N. 119 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 dicembre 2007

  Ordinanza  del  15  dicembre 2007 emessa dal Tribunale di Firenze -
Sezione   fallimentare   nella  procedura  fallimentare  relativa  al
Fallimento 51 S.a.s. di Bertoni Marco & C.
  Fallimento  e  procedure  concorsuali  -  Funzioni del comitato dei
  creditori - Vigilanza sull'operato del curatore fallimentare - Atti
  di    straordinaria   amministrazione   di   valore   superiore   a
  cinquantamila  euro e transazioni (in specie, atto di transazione e
  vendita   a  trattativa  privata  di  quota  di  beni  immobili)  -
  Previsione  dell'autorizzazione  del comitato dei creditori e della
  previa  informativa al giudice delegato - Trasferimento dal giudice
  delegato al comitato dei creditori della potesta' di autorizzare in
  via generale gli atti del curatore - Eccesso di delega - Denunciata
  violazione  del  principio  di  ragionevolezza,  sotto  il  duplice
  profilo dell'ingiustificata disparita' di trattamento dei creditori
  nel  godimento  della  garanzia  di  un  controllo  giurisdizionale
  sull'operato  del curatore, e dell'intrinseca inidoneita' del detto
  comitato  ad  espletare  funzioni di controllo nell'interesse della
  generalita' dei creditori.
  - Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, artt. 35 e 41, commi primo e
  secondo,   come   sostituiti  dagli  artt.  31  e  39  del  decreto
  legislativo 9 gennaio 2006, n. 5.
  -  Costituzione,  artt.  3  e 76, in relazione all'art. 1, comma 6,
  lett. a), n. 2, della legge delega 14 maggio 2005, n. 80.
  In  via subordinata: Fallimento e procedure concorsuali - Vigilanza
  sull'operato del curatore fallimentare - Assoggettamento degli atti
  di    straordinaria   amministrazione   di   valore   superiore   a
  cinquantamila   euro  e  delle  transazioni  (in  specie,  atto  di
  transazione  e  vendita  a  trattativa  privata  di  quota  di beni
  immobili)  all'autorizzazione  del  comitato  dei creditori, previa
  informativa  al  giudice  delegato - Omessa attribuzione al giudice
  delegato  del  potere  di  impedire  il  perfezionamento di un atto
  ritenuto  illegittimo  o contrario agli interessi della generalita'
  dei  creditori  ovvero del fallito - Eccesso di delega - Denunciata
  violazione  del  principio  di  ragionevolezza,  sotto  il  duplice
  profilo  dell'intrinseca  irrazionalita' della disciplina impugnata
  che  rende il giudice delegato destinatario di una mera informativa
  senza    attribuirgli    poteri    effettivi    di   controllo,   e
  dell'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  dei creditori nel
  godimento   della   garanzia   di   un   controllo  giurisdizionale
  sull'operato del curatore.
  -  Regio  decreto  16  marzo 1942, n. 267, art. 35, come sostituito
  dall'art. 31 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5.
  -  Costituzione,  artt.  3  e 76, in relazione all'art. 1, comma 6,
  lett. a), n. 2, della legge delega 14 maggio 2005, n. 80.
(GU n.18 del 23-4-2008 )
                            IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato il seguente decreto.
   Il  tribunale,  letti gli atti, vista la nota del curatore in data
12  dicembre  2007,  sentita  la  relazione del g.d. al fallimento 51
s.a.s., osserva quanto segue.
   In data 6 dicembre 2007 il g.d. del fallimento 51 s.a.s., ricevuta
l'informativa ex art. 35 l.f.. con la quale la dott.ssa Paola Palagi,
curatrice  del fallimento 51, comunicava l'imminente perfezionamento,
a  seguito  di  autorizzazione del comitato dei creditori, di atto di
transazione  e  vendita a trattativa privata della quota di un quarto
della   proprieta'  dei  terreni  caduti  nel  fallimento  del  socio
accomandatario  per  un  prezzo  corrispondente  al  valore di stima,
avendo  rilevato  che  non risultava effettuata alcuna pubblicita' in
ordine  alla  vendita  in  oggetto  per cui non era dato sapere se il
mercato  era  in  grado  di esprimere offerte piu' convenienti per la
massa  dei  creditori,  ritenuto  che in tale situazione la vendita a
trattativa  privata,  nei  termini indicati dal curatore, sia pure in
presenza  dell'autorizzazione  del  comitato  dei creditori, non solo
avrebbe  potuto  essere  viziata sotto un profilo di merito in quanto
eventualmente  inidonea  a  realizzare il massimo interesse economico
dell'intero  ceto  creditorio,  ma  anche  affetta  da  un profilo di
illegittimita'  per contrasto con la norma di cui all'art. 107, comma
1  l.f. che, pur nella liberta' delle forme, vincola la curatela alla
adozione  di  «procedure  competitive»,  dirette  ad  assicurare  con
«adeguate   forme   di   pubblicita»   la   massima   informazione  e
partecipazione  degli  eventuali interessati, riferiva immediatamente
quanto sopra al Collegio.
   Il  tribunale,  in  tal  modo informato dal g.d., emetteva in pari
data  decreto  col  quale,  ritenuti  a seguito di esame sommario non
infondati  i  rilievi  del  g.d., in via di urgenza, disponeva che il
curatore del fallimento 51 s.a.s., allo stato e provvisoriamente, non
desse  corso al perfezionamento degli atti di transazione e vendita a
trattativa  privata nei modi e nei termini di cui alla informativa ex
art.  35,  comma  2,  in  data  6 dicembre 2007, fissava la Camera di
consiglio del 12 dicembre 2007 ore 10 per gli ulteriori provvedimenti
del  caso,  con facolta' del curatore e del comitato dei creditori di
comparire ovvero di far pervenire proprie memorie.
   Tanto   premesso   in   fatto,   ritiene  il  Collegio  di  dovere
preliminarmente  inquadrare  giuridicamente il presente procedimento,
attivato  dalla  iniziativa  del  g.d.,  al  fine  di  affermarne  la
legittimita'  e  doverosita',  in  base all'attuale sistema delineato
dalla riforma della legge fallimentare (d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5).
