N. 9 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 28 giugno 2007- 3 marzo 2008

  Ricorso  per  conflitto   di  attribuzione  tra  poteri dello stato
(merito)  depositato in cancelleria il 3 marzo 2008 (della Camera dei
deputati)

  Reati  ministeriali  -  Provvedimento del Tribunale dei Ministri di
  Firenze  in  data 31 marzo - 4 aprile 2005, emesso nel procedimento
  penale  a  carico  del  Ministro  Altero  Matteoli  per il reato di
  favoreggiamento,  avente  ad oggetto la dichiarazione della propria
  incompetenza  funzionale,  in  conseguenza  della  ritenuta  natura
  comune  e  non ministeriale del reato contestato, e la trasmissione
  degli atti alla Procura del Tribunale territorialmente competente -
  Provvedimento  del  Tribunale  di  Livorno,  Sezione  di Cecina, in
  composizione  monocratica,  di  reiezione della richiesta formulata
  dal  difensore  dell'imputato di rinvio del procedimento penale per
  consentire  al  Parlamento  una  preliminare  valutazione dei fatti
  contestati  all'ex  ministro  Matteoli  - Ricorso per conflitto tra
  poteri  sollevato dalla Camera dei deputati - Denunciata violazione
  delle   guarantigie  costituzionali  per  i  reati  ministeriali  -
  Richiesta  alla  Corte  di dichiarare la non spettanza al Tribunale
  dei  Ministri di Firenze di trasferire al giudice penale competente
  per  territorio  il  procedimento  instaurato ai sensi dell'art. 96
  Cost.,  senza  aver  prima  richiesto  l'autorizzazione camerale e,
  comunque, senza aver previamente trasmesso alla Camera dei deputati
  gli  atti  del  procedimento  medesimo  in  modo  da consentirle di
  valutare  la  sussistenza  dei  presupposti per l'attivazione delle
  guarantigie  di cui trattasi, nonche' la non spettanza al Tribunale
  di   Livorno,  Sezione  distaccata  di  Cecina,  di  proseguire  il
  giudizio,  non  ritenendo  necessario richiedere l'autorizzazione a
  procedere  della  Camera  dei  deputati  - Conseguente richiesta di
  annullamento  degli atti stessi - Richiesta alla Corte, ove escluda
  la  possibilita'  di  interpretazione  dell'art.  2, comma 1, della
  legge  n. 219/1989,  nel  senso  della  necessita'  di investire la
  Camera  di  appartenenza  della  valutazione  circa  la  natura non
  ministeriale  del reato ascritto, di sollevare dinanzi a se' stessa
  questione  di  legittimita'  costituzionale  della  norma stessa in
  relazione  all'art.  96  Cost.  e  agli  artt.  8  e  9 della legge
  costituzionale n. 1/1989.
  -  Provvedimento  del  Tribunale  dei  Ministri di Firenze 4 aprile
  2005;  Provvedimento  del Tribunale di Livorno - Sez. distaccata di
  Cecina 4 dicembre 2006.
  -  Costituzione,  art.  96;  legge  costituzionale 16 gennaio 1989,
  n. 1, art. 8, comma 1.
(GU n.14 del 26-3-2008 )
   Ricorso  della  Camera  dei  deputati,  in  persona del Presidente
Fausto  Bertinotti,  come da deliberazioni dell'Ufficio di Presidenza
n. 65/2007  in  data 16 maggio 2007 e dell'Assemblea della Camera dei
deputati in data 16 maggio 2007, rappresentato e difeso, in virtu' di
procura  ad  litem  per notar Paolo Silvestro, in Roma, rep. n. 82991
del  25  giugno 2007, dall'avv. prof. Roberto Nania, ed elettivamente
domiciliato  presso  il  suo studio in Roma, via Carlo Poma n. 2, nei
confronti  del  Tribunale  dei  Ministri di Firenze; del Tribunale di
Livorno, Sezione distaccata di Cecina, in relazione:
     al  provvedimento  in  data  31 marzo - 4 aprile 2005, intestato
Tribunale dei Ministri di Firenze, con cui il predetto Collegio per i
reati  ministeriali  presso  il Tribunale di Firenze, nell'ambito del
procedimento  iscritto  al  n. 12976/04  R.G.N.R.N.  (N.  01/05  R.G.
Tribunale  dei  ministri  di  Firenze)  pendente a carico dell'allora
Ministro  Altero  Matteoli, il quale all'epoca ricopriva la carica di
membro della Camera dei deputati, ha disposto - in forza dell'art. 2,
comma 1, della legge n. 219 del 1989 - una volta accertata la propria
incompetenza   funzionale   a  giudicare  dei  reati  a  quest'ultimo
contestati   in   quanto   ritenuti   non  ministeriali,  la  diretta
trasmissione  degli  atti  alla  Procura  della  Repubblica presso il
tribunale  competente,  senza  che  venisse preventivamente richiesta
alla  Camera  dei deputati l'autorizzazione di cui all'art. 96, Cost.
nonche'  all'art.  8,  comma 1, legge costituzionale 16 gennaio 1989,
n. 1;
     al provvedimento in data 4 dicembre 2006 con cui il Tribunale di
Livorno,  Sezione  distaccata di Cecina, in composizione monocratica,
ha ribadito, nell'ambito della prosecuzione del medesimo procedimento
penale  nei  confronti  del deputato Altero Matteoli (n. 7256/06 R.G.
dib.   -   2114/05   R.G.N.R.)  -  sempre  in  forza  della  predetta
disposizione  legislativa  -  la  non operativita' nel caso di specie
dell'obbligo   di   avanzare   richiesta   alla   Camera   competente
dell'autorizzazione  a  procedere  di cui sopra, non essendo previsto
che  la Camera stessa debba comunque interloquire nel procedimento in
questione.
                              F a t t o
   Nel  corso  delle  indagini relative ad un procedimento penale nei
confronti  di  un  magistrato  del Tribunale di Livorno e dell'allora
Prefetto  di  Livorno,  la  Procura  della  Repubblica  di  Genova  -
ravvisando  ipotesi  di  reati  commessi  da un Ministro - inviava la
relativa   notitia   criminis   alla  Procura  di  Firenze,  ritenuta
competente per territorio.
   La  Procura  della  Repubblica di Firenze, previa formulazione dei
capi  d'imputazione,  trasmetteva  gli  atti  al Collegio per i reati
ministeriali presso il Tribunale di Firenze (cosiddetto Tribunale dei
ministri),  davanti  al  quale  veniva  incardinato  il  procedimento
iscritto  al  n. 12976/04  R.G.N.R.N.  (N. 01/05 R.G. - Tribunale dei
ministri),  a  carico dell'on. Matteoli, all'epoca dei fatti Ministro
dell'ambiente,   per   le  ipotesi  di  reato  di  favoreggiamento  e
rivelazione di segreto d'ufficio.
