. 219/1989. Ebbene, la menzionata disposizione si limita, nella sua prima parte, ad esplicitare quelle ipotesi di archiviazione da ritenersi gia' implicitamente racchiuse nella lettera dell'art. 8, legge cost. n. 1/1989. Si tratta delle fattispecie cosi' elencate: «se la notizia di reato e' infondata, ovvero manca una condizione di procedibilita' diversa dall'autorizzazione di cui all'art. 96 della Costituzione, se il reato e' estinto, se il fatto non e' previsto dalla legge come reato, se l'indiziato non lo ha commesso». Dal canto suo, la seconda ed ultima parte della stessa disposizione - che assume rilievo nel caso di specie - stabilisce che il Collegio dispone l'archiviazione «........se il fatto integra un reato diverso da quelli indicati nell'art. 96 della Costituzione; in tale ultima ipotesi il collegio dispone altresi' la trasmissione degli atti alla autorita' giudiziaria competente a conoscere del diverso reato». A) E' da dire che non si puo' escludere che codesta Corte, facendo uso dei poteri interpretativi che le appartengono, possa arrivare alla seguente conclusione: che anche la parte dispositiva appena riportata - dove e' appunto contenuto il riferimento a quel «reato diverso» rispetto al quale il Collegio deve «altresi» disporre la trasmissione degli atti all'Autorita' giudiziaria ordinaria - letta nel quadro normativo costituzionale in cui si inscrive, si presti appunto ad una interpretazione che la renda immune da conseguenze lesive delle attribuzioni camerali. Si potrebbe difatti ritenere che tale disposizione non possa che avere riguardo all'ipotesi di archiviazione «successiva», ossia al caso in cui, a fronte della trasmissione degli atti ai sensi della legge n. 1/1989, l'organo parlamentare abbia declinato la propria competenza in ragione dell'insussistenza del requisito della ministerialita' del reato, con conseguente restituzione degli atti al Collegio. Sarebbe solo a questo punto che il Collegio medesimo - non sussistendo nella evenienza profilata impedimento alla prosecuzione del giudizio secondo le norme ordinarie - e' facoltizzato a dar luogo alla archiviazione ed alla translatio judicii di cui all'art. 2, comma 1, legge n. 219/1989. Cosi' considerata, la legge in questione si limita piuttosto a disciplinare il seguito della procedura, prospettando opportunamente gli adempimenti successivi all'intervento camerale che abbia avuto l'esito anzidetto. E cio' in simmetria peraltro con l'ulteriore ipotesi di archiviazione «successiva» disposta dall'art. 4, comma 2, della stessa legge, che e' prevista nel caso di diniego della autorizzazione a procedere da parte del competente ramo parlamentare. Ne' dovrebbe trascurarsi in questa prospettiva il richiamo fatto dalla legge ordinaria agli articoli della legge costituzionale ai quali essa e' correlata. Ci si riferisce alla parte iniziale della disposizione in commento dove si trova esplicito e puntuale riferimento alla «archiviazione di cui al comma 2 del predetto art. 8 [ndr., della legge costituzionale n. 1/1989]». Il che porterebbe di per se' ad escludere che la disposizione abbia preteso distaccarsi da quanto disposto dalla legge costituzionale oggetto di richiamo e men che meno modificarla in ordine all'alternativa ivi fissata tra archiviazione e richiesta di autorizzazione a procedere. B) In caso di differente interpretazione, vale a dire qualora si ritenga che la legge legittimi una archiviazione «preventiva» (ossia antecedente alla fase parlamentare) per non ministerialita' del reato e che cio' valga ad escludere la trasmissione degli atti al competente ramo del Parlamento, non puo' sfuggire che la legge ordinaria verrebbe a scompaginare radicalmente il combinato disposto dell'art. 96, Cost., e dell'art. 8 della legge cost. n. 1/1989. Non vi e' che da ribadire che quest'ultima disposizione delinea un'alternativa netta e non eludibile fra archiviazione che mette fine alla procedura (per cui non si fa luogo alla trasmissione degli atti alla Camera) e