   Il novellato art. 41 l.f. configura in linea generale il potere di
autorizzare  gli  atti del curatore in capo al comitato dei creditori
(comma  1),  con  identico  potere  al g.d. solo in ipotesi residuale
(comma  4).  L'art.  35,  nella sua attuale formulazione, costituisce
pregnante applicazione di tale principio.
   Al g.d., fuori della ipotesi di cui al comma 4 dell'art. 41, resta
un  limitato  potere  autorizzatorio, che si consuma quasi per intero
nella  fase  che potrebbe definirsi statica della procedura ovvero in
sede  di  approvazione  del  programma di liquidazione (art. 104-ter)
posto  che  l'approvazione  tiene  luogo delle singole autorizzazioni
(art. 104-ter, comma 4, seconda parte).
   Per  altro,  la  riformulazione  della norma alla luce del decreto
correttivo  n. 169/2007,  quale  che ne sara' la non agevole lettura,
riduce vieppiu' il potere autorizzatorio del g.d..
   Cosi' stando le cose, diviene scottante la questione del controllo
sugli  atti  del  curatore  autorizzati  da  parte  del  comitato dei
creditori.
   L'art.  25  l.f.  individua i poteri del g.d. nell'esercizio della
vigilanza  e  del controllo sulla regolarita' della procedura, di cui
deve  assicurare  il  «corretto  e  sollecito  svolgimento» (comma 1,
n. 3).
   Se  appare  legittimo  ritenere che la funzione di vigilanza trovi
quale  tipico,  ma  non  unico,  momento  di attuazione proprio nella
facolta'  di  convocazione  (comma  1,  n. 3), la norma non dice (ne'
altre  ve  ne  sono  che  dicano) in quale modo si attua il potere di
controllo   in   presenza  di  atti  illegittimi  ovvero  formalmente
legittimi,  ma nella sostanza tali da apparire contraddittori con gli
interessi della generalita' dei creditori.
   Un  atto  che  si  dimostri  tale  si  pone  come  antitetico allo
svolgimento  regolare  e  corretto  della  procedura, costituisce una
violazione  della  legge  e  dei principi che regolano il fallimento,
finalisticamente  diretto a conseguire il massimo interesse economico
per la massa dei creditori, nel rispetto delle ragioni del fallito.
   Si pensi al caso in cui il g.d. venga informato, ex art. 35, comma
2,  della  prossima  instaurazione  di  un'azione  di responsabilita'
promossa  dal  nuovo  curatore  ex  art. 38, comma 2, autorizzato dal
comitato  dei  creditori,  e  si  avveda  che un tale giudizio non e'
supportato  da valide ragioni giuridiche a sostegno ovvero che e' del
tutto contraddittorio con gli interessi dei creditori, anche solo per
la  acclarata  inesistenza  di un patrimonio del curatore sostituito,
aggredibile  in  sede  esecutiva  (in  ipotesi  estrema  potrebbe  in
precedenza lo stesso g.d. avere negato l'autorizzazione all'azione di
poi  richiesta  ed  ottenuta dal comitato dei creditori, posto che la
non felicissima formulazione della norma nemmeno sembra escludere una
tale evenienza).
   Si  pensi  al  caso  di una transazione in una complessa causa per
responsabilita'  contro  amministratori  e sindaci che, come di norma
accade  in  questi  casi,  presuppone anche un giudizio di fondatezza
giuridica  (possibilita'  o  meno di un esito positivo e limiti dello
stesso), sicche' la decisione, rimessa ad organi (curatore e comitato
dei creditori) non istituzionalmente dotati di preparazione giuridica
(salvo  il  raro  di  curatore  scelto  fra  gli  avvocati), potrebbe
oggettivamente apparire censurabile.
   Non  diverso  e' il caso in cui, come nella fattispecie, si tratti
di  vendita  di  beni a trattativa privata in relazione alla quale il
g.d.  ipotizzi  una  possibile violazione di norme procedimentali e/o
una possibile lesione dell'interesse della generalita' dei creditori.
   La  riforma  del  diritto  fallimentare prevede la possibilita' di
attivare controlli nei confronti dei decreti del g.d. e del tribunale
(art.  26)  cosi'  come  nei  confronti  di  atti  del curatore o del
comitato  dei  creditori  (art.  36), ma e' omissiva rispetto ai modi
attraverso i quali il g.d. possa autonomamente esercitare quel potere
di  controllo  che  pure  l'art.  25  gli  attribuisce  quale  tipico
contenuto della sua funzione.
   La  completa  assenza  di  una  norma  di riferimento non consente
all'interprete  di  colmare  la lacuna, se nel potere di controllo si
ritiene  (come  pare  corretto  al  tribunale) di ricomprendere anche
quello  di  inibire  l'atto ritenuto, in senso lato, irregolare (che'
altrimenti   i   confini   fra  vigilanza  e  controllo  diverrebbero
evanescenti),  cosi'  come avviene allorche' la funzione di controllo
sia attuata attraverso l'iniziativa di terzi (art. 36).
   Tale   conclusione,   tuttavia,   non   comporta  come  necessaria
l'irragionevole  conclusione della totale impotenza del g.d. rispetto
al  compimento  di  un  atto  contraddittorio col regolare e corretto
svolgimento  della  procedura,  perche'  altrimenti  ne  risulterebbe
vanificata,  insieme  alla  funzione di controllo, altresi' quella di
vigilanza (da esercitarsi su «tutte» le operazioni della procedura ex
art.  31 l.f.), col che diverrebbe pleonastica la stessa presenza del
giudice delegato nell'ambito della procedura fallimentare.
   Ora,  che  cosi' non sia, puo' desumersi dalla stessa norma di cui
all'art.   35,   comma  2  l.f.,  che  quantomeno  per  gli  atti  di
straordinaria  amministrazione  aventi apprezzabile rilievo economico
(e  sempre per le transazioni) impone la previa informazione al g.d.,
configurando  un  istituto  che  non  puo'  che  essere finalizzato a
consentire l'esercizio della funzione di vigilanza e, se del caso, ad
attivare  in termini concreti la funzione di controllo (seppure a non
esercitarla direttamente).