   All'esito  delle  indagini espletate, il Tribunale dei ministri di
Firenze  riteneva  che  i reati ipotizzati a carico dell'on. Matteoli
non  potessero  qualificarsi  come reati ministeriali, trattandosi di
fatti  non  connessi, se non per mero rapporto di occasionalita', con
la carica istituzionalmente ricoperta.
   Sicche',  con  provvedimento  in data 31 marzo - 4 aprile 2005, il
Tribunale  dei ministri dichiarava la propria incompetenza funzionale
e  ordinava  contestualmente  la trasmissione degli atti alla procura
competente  -  individuata  nella  Procura della Repubblica presso il
Tribunale di Pisa - affinche' proseguisse il giudizio secondo il rito
ordinario.
   Riteneva  infatti  che,  una  volta  appurata  detta  incompetenza
funzionale,  ne derivasse «l'applicabilita' delle ordinarie regole di
procedura  penale  cosi'  come  disposto dall'art. 2, comma 1, ultima
parte, della legge n. 219/1989».
   La  Procura  di Pisa trasmetteva a sua volta gli atti alla Procura
di  Livorno, ritenuta competente per territorio, la quale - a seguito
di  parziale  rigetto  della  richiesta  di  archiviazione  da  parte
dell'ordinanza  del  g.i.p.  in  data  19  aprile 2006 - disponeva il
rinvio  a  giudizio  con  riferimento  alla  sola ipotesi di reato di
favoreggiamento.
   Nel  corso  del processo, con ordinanza assunta nell'udienza del 4
dicembre  2006,  il Tribunale di Livorno dichiarava di condividere le
argomentazioni in base alle quali il predetto Collegio di Firenze era
pervenuto  ad escludere la natura ministeriale delle ipotesi di reato
di cui trattasi.
   Inoltre, il Tribunale di Livorno escludeva che - prima di disporre
la  prosecuzione del giudizio presso l'autorita' ordinaria competente
- il Collegio per i reati ministeriali di Firenze avesse l'obbligo di
inviare,  ai  sensi dell'art. 8 della legge costituzionale n. 1/1989,
gli  atti  al  Procuratore  della  Repubblica  per  la loro immediata
trasmissione  al  Presidente della Camera competente ex art. 5, della
stessa legge.
   Osservava  difatti  che - alla stregua dell'art. 2, comma 1, della
legge  n. 219/1989  -  una  volta ritenuta la non ministerialita' dei
fatti  contestati,  la  legge  imponesse  al  Tribunale  dei ministri
soltanto  l'obbligo di trasmettere gli atti all'autorita' giudiziaria
competente  a conoscere il diverso reato. Interpretazione questa che,
secondo  il Tribunale di Livorno, non si porrebbe in contrasto con la
legge  costituzionale  n. 1/1989,  in  quanto  la  legge ordinaria si
limiterebbe  a disciplinare una ipotesi non prevista dalla menzionata
legge    costituzionale    (quella   appunto   della   ritenuta   non
ministerialita'  del  reato)  ed  a  fronte  della quale non potrebbe
operare, per espressa volonta' legislativa, l'obbligo di trasmissione
alla Camera di cui si e' detto.
   Con le richiamate statuizioni, l'autorita' giudiziaria, e per essa
il  Tribunale  dei ministri di Firenze nonche' il Tribunale penale di
Livorno  (innanzi  al  quale  e' tutt'ora pendente il giudizio di cui
trattasi),  ha  posto  in  essere  una convergente applicazione della
legge  n. 219/1989,  che  tuttavia  -  attese  le  serie  censure  di
incostituzionalita'  che  possono  investire la legge di cui e' stata
fatta  applicazione  in parte qua, come in prosieguo si dimostrera' -
risulta  conseguentemente  lesiva  delle  attribuzioni costituzionali
della ricorrente Camera dei deputati, per i seguenti motivi di
                            D i r i t t o
   Per  la migliore intelligenza dei termini del presente ricorso per
conflitto  di  attribuzione,  e' bene anticipare subito che la Camera
dei  deputati  prospetta  in  questa  sede  una lesione delle proprie
attribuzioni  derivante  dall'applicazione,  cui  hanno proceduto gli
atti  in epigrafe, dell'art. 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989.
Disposizione quest'ultima suscettibile, secondo la Camera ricorrente,
di   dar   luogo   appunto   ad  applicazioni  lesive  delle  proprie
prerogative,   la'   dove   stabilisce   che   il  Collegio  «dispone
l'archiviazione  ...  se  il fatto integra un reato diverso da quelli
indicati  nell'art.  96 della Costituzione; in tale ultima ipotesi il
collegio  dispone  altresi' la trasmissione degli atti alla autorita'
giudiziaria  competente  a  conoscere  del  diverso  reato»; ma senza
prescrivere  che  anche in detta ipotesi si debba comunque richiedere
l'autorizzazione a procedere alla Camera competente.
                  Sulla ammissibilita' del ricorso
   1. - Giova preliminarmente osservare che nella specie sussistono i
requisiti richiesti ai fini della ammissibilita' del presente ricorso
per conflitto di attribuzione.
   In  punto  di  legittimazione  attiva,  e' appena da precisare che
secondo  la  consolidata  giurisprudenza costituzionale la Camera dei
deputati,  in  quanto  abilitata  ad  esprimere  in via definitiva la
volonta' del potere che essa rappresenta, e' facoltizzata a sollevare
conflitto  di  attribuzione mediante il quale deduca la lesione delle
proprie  prerogative  costituzionali (cfr., tra le altre, le sentenze
nn.  225/2001;  263/2003;  284/2004;  451/2005)  ed  e'  legittimata,
segnatamente,  ad  essere parte nell'ambito di giudizi riguardanti le
prerogative di cui all'art. 96, Cost. (cfr. l'ordinanza n. 217/1994 e
la sentenza n. 403/1994).
   In ordine alla legittimazione passiva degli organi giurisdizionali
indicati  in  epigrafe,  giova  rammentare  che  la  gia'  richiamata
giurisprudenza  costituzionale  ha  riconosciuto  «la  legittimazione
degli  organi  giudiziari  che  hanno  adottato  i  provvedimenti  in
relazione  ai quali e' promosso il conflitto di attribuzione a essere
parti  del  medesimo, poiche', come ripetutamente affermato da questa
Corte  (da ultimo, ordinanze n. 84, n. 37 e n. 6 del 2002), i singoli
organi   giurisdizionali   sono   legittimati,  nell'esercizio  della
funzione  a  essi assegnata dalla Costituzione ed esercitata in piena
indipendenza,   a   essere  parti  nei  conflitti  costituzionali  in
questione» (cosi' l'ordinanza n. 126/2002).
   E'  da  evidenziare  che  tale ratio decidendi, e' stata applicata
dalla Corte proprio con specifico riferimento al Collegio per i reati
ministeriali  in  quanto  «abilitato  ad  esercitare,  nella materia,
attribuzioni   proprie   ad   esso   conferite   da  norme  di  rango
costituzionale» (cfr. l'ord. n. 217/1994, cit.).
