N. 86 SENTENZA 31 marzo - 4 aprile 2008

  Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
  Giudizio  di legittimita' costituzionale in via incidentale - Thema
  decidendum  -  Delimitazione - Censure prospettate dalle parti, non
  contenute nell'ordinanza di rimessione - Inammissibilita'.
  Sanita'  pubblica  -  Norme  statali  e  della  Regione  Toscana  -
  Dirigenti  medici  incaricati  della  direzione  di  una  struttura
  sanitaria - Svolgimento in atto di attivita' extramuraria - Perdita
  della  funzione dirigenziale senza distinzione tra l'ipotesi in cui
  vi  sia concreta possibilita' di espletare l'attivita' intramuraria
  e  quella  in  cui  tale  possibilita'  non  vi  sia  -  Denunciata
  irragionevolezza  -  Eccepita  inammissibilita' della questione per
  difetto di rilevanza - Reiezione.
  -  D.Lgs.  30  dicembre  1992,  n. 502, art. 15-quinquies, comma 5;
  legge della Regione Toscana 24 febbraio 2005, n. 40, art. 59, comma
  1,   come  interpretato  autenticamente  dall'art.  6  della  legge
  regionale 14 dicembre 2005, n. 67.
  - Costituzione, art. 3.
  Sanita'  pubblica  -  Norme  statali  e  della  Regione  Toscana  -
  Dirigenti  medici  incaricati  della  direzione  di  una  struttura
  sanitaria - Svolgimento in atto di attivita' extramuraria - Perdita
  della  funzione dirigenziale senza distinzione tra l'ipotesi in cui
  vi  sia concreta possibilita' di espletare l'attivita' intramuraria
  e   quella  in  cui  tale  possibilita'  non  vi  sia  -  Lamentata
  irragionevolezza    -    Residualita'   dell'ipotesi   di   mancata
  predisposizione   delle  strutture  per  attivita'  intramuraria  -
  Possibile sussistenza di una situazione di disparita' di mero fatto
  -  Obbligo  per  gli  organi  direttivi  delle  ASL  di predisporre
  strutture  idonee  per  lo  svolgimento  di  tale  attivita'  - Non
  fondatezza della questione.
  -  D.Lgs.  30  dicembre  1992,  n. 502, art. 15-quinquies, comma 5;
  legge della Regione Toscana 24 febbraio 2005, n. 40, art. 59, comma
  1,   come  interpretato  autenticamente  dall'art.  6  della  legge
  regionale 14 dicembre 2005, n. 67.
  - Costituzione, art. 3.
(GU n.16 del 9-4-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta  dai  signori:  Presidente:  Franco  BILE; Giudici: Giovanni
Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Alfio FINOCCHIARO,
Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI,
Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe TESAURO, Paolo Maria
NAPOLITANO; ha pronunciato la seguente
                              Sentenza
nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art 15-quinquies,
comma  5,  del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino
della  disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della
legge  23 ottobre 1992, n. 421), e dell'art. 59, comma 1, della legge
della  Regione  Toscana  24  febbraio  2005,  n. 40  (Disciplina  del
servizio  sanitario  regionale),  «come  interpretato autenticamente»
dall'art.  6  della  legge  della  Regione  Toscana 14 dicembre 2005,
n. 67,  recante  «Modifiche  alla  legge  regionale 24 febbraio 2005,
n. 40  (Disciplina del servizio sanitario regionale). Interpretazione
autentica  dell'articolo  59  della  l.r.  n. 40/2005»,  promosso con
ordinanza  del 30 ottobre 2006 dal Tribunale di Grosseto, in funzione
di  giudice del lavoro, nel procedimento civile vertente tra S. V. ed
altra  e  l'Azienda  U.S.L.  n. 9 di Grosseto, iscritta al n. 533 del
registro  ordinanze  2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 32, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
   Visti  gli  atti  di  costituzione  di  S.  V.,  della SOI SAMOI -
Societa'   Oftalmologica   Italiana -  Associazione  Medici  Oculisti
Italiana  nonche'  gli atti di intervento della Regione Toscana e del
Presidente del Consiglio dei ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  26  febbraio  2008  il giudice
relatore Alfonso Quaranta;
   Uditi gli avvocati Gualtiero Pittalis per S. V., Gian Carlo Muccio
per  la  SOI  AMOI,  Societa'  Oftalmologica  Italiana - Associazione
Medici  Oculisti  Italiana, Vincenzo Cocozza per la Regione Toscana e
l'avvocato   dello  Stato  Paolo  Cosentino  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri.
                          Ritenuto in fatto
   1.  -  Il  Tribunale ordinario di Grosseto, in funzione di giudice
del  lavoro,  ha sollevato questione di legittimita' costituzionale -
in riferimento all'art. 3 della Costituzione - dell'art 15-quinquies,
comma  5,  del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino
della  disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della
legge  23 ottobre 1992, n. 421), e dell'art. 59, comma 1, della legge
della  Regione  Toscana  24  febbraio  2005,  n. 40  (Disciplina  del
servizio  sanitario  regionale),  «come  interpretato autenticamente»
dall'art.  6  della  legge  della  Regione  Toscana 14 dicembre 2005,
n. 67,  recante  «Modifiche  alla  legge  regionale 24 febbraio 2005,
n. 40  (Disciplina del servizio sanitario regionale). Interpretazione
autentica dell'articolo 59 della l.r. n. 40/2005».
   Il  giudice  a  quo,  in  particolare,  dubita  della legittimita'
costituzionale  delle  due  norme,  in  quanto «comportano la perdita
della funzione dirigenziale» (del ruolo sanitario) «in caso di scelta
del  medico  di proseguire l'attivita' extra moenia senza distinguere
l'ipotesi in cui vi sia la possibilita' concreta dell'esercizio della
libera  professione  intra  moenia da quella in cui tale possibilita'
concreta non vi sia».
   1.1. - Premette, in punto di fatto, il Tribunale rimettente - dopo
avere  rammentato  di  avere  gia' investito la Corte costituzionale,
sempre  nell'ambito  del  medesimo  giudizio, di analoga questione di
legittimita'  costituzionale, con esito costituito in entrambi i casi
da pronunce di restituzione degli atti ad esso rimettente, in ragione
di  sopravvenienze  normative(ordinanze  n. 309 del 2002 e n. 422 del
2005) - di essere stato adito, in funzione di giudice del lavoro, per
la  conferma  del  provvedimento, adottato ai sensi dell'art. 700 del
codice  di  procedura  civile,  con  il  quale sono stati sospesi gli
effetti  della  opzione  espressa  in  data  20  maggio 2000 (a norma
dell'art.  15-quater,  comma  3,  del  d.lgs.  n. 502  del  1992) dal
ricorrente  nel  giudizio  a quo,dirigente della divisione oculistica
presso l'ospedale di Grosseto.
   Precisa,   dunque,   il  rimettente  che  l'oggetto  del  giudizio
principale consiste nella conferma del provvedimento cautelare con il
quale  si  e'  consentito  al predetto dirigente sanitario di evitare
l'esercizio  dell'opzione  -  prevista  dalla  disposizione da ultimo
richiamata  - tra il rapporto esclusivo alle dipendenze dell'ospedale
(implicante   il   divieto  di  esercizio  della  libera  professione
extramuraria),  e  lo  svolgimento,  invece, della libera professione
extra moenia.
   Ai  sensi,  difatti, del combinato disposto degli artt. 15-quater,
comma  3,  e  15-quinquies,  comma  5,  del  d.lgs. n. 502 del 1992 -
entrambi  aggiunti  dall'art.  13  del  decreto legislativo 19 giugno
1999,  n. 229  (Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario
nazionale,  a  norma  dell'articolo  1  della legge 30 novembre 1998,
n. 419)  -  i  dirigenti  sanitari, gia' in servizio alla data del 31
dicembre  1998  (tale e' la condizione in cui versa il ricorrente nel
giudizio  a  quo),erano  tenuti  a  comunicare  -  entro  un  termine
originariamente fissato nel novantesimo giorno successivo all'entrata
in  vigore del suddetto d.lgs. n. 229 del 1999, e poi prorogato al 14
marzo  2000  dall'art.  1,  comma  1, del decreto legislativo 2 marzo
2000,  n. 49  (Disposizioni  correttive  del  decreto  legislativo 19
giugno  1999,  n. 229,  concernenti  il  termine  di  opzione  per il
rapporto  esclusivo  da  parte dei dirigenti sanitari) - l'opzione in
ordine  al  rapporto esclusivo (opzione che, oltretutto, si presumeva
in  assenza  di  diversa comunicazione), cio' che, oltre a costituire
condizione  indefettibile  per  il  mantenimento  degli  incarichi di
direzione  di  struttura,  semplice  o complessa, comportava anche la
necessita'    di    limitare    l'attivita'    libero   professionale
esclusivamente a quella «intramuraria».