   Che  si  tratti  di  una  mera  informativa di aggiornamento e' da
escludere,  sia perche' se cosi' fosse ben potrebbe essere successiva
al  compimento  dell'atto  (e allora essere data, come per i restanti
atti di straordinaria amministrazione di minore rilievo, attraverso i
rapporti   riepilogativi   di   cui   all'art.   33),   sia   perche'
l'informazione  non  e'  prevista in caso in cui l'atto sia contenuto
nel  programma  di  liquidazione e, dunque, gia' autorizzato dal g.d.
tramite  l'approvazione  del programma stesso ovvero autorizzato tout
court  in  base  all'art.  104-ter  nel  testo  riformato dal decreto
correttivo n. 169/2007.
   In   definitiva,   il  discrimine  fra  necessita'  o  meno  della
informazione   sta,   sia  nel  sistema  antecedente  che  in  quello
successivo   al   1°   gennaio   2008,   nella   intervenuta  o  meno
autorizzazione   da   parte   del  g.d.  dell'atto  di  straordinaria
amministrazione.
   L'interpretazione  sistematica  induce  allora a ritenere che, pur
nell'ottica   del   legislatore  delegato,  l'atto  di  straordinaria
amministrazione  non  possa  comunque  prescindere  da  un  vaglio di
legittimita',  merito  e  opportunita' (id est: convenienza) da parte
del  g.d.  ovvero  da  un  vaglio da effettuarsi alla luce di tutti i
criteri  selettivi che devono ragionevolmente essere presenti in sede
di approvazione del programma.
   E'  da  notare  che  l'imminente  modifica  della  norma impone al
curatore  proprio  di  motivare  la  convenienza  della sua proposta,
sicche'  anche  la  convenienza  e' destinata a diventare ex lege uno
degli aspetti da sottoporre a vigilanza e controllo.
   Del  resto,  sarebbe  poco ragionevole se il medesimo atto dovesse
essere oggetto di un vaglio ontologicamente diverso a seconda che sia
o  meno inserito nel programma di liquidazione (o in un suo eventuale
supplemento).
   E'  poi  il  caso  di  osservare  che,  se  la  norma  impone  che
l'informazione  sia «previa», tuttavia non chiarisce rispetto a quale
momento  debba  esserlo:  prima del perfezionamento dell'atto o prima
della richiesta di autorizzazione al comitato dei creditori.
   Tale  ultima  soluzione  sembra  al  Collegio  preferibile proprio
stante  l'assenza  di un preciso ancoraggio della comunicazione ad un
momento  temporalmente  individuato, sicche' pare legittimo affermare
che  la  stessa procedura autorizzatoria debba essere successiva alla
«previa»  informazione  al  g.d.  da  parte  del  curatore, anche per
evitare  che  nelle  more  della  valutazione da parte del giudice si
verifichi   il   perfezionamento   dell'atto,  col  che  risulterebbe
vanificato lo scopo stesso della informativa.
   Se  cosi'  e',  ne  esce vieppiu' rafforzata la conclusione che il
procedimento necessario al perfezionamento dell'atto di straordinaria
amministrazione  abbia quale momento imprescindibile lo scrutinio con
esito  positivo  da  parte  del  g.d.,  in  quanto,  in caso di esito
negativo  dello  scrutinio  stesso,  non  si  tratterebbe  nemmeno di
vanificare   una   gia'  concessa  autorizzazione  del  comitato  dei
creditori,  ma  piu'  semplicemente di evitare che la proposta (cosi'
qualificata  dal  decreto correttivo) del curatore venga portata alla
autorizzazione del comitato stesso.
   Come che sia, resta che nel sistema fallimentare riformato in casi
siffatti   il  g.d.,  ove  all'esito  dell'esercizio  del  potere  di
vigilanza  ritenga  doveroso, per il rispetto di norme procedimentali
e/o  per  la  tutela degli interessi della generalita' dei creditori,
che  un  determinato  atto  non venga perfezionato non dispone di uno
strumento analogo a quello del diniego di approvazione/autorizzazione
previsto  per  il  caso  in  cui quello stesso atto sia contenuto nel
programma  di  liquidazione  ovvero  in un suo supplemento (e in cio'
sta, a parere del tribunale, una palese antinomia del sistema).
   Tuttavia,  se  nel  sistema  attuale la funzione di controllo, pur
attribuita  al  g.d. dall'art. 25 l.f., non puo' per assenza di norma
di   riferimento   trovare   autonoma   e  diretta  attuazione,  puo'
indirettamente  trovarla  attraverso  la procedura prevista dall'art.
25,  comma  1,  n. 1, ovvero chiamando in causa un organo diverso (il
che e' proprio quanto avvenuto nella fattispecie).
   A  tale norma appare funzionalmente collegata quella dell'art. 35,
comma  2,  e  attraverso  tale  collegamento,  ad  opinione di questo
Collegio, si rende ragione dell'istituto della previa informazione al
g.d..
   Il  combinato  disposto  di  tali  norme  induce a ritenere che il
Collegio,  in  tal  modo  investito, abbia il potere di accertare con
ampi   poteri  la  legittimita'  formale  e  sostanziale  (ovvero  la
rispondenza   agli   interessi   generali   sottesi   alla  procedura
fallimentare) dell'atto di straordinaria amministrazione, rispetto al
quale  il  curatore  si  appresti  a  richiedere,  oppure  abbia gia'
ottenuto, l'autorizzazione del comitato dei creditori.
   Tale  conclusione,  induttivamente  raggiunta,  trova  conferma da
quanto  puo'  desumersi  dalla  norma  di  cui all'art. 23 l.f. sulle
attribuzioni del Collegio.
   Oggi  come  in  passato  la  norma  sancisce  che il tribunale «e'
investito della intera procedura» e se in passato questa attribuzione
poteva essere letta quasi come un atto di formale omaggio al Collegio
(i  cui  poteri  erano  in  buona  sostanza e per intero trasmessi al
giudice  delegato, non a caso qualificato tale) oggi, alla luce della
riforma  del diritto fallimentare (e delle sue lacune), e' necessario
riempirla di contenuti significativi.