prosecuzione del giudizio penale (in relazione al quale la detta trasmissione e' sempre necessaria). Lo stesso dato letterale si dimostra sotto questo aspetto risolutivo, atteso che il legislatore costituzionale ha usato un'espressione («in caso diverso») che sta chiaramente a contrapporre l'ipotesi della prosecuzione del procedimento penale (che richiede immancabilmente il previo intervento parlamentare) e quella ipotesi - la cui «diversita» proprio in cio' risiede - in cui il procedimento debba trovare la sua conclusione mediante l'archiviazione (e nel qual caso non e' ovviamente da attivare la procedura intesa ad ottenere l'autorizzazione parlamentare). D'altro canto, lo schema adottato dal legislatore costituzionale e' perfettamente coincidente con la ordinaria funzione che l'istituto della archiviazione assolve nel sistema processual-penalistico, che e' appunto quella di precludere l'ulteriore corso del procedimento. Ne' vi e' nella legge costituzionale il benche' minimo appiglio letterale che possa far ritenere che si sia voluto introdurre una ulteriore ed anomala variante dell'istituto dell'archiviazione, per cui nonostante l'intervento della archiviazione stessa il procedimento possa egualmente proseguire a prescindere dall'intervento parlamentare. Ma vi sono due ulteriori notazioni da avanzare a conferma di quanto svolto. La prima e' che come a rendere vieppiu' forte il carattere conclusivo della archiviazione da parte del Collegio dei ministri, la legge costituzionale in esame precisa che l'archiviazione stessa viene disposta «con decreto non impugnabile» (cosi' recita ancora l'art. 8, comma 2). La seconda e' che, ai sensi dell'art. 8, comma 4, in detta ipotesi si prevede che «il Procuratore della Repubblica da' comunicazione dell'avvenuta archiviazione al Presidente della Camera competente»: il che sta a denotare la volonta' del legislatore costituzionale di rendere edotto il competente ramo del Parlamento che il mancato inoltro della richiesta di autorizzazione a procedere e' dovuto esclusivamente al fatto che il procedimento penale a carico del ministro non e' destinato a proseguire, attesa appunto la decisione assunta dal Collegio in ordine alla sua archiviazione. Come si vede, non si puo' ritenere che la legge ordinaria n. 219/1989, e segnatamente la indicata disposizione di cui all'art. 2, si sia limitata ad introdurre in materia un meccanismo non previsto dalla legge costituzionale, ma comunque compatibile con questa e semmai volto a coprire una lacuna pretesamente lasciata aperta dalla medesima legge costituzionale. Di lacuna infatti non e' plausibile parlare davanti ad una disposizione di grado costituzionale che a chiare lettere testimonia l'esatto contrario, ossia che alle diverse evenienze che possono darsi nei procedimenti per reati ministeriali si ricollegano precise conseguenze in rapporto alle competenze parlamentari (quella della indispensabilita' della autorizzazione parlamentare in tutti i casi di prosecuzione del procedimento, quella della comunicazione in caso di conclusione del procedimento stesso). E comunque sia, la disciplina della pretesa lacuna recata dalla legge ordinaria - per ipotesi introduttiva della possibilita' di trasmettere gli atti all'autorita' giudiziaria ordinaria in caso di archiviazione per non ministerialita' del reato e senza alcun obbligo di domandare in via preventiva l'autorizzazione della Camera competente - risulta incompatibile con il sistema delineato dalle norme costituzionali gia' esaminate: non si puo' che ribadire che da esse si trae la indispensabile presenza della Camera stessa ogni qualvolta il procedimento a carico del ministro debba proseguire, quale che sia la qualificazione che l'autorita' giudiziaria all'esito delle indagini attribuisca al relativo reato (ministeriale o non ministeriale). In altre parole, non si sostiene qui l'esistenza di una attribuzione che consista nel potere della Camera di apprezzare in via esclusiva il carattere ministeriale del