   Assume,   inoltre,   il  rimettente  che,  mentre  l'adozione  del
provvedimento  cautelare  con  cui  sono  stati  sospesi  gli effetti
dell'opzione  in favore del rapporto esclusivo poteva compiersi (e di
fatto   e'   stata   compiuta)   sulla   base   di  una  prognosi  di
incostituzionalita'  della  relativa  disciplina, la conferma di tale
provvedimento  presuppone,  invece, la declaratoria di illegittimita'
costituzionale  delle  norme  censurate,  in quanto «il giudice della
causa  di  merito, a differenza del giudice della causa avente natura
cautelare, non puo' disapplicare una norma di legge».
   1.2.   -   Ritenuta,   pertanto,  la  perdurante  rilevanza  della
questione,  pur  a seguito delle sopravvenienze normative che avevano
indotto  la  Corte  costituzionale  a pronunciare le due ordinanze di
restituzione  degli atti sopra ricordate, il rimettente ribadisce che
le  due  norme  censurate - stabilendo che l'incarico di direzione di
una   struttura  sanitaria,  semplice  o  complessa,  implica,  senza
eccezione  alcuna, il rapporto di lavoro esclusivo - finiscono con il
parificare,  irragionevolmente,  «il  dirigente  che possa esercitare
un'effettiva  scelta  tra  due  opzioni entrambe praticabili (laddove
siano  state  concretamente  allestite  le  strutture  per  la libera
professione  intra  moenia)  e  il  dirigente  a  cui sia in concreto
preclusa  l'alternativa  della  libera  professione intra moenia», in
ragione della mancata predisposizione di tali strutture.
   Inoltre,  la  contestata  disciplina,  con  previsione  nuovamente
irragionevole,  impone al dirigente «di esercitare l'opzione prima di
sapere   se,  effettivamente,  l'azienda  predisporra'  le  strutture
necessarie  all'esercizio  della  libera professione», costringendolo
cosi' «ad un salto nel buio».
   Ne',  ad  escludere  detto  inconveniente,  potrebbe  invocarsi il
disposto  del  comma 10 del predetto art. 15-quinquies, che riconosce
al  medico  -  in  caso  di  carenza di strutture e spazi idonei alle
necessita'     connesse     allo    svolgimento    delle    attivita'
libero-professionali  in  regime  ambulatoriale - l'utilizzazione del
proprio  studio  professionale,  fino  alla  data,  certificata dalla
Regione  o  dalla  Provincia  autonoma,  degli interventi strutturali
necessari      ad      assicurare      l'esercizio     dell'attivita'
libero-professionale intra moenia e comunque entro il 31 luglio 2007.
Per  un  verso,  infatti, siffatta previsione «costringe il medico ad
esosi  e  caduchi  investimenti  strutturali»,  per  altro  verso  e'
«comunque   limitata   alle   attivita'   professionali   in   regime
ambulatoriale».
   2.  -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo la declaratoria di inammissibilita' della questione,
ovvero il rigetto della stessa.
   La  difesa  erariale  assume,  difatti,  l'inammissibilita'  della
questione  «per  perdurante  o  comunque  sopravvenuta  irrilevanza».
Previamente   ripercorse   tanto  le  vicende  oggetto  del  giudizio
principale,  quanto  l'evoluzione conosciuta dalla legislazione - sia
statale che regionale - in materia, l'Avvocatura generale dello Stato
contesta  l'affermazione  sulla  quale  il  rimettente  ha fondato la
propria  rinnovata  iniziativa,  ovvero che la Corte costituzionale -
con   la   sentenza   n. 181   del  2006  -  non  avrebbe  «preso  in
considerazione  l'ipotesi  in cui non esista la concreta possibilita'
di  espletare l'attivita' in regime di rapporto esclusivo», omettendo
di  valutare anche in base a tale circostanza la ragionevolezza della
disciplina in contestazione.
   Tale assunto sarebbe smentito, secondo la difesa erariale, da quel
passaggio  della  citata  sentenza ove si afferma che, nel quadro «di
una  evoluzione  legislativa diretta a conferire maggiore efficienza,
anche  attraverso  innovazioni del rapporto di lavoro dei dipendenti,
all'organizzazione   della   sanita'   pubblica   cosi'  da  renderla
concorrenziale  con  quella  privata»,  non risulta irragionevole «la
previsione      di      limiti      all'esercizio      dell'attivita'
libero-professionale  da  parte  dei  medici  del  Servizio sanitario
nazionale»,  e cio' anche in ragione del fatto «che la denunciata - e
comunque   indiretta   -   limitazione   all'esercizio  della  libera
professione»,  risulta  «peraltro  frutto  di  una precisa scelta del
medico».
   Inoltre,  a rendere immune le norme censurate dal denunciato vizio
di  incostituzionalita'  -  donde  la  richiesta, formulata in via di
subordine  dall'Avvocatura  generale  dello Stato, di declaratoria di
non  fondatezza  della  questione  -  soccorrerebbe la previsione del
comma  10 dell'art. 15-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, giacche'
essa,   in  via  eccezionale  e  transitoria,  abilita  il  sanitario
all'utilizzazione del proprio studio professionale per lo svolgimento
dell'attivita' intramuraria.
   Ne'  in  senso  contrario potrebbe sostenersi - prosegue la difesa
erariale  -  che  «detta previsione da un lato costringe il medico ad
investimenti  per  attrezzare  il  proprio  studio  professionale  e,
dall'altro,  esclude,  o  comunque  rende  estremamente difficoltoso,
l'esercizio da parte dello stesso dell'attivita' libero professionale
in regime di ricovero». Difatti, se cosi' fosse - e' la conclusione -
«la  questione  andrebbe  posta,  caso  mai,  in  termini  di mancata
previsione  del  rimborso  delle  spese  sostenute»  nel  primo caso,
essendo  invece  superata,  nel  secondo, grazie previsione contenuta
nell'art.  72, comma 11, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure
di  finanza  pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), la quale
fa  carico  al  direttore generale dell'azienda sanitaria di assumere
specifiche   iniziative   per   reperire   fuori  dall'azienda  spazi
sostitutivi  in  strutture  non  accreditate  nonche'  ad autorizzare
l'utilizzazione di studi professionali privati.
   3.  -  E'  intervenuta in giudizio la Regione Toscana per chiedere
che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque non fondata,
atteso  che  la  Corte  costituzionale  avrebbe gia' rilevato, con la
sentenza  n. 181 del 2006, la legittimita' costituzionale della norma
regionale censurata.
   4.  - Si  e'  costituito  in  giudizio  il ricorrente del giudizio
principale.
   Questi, richiamandosi alle argomentazioni contenute nell'ordinanza
di  rimessione  sulla  rilevanza  e  sulla non manifesta infondatezza
della questione di legittimita' costituzionale delle norme censurate,
rileva, in particolare, come soltanto attraverso l'accoglimento della
stessa  sarebbe  possibile  pervenire alla conferma del provvedimento
cautelare  adottato  nel corso del giudizio principale, e dunque alla
definitiva  reintegrazione  di  esso  ricorrente nell'esercizio delle
funzioni  di primario ospedaliero, unitamente al riconoscimento della
continuazione  della  facolta'  di esercizio della libera professione
extramuraria,  risultati  questi ambedue conseguiti, sin qui, solo in
via  interinale,  come  del  resto  l'inibitoria  imposta all'azienda
ospedaliera  grossetana,  essendole fatto carico di non di dare corso
alla procedura per il conferimento dell'incarico dirigenziale.
   Ribadisce,   per  il  resto,  che  i  principi  costituzionali  di
«eguaglianza,  imparzialita',  di  buon  andamento, proporzionalita',
giusto   mezzo   e   ragionevolezza»   impongono   che   «l'esercizio
dell'opzione  di  cui  trattasi» - avente ad oggetto la scelta tra la
possibilita',    da    un    lato,    di   esercizio   dell'attivita'
libero-professionale  extra  moenia, accompagnata pero' dalla perdita
delle  funzioni  di  direzione  di una struttura sanitaria, e quella,
dall'altro,  di  svolgere  unicamente  la  libera  professione  intra
moenia,  conservando  le  funzioni  di direzione - venga richiesto al
sanitario  soltanto allorche' siano state organizzate «le strutture e
le  attrezzature  che  effettivamente  permettano  l'esercizio  della
libera professione intramuraria».
   A   tale   scopo   mira,   appunto,   la  sollevata  questione  di
costituzionalita', la quale - osserva la parte privata - ha mantenuto
inalterata  la  sua  rilevanza anche dopo gli interventi legislativi,
statali   e   regionali,   che  hanno  nuovamente  indotto  la  Corte
costituzionale  -  con l'ordinanza n. 422 del 2005 - a restituire gli
atti al giudice rimettente.
   Ed  infatti,  se  le  modifiche  apportate dall'art. 2-septies del
decreto-legge   29   marzo   2004,   n. 81  (Interventi  urgenti  per
fronteggiare   situazioni   di  pericolo  per  la  salute  pubblica),
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2004, n. 138 del
2004,  al testo del comma 4 dell'art. 15-quater del d.lgs. n. 502 del
1992 hanno interessato, «alleggerendole», le conseguenze dell'opzione
per  il rapporto esclusivo («essendo stata eliminata», osserva sempre
la  parte  privata,  «l'irreversibilita'  della  scelta  del rapporto
esclusivo  e l'impossibilita' per il medico in rapporto non esclusivo
di   assumere  incarichi  di  direzione»),  resta  pur  sempre  fermo
«l'obbligo  di  optare»,  e  cio'  senza  che  possa assumere rilievo
l'effettiva  predisposizione, o meno, delle strutture necessarie allo
svolgimento dell'attivita' professionale intramuraria.