   Il  tribunale  appare  ancora  come organo apicale della procedura
essendo  l'unico ad esserne investito nella sua interezza, ad esso e'
riconosciuto  un  potere generale di convocazione insieme a quello di
revoca e sostituzione degli altri organi.
   Spetta  al tribunale la decisione delle controversie relative alla
procedura,  espressione di assoluta genericita', che come tale sembra
alludere  a qualsivoglia forma di conflitto e, dunque, anche a quello
che  eventualmente  si  determini fra altri organi della procedura in
relazione al compimento di un determinato atto.
   Appare  ragionevole  la conclusione che il tribunale, quale organo
apicale,  debba  riassumere  in  se'  tutti  i  poteri  degli  organi
subordinati, possa di ufficio, o quantomeno a seguito della relazione
del  g.d.  ex  art.  25,  comma  1,  n. 1,  emettere  i provvedimenti
necessari   (nel  caso  di  specie  confermatori  o  inibitori  della
iniziativa  del curatore) per garantire il regolare svolgimento della
procedura, della quale e' per interezza «investito».
   Si  tratta,  in  altri  termini, di una situazione in qualche modo
simmetrica  a  quella  in cui il tribunale viene a trovarsi a seguito
dei  reclami  ex  artt.  26  e  36 l.f., solo che qui si tratta di un
intervento officioso seppure determinato dalla iniziativa assunta dal
g.d. ex art. 25, comma 1, n. 1.
   Per  questa  via,  da  un  canto  il sistema della vigilanza e del
controllo   sulla   procedura   assume   un   accettabile   grado  di
effettivita', dall'altro si attribuisce contenuto e senso alla regola
della  «previa»  informazione al g.d. ex art. 35, comma 2, altrimenti
priva di significato.
   In  teoria,  a  questo  punto  nulla  osterebbe  a che il Collegio
entrasse  nel merito della questione riferita dal g.d. in ordine alla
informativa  6  dicembre 2007 effettuata ex art. 35 l.f. da parte del
curatore del fallimento 51 s.a.s..
   Tanto  pero'  presuppone  a  monte  che  il sistema autorizzatorio
delineato  dagli  artt. 41 e 35 l.f. sia costituzionalmente legittimo
o,  in  via  subordinata,  che  sia  tale l'esclusione di un autonomo
potere  di  intervento  da  parte  del  g.d.,  posto che il potere di
intervento,  in  qualche  modo  sostitutivo,  del  Collegio viene qui
configurato  solo  in via residuale e di necessaria razionalizzazione
del sistema.
   La   questione  di  legittimita'  costituzionale  appare,  dunque,
rilevante e pregiudiziale ai fini del decidere.
   La  questione  deve  porsi innanzitutto in riferimento all'art. 76
della Costituzione; ma poi anche in relazione all'art. 3.
   Sotto  il primo profilo, deve il Collegio valutare, per quanto gli
compete,  se  il predetto sistema autorizzatorio trovi conforto nella
legge  delega  14  maggio  2005,  n. 80 e la risposta appare di segno
negativo  seguendo  l'insegnamento  piu'  volte  ribadito dalla Corte
costituzionale.
   La  Corte  (anche  di recente: sentenza 340 del 2007) ha affermato
che  «il  giudizio  di  conformita'  della  norma delegata alla norma
delegante,  condotto  alla  stregua  dell'art.  76  Cost., si esplica
attraverso  il  confronto  tra  gli esiti di due processi ermeneutici
paralleli:  l'uno  relativo  alle  norme che determinano l'oggetto, i
principi  e  i criteri direttivi indicati dalla delega, tenendo conto
del  complessivo contesto di norme in cui si collocano e individuando
le  ragioni  e  le  finalita'  poste  a  fondamento  della  legge  di
delegazione;  l'altro  relativo  alle  norme  poste  dal  legislatore
delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi
e  criteri direttivi della delega» (ex plurimis sentenze n. 7 e n. 15
del  1999,  n. 276,  n. 163, n. 126, n. 425, n. 503 del 2000, n. 54 e
n. 170 del 2007».
   Orbene,  nel  testo  riformato,  gli  artt.  41, comma 1 e 4, e 35
(nulla   cambia  per  quanto  qui  rileva  in  relazione  al  decreto
correttivo  in vigore dal 1° gennaio 2008) pongono il generale potere
autorizzatorio  in  capo  al comitato dei creditori (salvo il residuo
potere   ancora   concesso   al  g.d.  da  singole  norme)  con  cio'
stravolgendo per riflesso la funzione del g.d., trattandosi di potere
di  cui  per  il  passato era titolare quale organo di garanzia della
tutela degli interessi sottesi al fallimento.
   Premesso  che  nessuna indicazione e' contenuta nella legge delega
per  quanto attiene ad una eventuale (e drastica) ridefinizione della
figura del g.d., occorre accertare se un tale effetto (nei termini in
concreto   realizzati)   poteva   essere   legittimamente  conseguito
attraverso il processo di coordinamento dei poteri interorganici.
   Recita,  infatti,  il  comma  6,  lett. a), n. 2 dell'art. 1 della
legge  delega:  «ampliare  le  competenze del comitato dei creditori,
consentendo  una  maggiore  partecipazione  dell'organo alla gestione
della  crisi  dell'impresa;  coordinare  i  poteri degli altri organi
della procedura».
   Dovendosi  innanzitutto  interpretare  le  norme  che  determinano
l'oggetto,  i  principi  e i criteri direttivi indicati dalla delega,
sembra   al   Collegio   che   la   norma   di   riferimento,   anche
finalisticamente   esaminata,  non  preveda  alcuna  immutazione  dei
«poteri» degli organi della procedura, ma solo un coordinamento degli
stessi  quale  conseguenza alle piu' ampie «competenze» da assegnarsi
al comitato dei creditori.