reato, sibbene quella di poter esprimere, secondo le apposite cadenze procedurali, una autonoma valutazione al riguardo e se del caso in ordine alla ricorrenza delle esimenti indicate dalla norma costituzionale. D'altro canto - e questo e' un ulteriore, ma convergente profilo di illegittimita' costituzionale della disciplina in oggetto - il meccanismo censurato mette per di piu' a repentaglio lo stesso nucleo delle competenze di cui in materia e' titolare la Camera competente. Risulta infatti chiaro che, essendo quelli della Camera e quelli del Collegio poteri concorrenti, suscettibili di reciproco condizionamento, non si puo' ammettere che la legge consenta all'Autorita' giudiziaria di paralizzare, a propria discrezione, le prerogative costituzionali attribuite alla Camera dei deputati in materia di reati ministeriali: cio' significa infatti che sarebbe sufficiente l'archiviazione per non ministerialita' del reato per «aggirare la prerogativa autorizzatoria prevista dall'art. 96 della Costituzione» (cfr. il parere della Giunta per le autorizzazioni in data 3 maggio 2007). Sotto questo aspetto, la disposizione censurata contrasta per un verso con elementari esigenze di certezza delle attribuzioni costituzionali e che operano con particolare intensita' nel campo delle prerogative parlamentari; per altro verso, viene a ledere il principio costituzionale di leale cooperazione fra Poteri dello Stato, in relazione all'esercizio delle competenze di cui si parla ed alle disposizioni costituzionali che le contemplano, posto che detto principio e' senz'altro suscettibile di trovare applicazione anche nell'ambito dei rapporti tra il Collegio per i reati ministeriali e l'Organo parlamentare (come affermato da codesta Corte nella sentenza n. 403 del 1994, il potere attribuito a detto Collegio «si atteggia anche come obbligo di leale collaborazione» con il concorrente potere riconosciuto, in tale materia, alla Camera interessata). Se e' vero infatti che la materia e' tale da respingere ogni soluzione che diverga dal principio di leale collaborazione, nonche' dal canone che vi si ricollega del ragionevole equilibrio nell'esercizio delle competenze rispettivamente attribuite ai Poteri dello Stato, ne viene la conferma del vizio prospettato, dal momento che il potere autorizzatorio delle Camere, stante la disciplina di legge di cui si controverte, viene messo irragionevolmente nel nulla a seguito di una unilaterale valutazione operata dall'Autorita' giudiziaria relativamente al carattere non ministeriale del reato di cui si tratti. C) Infine, e' da osservare che l'incostituzionalita' della disposizione e del meccanismo potenzialmente elusivo ivi previsto, e' da ravvisare nella circostanza non disconoscibile che la legge ordinaria ha comunque determinato una sensibile modificazione, in senso peggiorativo, della disciplina di rango costituzionale volta a definire i rapporti tra procedimento penale a carico dei ministri (con riguardo ai relativi poteri attribuiti all'autorita' giudiziaria) ed i poteri autorizzatori delle Camere. In particolare, si viene ad incidere, alterandolo profondamente, sul bilanciamento che rappresenta il fulcro dell'art. 96 Cost.: qui difatti si fissa la regola della sottoposizione dei reati ministeriali alla «giurisdizione ordinaria», ma richiedendosi al contempo la «previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale». Ora, e' largamente noto che la materia delle guarentigie costituzionali puo' trovare la sua regolamentazione fondamentale esclusivamente in fonti di livello costituzionale. Perche' se non e' consentito alla legge ordinaria ampliare l'area delle prerogative in questione cosi' come disegnata dalla fonte di grado superiore, deve ritenersi che nemmeno le e' dato di integrare o restringere l'anzidetta area (cfr. le sentenze nn. 24/2004 e 120/2004). Sicche', giammai una disposizione di rango ordinario potrebbe impingere nel nucleo essenziale dell'istituto, specie considerando il ruolo che l'art. 