   D'altra parte, poi, su tale profilo non ha inciso neppure la legge
regionale  della  Toscana  n. 40  del 2005, la quale, anzi, ha inteso
addirittura  far  rivivere  il  sistema - abbandonato dal legislatore
statale  -  secondo  cui  gli  incarichi  di  direzione di struttura,
semplice o complessa, sono conferiti ai dirigenti sanitari «in regime
di  rapporto  di  lavoro  esclusivo  da mantenere per tutta la durata
dell'incarico».
   5.  - Si e' costituita in giudizio anche la Societa' Oftalmologica
Italiana -  Associazione  Medici  Oculisti  Italiani  (SOI-AMOI),  la
quale,  in  via  preliminare,  ha  chiarito  di  aver  gia'  spiegato
intervento  ad  adiuvandum  a  sostegno  della  pretesa  azionata dal
ricorrente  nel  giudizio  a  quo,  cio'  che  di  per se' varrebbe a
legittimare la sua partecipazione all'odierno giudizio.
   Nel  merito, oltre a fare propri i rilievi di cui all'ordinanza di
rimessione,  la  predetta societa' sottolinea l'ininfluenza, rispetto
ai  gia' prospettati dubbi di costituzionalita', del mutamento subito
dal quadro normativo di riferimento.
   Essa,   infine,  ha  chiesto  la  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale   -   oltre   che  delle  disposizioni  censurate  dal
rimettente  -  anche «delle disposizioni di cui agli artt. 3 e 5» del
decreto  legislativo  19  giugno  1999,  n. 229,  nonche' della legge
regionale  della  Toscana  22 ottobre 2004, n. 56, recante «Modifiche
alla  legge  regionale  8 marzo 2000, n. 22 (Riordino delle norme per
l'organizzazione  del  servizio  sanitario  regionale)  in materia di
svolgimento    delle    funzioni   di   direzione   delle   strutture
organizzative», ipotizzando la «violazione degli artt. 3, 32, 33, 36,
41, 76, 97 e 117 della Costituzione».
   6.  -  In  data  13 febbraio 2008, il Presidente del Consiglio dei
ministri   ha   depositato   presso   la   cancelleria   della  Corte
costituzionale una nuova memoria.
   Ricostruite,  vieppiu',  le vicende oggetto del presente giudizio,
la difesa erariale osserva che il decreto legislativo n. 229 del 1999
«si e' posto l'obiettivo di una radicale discontinuita' rispetto alla
disciplina  previgente»,  proponendosi  «di  pervenire,  seppure  con
gradualita',  all'esclusivita'  del  rapporto di lavoro dei dirigenti
sanitari in ruolo al 31 dicembre 1998».
   In  particolare,  mentre  le «precedenti discipline avevano inteso
collegare    l'obbligo    della   scelta   dei   dirigenti   sanitari
all'approntamento delle relative strutture», attraverso l'inserimento
-  nel testo del d.lgs. n. 502 del 1992 - degli artt. da 15-quinqiues
a 15-sexies, «il legislatore ha volutamente scelto un sistema inverso
a quello precedentemente in vigore, ossia di preventivamente assumere
le  differenti  disponibilita'  all'attivita'  intra o extra moenia e
successivamente  riorganizzare  il  servizio su tale base cognitiva».
Pertanto,   la  decisione  assunta  a  livello  statale,  «lungi  dal
costituire  una  scelta irragionevole, in quanto non permetterebbe di
conoscere   le   opzioni   effettivamente   praticabili,  costituisce
espressione  di  un  principio  di  razionalizzazione  volto  a  dare
concretezza alle scelte del legislatore».
   Analogamente,  il  fatto  che  «la  Regione  Toscana  abbia voluto
condizionare  l'attribuzione  di  incarichi  apicali  alla scelta del
rapporto esclusivo, non solo non confligge con alcuna disposizione di
rango costituzionale, ma e' proprio il portato della legge di riforma
del  titolo  V  della  Costituzione»,  che  attribuisce alla potesta'
legislativa  concorrente dello Stato e delle Regioni la materia della
tutela  della  salute.  Inoltre,  la scelta del legislatore regionale
appare  «funzionale  alla  protezione  di  altri  interessi  ed altre
esigenze parimenti fatte oggetto di protezione costituzionale».
   Su   tali   basi,  quindi,  la  difesa  erariale  ha  ribadito  le
conclusioni gia' formulate.
   7.  -  Sempre in data 13 febbraio anche la SOI-AMOI ha depositato,
presso la cancelleria della Corte costituzionale, una nuova memoria.
   Essa  ribadisce  di  voler «esporre considerazioni che estendono e
rafforzano,  a suo parere, la manifesta illegittimita' delle norme in
questione».
   Deduce,  pertanto,  la  violazione  dell'art.  3 Cost. anche sotto
altro  profilo,  assumendo,  in  particolare,  che le norme censurate
«sembrano   impedire   non  solo  le  condizioni  di  liberta'  e  di
eguaglianza  del  cittadino  medico,  ma  anche l'esercizio della sua
personalita'  umana (indissolubilmente legata alla sua professione)»,
nonche'   «il  diritto  acquisito  alla  libera  professione».  Viene
ipotizzata,  inoltre,  la  violazione  dell'art. 32 Cost., atteso che
l'esercizio  del  diritto alla salute sarebbe «strettamente collegato
con la libera scelta del medico e dunque con l'esercizio del rapporto
fiduciario   da  parte  dell'utente  che,  per  effetto  del  sistema
delineato, viene, come si e' visto, del tutto compromesso».
   Del  pari,  e'  dedotto  il contrasto delle norme censurate con il
combinato  disposto  degli  artt.  3 e 36 Cost., «la cui armonizzante
lettura  dispone  parita'  di  trattamento  in  rapporto a parita' di
compiti  e  di  condizioni  dei  lavoratori»,  e con l'art. 41 Cost.,
poiche'  la  libera  competizione tra i medici del Servizio sanitario
nazionale  verrebbe  «sicuramente  compromessa» dal sistema delineato
dalle norme stesse.
   Infine,  si  ipotizza la violazione dell'art. 76 Cost., atteso che
il d.lgs. n. 229 del 1999 - nel dettare la previsione di cui all'art.
15-quinquies  del  d.lgs.  n. 502  del  1992 - «avrebbe esorbitato lo
spazio offerto dal legislatore delegante».
   Ribadisce la SOI-AMOI, conclusivamente, l'attualita' dei descritti
rilievi  di  illegittimita' costituzionale, anche alla luce di quanto
ritenuto  dalla  Corte  costituzionale  con  sentenza n. 50 del 2007,
secondo  cui  la  facolta'  di  scelta tra i due regimi di lavoro dei
dirigenti sanitari (esclusivo e non esclusivo) appare «espressione di
un   principio   fondamentale,  volto  a  garantire  una  tendenziale
uniformita'  tra  le diverse legislazioni ed i sistemi sanitari delle
Regioni   e   delle   Province  autonome  in  ordine  ad  un  profilo
qualificante del rapporto tra sanita' ed utenti».
   Ne',  poi, una nuova decisione di restituzione degli atti potrebbe
essere  giustificata  dalla  sopravvenienza dell'art. 3 della legge 3
agosto   2007,   n. 120   (Disposizioni   in   materia  di  attivita'
libero-professionale   intramuraria   e   altre   norme   in  materia
sanitaria),   atteso   che  tale  norma  non  farebbe  «che  ribadire
l'ennesima disposizione» finalizzata ad «indurre le Regioni e le AUSL
ad  adottare  misure  organizzative tali da consentire in concreto la
libera professione intramuraria in ogni situazione», oltretutto senza
prevedere  «alcun finanziamento per i propositi - sempre vanificati -
di  effettiva  organizzazione a sostegno dell'attivita' professionale
intramuraria»,  anzi  facendo  «espresso  divieto di oneri aggiuntivi
nell'impiego  di  personale  che  dovrebbe essere posto a sostegno di
tale attivita».
   8.  -  Anche  la Regione Toscana, del pari in data 12 febbraio, ha
depositato,  presso  la  cancelleria  della Corte costituzionale, una
nuova memoria.
   La  Regione  evidenzia, innanzitutto, come il Tribunale rimettente
abbia  ribadito  i  dubbi  di legittimita' costituzionale delle norme
censurate  - con riferimento al solo art. 3 Cost. - «limitatamente al
profilo  della  prevista  perdita della funzione dirigenziale in ogni
caso   di  scelta  di  proseguire  l'attivita'  extra  moenia,  senza
distinguere  tra l'ipotesi in cui vi fosse l'alternativa della libera
professione  intra  moenia  e  quella  in cui tale alternativa non vi
fosse per carenza di strutture aziendali all'uopo dedicate».