   Premesso  che,  in  linea  di  principio,  gli  organi titolari di
«poteri»  sono  il  g.d.  (art.  25)  e  il  curatore  (art. 35 sulla
«integrazione  dei poteri» del curatore, ancorche' l'art. 32 parli di
«attribuzioni»),  mentre  rispetto al comitato dei creditori la legge
fallimentare  si  esprimeva  e  si  esprime  tutt'ora  in  termini di
«funzioni», sembra assai difficile ritenere che il voluto ampliamento
delle  «competenze»  possa  tradursi  in  un  generale spostamento di
«poteri»  nella  titolarita'  di  tale  ultimo  organo  (come  sembra
confermato dalla circostanza che invece, ma per specifica ipotesi, il
comma  6,  lett. a), n. 8 dell'art. 1 della legge delega parli questa
volta non di «competenze» ma di «poteri»).
   Non pare, dunque, senza significato che il comma 6, lett. a), n. 2
dell'art.  1  della  legge  delega parli di «competenze» per un verso
(rispetto  al  comitato  dei  creditori)  e  di  poteri  per un altro
(rispetto agli altri organi).
   Gia' sotto questo primo profilo parrebbe fuori delega una generale
attribuzione  al comitato dei creditori di quel potere autorizzatorio
di cui per il passato era titolare il g.d..
   Ma, a parte tale considerazione, piu' specificamente non sembra al
Collegio  che  la norma (comma 6, lett. a), n. 2 dell'art. 1) preveda
un   ampliamento   tout  court  delle  competenze  del  comitato  dei
creditori, ma al contrario un ampliamento finalizzato ad una maggiore
partecipazione di detto organo alla gestione della crisi di impresa.
   Se  cosi'  e',  sembra  da  escludere  che  l'esercizio del potere
autorizzatorio  possa in qualche modo ricondursi al profilo gestorio,
come  risulta  dall'art.  31  l.f., che si intitola appunto «gestione
della   procedura»   e   che   chiarisce   che  essa  consiste  nella
amministrazione del patrimonio fallimentare e nel compimento di tutte
le  operazioni  finalizzate  alla liquidazione da parte del curatore,
sotto vigilanza del g.d. e del Comitato dei creditori.
   Che  il  potere  autorizzatorio resti estraneo alla gestione della
procedura  di  cui  all'art. 31 e a quella maggiore partecipazione ad
essa  da parte del Comitato dei creditori, voluta dalla legge delega,
si desume anche dal fatto che l'organo gestorio per definizione nella
prospettiva   della   riforma,  ovvero  il  curatore,  non  autorizza
alcunche' ma anzi viene autorizzato in tutto o quasi.
   E' all'interno del funzione direttiva che sembra doversi collocare
il   potere   autorizzatorio,   come   dimostrato   dal   fatto  che,
coerentemente,  a  seguito  della  riforma  tale funzione non e' piu'
contemplata nell'ambito dei poteri costanti esercitabili dal g.d. nel
corso   dell'intera   procedura   (art.   25),   perche'   il  potere
autorizzatorio,  nel  quale  la  funzione  direttiva si sostanzia, e'
divenuto  un  potere  frazionato,  condiviso  e  perche',  per quanto
attiene  al g.d., si esaurisce in buona misura con l'approvazione del
programma  di  liquidazione,  cioe'  nella  fase  introduttiva  della
procedura stessa.
   Sembra  al  Collegio  che  nella  trasformazione  del comitato dei
creditori  da  organo  consultivo  ad organo titolare di un potere di
covigilanza  sulla  gestione del curatore, posizione rafforzata dalla
norma di cui all'art. 33, comma 5 sul diritto alla ricezione di copia
del   rapporto   semestrale,   ma  soprattutto  dal  ruolo  attivo  e
condizionante del comitato dei creditori nell'ambito del programma di
liquidazione  (nonche' in relazione all'art. 104 e all'art. 104-bis),
si  potrebbe  correttamente  cogliere  quella maggiore partecipazione
alla  gestione  richiesta  dalla  legge  delega. L'art. 31 novellato,
insieme  alle norme strumentali sopra richiamate, avrebbe soddisfatto
gia' da solo l'indicazione del legislatore delegante.
   E'  poi  sintomatico  di  quella  che  pare al Collegio una vera e
propria contraddizione del legislatore delegato il fatto che, pur ove
la legge delega (per specifica materia, occorre sottolineare) avrebbe
consentito  un effettivo ampliamento dei poteri del comitato, formula
assai  piu'  ampio  di quella in generale prevista dal comma 6, lett.
a),  n. 2 dell'art. 1, il legislatore della riforma non si sia spinto
a   tanto.   In   tema  di  continuazione  dell'esercizio  temporaneo
dell'impresa,  pur  consentendo  la  legge  delega un ampliamento dei
poteri  tout  court  (non  cioe' finalizzato alla mera partecipazione
gestionale),   l'art.   104   l.f.   mantiene   la  necessita'  della
autorizzazione  del  g.d.,  sia pure in presenza di parere favorevole
del  comitato  dei  creditori  (mentre  per  la cessazione coesistono
poteri analoghi in capo al comitato e al tribunale).
   Sembra davvero difficile ipotizzare che una trasformazione epocale
(per  i  riflessi  in  tema  di privatizzazione del fallimento che ne
derivano),  quale  quella  di  trasferire  dal  g.d.  al comitato dei
creditori  il  potere  di  autorizzare  in  via generale gli atti del
curatore,  non  sarebbe  stata  oggetto  di una espressa direttiva da
parte del legislatore delegante ove da questi voluta e prevista.
   Il  sostanziale  trasferimento della titolarita' delle funzioni di
garanzia  e  tutela  in  favore  di un organo non neutrale (in quanto
esponenziale di interessi particolari) e non rappresentativo di tutti
gli  interessi  rilevanti  (certamente non di quelli del fallito, che
pure devono trovare considerazione nello svolgimento della procedura,
come  confermato  dalla  legittimazione del fallito stesso a proporre
reclami  ex  art.  26  e  36  l.f.)  costituisce  in  se'  operazione
irragionevole,  ma  soprattutto non coerente con le norme della legge
delega  e,  a  parere  del  tribunale,  nemmeno  con  i suoi principi
ispiratori.