   Quanto  ai  requisiti  oggettivi  del  conflitto  di attribuzione,
nessun  dubbio  puo'  esservi  sulla loro sussistenza. E' noto che il
conflitto risolvibile ai sensi degli articoli 134, Cost., e 37, legge
n. 87/1953,  si  configura  quando  -  sia  sotto forma di vindicatio
potestatis,  sia  sotto  forma  di  conflitto  da  menomazione  o  da
interferenza  -  si  controverta  in  ordine alla delimitazione della
sfera delle attribuzioni costituzionali di cui sono titolati i poteri
dello Stato.
   Ora,  che  nella  specie  la controversia presenti siffatta natura
risulta di immediata evidenza, chiedendosi alla Corte di stabilire se
mediante  i  provvedimenti  giurisdizionali  di  cui  si  tratta, pur
adottati in applicazione di una disposizione di legge incidente sulla
materia  della  guarentigia  di cui all'art. 96, Cost., non risultino
menomate  le attribuzioni della Camera, attesa la incostituzionalita'
dell'art.  2,  comma 1, della legge n. 219/1989, per violazione delle
disposizioni  di  rango  costituzionale che attribuiscono alla Camera
competenze  in  materia:  e cio' con particolare riguardo, come sara'
ulteriormente  dimostrato  nella parte sul merito del conflitto, alla
competenza  rimessa  alla  Camera stessa di verificare la sussistenza
nel  caso  di  specie  -  e quindi anche in caso di archiviazione per
ritenuta  non ministerialita' del reato - dei presupposti prefigurati
dall'art.   96,  Cost.  (ossia  che  si  tratti  di  «reati  commessi
nell'esercizio delle loro funzioni» da parte dei Ministri) nonche' ad
adottare  se  del  caso  le  ulteriori valutazioni di cui all'art. 9,
comma  3,  legge cost. n. 1/ 1989 (ossia che «l'inquisito abbia agito
per   la  tutela  di  un  interesse  dello  Stato  costituzionalmente
rilevante  ovvero  per  il  perseguimento  di un preminente interesse
pubblico nell'esercizio della funzione di Governo»).
   Quanto   all'interesse  specifico  della  Camera  dei  deputati  a
proporre il presente ricorso per conflitto di attribuzioni, giova sin
d'ora  osservare  che la prosecuzione del giudizio penale nei termini
sopra  descritti ha leso la prerogativa di cui la Camera dei deputati
era  titolare  all'epoca  dell'omissivo  comportamento dell'autorita'
giudiziaria.
   Ne'  potrebbe avere alcuna influenza il successivo mutamento della
Camera  di appartenenza da parte del Ministro in questione, posto che
l'art.  96,  Cost.,  radica  a  tal  fine  la  competenza nell'Organo
parlamentare    di    appartenenza   avendo   riguardo   al   momento
dell'esercizio  delle  funzioni ministeriali da parte dell'inquisito;
sicche'   non  puo'  qui  operare  la  competenza  del  Senato  della
Repubblica  (art.  5,  seconda parte, della legge cost. n. 1/1989) la
quale  muove  dal diverso presupposto che il ministro interessato non
abbia mai rivestito la carica di parlamentare. Merita aggiungersi che
il  procedimento  che  ha portato alla determinazione della Camera di
elevare  il  presente conflitto ha preso l'avvio sin dalla precedente
legislatura,  ossia  quando  l'ex  ministro  ricopriva  la  carica di
deputato  ed  al  contempo  esercitava le funzioni ministeriali (cfr.
resoconto  della seduta della Giunta per le autorizzazioni in data 27
aprile 2005).
   Tale impostazione e' peraltro coerente con la ratio che informa il
sistema  delle  prerogative  di carattere «funzionale» - a cominciare
dalla  guarentigia  della  insindacabilita' di cui all'art. 68, primo
comma,  Cost.  -  rispetto alle quali i poteri connessi all'esercizio
della  prerogativa  spettano  sempre  alla  Camera  cui  il  soggetto
interessato  appartenga  al momento del fatto, essendo irrilevante la
posizione  che quest'ultimo ricopre nel momento in cui e' chiamato in
giudizio (cfr. sent. Corte cost. nn. 252/1999 e 154/2004).
   Su   questa   linea   d'altronde  si  e'  mossa  la  stessa  Corte
costituzionale con la sentenza n. 403/1994, quando ha riconosciuto la
perdurante  legittimazione soggettiva della Camera dei deputati in un
conflitto  riguardante  l'autorizzazione  a  procedere  nonostante il
ministro  indagato  avesse  perduta la posizione di parlamentare. Ne'
puo'   essere  omessa  la  sentenza  n. 154  del  2004,  dove  si  e'
riconosciuta la legittimazione al conflitto di un ex Presidente della
Repubblica,  proprio  assumendo,  a parte le ulteriori particolarita'
della   fattispecie,   il   carattere  funzionale  della  prerogativa
dell'immunita'  presidenziale,  con  la  conseguente perduranza della
possibilita'  di far valere la lesione prodottasi durante la pendenza
dell'esercizio delle funzioni presidenziali.
   Diversamente  opinando,  del  resto, la lesione prodottasi sarebbe
destinata  a rimanere priva di tutela, essendo soltanto la Camera dei
deputati,  in  capo  alla quale la lesione stessa si e' consumata, ad
essere legittimata a dolersene sotto il profilo qui considerato.
   Resta  poi  ferma  l'ammissibilita'  del  conflitto a fronte della
circostanza   -  evidenziata  fin  dalla  parte  introduttiva  -  che
nell'ambito   del   conflitto  stesso  viene  proposta  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, ultima parte, della
legge n. 219/1989.
   E'   invero   da  rammentare  al  riguardo  che  il  conflitto  di
attribuzioni  e'  preordinato  alla  garanzia della integrita' «della
sfera  di  attribuzioni  determinata  per  i  vari  poteri  da  norme
costituzionali»  (art.  37,  legge  n. 87/1953),  a prescindere dalla
«natura  degli  atti  da  cui possa derivare la lesione all'anzidetta
"sfera  di  attribuzioni"»,  specie considerando che «il giudizio per
conflitto  di attribuzioni non e' giudizio sulla legittimita' di atti
(anche  se, a seconda dell'esito del giudizio stesso, puo' conseguire
l'annullamento   dell'atto   lesivo)   ma   e'  garanzia  dell'ordine
costituzionale delle competenze» (cosi', la sentenza n. 457/1999).
   Dal  che discende che l'impugnazione di atti mediante conflitto di
attribuzione  potrebbe  anche riguardare in via diretta provvedimenti
legislativi,  quando  il  Potere  interessato non abbia la facolta' -
come  nella specie certamente non l'avrebbe la Camera ricorrente - di
far  valere  l'illegittimita' costituzionale della legge sotto alcuna
delle modalita' previste dal nostro ordinamento in vista dell'accesso
al  relativo  giudizio davanti alla Corte costituzionale (cfr. ancora
la  sentenza  n. 457/1999;  nonche'  la  sentenza  n. 139/2001, dove,
tenendosi fermo l'assunto di cui sopra, una parziale inammissibilita'
del  ricorso  ha  riguardato  le  sole  censure di illegittimita' non
suscettibili  di ridondare «di per se' in lesione delle attribuzioni»
del potere ricorrente).