   Cio'   premesso,   essa   deduce   che,  subito  dopo  l'emissione
dell'ordinanza di rimessione, e' intervenuta la delibera della Giunta
regionale  della  Toscana 23 luglio 2007, n. 555 di recepimento delle
disposizioni  di  cui  al  decreto legislativo 28 luglio 2000, n. 254
(Disposizioni  correttive  ed  integrative del decreto legislativo 19
giugno  1999,  n. 229,  per  il  potenziamento  delle  strutture  per
l'attivita'  libero-professionale  dei  dirigenti sanitari), il quale
prevedeva «la realizzazione da parte delle aziende sanitarie, tramite
un  programma  di  investimenti  ad  hoc»  di apposite «strutture per
l'esercizio  della  libera  professioneintra moenia». In particolare,
detta  delibera  «stabiliva  per  quanto attiene all'Azienda USL 9 di
Grosseto   la   realizzazione   di   strutture   per  lo  svolgimento
dell'attivita' intra moenia entro il 31 luglio 2007».
   Inoltre,  la  difesa  regionale  segnala come l'art. 1 della legge
n. 120  del  2007  abbia  espressamente  previsto  che,  al  fine  di
garantire     l'esercizio     dell'attivita'     libero-professionale
intramuraria,  «le  regioni  e  le  province  autonome di Trento e di
Bolzano  assumono  le  piu' idonee iniziative volte ad assicurare gli
interventi  di ristrutturazione edilizia, presso le aziende sanitarie
locali, le aziende ospedaliere, le aziende ospedaliere universitarie,
i  policlinici  universitari  a  gestione  diretta  e gli istituti di
ricovero  e cura a carattere scientifico (IRCCS) di diritto pubblico,
necessari per rendere disponibili i locali destinati a tale attivita»
(cosi',   testualmente,   il  comma  1),  stabilendo,  altresi',  che
l'adozione  di  tali  iniziative  «dovra'  essere completata entro il
termine  di  diciotto mesi a decorrere dalla data del 31 luglio 2007»
(in tal senso il comma 2).
   In  attuazione  di  tali  previsioni, prosegue la Regione Toscana,
«l'Azienda USL 9 di Grosseto ha gia' predisposto tutti gli spazi e le
tecnologie  idonee  all'attivita' intramuraria», come attesterebbe la
delibera aziendale n. 494 del 2007.
   In  forza  di tali ultime considerazioni, la Regione assume in via
pregiudiziale   -   non   senza   previamente   eccepire,   peraltro,
«l'inammissibilita'   degli   ulteriori   profili  di  illegittimita'
costituzionale  dedotti  dalle parti private intervenute nel presente
giudizio  incidentale,  non  richiamate nell'ordinanza di rimessione»
(cita,  in  proposito,  la  sentenza  n. 405  del  1999)  e  comunque
l'impossibilita'  di  imputare il vizio di eccesso dalla delega, pure
da  esse  prospettato,  alle leggi regionali (cita la sentenza n. 221
del  1992 e l'ordinanza n. 209 del 2005) - che la questione sollevata
non sarebbe «assistita dal requisito della rilevanza».
   Nel  merito,  la  Regione  deduce  l'infondatezza della questione,
richiamando  le  sentenze  della Corte costituzionale n. 63 del 2000,
n. 353 del 1993, oltre che la sentenza n. 181 del 2006, con la quale,
in  particolare,  si  e'  provveduto «a sindacare le specifiche norme
oggetto dell'odierno giudizio di costituzionalita', riconoscendone la
legittimita'  costituzionale  proprio  in relazione all'art. 3 (oltre
che all'art. 117 della Costituzione)».
   In  particolare,  la  Corte  ha  affermato  - sottolinea la difesa
regionale  -  che  «non  appare irragionevole la previsione di limiti
all'esercizio dell'attivita' libero-professionale da parte dei medici
del  Servizio sanitario nazionale», e cio' anche in ragione del fatto
«che la denunciata - e comunque indiretta - limitazione all'esercizio
della  libera  professione»,  risulta «peraltro frutto di una precisa
scelta del medico».
   Richiamate,  pertanto,  anche  le sentenze n. 147 del 2005, n. 330
del 1999 e n. 145 del 1985, la Regione insiste per la declaratoria di
non fondatezza della questione sollevata.
   Quanto,   poi,   in  particolare,  alla  specifica  doglianza  del
rimettente  - circa l'assenza delle condizioni che permetterebbero al
sanitario  di  compiere una scelta consapevole in favore del rapporto
esclusivo  - decisiva appare alla difesa regionale la circostanza che
«il  legislatore,  con  l'art.  15-quinquies,  comma  10,  al fine di
ovviare   a   possibili   disfunzioni  organizzative,  ha  consentito
l'utilizzo  di  studi  professionali privati, laddove e fino a quando
l'azienda   non  abbia  reperito  gli  spazi  adeguati  all'esercizio
dell'intra   moenia»;  ne  consegue,  pertanto,  che  per  lo  stesso
ricorrente  del  giudizio  principale,  «nel  momento in cui e' stato
chiamato  ad  esercitare  l'opzione  a  favore  del regime esclusivo,
l'esercizio  dell'attivita'  intramuraria  era,  comunque, garantito,
anche nelle forme della cd. intra moenia allargata».
                       Considerato in diritto
   1.  - Torna all'esame di questa Corte la questione, gia' sollevata
dal  Tribunale  ordinario  di  Grosseto,  in  funzione di giudice del
lavoro,  in  relazione  alla  quale  sono  gia'  state  adottate  due
ordinanze di restituzione degli atti al giudice rimettente (ordinanze
n. 309 del 2002 e n. 422 del 2005) in ragione di ius superveniens.
   Con  l'ordinanza  di  rimessione  di  cui in epigrafe, il medesimo
Tribunale  ha sollevato questione di legittimita' costituzionale - in
riferimento  all'art.  3  della Costituzione - dell'art 15-quinquies,
comma  5,  del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino
della  disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della
legge  23 ottobre 1992, n. 421), e dell'art. 59, comma 1, della legge
della  Regione  Toscana  24  febbraio  2005,  n. 40  (Disciplina  del
servizio  sanitario  regionale),  «come  interpretato autenticamente»
dall'art.  6  della  legge regionale 14 dicembre 2005, n. 67, recante
«Modifiche  alla  legge regionale 24 febbraio 2005, n. 40 (Disciplina
del   servizio   sanitario   regionale).   Interpretazione  autentica
dell'articolo 59 della l.r. n. 40/2005».
   Il  giudice  a  quo dubita della legittimita' costituzionale delle
suddette  norme,  in  quanto  «comportano  la  perdita della funzione
dirigenziale»  di  una  struttura  sanitaria  «in  caso di scelta del
medico  di  proseguire  l'attivita'  extra  moenia  senza distinguere
l'ipotesi in cui vi sia la possibilita' concreta dell'esercizio della
libera  professione  intra  moenia da quella in cui tale possibilita'
concreta non vi sia».
   1.2.  -  Ritenuta  la  perdurante rilevanza della questione, pur a
seguito  delle  sopravvenienze  normative  che avevano indotto questa
Corte a pronunciare le due ordinanze di restituzione degli atti sopra
ricordate,  il  rimettente assume che le norme censurate - stabilendo
che  l'incarico  di  direzione di una struttura sanitaria, semplice o
complessa,  implica,  senza  eccezione  alcuna, il rapporto di lavoro
esclusivo  -  finiscono  con  il  parificare,  irragionevolmente, «il
dirigente  che  possa  esercitare un'effettiva scelta tra due opzioni
entrambe  praticabili (laddove siano state concretamente allestite le
strutture  per  la  libera professione intra moenia) e il dirigente a
cui  sia  in concreto preclusa l'alternativa della libera professione
intra  moenia»,  in  ragione  della  mancata  predisposizione di tali
strutture.
   Inoltre,  la  contestata  disciplina,  con  previsione  oltretutto
irragionevole,  impone al dirigente «di esercitare l'opzione prima di
sapere   se,  effettivamente,  l'azienda  predisporra'  le  strutture
necessarie  all'esercizio  della  libera professione», costringendolo
cosi' «ad un salto nel buio».
   2.  -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo la declaratoria di inammissibilita' della questione,
ovvero il rigetto della stessa.
   In  particolare,  la  difesa  erariale  reputa  che  il  dubbio di
costituzionalita'  sollevato  dal rimettente debba ritenersi superato
alla  luce di quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 181
del  2006.  Si  tratta della pronuncia che ha definito un giudizio di
legittimita'  costituzionale in via principale avente ad oggetto, tra
le altre norme, tanto l'art. 2-septies, comma 1, del decreto-legge 29
marzo  2004, n. 81 (Interventi urgenti per fronteggiare situazioni di
pericolo  per  la  salute  pubblica),  convertito, con modificazioni,
dalla  legge  26  maggio  2004,  n. 138 (disposizione, questa, che ha
sostituito il comma 4 dell'art. 15-quater del d.lgs. n. 502 del 1992,
cancellando il principio della irreversibilita' che caratterizzava il
rapporto  esclusivo  dei dirigenti sanitari), quanto l'art. 59, comma
1,  della legge regionale della Toscana n. 40 del 2005 (cioe' proprio
una  delle  due  norme  censurate  dall'odierno rimettente), il quale
prevede  che gli incarichi di direzione delle strutture organizzative
sanitarie  siano  conferiti  ai  dirigenti  sanitari  «in  regime  di
rapporto  di  lavoro  esclusivo  da  mantenere  per  tutta  la durata
dell'incarico».