   Ne' la conformita' alla legge delega della rivoluzione copernicana
attuata  dagli  artt. 41 e 35 l.f. potrebbe, ad avviso del tribunale,
desumersi  in  riferimento al c.d. potere di riempimento spettante al
legislatore   delegato,   posto   che   nel  definire  l'ampiezza  da
riconoscersi  ad  un  tale potere vale comunque il limite secondo cui
«il  libero  apprezzamento  del  legislatore  delegato  non  puo' mai
assurgere  a  principio  od  a  criterio  direttivo,  in  quanto agli
antipodi di una legislazione vincolata, quale e', per definizione, la
legislazione  su  delega»  (sentenza  Corte  costituzionale n. 68 del
1991).
   Ora,  che  la  deambulazione  del potere autorizzatorio integri un
autonomo  principio o criterio direttivo, come tale non riconducibile
al mero potere di riempimento, pare al tribunale che risulti non solo
dalla  esegesi  del  principio  contenuto nel comma 6, lett. a), n. 2
dell'art.  1,  legge  14  maggio 2005, n. 80, ma anche da altra norma
della  legge  delega, quella relativa al programma di liquidazione di
cui al comma 6, lett. a), n. 10 dell'art. 1.
   Non  pare  che  si possa dubitare che il programma di liquidazione
sia  il  momento fondamentale della gestione della crisi dell'impresa
in  fallimento,  quello  in  cui si pongono le linee guida del futuro
andamento  della  procedura, in cui si effettuano le scelte operative
da  valere  fino  alla  chiusura  del  fallimento  e condizionanti le
successive  attivita'  di  tutti  gli  organi della procedura. E cio'
ancor  prima  del  chiarimento  contenuto  nella  modifica  dell'art.
104-ter  ad  opera  del decreto correttivo n. 169/2007, che qualifica
espressamente   il   programma   di   liquidazione  come  «l'atto  di
pianificazione  e di indirizzo» in ordine alle modalita' e ai termini
previsti per la realizzazione dell'attivo.
   Ragionevole  allora  e'  ritenere che proprio in questa sede abbia
trovato  la  massima espansione il generale principio di direttivo di
cui  al  comma  6,  lett.  a),  n. 2 dell'art. 1, che prevede appunto
l'ampliamento  delle competenze del comitato dei creditori al fine di
consentirgli una maggiore partecipazione gestionale.
   Ma  su tale punto la legge delega e' del tutto esplicita (comma 6,
lett.  a),  n. 10  dell'art.  1)  e prevede l'autorizzazione del g.d.
seppure a seguito di approvazione del programma da parte del comitato
dei creditori.
   Se,  dunque,  nella  fase  piu'  sensibile  per l'applicazione del
principio  generale  di  incremento  delle  competenze gestionali del
comitato,  il legislatore delegante non si spinge oltre la necessita'
di  un parere positivo (approvazione) fermo restando il principio che
il  finale  potere  autorizzatorio  resta nella titolarita' del g.d.,
quale  garante  ultimo  di  tutti  gli interessi meritevoli di tutela
all'interno   della   procedura   (e   non   riassumibili  in  quelli
riconducibili  al  solo  comitato dei creditori), non si vede come in
altra   materia   (quella   relativa   agli   atti  di  straordinaria
amministrazione   in   genere,  che  spesso  presuppongono,  anche  o
esclusivamente,   una   valutazione   squisitamente   giuridica)   il
legislatore  delegato  abbia  potuto  infrangere  il  preciso  limite
imposto dalla legge delega.
   Piu'  ancora,  non si vede come abbia potuto trasformare in regola
generale  (art.  41)  il  superamento di detto limite, senza con cio'
creare  esso  stesso  un  arbitrario  principio o criterio direttivo,
travalicante i confini di una legislazione vincolata.
   Di potere di riempimento si potrebbe forse legittimamente parlare,
ad  avviso  di  questo  tribunale,  solo  in  relazione  a  singole e
particolari  ipotesi,  tipicamente l'autorizzazione di cui all'ultimo
comma  dell'art.  104-ter,  sia  perche'  accompagnata  da  cautele a
salvaguardia  della generalita' dei creditori (deroga alla previsione
di  cui  all'art.  51  l.f.), sia perche' inerente ad atti aventi per
definizione  minimo valore economico (liquidazione manifestamente non
conveniente),  sia  perche'  riconducibili piu' ad una prospettiva di
eliminazione  di  un  possibile  decremento  dell'attivo  che  di  un
incremento  dello  stesso,  stante  il  presupposto  della palese non
convenienza della liquidazione.
   In  questo  caso  (piu'  difficoltoso,  ma  forse  non impossibile
ricondurre  alla stessa logica anche altre fattispecie autorizzatorie
quali  quelle  di  cui  agli  artt.  72,  73, 81 l.f.), sarebbe forse
possibile  legittimare  il  potere  di  riempimento  del  legislatore
delegato  con  l'analogia  rispetto  all'ipotesi  della continuazione
temporanea  dell'esercizio  di  impresa  e sulla genericita' per essa
della  relativa previsione (ampliamento dei poteri) di cui alla legge
delega (comma 6, lett. a), n. 8 dell'art. 1).
   Al di fuori di casi specifici, ritiene conclusivamente il Collegio
che  la  generale configurazione del potere autorizzatorio in capo al
comitato  dei  creditori come previsto dagli artt. 41, primo e quarto
comma,  e 35 l.f. appaia sospetta di illegittimita' costituzionale in
riferimento all'art. 76 Cost.
   Sotto  altro  profilo, la questione di legittimita' costituzionale
degli  artt. 41, primo e quarto comma, e 35 l.f. sembra non infondata
anche   in   relazione   all'art.  3  Cost.,  in  quanto  il  sistema
autorizzatorio  da  tali norme configurato appare contrario al canone
della ragionevolezza.