   Nel  medesimo  senso  depone  inoltre  la circostanza - deducibile
dalla  giurisprudenza  della Corte - che alla Camera sarebbe precluso
anche  l'intervento  nell'eventuale  giudizio  incidentale  in quanto
estranea  al  giudizio  a  quo,  pur  quando si verta su norme che ne
definiscano   attribuzioni   «ancorche'  ricollegabili,  in  tesi,  a
previsioni  di  rango costituzionale; attribuzioni alla cui tutela e'
invero  predisposto  il  distinto  strumento del conflitto» (sentenza
n. 163/2005).
   Fermo  quanto  appena  osservato,  e' da dire che tanto piu' certa
risulta  l'ammissibilita'  del  conflitto  laddove  esso,  come nella
specie,  venga elevato a fronte di specifici provvedimenti giudiziari
rispetto  ai quali sia logicamente pregiudiziale la risoluzione della
questione di costituzionalita' della legge che ne costituisce la base
legale, beninteso sotto il profilo strettamente inerente alla dedotta
lesione  delle  competenze  costituzionali  della ricorrente. Che sia
cosi'  e' comprovato dal fatto che la Corte costituzionale, quando e'
stata  chiamata a risolvere conflitti in relazione ad atti emanati in
applicazione  di  norme sospettate di incostituzionalita', non ha mai
esitato, accertatane la rilevanza, a sollevare - anche d'ufficio - la
relativa  questione  di  legittimita'  costituzionale  innanzi  a se'
medesima,  sospendendo  il  giudizio  per  conflitto  in attesa della
risoluzione   di   detta   questione  pregiudiziale  (cfr.  ordinanza
n. 44/1978,  sentenza  n. 68/1978,  sentenza n. 69/1978; e cio' anche
nei   conflitti  tra  enti,  cfr.  ordinanza  n. 42/2001  e  sentenza
n. 288/2001).
                             Sul merito
   2. - Venendo adesso al merito, si e' gia' avuto modo di rammentare
che   il   Tribunale   dei  ministri  di  Firenze  -  archiviando  il
procedimento  innanzi  a  se' - ha dichiarato la propria incompetenza
funzionale  a  «delibare  il  fumus della fondatezza della accusa» in
quanto,  a  suo  avviso,  i  reati  contestati  all'ex  ministro  non
avrebbero  «alcun  rapporto  - se non di mera occasionalita' - con la
sua  carica  istituzionale»  (provvedimento 31 marzo - 4 aprile 2005,
pag.  6).  Di conseguenza, facendo applicazione dell'art. 2, comma 1,
ultima  parte  della  legge  n. 219/1989,  il  predetto  Tribunale ha
trasmesso  gli atti alla Procura della Repubblica presso il tribunale
ritenuto  competente  per  territorio  (inizialmente  individuato nel
Tribunale  di  Pisa). Di talche' la predetta autorita' giudiziaria ha
ritenuto  di  non  dover  previamente  richiedere  l'autorizzazione a
procedere  da  parte della Camera dei deputati ai sensi dell'art. 96,
Cost., e art. 8 legge cost., n.1/1989.
   Convergente valutazione e' stata espressa dal Tribunale di Livorno
(dichiaratosi  effettivamente  competente per territorio a seguito di
ricevimento  del  fascicolo da parte della Procura di Pisa), il quale
ha  peraltro  esplicitamente  affermato  come  nella specie non fosse
necessaria  l'autorizzazione  camerale «per procedere con riferimento
al  reato non ministeriale» (ord. cit., in data 4 dicembre 2006, pag.
2).
   Come  si  vede,  il modus procedendi dell'autorita' giudiziaria e'
basato  sul  presupposto  che  ai  sensi  della normativa vigente non
sussiste  a  carico della medesima autorita' giudiziaria l'obbligo di
trasmettere  gli  atti  alla Camera onde consentirle di esercitare le
proprie  competenze al riguardo. Per cui, ai fini della soluzione del
presente  conflitto,  risulta  pregiudiziale  che  venga accertata la
incostituzionalita' della legge n. 219/1989, e segnatamente dell'art.
2,  comma  1, ultima parte, in quanto idonea a determinare la lesione
delle  prerogative  che sono costituzionalmente assegnate alla Camera
ricorrente  mediante  gli  atti  che,  come  nella  specie,  vi diano
applicazione.
   A)  E'  da  ricordare  che  l'art.  96, Cost., nel testo novellato
dall'art.  1  della legge cost. n. 1/1989, stabilisce che i ministri,
anche se cessati dalla carica, «sono sottoposti, per i reati commessi
nell'esercizio  delle  loro  funzioni,  alla giurisdizione ordinaria,
previa  autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei
deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale».
   Tali  norme  di  attuazione  -  che l'art. 96 vuole siano di rango
costituzionale  - sono state introdotte dai successivi articoli della
stessa  legge  cost.  n. 1/1989,  cit.,  che  hanno  disciplinato  le
modalita'  di esercizio della menzionata guarentigia. In particolare,
l'art.  9,  comma  3,  della  legge  citata, stabilisce che la Camera
competente,  a maggioranza assoluta dei suoi componenti, puo' «negare
l'autorizzazione    a   procedere   ove   reputi,   con   valutazione
insindacabile,  che  l'inquisito  abbia  agito  per  la  tutela di un
interesse  dello  Stato  costituzionalmente  rilevante  ovvero per il
perseguimento  di  un  preminente  interesse  pubblico nell'esercizio
della funzione di Governo».
   Come si sa, la competenza dell'Organo parlamentare a conoscere dei
reati   ministeriali   al   fine   di   individuare   -  escludendone
l'antigiuridicita'  -  quelli  che  siano  preordinati alla tutela di
interessi   di  rilievo  costituzionale  o  di  preminenti  interessi
pubblici,  rappresenta  il definitivo superamento dell'ormai obsoleto
ruolo  accusatorio  originariamente  appartenuto al Parlamento. Ruolo
accusatorio,   risalente   nella   nostra  esperienza  costituzionale
all'ordinamento   statutario   (che  riconosceva  la  prerogativa  di
accusare i ministri del Re quale «diritto» della Camera dei deputati;
cfr. l'art. 47, Statuto), fatto proprio dalla precedente formulazione
dell'art.  96,  Cost., a mente della quale i ministri potevano essere
posti «in stato d'accusa dal Parlamento in seduta comune, per i reati
commessi nell'esercizio delle loro funzioni».
   Invero, anche il mutamento dei rapporti fra i poteri dello Stato -
e  segnatamente  dei rapporti fra Parlamento e Governo - ha spinto il
legislatore   costituzionale  ad  innovare  l'istituto  in  questione
convertendolo  da  anomalo  strumento  preordinato  a  far  valere la
responsabilita'  del  Governo innanzi alle Camere rappresentative, in
istituto  posto  a  garanzia  del  corretto funzionamento del sistema
democratico-parlamentare    e   della   integrita'   delle   funzioni
dell'organo esecutivo e dei suoi componenti (art. 94 ss., Cost.).