   3.  -  Si  sono costituiti nel presente giudizio il ricorrente del
giudizio   principale   e   la   Societa'  Oftalmologica  Italiana  -
Associazione  Medici Oculisti Italiani (SOI-AMOI), gia' interveniente
nel   giudizio   a  quo,  chiedendo  l'accoglimento  della  questione
sollevata  dal  giudice  rimettente e sollecitando un ampliamento del
thema decidendum.
   In particolare, la predetta SOI-AMOI ha chiesto la declaratoria di
illegittimita'  costituzionale  anche «delle disposizioni di cui agli
artt.  3  e  5» del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (Norme
per  la  razionalizzazione  del Servizio sanitario nazionale, a norma
dell'articolo  1 della legge 30 novembre 1998, n. 419), e delle norme
«di  cui  agli  artt.  15,  15-bis,  15-ter, 15-quater, 15-quinquies,
15-sexies, 15-nonies» del d.lgs. n. 502 del 1992, nonche' della legge
regionale  della  Toscana  22 ottobre 2004, n. 56, recante «Modifiche
alla  legge  regionale  8 marzo 2000, n. 22 (Riordino delle norme per
l'organizzazione  del  servizio  sanitario  regionale)  in materia di
svolgimento    delle    funzioni   di   direzione   delle   strutture
organizzative», ipotizzando la «violazione degli artt. 3, 32, 33, 36,
41, 76, 97 e 117 della Costituzione».
   4.  -  E'  intervenuta  anche  la  Regione Toscana per chiedere il
rigetto   della  questione,  richiamando  anch'essa  la  gia'  citata
sentenza n. 181 del 2006.
   In  via  preliminare,  peraltro,  la  Regione ha chiesto che venga
dichiarata  l'inammissibilita' dell'ampliamento del thema decidendum,
rispetto a quello prospettato nell'ordinanza di rimessione.
   Essa,  inoltre, ha dedotto il difetto di rilevanza della questione
sollevata,  in  quanto, essendo stata eccepita l'illegittimita' delle
norme  censurate  «sul  presupposto della mancanza degli spazi idonei
per  lo  svolgimento dell'attivita' intra moenia», la censura sarebbe
divenuta  irrilevante  per  effetto  della deliberazione della Giunta
regionale  della  Toscana  23  luglio  2007,  n. 555  (la  quale,  in
relazione  proprio  all'Azienda  USL  9  di Grosseto, ha stabilito la
realizzazione delle strutture per lo svolgimento dell'attivita' intra
moenia  entro il 31 luglio 2007), e, soprattutto, della deliberazione
aziendale  n. 494  del  2007 (nella quale si da' atto che la predetta
Azienda  ha  gia'  predisposto tutti gli spazi e le tecnologie idonei
all'attivita' intramuraria).
   5.  -  In  via  preliminare,  debbono  essere esaminate proprio le
eccezioni pregiudiziali sollevate dalla Regione Toscana.
   5.1. - La prima eccezione e' fondata.
   Deve,  infatti,  ribadirsi,  quanto  all'oggetto  del  giudizio di
costituzionalita'  in  via  incidentale,  che  esso e' «limitato alle
norme  ed  ai  parametri  indicati  nelle  ordinanze  di  rimessione,
poiche',  secondo  la consolidata giurisprudenza di questa Corte, non
possono  essere  presi  in  considerazione,  oltre i limiti in queste
fissate,  ulteriori  questioni o profili di costituzionalita' dedotti
dalle  parti,  sia  che  siano stati eccepiti ma non fatti propri dal
giudice  a  quo,  sia  che  siano  diretti  ad  ampliare o modificare
successivamente   il   contenuto   delle  stesse  ordinanze»  (cosi',
testualmente,  l'ordinanza  n. 174  del  2003,  nonche', nello stesso
senso, la sentenza n. 244 del 2005 e l'ordinanza n. 273 del 2005).
   Conseguentemente,  devono  ritenersi  inammissibili  le  deduzioni
delle  parti  private, costituitesi nel presente giudizio, dirette ad
estendere il thema decidendum non soltanto attraverso l'evocazione di
ulteriori  parametri  costituzionali, ma anche attraverso la denuncia
di  norme  ulteriori  rispetto  a quelle sospettate di illegittimita'
costituzionale dal giudice rimettente.
   5.2.   -   Non   puo'   essere  accolta,  invece,  l'eccezione  di
inammissibilita' della questione per difetto di rilevanza, atteso che
le  deliberazioni  alle quali fa riferimento la difesa regionale sono
di epoca successiva, oltre che alla instaurazione del giudizio a quo,
anche alla stessa ordinanza di rimessione.
   6.  -  Cio' premesso, passando ad esaminare il merito del presente
giudizio,  deve  rilevarsi  come la questione sollevata dal Tribunale
ordinario di Grosseto non sia fondata.
   7.  -  Al  riguardo,  appare  necessario  ripercorrere,  nei  suoi
passaggi   piu'   significativi,   l'evoluzione   complessiva   della
disciplina   del  rapporto  di  lavoro  dei  dirigenti  del  Servizio
sanitario   nazionale,   contraddistinta   sin   dall'origine  da  un
tendenziale  disfavore nei confronti dello svolgimento dell'attivita'
libero-professionale.
   7.1. - In tale prospettiva, deve rammentarsi, innanzitutto, che ai
sensi  dell'art. 43, lettera d), della legge 12 febbraio 1968, n. 132
(Enti  ospedalieri  e  assistenza  ospedaliera),  venne  stabilito il
principio  dell'incompatibilita'  tra  rapporto  di servizio «a tempo
definito»   del   medico   ospedaliero  e  l'esercizio  di  attivita'
professionale  in case di cura private, principio che supero' indenne
lo scrutinio di costituzionalita' condotto con la sentenza n. 103 del
1977.  Questa  Corte,  infatti,  sottolineo' gli «effetti negativi ed
impeditivi»  che  avrebbe  avuto, rispetto alla scelta legislativa di
potenziare  con  nuove  strutture  il servizio pubblico di assistenza
ospedaliera,   «il   consentire   alla   collaterale   organizzazione
dell'assistenza  sanitaria  privata  di  assorbire, con impegni quasi
sempre non accidentali, il personale sanitario ospedaliero».
   Detta  scelta  legislativa venne, poi, confermata dall'art. 24 del
d.P.R.  27  marzo  1969, n. 130 (Stato giuridico dei dipendenti degli
enti  ospedalieri),  che,  dando  attuazione al suddetto principio di
incompatibilita',  defini'  compiutamente  due  diverse  tipologie di
rapporti  di  lavoro.  Si  previde, infatti, accanto ad un rapporto a
«tempo pieno» (instaurato «a domanda» e comportante l'attribuzione di
un  «premio  di servizio», che bilanciava la «rinuncia alla attivita'
libero-professionale  extra-ospedaliera»  e la «totale disponibilita»
per i compiti d'istituto dell'ente ospedaliero), un rapporto a «tempo
definito»,  contraddistinto  dalla  «facolta'  del  libero  esercizio
professionale,  anche  fuori dell'ospedale», purche' non in contrasto
con  le  incompatibilita'  disposte dal predetto art. 43, lettera d),
della citata legge n. 132 del 1968.
   7.2.   -  Tale  impianto  complessivo  risulto'  confermato  anche
dall'art.  35, secondo comma, lettere c) e d), del d.P.R. 20 dicembre
1979,  n. 761  (Stato  giuridico del personale delle unita' sanitarie
locali).
   Infatti, da un lato, venne ribadito il diritto dei medici a «tempo
pieno»  ad  esercitare attivita' libero-professionale intramuraria, e
cioe'  esclusivamente  «nell'ambito  dei servizi, presidi e strutture
dell'unita'   sanitaria  locale,  sulla  base  di  norme  regionali»,
limitandola,  al  di  fuori  di  tale  ambito, soltanto a «consulti e
consulenze  non  continuativi»,  autorizzati  «sulla  base  di  norme
regionali»;   dall'altro,  si  stabili',  per  i  sanitari  a  «tempo
definito»,  la  facolta' di svolgere - purche' in orari compatibili e
non  in  contrasto  con  gli  interessi ed i fini istituzionali della
struttura  sanitaria - l'attivita' libero-professionale extramuraria,
anche  «in  regime  convenzionale»,  in  conformita' con le direttive
degli accordi nazionali.
   7.3.  -  Segna, viceversa, una cesura rispetto a questa evoluzione
l'art. 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni
in materia di finanza pubblica).