   Si  tratta,  infatti,  di  un  sistema per sua natura non idoneo a
trovare  costante  applicazione  nelle procedure fallimentari, avendo
quale  presupposto  la  possibilita'  di  nomina  e funzionamento del
comitato  dei  creditori. Ove cio' non avvenga, e solo in questo caso
(salva  l'urgenza),  il  potere  di autorizzare gli atti del curatore
torna al g.d..
   Con  cio' si determina una irragionevole disparita' di trattamento
del  ceto  creditorio  (e  del fallito) che solo in quest'ultimo caso
potra' avvalersi della garanzia costituita dall'esercizio di un pieno
potere di controllo da parte di un organo giurisdizionale.
   Nell'altro  caso, quello considerato dal legislatore delegato come
archetipico   (per   altro  non  cosi'  frequente  nella  prassi,  ma
ricorrente nelle procedure di elevato rilievo economico), la garanzia
del  controllo  costituita  dal rilascio/diniego di autorizzazione al
compimento  dell'atto  proviene  da un organo di matrice privatistica
(secondo    il   canone   della   privatizzazione   delle   procedure
fallimentari)   non   effettivamente   rappresentativo   (oltre   che
ovviamente del fallito) nemmeno dell'intero ceto creditorio.
   Tale  sarebbe  soltanto  ove  il  comitato  dei  creditori venisse
nominato  dall'assemblea  dei  creditori,  se ad essa dovesse rendere
conto  del  proprio  operato e se da essa potesse essere in qualsiasi
momento sostituito.
   Anche  la  modesta  garanzia della composizione prevista dall'art.
40,  comma  2  e' spesso, come la prassi insegna, destinata alla mera
teoria,  stanti  le  notorie  difficolta' di reperimento di creditori
disponibili,  sicche'  il  comitato  dei  creditori  e'  di frequente
espressione  piu'  del  criterio  della  (comprensibilmente) limitata
disponibilita'  dei  creditori  a  parteciparvi,  che delle regole di
rappresentativita' della qualita' e quantita' dei crediti.
   Ma l'identica possibile violazione del canone di ragionevolezza si
rileva, e cio' e' singolare, anche all'interno della stessa procedura
considerata  emblematica  dal  legislatore delegato, quella in cui il
comitato dei creditori esiste e funziona.
   Nel  corso  della  procedura  si determinano, infatti, due diversi
modelli  autorizzatori:  se  un  atto  e'  previsto  all'interno  del
programma di liquidazione (salvo le diversita' fra art. 104-ter prima
e  dopo il decreto correttivo, diversita' che qui pero' non rilevano)
ovvero  in un supplemento del programma, quell'atto sara' autorizzato
dal  g.d.,  se  ne  resta  fuori  sara'  autorizzato dal comitato dei
creditori.
   In  definitiva,  anche  la conseguente diversa natura della tutela
offerta  ai  creditori  (e  al  fallito)  muta nel corso della stessa
procedura  e  in  relazione ad un fatto casuale (o, se si vuole, alla
iniziativa  del  curatore  di inserire o meno un determinato atto nel
programma di liquidazione o in un suo supplemento).
   La  contraddizione  e'  palese  e  con  essa  il  sospetto  di una
irragionevolezza del sistema delineato dal legislatore delegato.
   La  questione di legittimita' costituzionale sembra, pertanto, non
infondata anche rispetto all'art. 3 Cost.
   In   via   subordinata,  per  il  caso  in  cui  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  come  sopra proposta non fosse ritenuta
fondata,  il  tribunale  ritiene di dovere proporre analoga questione
relativamente al solo art. 35 l.f. sempre in riferimento agli art. 76
e 3 Cost.
   Richiamando  le argomentazioni sopra svolte, ove l'attribuzione di
un  generale  potere autorizzatorio in capo al comitato dei creditori
venisse  considerata  conforme  alla legge delega e all'art. 3 Cost.,
resta  pur  sempre  dubbia  la  legittimita',  sia  in riferimento ai
principi  della  legge delega che al canone di ragionevolezza, di una
norma  che non preveda che il g.d. sia titolare quantomeno del potere
di  impedire  (con provvedimento evidentemente reclamabile ex art. 26
l.f.)  il  perfezionamento dell'atto ritenuto illegittimo o contrario
agli interessi della generalita' dei creditori (o del fallito).
   E'  cio'  nonostante  che  quella  stessa norma preveda l'istituto
della previa informativa.
   La   questione   e'   rilevante   perche'   incide   sulla  stessa
configurabilita'  del  potere decisionale del Collegio nella presente
sede,  che  presuppone,  appunto, l'assenza di un autonomo potere del
g.d. avente pari contenuto.
   Orbene,  nella  legge  delega  non  si  rinviene  il principio che
autorizzi il legislatore delegato a trasformare il g.d. (almeno nella
fase   dinamica   della  procedura  ovvero  dopo  l'approvazione  del
programma  di  liquidazione)  in  un  mero  organo  passivo,  tale da
esercitare  le  sue  attribuzioni  solo  a seguito dell'iniziativa di
terzi  (reclamo  ex  art.  36).  Non  si  rinviene  un  principio che
legittimi  la  trasformazione dell'organo direttivo in organo di mera
vigilanza.
   Cio'  appare  tanto  vero  che lo stesso legislatore delegato, pur
nell'ambito  di  un'ottica diversa, riconosce al g.d., quale autonomo
potere,  quello  dell'esercizio  altresi' della funzione di controllo
sulla  procedura  (art.  25),  col  che  si  dovrebbe  presumere  che
allorche'  la  vigilanza  evidenzi il pericolo del compimento di atti
irregolari  venga in considerazione proprio il potere di controllo ed
una sua concreta possibilita' di esercizio.
   Conclusione  che  parrebbe  confermata  dall'istituto della previa
informazione ex art. 35, comma 2, l.f..
   Ma,  allo  stato,  si tratta invece di riconoscimento solo formale
posto  che  non esiste alcun istituto che consenta al g.d. di rendere
effettivo quel controllo, inteso come potere autonomo.
   Ove  si  ritenga  legittimo trasferire su altro organo quel tipico
strumento  preventivo di attuazione del controllo ovvero il potere di
rilascio/diniego  dell'autorizzazione  al  compimento di atti, sembra
necessario  quantomeno  configurare,  in  sostituzione, un successivo
potere   di   intervento   sugli   atti   da   altri  autorizzati  (o
autorizzandi).