96, Cost., e' chiamato ad assolvere nell'assetto basilare dei rapporti tra organi di vertice dello Stato, come a suo tempo si e' chiarito: mentre e' fuor di dubbio che la rimozione del passaggio per via parlamentare, in caso di ritenuta sussistenza di una ipotesi di reato comune, comporti una marcata modificazione del ruolo che alle Camere e' assegnato nel corso del procedimento, in virtu' della legge n.1/1989, tale da espropriarle della competenza ad adottare le valutazioni e le decisioni di loro pertinenza anche a fronte di una qualificazione giudiziaria del reato come non ministeriale. Va da se' che, ove la Corte costituzionale adotti l'interpretazione conforme a costituzione che si e' sopra prospettata, ne discende l'automatico e conseguente accertamento dell'avvenuta lesione nella specie delle prerogative riconosciute alla Camera ricorrente dalle disposizioni di livello costituzionale nei termini enunciati. In caso contrario, si insiste nel ritenere che la Corte stessa non possa esimersi dal sollevare innanzi a se' medesima la questione di legittimita' costituzionale della menzionata disposizione legislativa - perche' non prevede che debba richiedersi l'autorizzazione a procedere della Camera competente anche nella ipotesi in cui il Collegio dei ministri decida per l'archiviazione in ragione della ritenuta non ministerialita' del reato, ma il procedimento prosegua davanti all'autorita' giudiziaria ordinaria - in relazione agli artt. 96, Cost.; 8 e 9, legge cost., n. 1/1989, nonche' per violazione delle medesime disposizioni in rapporto al principio di leale cooperazione ed al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.: cio' stante la serieta' dei dubbi di costituzionalita' che sono stati avanzati nei confronti della disposizione in oggetto sotto l'aspetto della sua idoneita' ad impedire illegittimamente, tramite gli atti che ne facciano applicazione, che la Camera eserciti le attribuzioni che le sono rimesse dalle disposizioni costituzionali, come tali probanti della sussistenza del requisito della non manifesta infondatezza della questione. Quanto alla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale, si e' gia' piu' volte osservato che i provvedimenti giudiziari oggetto del presente conflitto hanno dichiaratamente proceduto all'applicazione dell'art. 2, comma 1, ultima parte, legge n. 219/1989. Ne deriva che ove tale disposizione, sotto il profilo qui considerato, venisse dichiarata incostituzionale, la lesione in tal modo prodottasi nei confronti delle prerogative camerali resterebbe priva di fondamento legale, con conseguente ripristino delle attribuzioni dell'odierno potere ricorrente in materia di reati ministeriali.
P. Q. M. Si chiede che la Corte costituzionale - previa sollevazione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, della legge n. 219/1989 in parte qua, ai fini della declaratoria di incostituzionalita' della predetta disposizione di legge - voglia statuire che nella specie non spetta al Tribunale dei ministri di Firenze trasferire al giudice penale ordinario, competente per territorio, il procedimento instaurato ai sensi dell'art. 96, Cost., senza aver prima richiesto l'autorizzazione camerale e, comunque, senza avere previamente trasmesso alla Camera dei deputati gli atti del procedimento medesimo in modo da consentirle di valutare la sussistenza dei presupposti per l'attivazione della guarentigia di cui trattasi; cosi' come non spetta al Tribunale di Livorno, Sezione distaccata di Cecina, proseguire il giudizio non ritenendo necessario che nella specie si richieda l'autorizzazione a procedere e che la Camera dei deputati comunque interloquisca nel procedimento. Con conseguente annullamento degli atti indicati in epigrafe. Roma, addi' 28 giugno 2007 Il Presidente Fausto Bertinotti - Prof. avv. Roberto Nania Avvertenza L'ammissibilita' del presente conflitto e' stata decisa con ordinanza n. 8/2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 1ª s.s., n. 4 del 23 gennaio 2008.