   Con  tale  intervento  il legislatore, vietando ai medici a «tempo
definito»  prestazioni  di  lavoro  in  regime convenzionale o presso
strutture  convenzionate,  ha  nel  contempo  liberalizzato del tutto
l'esercizio dell'attivita' professionale sia extra che intramuraria e
ha  incentivato  «la  scelta  per  il  rapporto di lavoro dipendente,
assicurando  in  tal caso, a semplice domanda, il passaggio dal tempo
definito  al  tempo pieno anche in soprannumero» (sentenza n. 457 del
1993).
   La   liberalizzazione,   per   tutto   il   personale   sanitario,
dell'esercizio della attivita' professionale in regime esclusivamente
privatistico  -  che,  come  osservato da questa Corte nella sentenza
n. 330 del 1999, «si conformava, per certi aspetti, alla logica della
aziendalizzazione  del Servizio sanitario e della privatizzazione del
rapporto  di  lavoro  del  personale  dipendente» - determinava, come
ulteriore  effetto,  che  anche  i  medici  a  tempo  pieno potessero
svolgere  attivita'  extramuraria, senza la precedente limitazione ai
soli consulti e consulenze non continuativi.
   Orbene,  in  una  situazione  siffatta,  i  soggetti,  pubblici  e
privati,  che  erogavano prestazioni per conto del Servizio sanitario
nazionale,  «potevano  essere  scelti  liberamente  dal  cittadino  e
venivano retribuiti in base alle prestazioni rese»; si veniva cosi' a
determinare  una  forte  «concorrenzialita'  tra  strutture sanitarie
pubbliche  e  strutture sanitarie private» (ancora la citata sentenza
n. 330 del 1999).
   Rispetto  a  tale  situazione,  pertanto,  «rischiava  di apparire
contraddittoria  la  facolta',  riconosciuta  al sanitario dipendente
pubblico,  di  esercitare l'attivita' professionale anche all'esterno
della  struttura di appartenenza», e cio' tanto piu' per il dirigente
medico,  giacche' il medesimo «in questo nuovo modello organizzativo,
appariva  in  grado di contribuire efficacemente a determinare sia le
scelte   strategiche   ed   operative   dell'azienda,  attraverso  la
partecipazione  al  Consiglio dei sanitari, sia quelle specifiche del
dipartimento  o  del  servizio,  cui  era preposto», donde allora «le
premesse  per  il  profilarsi  di  una  situazione  di  conflitto  di
interessi, qualora il medico svolgesse libera attivita' professionale
extramuraria».
   E',  dunque,  in  tale  contesto  che  il legislatore «ha adottato
misure  per  incentivare  l'attivita'  professionale intramuraria» ed
essa  soltanto,  e  cio'  in coerenza con una «evoluzione legislativa
diretta a conferire maggiore efficienza, anche attraverso innovazioni
del  rapporto  di  lavoro  dei  dipendenti,  all'organizzazione della
sanita'   pubblica   cosi'  da  renderla  concorrenziale  con  quella
privata». A questa stessa logica, inoltre, risponde «la previsione di
limiti all'esercizio dell'attivita' libero-professionale» nelle forme
dell'extra  moenia,  da  parte  dei  medici  del  Servizio  sanitario
nazionale,  previsione  che,  come  affermato  da  questa Corte, «non
appare irragionevole» (ancora la sentenza n. 330 del 1999).
   7.4.  -  La  concreta attuazione di tale disegno e' stata affidata
all'art.  13  del d.lgs. n. 229 del 1999, che enuncia, tra gli altri,
il  principio  secondo  cui gli «incarichi di direzione di struttura,
semplice  o complessa, implicano il rapporto di lavoro esclusivo» del
sanitario  (art. 15-quinquies, comma 5, del d.lgs. n. 502 del 1992) e
quello   che   ricollega  a  detto  rapporto  esclusivo  «il  diritto
all'esercizio  di  attivita'  libero professionale individuale, al di
fuori   dell'impegno  di  servizio»,  unicamente  «nell'ambito  delle
strutture  aziendali  individuate dal direttore generale d'intesa con
il  collegio  di  direzione»  (comma  2, lettera a, del medesimo art.
15-quinquies).
   Il  citato  art.  13  del  d.lgs.  n. 229 del 1999 ha inserito nel
d.lgs.   n. 502   del  1992,  tra  gli  altri,  gli  artt.  15-quater
(Esclusivita'   del  rapporto  di  lavoro  dei  dirigenti  del  ruolo
sanitario),  15-quinquies  (Caratteristiche  del  rapporto  di lavoro
esclusivo  dei  dirigenti  sanitari) e 15-sexies (Caratteristiche del
rapporto  di  lavoro  dei  dirigenti  sanitari che svolgono attivita'
libero-professionale extramuraria).
   Tale  regime,  in  particolare,  e'  quello  applicabile anche nei
confronti  dei «dirigenti in servizio alla data del 31 dicembre 1998»
(tale e' la condizione del ricorrente nel giudizio a quo). Per questi
ultimi,  anzi,  e'  stato previsto un meccanismo di opzione tacita in
favore del rapporto esclusivo (con conseguente perdita della facolta'
di  svolgere  l'attivita'  libero-professionale extra moenia), atteso
che  gli  interessati,  ai  sensi  dell'art.  15-quater, comma 3, del
citato  d.lgs.  n. 502  del 1992, risultavano «tenuti a comunicare al
direttore  generale l'opzione in ordine al rapporto esclusivo» (entro
un  termine originariamente fissato nel novantesimo giorno successivo
all'entrata  in  vigore del d.lgs. n. 229 del 1999 e poi prorogato al
14  marzo  2000  dal decreto legislativo 2 marzo 2000, n. 49, recante
«Disposizioni  correttive  del  decreto  legislativo  19 giugno 1999,
n. 229,  concernenti  il termine di opzione per il rapporto esclusivo
da  parte  dei  dirigenti  sanitari»), prevedendosi, inoltre, che, in
«assenza di comunicazione», l'opzione del dipendente «per il rapporto
esclusivo» fosse da presumersi.
   7.4.1.  - Nel quadro normativo derivante dai molteplici interventi
legislativi  cui  si  e'  accennato,  e' stato, tuttavia, previsto un
parziale  temperamento  del  principio secondo cui l'esclusivita' del
rapporto  di  lavoro  del  dirigente sanitario implica lo svolgimento
della sola attivita' libero-professionale intramuraria.
   Infatti,  l'espressa salvezza - come emerge, in particolare, dalla
scelta  compiuta  dal  citato  art.  13 del d.lgs. n. 229 del 1999 di
inserire  anche  la  previsione  di  cui  alla  lettera a), nel testo
dell'art.  15-quinquies,  comma  2,  del  d.lgs. n. 502 del 1992 - di
«quanto  disposto  dall'art.  72,  comma  11, della legge 23 dicembre
1998, n. 448» (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo
sviluppo),  gia'  allora  comportava l'impegno del direttore generale
delle   aziende  ospedaliere,  fino  alla  realizzazione  di  «idonee
strutture  e  spazi  distinti  per  l'esercizio dell'attivita' libero
professionale  intramuraria  in regime di ricovero ed ambulatoriale»,
«ad assumere le specifiche iniziative per reperire fuori dall'azienda
spazi sostitutivi in strutture non accreditate nonche' ad autorizzare
l'utilizzazione di studi professionali privati».
   E  per  dare  concreta attuazione a tale prescrizione, con decreto
del    Ministro   della   sanita'   28   febbraio   1997   (Attivita'
libero-professionale e incompatibilita' del personale della dirigenza
sanitaria  del  Servizio  sanitario nazionale), si e' fatto carico ai
«direttori  generali  delle  unita'  sanitarie locali e delle aziende
ospedaliere»  di  adottare,  sentite  le organizzazioni sindacali del
personale  della dirigenza sanitaria, «un apposito atto regolamentare
per    definire    le    modalita'    organizzative    dell'attivita'
libero-professionale    del    personale   medico   e   delle   altre
professionalita'  della  dirigenza del ruolo sanitario» (cosi' l'art.
4).  Con  previsione  analoga,  anche  il  decreto del Presidente del
Consiglio   dei   ministri   27  marzo  2000  (Atto  di  indirizzo  e
coordinamento     concernente     l'attivita'    libero-professionale
intramuraria  del  personale  della  dirigenza sanitaria del Servizio
sanitario  nazionale)  stabilisce  che  i  «direttori  generali delle
unita'  sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, avvalendosi del
collegio  di  direzione,  adottano,  in  conformita'  alle  direttive
regionali,  alle  previsioni  dei  contratti  collettivi nazionali di
lavoro  e del presente atto di indirizzo e coordinamento, un apposito
atto aziendale per definire le modalita' organizzative dell'attivita'
libero-professionale    del    personale   medico   e   delle   altre
professionalita' della dirigenza del ruolo sanitario» (art. 5).
   Ne' e' senza significato - ancora nella prospettiva della concreta
attuazione   del  sistema  incentrato  sull'esercizio  dell'attivita'
libero-professionale  intra  moenia - la previsione di cui all'art. 1
del  decreto  del  Ministro della sanita' 8 giugno 2001 (Ripartizione
delle   risorse   finanziarie   destinate  alla  realizzazione  delle
strutture     sanitarie    per    l'attivita'    libero-professionale
intramuraria,  ai  sensi  dell'art.  1  del  d.lgs.  28  luglio 2000,
n. 254),  che  ha  «approvato il programma per la realizzazione delle
strutture   sanitarie  destinate  all'attivita'  libero-professionale
intramuraria  per  un ammontare complessivo di lire 1.599.636.179.465
pari a euro 826.143.140,92».