   In  ragione  del profondo mutamento dell'istituto sopra descritto,
l'art.  8  della menzionata legge cost. n. 1/1989, al fine di rendere
concretamente   operante  detta  prerogativa,  prevede  che  -  prima
dell'esercizio  dell'azione  penale  -  le  ipotesi  di  reato di cui
all'art.  96,  Cost.,  vengano  sottoposte  ad un duplice vaglio: una
prima valutazione, in ordine alla meritevolezza circa la prosecuzione
del  procedimento,  e'  assegnata  ad  un  Collegio  specializzato in
materia di reati ministeriali (il cosiddetto Tribunale dei ministri);
una  seconda valutazione, riguardante l'esistenza dei presupposti per
l'attivazione  della  relativa guarentigia, spetta invece alla Camera
competente.
   La  legge  costituzionale  stabilisce  infatti  che il procuratore
della  Repubblica  trasmetta tutte le denunzie concernenti i reati di
cui all'art. 96, Cost., al Collegio per i reati ministeriali il quale
«se  non ritiene che si debba disporre l'archiviazione, trasmette gli
atti  con  relazione  motivata al Procuratore della Repubblica per la
loro  immediata  rimessione  al Presidente della Camera competente ai
sensi  dell'art.  5»  (art. 8, comma 1). Mentre, «in caso diverso, il
collegio,  sentito il pubblico ministero, dispone l'archiviazione con
decreto non impugnabile» (art. 8, comma 2).
   La  ratio  della  ineludibile  alternativa di fronte alla quale la
legge costituzionale pone il Collegio per i reati ministeriali appare
chiara. A meno che il processo penale non sia destinato ad arrestarsi
in  via  definitiva a seguito della palese infondatezza della notizia
di   reato   (ovvero  delle  ulteriori  ipotesi  che  ne  determinano
l'immediata  conclusione),  la  Camera  interessata deve essere messa
nelle  condizioni  di  avere  adeguata cognizione delle imputazioni a
carico dei membri del Governo, al fine di esprimere le valutazioni di
propria    spettanza:   pronunziarsi   anzitutto   in   ordine   alla
ministerialita'   dell'ipotesi   di   reato  ed  in  via  logicamente
successiva  in  ordine  alle  motivazioni  e  alle  finalita' cui sia
eventualmente preordinato l'ipotetico illecito ministeriale.
   Basti  dire,  a  conferma  di  quanto  postulato  in  ordine  alla
indispensabilita'  di  siffatto  passaggio  parlamentare  in  cui  si
esprime   l'esigenza   di   cognizione   da  parte  della  Camera  di
appartenenza  della  vicenda  penale  riguardante un ministro, che il
medesimo  articolo  in esame dispone che l'obbligo di informativa nei
confronti  dell'organo  parlamentare grava sull'autorita' giudiziaria
anche nell'ipotesi della definitiva archiviazione non accompagnata da
alcuna  ulteriore disposizione relativa alla translatio judicii (art.
8, comma 4, legge cost. n. 1/1989).
   B)  Quanto  svolto  trova ulteriore riprova nel fatto che la legge
costituzionale n. 1/1989 tipizza una rigorosa cadenza procedimentale,
la  quale scaturisce dalla formulazione dell'imputazione da parte del
Procuratore  della  Repubblica ed e' destinata a concludersi - ove la
competente  autorita'  giudiziaria  ritenga il giudizio meritevole di
prosecuzione  - con la concessione o la negazione dell'autorizzazione
a procedere da parte della Camera competente.
   A  tale  scopo,  la  richiamata  legge  costituzionale  ha cura di
fissare  anche  i termini che ogni singola fase del procedimento deve
rispettare:  e'  difatti previsto che, ove riceva la notizia di reato
rispetto   alla   quale  ravvisi  un  fumus  di  ministerialita',  il
Procuratore   della   Repubblica  -  omessa  ogni  indagine  -  debba
trasmettere,  entro  quindici  giorni,  gli  atti  al  Tribunale  dei
ministri,  informando  gli interessati (art. 6, comma 2, legge cost.,
n. 1/1989);  ricevuti  gli  atti,  il  Collegio  del  tribunale  ha a
disposizione  novanta  giorni per pronunziarsi sull'archiviazione che
e'   disposta  con  decreto  non  impugnabile,  sentito  il  pubblico
ministero (art. 8, commi 1 e 2); il procuratore della Repubblica puo'
richiedere  lo  svolgimento di ulteriori indagini, da compiersi entro
il termine di ulteriori sessanta giorni (art. 8, comma 3).
   E'  ancora  previsto  che,  entro  il  medesimo termine (novanta o
centocinquanta  giorni),  il  Collegio - ove disponga la prosecuzione
del  giudizio  - debba trasmettere nuovamente gli atti al Procuratore
per  la  loro  «immediata remissione» alla Camera competente (art. 8,
comma  1), il cui Presidente invia «immediatamente» gli atti ricevuti
alla  Giunta  per le autorizzazioni a procedere (art. 9, comma 1), di
modo  che  quest'ultima  possa  predisporre una relazione scritta per
relazionare l'Assemblea (art. 9, comma 2). L'Assemblea, in ogni caso,
deve  riunirsi  entro  sessanta  giorni dalla ricezione degli atti da
parte del Presidente per concedere o negare l'autorizzazione (art. 9,
comma  3), salva l'ipotesi di propria incompetenza (art. 18-ter, reg.
Camera,  e  art.  135-bis,  reg.  Senato).  E'  infine  stabilito che
l'Assemblea,  in  caso di prosecuzione del giudizio, rimetta gli atti
al Collegio perche' il procedimento continui secondo le norme vigenti
(art. 9, comma 4).
   C)  Come  si  vede,  l'iniziale  valutazione  del procuratore, cui
spetta pronunziarsi in merito alla connessione del fatto reato con la
funzione  ministeriale  (cfr.  Cass.  pen.,  sez.  VI, n. 8854 del 20
maggio  1998),  condiziona  la  successiva  fase d'indagine che viene
conseguentemente   ad  essere  irreggimentata  nell'ambito  del  quel
peculiare  procedimento  prefigurato  dalla  legge  cost.  n. 1/1989;
procedimento,  che  -  una volta fissato il capo di imputazione sulla
cui  base  viene individuata la competenza del Tribunale dei ministri
(cfr.,  Cass.  pen.,  sez.  I,  n. 5581  del 1° novembre 1995, ove si
afferma,  sottolineando  in  tal  modo  la  portata  vincolante della
imputazione,  che  detta  competenza non puo' estendersi ad ulteriori
ipotesi  non  previste  nell'imputazione  stessa)  -  non  puo'  piu'
transitare  al giudice penale ordinario senza il previo passaggio per
la via parlamentare.