   L'avere  questo  tribunale  individuato  in  via interpretativa un
procedimento  (ex  artt.  23  e  25,  n. 1  l.f.)  per consentire che
dall'esercizio  del  potere  di  vigilanza da parte del g.d. si passi
comunque  all'esercizio  effettivo  di  un  potere  di controllo, non
risolve il problema.
   Non  solo  perche'  in questa materia spesso l'urgenza e' sovrana,
sicche'  l'attesa  di  un  provvedimento  collegiale  potrebbe spesso
vanificare  l'efficacia  della inibizione al compimento dell'atto, ma
soprattutto  perche' il problema giuridico di fondo resta pur sempre:
non  si  tratta  infatti  di  sapere  se  nelle  pieghe  della  legge
fallimentare  riformata sia ancora possibile individuare un potere di
controllo   concretamente   esercitabile   da   parte  di  un  organo
giurisdizionale,  si tratta di sapere se quel controllo spetta o meno
ancora al g.d. ovvero proprio a quell'organo cui anche il legislatore
delegato formalmente lo ha attribuito (art. 25).
   La  omessa  previsione  dello  strumento  attuativo  del potere di
controllo,  pur  in  astratto  riconosciuto  in  capo al g.d., appare
rilevante in riferimento all'art. 67 Cost. perche' attuata in carenza
di  una  norma  della  legge  delega che lo consenta e contraria agli
stessi principi informatori della stessa.
   La necessita' della ablazione di ogni potere di intervento diretto
da parte del g.d. non solo appare estranea a quel coordinamento con i
poteri degli altri organi della procedura previsto dal comma 6, lett.
a),   n. 2  dell'art.  1,  ma  addirittura  con  esso  antitetico  se
«coordinare» non vuol dire «sopprimere».
   Quand'anche   si   ritenesse   costituzionalmente   legittimo   il
trasferimento del generale potere autorizzatorio dal g.d. al comitato
dei  creditori  (del  che comunque il tribunale dubita), non solo non
sarebbe  antitetica  alla  nozione  di  coordinamento,  ma  con  essa
coerente  la  previsione,  all'interno della norma di cui all'art. 35
l.f.,  di  un residuale potere di intervento del g.d., a tutela degli
interessi della generalita' dei creditori, del fallito e della stessa
regolarita', anche procedimentale, del fallimento.
   Per  questa  via,  si  realizzerebbe quel coordinamento voluto dal
comma  6,  lett.  a),  n. 2  dell'art.  1  della legge delega e se ne
rispetterebbero i principi informatori.
   Ma  l'assenza  di  una  siffatta  previsione  e,  dunque, la norma
dell'art.  35 l.f. nella sua attuale formulazione (come in quella non
immutata,  per  quanto  qui  rileva, successiva al 1° gennaio 2008 ex
decreto  correttivo n. 169/2007) viola, a parere del tribunale, anche
il principio di ragionevolezza e con esso l'art. 3 Cost.
   Cio'  tanto  per  l'insanabile contraddittorieta' del fatto in se'
(anche  rispetto  all'istituto  della previa informazione ex art. 35,
comma   2),  quanto  per  le  stesse  ragioni  prima  evidenziate  in
riferimento   alla   possibile   illegittimita'   costituzionale  (in
riferimento  all'art.  3 Cost.) del trasferimento in via generale del
potere  autorizzatorio  al  comitato  dei creditori ovvero la diversa
natura  della  tutela  dei  creditori  e del fallito, con conseguente
irragionevole disparita' di trattamento.
   Come   gia'   evidenziato,   in   relazione   ad   eventi  casuali
(possibilita' o meno di costituzione o funzionamento del comitato dei
creditori;   inserimento  o  meno  da  parte  del  curatore  di  quel
determinato  atto  all'interno  del programma di liquidazione o di un
suo  supplemento),  in  un  caso  la  generalita' dei creditori ed il
fallito  si  avvalgono della preventiva tutela offerta dal sistema di
diniego/rilascio  della  autorizzazione da parte del g.d., dall'altro
si  vedono espropriati anche della possibilita' del controllo ex post
(ma prima del perfezionamento dell'atto) da parte del giudice stesso.
   Disparita'  di  trattamento  che,  se  non annullata del tutto, ne
risulterebbe  pero'  attenuata  ove  si  ritenesse costituzionalmente
necessaria   quantomeno  la  presenza  di  uno  strumento  inibitorio
successivo  utilizzabile  da  parte  del g.d., una volta informato ex
art. 35 l.f.
   Conclusivamente,   e   in  via  subordinata  rispetto  alla  prima
questione  di  legittimita'  costituzionale  prospettata,  ritiene il
tribunale   non   infondata   anche   la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  35 l.f. nella parte in cui non prevede uno
strumento siffatto.
   Nelle more del giudizio di legittimita' costituzionale il presente
procedimento  resta sospeso, fermo il provvedimento inibitorio in via
d'urgenza emesso in data 6 dicembre 2007.
                              P. Q. M.
   Solleva  questione  di legittimita' costituzionale degli artt. 41,
comma  1  e 2, e 35 l.f. (r.d. 16 marzo 1942, n. 267, come modificato
con  d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5) in relazione all'art. 76 e all'art.
3 della Costituzione;
   In  via  subordinata,  solleva  diversa  questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  35  l.f. (r.d. 16 marzo 1942, n. 267, come
modificato  con  d.lgs.  9  gennaio  2006,  n. 5) sempre in relazione
all'art. 76 e all'art. 3 della Costituzione;
   Sospende per l'effetto il presente procedimento;
   Manda  alla  cancelleria per la trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale;
   Manda altresi' alla cancelleria per la notificazione al Presidente
del  Consiglio  dei ministri e per la comunicazione al Presidente del
Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati.
   Si comunichi al Curatore.
     Cosi' deciso in Firenze, il 12 dicembre 2007.
            Il Presidente relatore ed estensore: D'Amora