   7.4.2.  -  La  tendenza  -  di  cui  sono  espressione, oltre alla
previsione  legislativa  da ultimo richiamata, i citati provvedimenti
attuativi  in  sede  amministrativa  - a rendere meno problematico il
passaggio  al  nuovo  regime  del  rapporto  esclusivo  (o meglio, ad
attenuare  le  conseguenze  derivanti  dall'abbandono  dell'attivita'
libero-professionale  extra moenia) si e' vieppiu' consolidata, negli
anni, alla luce di una serie di ulteriori interventi legislativi.
   Rileva,  in tale prospettiva, innanzitutto, quanto stabilito dagli
artt.   1  e  3  del  decreto  legislativo  28  luglio  2000,  n. 254
(Disposizioni  correttive  ed  integrative del decreto legislativo 19
giugno  1999,  n. 229,  per  il  potenziamento  delle  strutture  per
l'attivita' libero-professionale dei dirigenti sanitari).
   Il  primo  di tali articoli - nell'introdurre nel testo del d.lgs.
n. 502  del  1992  l'art.  15-duodecies (significativamente rubricato
«Strutture  per  l'attivita' libero professionale») - ha fatto carico
alle  Regioni  di  provvedere,  entro  il  31  dicembre  2000,  «alla
definizione  di  un programma di realizzazione di strutture sanitarie
per l'attivita' libero-professionale intramuraria». Esso, inoltre, ha
stabilito che il Ministro della sanita' (oggi della salute), d'intesa
con  la  Conferenza Stato-Regioni, determini, seppure entro un limite
complessivo  dalla  stessa  norma  prefissato,  l'ammontare dei fondi
«utilizzabili  da  ciascuna  Regione  per  gli  interventi» suddetti.
Sempre ai sensi, poi, del predetto art. 1 si e' previsto che «in caso
di  ritardo  ingiustificato  rispetto  agli adempimenti fissati dalle
regioni  per la realizzazione delle nuove strutture e la acquisizione
delle   nuove   attrezzature   e   di   quanto   necessario  al  loro
funzionamento, la regione vi provvede tramite commissari ad acta».
   Quanto,  invece,  all'art.  3 del predetto d.lgs. n. 254 del 2000,
esso - nel novellare il testo del comma 10 dell'art. 15-quinquies del
d.lgs.  n. 502 del 1992, dettando una disposizione speculare a quella
gia'  prevista,  per  l'attivita'  libero-professionale  in regime di
ricovero,  dal  gia' citato art. 72, comma 11, della legge n. 448 del
1998  -  ha  stabilito  che al dirigente sanitario «e' consentita, in
caso  di carenza di strutture e spazi idonei alle necessita' connesse
allo  svolgimento  delle  attivita'  libero-professionali  in  regime
ambulatoriale,  limitatamente  alle  medesime  attivita' e fino al 31
luglio 2003, l'utilizzazione del proprio studio professionale».
   Successivamente,  con nuovi interventi legislativi che si ispirano
alla  stessa  logica,  tale  termine  e'  stato prorogato prima al 31
luglio  2005  (art.  1,  comma  1,  del decreto-legge 23 aprile 2003,
n. 89,   recante   «Proroga   dei   termini   relativi  all'attivita'
professionale  dei  medici  e  finanziamento  di  particolari terapie
oncologiche  ed  ematiche,  nonche'  delle  transazioni  con soggetti
danneggiati  da  emoderivati  infetti», comma inserito dalla legge di
conversione 20 giugno 2003, n. 141), poi al 31 luglio 2006 (in virtu'
di quanto stabilito dall'art. 1-quinquies del decreto-legge 27 maggio
2005,  n. 87, recante «Disposizioni urgenti per il prezzo dei farmaci
non  rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale nonche' in materia
di    confezioni    di   prodotti   farmaceutici   e   di   attivita'
libero-professionale  intramuraria», articolo aggiunto dalla legge di
conversione  26  luglio 2005, n. 149), e, da ultimo, «fino alla data,
certificata   dalla   regione   o   dalla   provincia  autonoma,  del
completamento  da  parte dell'azienda sanitaria di appartenenza degli
interventi    strutturali   necessari   ad   assicurare   l'esercizio
dell'attivita'  libero-professionale intramuraria e comunque entro il
31  luglio  2007»  (art.  22-bis, comma 2, del decreto-legge 4 luglio
2006, n. 223, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio economico
e  sociale,  per  il  contenimento e la razionalizzazione della spesa
pubblica,  nonche'  interventi  in  materia di entrate e di contrasto
all'evasione fiscale», aggiunto dalla relativa legge di conversione 4
agosto 2006, n. 248).
   Ancora  nella  prospettiva  cui  si  e'  accennato  - accanto alla
previsione  contenuta  nel  citato  art. 2-septies, comma 1, del d.l.
n. 81 del 2004 (articolo aggiunto dalla relativa legge di conversione
n. 138  del  2004),  il  quale,  nel  modificare il comma 4 dell'art.
15-quater del d.lgs. n. 502 del 1992, ha inteso conferire all'opzione
in  favore  del  rapporto esclusivo carattere non piu' irreversibile,
stabilendo,  difatti,  che  i  dirigenti sanitari «possono optare, su
richiesta  da presentare entro il 30 novembre di ciascun anno, per il
rapporto  di  lavoro  non  esclusivo,  con  effetto  dal  1°  gennaio
dell'anno  successivo»  - deve essere menzionata la disciplina recata
dall'art.  1  della  legge  3  agosto  2007,  n. 120 (Disposizioni in
materia  di attivita' libero-professionale intramuraria e altre norme
in materia sanitaria).
   Tale  articolo  ha  previsto, innanzitutto, che Regioni e Province
autonome,   al   fine   di   garantire   l'esercizio   dell'attivita'
libero-professionale  intramuraria,  devono  assumere «le piu' idonee
iniziative  volte  ad  assicurare  gli interventi di ristrutturazione
edilizia, presso le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere,
le  aziende  ospedaliere  universitarie, i policlinici universitari a
gestione  diretta  e  gli  istituti  di  ricovero  e cura a carattere
scientifico  (IRCCS)  di  diritto  pubblico,  necessari  per  rendere
disponibili   i   locali   destinati  a  tale  attivita»  (cosi',  in
particolare,  il  comma  1). Nel sancire, poi, che l'adozione di tali
iniziative  (comma  2)  «dovra' essere completata entro il termine di
diciotto  mesi  a  decorrere  dalla  data  del  31  luglio  2007», il
legislatore  ha inoltre stabilito che, limitatamente a tale periodo e
agli  ambiti  in  cui  non  sia  stata  ancora  data  attuazione alle
necessarie iniziative, continuino «ad applicarsi i provvedimenti gia'
adottati      per      assicurare      l'esercizio     dell'attivita'
libero-professionale  intramuraria»,  anche oltre quel termine del 31
luglio  2007  fino  al  quale  e'  stata prorogata la possibilita' di
svolgimento    delle   attivita'   libero-professionali   in   regime
ambulatoriale   mediante  l'utilizzazione,  da  parte  dei  dirigenti
sanitari,  del  proprio  studio professionale. Sempre con il suddetto
comma  2  si  e', altresi', previsto che Regioni e Province autonome,
del   pari   entro  diciotto  mesi  dal  31  luglio  2007,  procedano
«all'individuazione   e   all'attuazione   delle  misure  dirette  ad
assicurare,   in   accordo  con  le  organizzazioni  sindacali  delle
categorie  interessate  e  nel  rispetto  delle  vigenti disposizioni
contrattuali, il definitivo passaggio al regime ordinario del sistema
dell'attivita'   libero-professionale  intramuraria  della  dirigenza
sanitaria,  medica  e  veterinaria del Servizio sanitario nazionale e
del  personale  universitario di cui all'articolo 102 del decreto del
Presidente  della  Repubblica  11 luglio 1980, n. 382» (Riordinamento
della  docenza  universitaria,  relativa fascia di formazione nonche'
sperimentazione organizzativa e didattica).
   Significativo   appare,  poi,  il  disposto  di  cui  al  comma  4
dell'articolo  in  esame,  secondo  il quale, tra le misure di cui al
comma  2,  «puo' essere prevista, ove ne sia adeguatamente dimostrata
la necessita' e nell'ambito delle risorse disponibili, l'acquisizione
di  spazi  ambulatoriali  esterni, aziendali e pluridisciplinari, per
l'esercizio  di  attivita'  sia istituzionali sia in regime di libera
professione   intramuraria,  i  quali  corrispondano  ai  criteri  di
congruita'  e  idoneita'  per  l'esercizio  delle attivita' medesime,
tramite  l'acquisto, la locazione, la stipula di convenzioni»; per la
sola  attivita'  clinica  e  diagnostica  ambulatoriale  e' stabilito
(comma  9)  che  «gli  spazi e le attrezzature dedicati all'attivita'
istituzionale   possono   essere  utilizzati  anche  per  l'attivita'
libero-professionale  intramuraria,  garantendo  la separazione delle
attivita'   in   termini   di  orari,  prenotazioni  e  modalita'  di
riscossione dei pagamenti».