   Ne'  puo' accadere diversamente la' dove il Tribunale dei ministri
intenda  tornare,  qualora  cio'  si  renda possibile, sulla iniziale
qualificazione del fatto ad opera della stessa autorita' giudiziaria,
ipotizzando  la  sussistenza  di reati cosi' detti «comuni», ossia di
competenza della magistratura ordinaria.
   Come  si  e'  visto,  infatti,  la  richiesta  di autorizzazione a
procedere  - non implicando peraltro una valutazione nel merito delle
accuse  (Cass.  pen.,  sez.  VI,  n. 706  del  19 febbraio 1997) - si
configura  esclusivamente come alternativa procedurale alla decisione
di archiviazione, e deve quindi essere disposta in ragione dell'unica
circostanza  che  il  Tribunale  dei ministri ritenga il procedimento
meritevole  di  prosecuzione,  e senza che possa rilevare di fronte a
quale  autorita'  giudiziaria  debba svolgersi la fase successiva del
giudizio.
   Tanto  piu'  che, a seguito della decisione n. 134/2002 di codesta
Corte,  successivamente  all'autorizzazione  camerale,  non  e'  dato
distinguere  fra  ipotesi  di competenza del Tribunale dei ministri e
ipotesi   di  competenza  del  giudice  ordinario,  essendo  soltanto
quest'ultimo ad essere sempre e comunque investito, «secondo le norme
vigenti»,  del  prosieguo  del  giudizio  nella  fase successiva alle
indagini  (art.  9,  comma  4, legge cost., n. 1/1989; cfr., in senso
conforme, l'art. 3, comma 1, della legge n. 219/1989).
   In   conclusione,   anche   ad  ammettere  la  possibilita'  della
riqualificazione  dell'ipotesi  di reato da parte del Tribunale per i
ministri,  l'Organo  parlamentare  mantiene intatta la prerogativa di
essere  destinatario  della  richiesta  di autorizzazione per il solo
fatto  che  il  procedimento  e' destinato a proseguire oltre la fase
dell'indagine  sommaria,  e  cio' al fine di concorrere alla verifica
circa  la  sussistenza dei presupposti del reato ministeriale, se del
caso   anche  declinando  la  propria  competenza  si'  da  imprimere
carattere definitivo all'ipotesi avanzata dal Tribunale medesimo.
   3.  - Fatte queste considerazioni in ordine alla esatta fisionomia
delle   attribuzioni   che  la  normazione  di  rango  costituzionale
deferisce  alla  Camera  dei  deputati e alla disciplina di carattere
procedimentale  che  e'  volta  a  consentirne l'esercizio, e' ora da
esaminare l'art. 2, comma 1, della legge ordinaria n. 219/1989.
   Ebbene,  la  menzionata  disposizione  si  limita, nella sua prima
parte,  ad  esplicitare  quelle ipotesi di archiviazione da ritenersi
gia'  implicitamente racchiuse nella lettera dell'art. 8, legge cost.
n. 1/1989. Si tratta delle fattispecie cosi' elencate: «se la notizia
di  reato e' infondata, ovvero manca una condizione di procedibilita'
diversa dall'autorizzazione di cui all'art. 96 della Costituzione, se
il  reato  e'  estinto,  se il fatto non e' previsto dalla legge come
reato,  se l'indiziato non lo ha commesso». Dal canto suo, la seconda
ed  ultima  parte  della stessa disposizione - che assume rilievo nel
caso  di  specie - stabilisce che il Collegio dispone l'archiviazione
«........se  il  fatto  integra  un  reato diverso da quelli indicati
nell'art.  96  della Costituzione; in tale ultima ipotesi il collegio
dispone   altresi'   la   trasmissione   degli  atti  alla  autorita'
giudiziaria competente a conoscere del diverso reato».
   A) E' da dire che non si puo' escludere che codesta Corte, facendo
uso  dei  poteri  interpretativi  che le appartengono, possa arrivare
alla  seguente  conclusione:  che  anche  la parte dispositiva appena
riportata  -  dove  e' appunto contenuto il riferimento a quel «reato
diverso»  rispetto  al  quale  il Collegio deve «altresi» disporre la
trasmissione  degli  atti all'Autorita' giudiziaria ordinaria - letta
nel  quadro  normativo  costituzionale  in cui si inscrive, si presti
appunto  ad  una  interpretazione  che la renda immune da conseguenze
lesive delle attribuzioni camerali.
   Si  potrebbe  difatti ritenere che tale disposizione non possa che
avere  riguardo  all'ipotesi  di archiviazione «successiva», ossia al
caso  in  cui,  a fronte della trasmissione degli atti ai sensi della
legge  n. 1/1989,  l'organo  parlamentare  abbia declinato la propria
competenza   in   ragione   dell'insussistenza  del  requisito  della
ministerialita' del reato, con conseguente restituzione degli atti al
Collegio.  Sarebbe solo a questo punto che il Collegio medesimo - non
sussistendo  nella  evenienza profilata impedimento alla prosecuzione
del giudizio secondo le norme ordinarie - e' facoltizzato a dar luogo
alla  archiviazione  ed  alla  translatio  judicii di cui all'art. 2,
comma 1, legge n. 219/1989.
   Cosi'  considerata,  la  legge  in questione si limita piuttosto a
disciplinare  il seguito della procedura, prospettando opportunamente
gli  adempimenti  successivi  all'intervento camerale che abbia avuto
l'esito  anzidetto.  E  cio'  in  simmetria  peraltro con l'ulteriore
ipotesi  di archiviazione «successiva» disposta dall'art. 4, comma 2,
della  stessa  legge,  che  e'  prevista  nel  caso  di diniego della
autorizzazione a procedere da parte del competente ramo parlamentare.
   Ne'  dovrebbe  trascurarsi in questa prospettiva il richiamo fatto
dalla  legge  ordinaria  agli  articoli della legge costituzionale ai
quali  essa  e'  correlata. Ci si riferisce alla parte iniziale della
disposizione   in   commento  dove  si  trova  esplicito  e  puntuale
riferimento alla «archiviazione di cui al comma 2 del predetto art. 8
[ndr.,  della  legge costituzionale n. 1/1989]». Il che porterebbe di
per se' ad escludere che la disposizione abbia preteso distaccarsi da
quanto  disposto dalla legge costituzionale oggetto di richiamo e men
che  meno  modificarla  in  ordine  all'alternativa  ivi  fissata tra
archiviazione e richiesta di autorizzazione a procedere.
   B)  In  caso di differente interpretazione, vale a dire qualora si
ritenga  che la legge legittimi una archiviazione «preventiva» (ossia
antecedente alla fase parlamentare) per non ministerialita' del reato
e  che  cio'  valga  ad  escludere  la  trasmissione  degli  atti  al
competente  ramo  del  Parlamento,  non  puo'  sfuggire  che la legge
ordinaria  verrebbe a scompaginare radicalmente il combinato disposto
dell'art. 96, Cost., e dell'art. 8 della legge cost. n. 1/1989.
   Non  vi  e'  che da ribadire che quest'ultima disposizione delinea
un'alternativa netta e non eludibile fra archiviazione che mette fine
alla  procedura (per cui non si fa luogo alla trasmissione degli atti
alla  Camera)  e  prosecuzione  del  giudizio penale (in relazione al
quale la detta trasmissione e' sempre necessaria).
   Lo   stesso  dato  letterale  si  dimostra  sotto  questo  aspetto
risolutivo,   atteso  che  il  legislatore  costituzionale  ha  usato
un'espressione («in caso diverso») che sta chiaramente a contrapporre
l'ipotesi  della  prosecuzione  del procedimento penale (che richiede
immancabilmente il previo intervento parlamentare) e quella ipotesi -
la  cui  «diversita» proprio in cio' risiede - in cui il procedimento
debba trovare la sua conclusione mediante l'archiviazione (e nel qual
caso  non  e'  ovviamente da attivare la procedura intesa ad ottenere
l'autorizzazione parlamentare).
   D'altro  canto,  lo schema adottato dal legislatore costituzionale
e' perfettamente coincidente con la ordinaria funzione che l'istituto
della  archiviazione  assolve nel sistema processual-penalistico, che
e'  appunto  quella di precludere l'ulteriore corso del procedimento.
Ne'  vi  e'  nella  legge  costituzionale  il benche' minimo appiglio
letterale  che  possa  far  ritenere che si sia voluto introdurre una
ulteriore  ed  anomala variante dell'istituto dell'archiviazione, per
cui   nonostante   l'intervento   della   archiviazione   stessa   il
procedimento    possa    egualmente    proseguire    a    prescindere
dall'intervento parlamentare.
   Ma  vi  sono  due  ulteriori  notazioni  da avanzare a conferma di
quanto  svolto.  La  prima  e'  che  come a rendere vieppiu' forte il
carattere  conclusivo  della  archiviazione da parte del Collegio dei
ministri,    la   legge   costituzionale   in   esame   precisa   che
l'archiviazione  stessa  viene disposta «con decreto non impugnabile»
(cosi'  recita ancora l'art. 8, comma 2). La seconda e' che, ai sensi
dell'art. 8, comma 4, in detta ipotesi si prevede che «il Procuratore
della  Repubblica  da'  comunicazione  dell'avvenuta archiviazione al
Presidente  della  Camera  competente»:  il  che  sta  a  denotare la
volonta'   del   legislatore  costituzionale  di  rendere  edotto  il
competente ramo del Parlamento che il mancato inoltro della richiesta
di  autorizzazione  a procedere e' dovuto esclusivamente al fatto che
il  procedimento  penale  a  carico  del  ministro non e' destinato a
proseguire,  attesa  appunto  la  decisione  assunta  dal Collegio in
ordine alla sua archiviazione.
   Come  si  vede,  non  si  puo'  ritenere  che  la  legge ordinaria
n. 219/1989,  e segnatamente la indicata disposizione di cui all'art.
2,  si  sia  limitata  ad  introdurre  in  materia  un meccanismo non
previsto  dalla  legge  costituzionale,  ma  comunque compatibile con
questa  e  semmai  volto  a  coprire una lacuna pretesamente lasciata
aperta  dalla medesima legge costituzionale. Di lacuna infatti non e'
plausibile   parlare   davanti   ad   una   disposizione   di   grado
costituzionale  che  a  chiare lettere testimonia l'esatto contrario,
ossia  che  alle diverse evenienze che possono darsi nei procedimenti
per reati ministeriali si ricollegano precise conseguenze in rapporto
alle  competenze  parlamentari  (quella della indispensabilita' della
autorizzazione  parlamentare  in  tutti  i  casi  di prosecuzione del
procedimento,  quella  della comunicazione in caso di conclusione del
procedimento stesso).
   E  comunque  sia,  la disciplina della pretesa lacuna recata dalla
legge  ordinaria  -  per  ipotesi  introduttiva della possibilita' di
trasmettere  gli  atti all'autorita' giudiziaria ordinaria in caso di
archiviazione per non ministerialita' del reato e senza alcun obbligo
di   domandare   in  via  preventiva  l'autorizzazione  della  Camera
competente  -  risulta  incompatibile  con il sistema delineato dalle
norme  costituzionali gia' esaminate: non si puo' che ribadire che da
esse  si  trae  la  indispensabile  presenza della Camera stessa ogni
qualvolta  il  procedimento  a  carico del ministro debba proseguire,
quale che sia la qualificazione che l'autorita' giudiziaria all'esito
delle  indagini  attribuisca  al  relativo  reato (ministeriale o non
ministeriale).
   In   altre   parole,  non  si  sostiene  qui  l'esistenza  di  una
attribuzione  che  consista  nel potere della Camera di apprezzare in
via  esclusiva il carattere ministeriale del reato, sibbene quella di
poter   esprimere,  secondo  le  apposite  cadenze  procedurali,  una
autonoma  valutazione  al  riguardo  e  se  del  caso  in ordine alla
ricorrenza delle esimenti indicate dalla norma costituzionale.
   D'altro  canto  - e questo e' un ulteriore, ma convergente profilo
di  illegittimita'  costituzionale  della  disciplina in oggetto - il
meccanismo censurato mette per di piu' a repentaglio lo stesso nucleo
delle  competenze di cui in materia e' titolare la Camera competente.
Risulta  infatti chiaro che, essendo quelli della Camera e quelli del
Collegio    poteri    concorrenti,    suscettibili    di    reciproco
condizionamento,   non  si  puo'  ammettere  che  la  legge  consenta
all'Autorita'  giudiziaria  di paralizzare, a propria discrezione, le
prerogative  costituzionali  attribuite  alla  Camera dei deputati in
materia  di  reati  ministeriali:  cio' significa infatti che sarebbe
sufficiente  l'archiviazione  per  non  ministerialita' del reato per
«aggirare  la  prerogativa autorizzatoria prevista dall'art. 96 della
Costituzione»  (cfr.  il parere della Giunta per le autorizzazioni in
data 3 maggio 2007).
   Sotto  questo  aspetto, la disposizione censurata contrasta per un
verso   con   elementari  esigenze  di  certezza  delle  attribuzioni
costituzionali  e  che  operano  con particolare intensita' nel campo
delle  prerogative  parlamentari;  per altro verso, viene a ledere il
principio  costituzionale  di  leale  cooperazione  fra  Poteri dello
Stato, in relazione all'esercizio delle competenze di cui si parla ed
alle  disposizioni costituzionali che le contemplano, posto che detto
principio  e'  senz'altro  suscettibile di trovare applicazione anche
nell'ambito  dei  rapporti tra il Collegio per i reati ministeriali e
l'Organo parlamentare (come affermato da codesta Corte nella sentenza
n. 403  del  1994, il potere attribuito a detto Collegio «si atteggia
anche come obbligo di leale collaborazione» con il concorrente potere
riconosciuto, in tale materia, alla Camera interessata).
   Se  e'  vero  infatti  che  la  materia e' tale da respingere ogni
soluzione  che diverga dal principio di leale collaborazione, nonche'
dal   canone   che   vi   si  ricollega  del  ragionevole  equilibrio
nell'esercizio  delle competenze rispettivamente attribuite ai Poteri
dello  Stato, ne viene la conferma del vizio prospettato, dal momento
che  il  potere  autorizzatorio delle Camere, stante la disciplina di
legge  di cui si controverte, viene messo irragionevolmente nel nulla
a  seguito  di  una  unilaterale  valutazione  operata dall'Autorita'
giudiziaria  relativamente al carattere non ministeriale del reato di
cui si tratti.
   C)   Infine,  e'  da  osservare  che  l'incostituzionalita'  della
disposizione e del meccanismo potenzialmente elusivo ivi previsto, e'
da  ravvisare  nella  circostanza  non  disconoscibile  che  la legge
ordinaria  ha  comunque  determinato  una sensibile modificazione, in
senso  peggiorativo, della disciplina di rango costituzionale volta a
definire  i  rapporti  tra  procedimento penale a carico dei ministri
(con   riguardo   ai   relativi   poteri   attribuiti   all'autorita'
giudiziaria) ed i poteri autorizzatori delle Camere.
   In  particolare,  si viene ad incidere, alterandolo profondamente,
sul  bilanciamento  che rappresenta il fulcro dell'art. 96 Cost.: qui
difatti   si   fissa   la   regola  della  sottoposizione  dei  reati
ministeriali  alla  «giurisdizione  ordinaria»,  ma  richiedendosi al
contempo  la  «previa  autorizzazione  del  Senato della Repubblica o
della  Camera  dei  deputati,  secondo  le  norme stabilite con legge
costituzionale».
   Ora,   e'   largamente  noto  che  la  materia  delle  guarentigie
costituzionali  puo'  trovare  la  sua  regolamentazione fondamentale
esclusivamente  in fonti di livello costituzionale. Perche' se non e'
consentito  alla legge ordinaria ampliare l'area delle prerogative in
questione  cosi'  come disegnata dalla fonte di grado superiore, deve
ritenersi   che  nemmeno  le  e'  dato  di  integrare  o  restringere
l'anzidetta  area (cfr. le sentenze nn. 24/2004 e 120/2004). Sicche',
giammai  una  disposizione  di rango ordinario potrebbe impingere nel
nucleo  essenziale  dell'istituto,  specie  considerando il ruolo che
l'art.  96, Cost., e' chiamato ad assolvere nell'assetto basilare dei
rapporti  tra  organi  di vertice dello Stato, come a suo tempo si e'
chiarito: mentre e' fuor di dubbio che la rimozione del passaggio per
via  parlamentare,  in caso di ritenuta sussistenza di una ipotesi di
reato  comune,  comporti una marcata modificazione del ruolo che alle
Camere e' assegnato nel corso del procedimento, in virtu' della legge
n.1/1989,  tale  da  espropriarle  della  competenza  ad  adottare le
valutazioni  e  le decisioni di loro pertinenza anche a fronte di una
qualificazione giudiziaria del reato come non ministeriale.
   Va    da   se'   che,   ove   la   Corte   costituzionale   adotti
l'interpretazione   conforme   a   costituzione   che   si  e'  sopra
prospettata,  ne  discende  l'automatico  e  conseguente accertamento
dell'avvenuta  lesione  nella  specie  delle prerogative riconosciute
alla  Camera  ricorrente dalle disposizioni di livello costituzionale
nei termini enunciati.
   In caso contrario, si insiste nel ritenere che la Corte stessa non
possa  esimersi  dal sollevare innanzi a se' medesima la questione di
legittimita' costituzionale della menzionata disposizione legislativa
-  perche'  non  prevede  che  debba  richiedersi  l'autorizzazione a
procedere  della  Camera  competente  anche  nella  ipotesi in cui il
Collegio  dei  ministri  decida  per l'archiviazione in ragione della
ritenuta  non  ministerialita' del reato, ma il procedimento prosegua
davanti all'autorita' giudiziaria ordinaria - in relazione agli artt.
96,  Cost.;  8  e  9,  legge cost., n. 1/1989, nonche' per violazione
delle  medesime  disposizioni  in  rapporto  al  principio  di  leale
cooperazione  ed  al  principio  di  ragionevolezza di cui all'art. 3
Cost.:  cio'  stante  la  serieta' dei dubbi di costituzionalita' che
sono stati avanzati nei confronti della disposizione in oggetto sotto
l'aspetto  della  sua idoneita' ad impedire illegittimamente, tramite
gli  atti  che  ne  facciano  applicazione, che la Camera eserciti le
attribuzioni  che  le sono rimesse dalle disposizioni costituzionali,
come   tali  probanti  della  sussistenza  del  requisito  della  non
manifesta infondatezza della questione.
   Quanto    alla   rilevanza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale,  si  e' gia' piu' volte osservato che i provvedimenti
giudiziari  oggetto  del  presente  conflitto  hanno  dichiaratamente
proceduto  all'applicazione dell'art. 2, comma 1, ultima parte, legge
n. 219/1989.  Ne  deriva  che ove tale disposizione, sotto il profilo
qui  considerato,  venisse dichiarata incostituzionale, la lesione in
tal   modo   prodottasi  nei  confronti  delle  prerogative  camerali
resterebbe  priva  di  fondamento  legale, con conseguente ripristino
delle attribuzioni dell'odierno potere ricorrente in materia di reati
ministeriali.
                              P. Q. M.
   Si  chiede che la Corte costituzionale - previa sollevazione della
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, della
legge  n. 219/1989  in  parte  qua,  ai  fini  della  declaratoria di
incostituzionalita'  della  predetta  disposizione  di legge - voglia
statuire  che  nella  specie  non spetta al Tribunale dei ministri di
Firenze  trasferire  al  giudice  penale  ordinario,  competente  per
territorio,  il procedimento instaurato ai sensi dell'art. 96, Cost.,
senza  aver  prima  richiesto  l'autorizzazione camerale e, comunque,
senza  avere  previamente trasmesso alla Camera dei deputati gli atti
del  procedimento  medesimo  in  modo  da  consentirle di valutare la
sussistenza  dei  presupposti  per l'attivazione della guarentigia di
cui  trattasi; cosi' come non spetta al Tribunale di Livorno, Sezione
distaccata di Cecina, proseguire il giudizio non ritenendo necessario
che  nella  specie  si richieda l'autorizzazione a procedere e che la
Camera  dei  deputati  comunque  interloquisca  nel procedimento. Con
conseguente annullamento degli atti indicati in epigrafe.
     Roma, addi' 28 giugno 2007
     Il Presidente Fausto Bertinotti - Prof. avv. Roberto Nania
Avvertenza
   L'ammissibilita'  del  presente  conflitto  e'  stata  decisa  con
ordinanza  n. 8/2008  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 1ª s.s.,
n. 4 del 23 gennaio 2008.