   Ai  sensi,  inoltre,  del  comma  5  si fa carico ad ogni «azienda
sanitaria    locale,   azienda   ospedaliera,   azienda   ospedaliera
universitaria,  policlinico universitario a gestione diretta ed IRCCS
di diritto pubblico» di predisporre «un piano aziendale, concernente,
con  riferimento alle singole unita' operative, i volumi di attivita'
istituzionale  e  di  attivita'  libero-professionale  intramuraria»,
disciplinando,   con   il   successivo   comma  6,  le  modalita'  di
approvazione dei detti piani.
   Di rilievo, infine, e' la norma contenuta nel comma 7, secondo cui
Regioni  e Province autonome «assicurano il rispetto delle previsioni
di  cui  ai commi 1, 2, 4, 5 e 6 anche mediante l'esercizio di poteri
sostitutivi  e  la  destituzione, nell'ipotesi di grave inadempienza,
dei direttori generali delle aziende, policlinici ed istituti».
   8.  -  Alla  luce, pertanto, di tale complessiva disciplina, cosi'
come  essa  si e' venuta stratificando ed attuando nel tempo, risulta
evidente  il  carattere  assolutamente  residuale  della ipotesi alla
quale  si riferisce il rimettente nel sollevare la presente questione
di legittimita' costituzionale.
   Ed  invero,  il  caso nel quale la scelta del dirigente, in favore
del  rapporto  esclusivo,  rappresenterebbe  «un salto nel buio» (per
adoperare   le   parole   del  Tribunale  di  Grosseto)  si  presenta
sostanzialmente   come   un'evenienza   del  tutto  marginale  e,  in
definitiva, di carattere accidentale.
   9. - La conclusione della non fondatezza della questione sollevata
dal  rimettente  non postula, tuttavia, che possa essere condivisa la
tesi  sostenuta  dall'Avvocatura  generale dello Stato e dalla difesa
della Regione Toscana secondo cui tale conclusione deriverebbe da una
pedissequa  applicazione  di  quanto  deciso  da  questa Corte con la
sentenza n. 181 del 2006.
   La  citata  pronuncia  ha,  innanzitutto, affermato che le singole
Regioni  «sono  libere  di  disciplinare  le  modalita'  relative  al
conferimento  degli incarichi di direzione delle strutture sanitarie,
ora privilegiando in senso assoluto il regime del rapporto esclusivo»
(e'  quanto ha fatto il legislatore toscano con il censurato art. 59,
comma 1, della legge regionale n. 40 del 2005), ora, invece, «facendo
della   scelta  in  suo  favore  un  criterio  preferenziale  per  il
conferimento degli incarichi di direzione».
   Essa,  inoltre, ha proceduto ad uno scrutinio sulla ragionevolezza
della  norma  regionale,  sospettata di illegittimita' costituzionale
dal  Tribunale  ordinario  di  Grosseto,  sotto un profilo diverso da
quello  evocato  dal  rimettente.  Difatti,  con  la citata sentenza,
questa  Corte  si  e'  limitata  a  stabilire che, nel «quadro di una
evoluzione legislativa diretta a conferire maggiore efficienza, anche
attraverso   innovazioni  del  rapporto  di  lavoro  dei  dipendenti,
all'organizzazione   della   sanita'   pubblica   cosi'  da  renderla
concorrenziale  con quella privata, (...) non appare irragionevole la
previsione      di      limiti      all'esercizio      dell'attivita'
libero-professionale  da  parte  dei  medici  del  Servizio sanitario
nazionale»;  e cio' anche in ragione del fatto «che la denunciata - e
comunque   indiretta   -   limitazione   all'esercizio  della  libera
professione»  risulta  «peraltro  frutto  di  una  precisa scelta del
medico».
   E' rimasto, dunque, estraneo al decisum di detta pronuncia il tema
della  presunta  irragionevolezza  dell'art. 59, comma 1, della legge
regionale  della  Toscana  n. 40 del 2005, e con esso anche dell'art.
15-quinquies,  comma  5,  del  d.lgs. n. 502 del 1992, dipendente dal
fatto  che  entrambe  le  disposizioni,  ricorrendo  certe condizioni
fattuali,  non  garantirebbero  una  scelta  consapevole a favore del
rapporto esclusivo.
   10.   -   Alla  luce  delle  considerazioni  innanzi  svolte  deve
affermarsi che l'inconveniente lamentato dal rimettente e dalle parti
private,  nei  limitati  casi  in  cui  si  verifica,  non nasce come
conseguenza   diretta   ed  immediata  delle  previsioni  legislative
censurate,  ma  deriva  dalle  differenti  condizioni fattuali in cui
possono  trovarsi  le strutture sanitarie pubbliche. Da cio' consegue
che,  al piu', puo' venire in rilievo una situazione di disparita' di
mero  fatto,  alla  quale  la giurisprudenza costituzionale ha sempre
negato  rilevanza agli effetti della violazione dell'art. 3 Cost. (da
ultimo, ordinanze n. 375, n. 186 e n. 142 del 2006).
   Ha  affermato, difatti, questa Corte che «le cosiddette disparita'
di  mero  fatto - ossia quelle differenze di trattamento che derivano
da  circostanze contingenti ed accidentali, riferibili non alla norma
considerata  nel  suo  contenuto precettivo ma semplicemente alla sua
concreta   applicazione   -   non   danno  luogo  a  un  problema  di
costituzionalita', nel senso che l'eventuale funzionamento patologico
della  norma  stessa non puo' costituire presupposto per farne valere
una  illegittimita'  riferita  alla  lesione  (...)  del principio di
uguaglianza»  (cosi'  in  particolare, ex multis, sentenza n. 417 del
1996).
   11.  -  Da ultimo, deve rilevarsi che l'eventuale inadempimento (o
il  ritardo  nell'adempimento)  da parte degli organi delle strutture
sanitarie  pubbliche,  in special modo del direttore generale di esse
(come  implicitamente  conferma  il  comma  7 dell'art. 5 della legge
n. 120  del 2007, nel prevedere la possibilita' della destituzione di
quest'ultimo),  nella  predisposizione  di  quanto  necessario per lo
svolgimento dell'attivita' libero-professionale intramuraria da parte
dei  medici  che  abbiano  optato per il rapporto esclusivo, potrebbe
dare  luogo  a  gravi  forme  di responsabilita' dei medesimi organi.
Risultano,  quindi,  previsti,  adeguati  strumenti affinche' possano
trovare  rimedio  i  descritti  inconvenienti  di fatto lamentati dal
giudice  rimettente  e  dalle parti private costituitesi nel presente
giudizio.
   D'altra  parte,  l'eventuale  accoglimento della tesi secondo cui,
per  ovviare  ai  suddetti  inconvenienti  di  fatto, occorrerebbe la
declaratoria di illegittimita' costituzionale delle norme denunciate,
sarebbe  soltanto idoneo, in buona sostanza, a dare vita ad un regime
in  cui  l'opzione  per il rapporto esclusivo non costituisca piu' un
prius,  bensi'  un  posterius,  rispetto  alla  predisposizione delle
strutture    occorrenti    per    lo    svolgimento    dell'attivita'
libero-professionale     intramuraria,     e     si     risolverebbe,
inevitabilmente,   in   un   grave   fattore   di   disincentivazione
nell'assunzione,  da  parte  dei  soggetti  a  cio' competenti, delle
iniziative  necessarie  a  garantire  la  funzionalita'  del  sistema
configurato dal d.lgs. n. 229 del 1999.
   A  tutto  cio'  va  aggiunto  che, subordinando - come in sostanza
richiede  il  giudice  a quo - l'esercizio della scelta in favore del
rapporto  esclusivo,  da parte del dirigente sanitario, al preventivo
allestimento  di  quanto necessario per l'esercizio della professione
nelle  forme  dell'intra moenia, si finirebbe con il contravvenire ad
un  elementare principio di programmazione delle scelte organizzative
demandate  all'amministrazione  sanitaria (principio cui si ispira il
d.lgs.  n. 229  del  1999),  costringendo,  pertanto, quest'ultima ad
invertire la normale sequenza degli adempimenti necessari al corretto
funzionamento del sistema.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  15-quinquies, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma
dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e dell'art. 59,
comma  1,  della  legge della Regione Toscana 24 febbraio 2005, n. 40
(Disciplina  del  servizio  sanitario  regionale), «come interpretato
autenticamente»  dall'art.  6 della legge regionale 14 dicembre 2005,
n. 67,  recante  «Modifiche  alla  legge  regionale 24 febbraio 2005,
n. 40  (Disciplina del servizio sanitario regionale). Interpretazione
autentica  dell'articolo  59  della  L.R.  n. 40/2005», sollevata, in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di
Grosseto, in funzione di giudice del lavoro.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 31 marzo 2008.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Quaranta
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 4 aprile 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola