N. 96 SENTENZA 2 - 11 aprile 2008

  Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
  Costituzione  e Intervento nel giudizio incidentale - Intervento di
  soggetti  che non rivestono la qualita' di parte nel giudizio a quo
  - Inammissibilita'.
  Avvocati  e  Procuratori  -  Onorari  per prestazioni giudiziali in
  materia  civile  -  Procedura  camerale  per la loro liquidazione -
  Applicabilita'  del  rito  nei  giudizi amministrativi - Esclusione
  secondo  il  diritto  vivente  -  Lamentata lesione dei principi di
  pienezza  ed  effettivita'  della tutela giurisdizionale innanzi al
  giudice  amministrativo  -  Carenza  di  motivazione in ordine alla
  pertinenza   dei   parametri   evocati   -  Inammissibilita'  delle
  questioni.
  - Legge 13 giugno 1942, n. 794, artt. 28 e 29.
  - Costituzione, artt. 103 e 113.
  Avvocati  e  Procuratori  -  Onorari  per prestazioni giudiziali in
  materia  civile  -  Procedura  camerale  per la loro liquidazione -
  Inapplicabilita'  del  rito  nei  giudizi amministrativi secondo il
  diritto vivente - Lamentata lesione del principio di ragionevolezza
  e  del  diritto  di  difesa  -  Esclusione  -  Non fondatezza della
  questione.
  - Legge 13 giugno 1942, n. 794, artt. 28 e 29.
  - Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.17 del 16-4-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta  dai  signori:  Presidente:  Franco  BILE; Giudici: Giovanni
Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Paolo MADDALENA,
Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI,
Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe TESAURO, Paolo Maria
NAPOLITANO; ha pronunciato la seguente
                              Sentenza
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 28 e 29 della
legge  13  giugno  1942, n. 794 (Onorari di avvocato e di procuratore
per  prestazioni giudiziali in materia civile) promosso con ordinanza
del  9  novembre  2006 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto da
A.A.T.  contro A.G., iscritta al n. 284 del registro ordinanze 2007 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, 1ª serie
speciale, dell'anno 2007.
   Visti  l'atto  di  costituzione  di  A.A.T.  nonche'  gli  atti di
intervento   di   L.V.  e  della  Societa'  italiana  degli  avvocati
amministrativisti e del Presidente del Consiglio dei ministri;
   Udito nell'udienza pubblica dell'11 marzo 2008 il giudice relatore
Gaetano Silvestri;
   Uditi  gli  avvocati  Giuseppe Abbamonte, Stefano Crisci e Filippo
Lubrano  per  A.A.T. e per L.V. e la Societa' italiana degli avvocati
amministrativisti  e  l'avvocato  dello  Stato  Fabio  Tortora per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
                          Ritenuto in fatto
   1.  -  Con ordinanza depositata il 9 novembre 2006 il Consiglio di
Stato,   sezione   VI,   ha   sollevato   questioni  di  legittimita'
costituzionale,  in  riferimento  agli  artt.  3, 24, 103 e 113 della
Costituzione,  degli artt. 28 e 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794
(Onorari  di  avvocato e di procuratore per prestazioni giudiziali in
materia  civile), nella parte in cui, secondo il diritto vivente, non
consentono  che  il procedimento semplificato ivi previsto, avente ad
oggetto  la  liquidazione  dei  compensi  spettanti  agli avvocati in
relazione  all'attivita' prestata nei giudizi civili, si applichi nei
giudizi  amministrativi, per la liquidazione dei compensi riguardanti
l'attivita' defensionale in essi svolta.
   Nel  giudizio  principale  si  discute dell'appello proposto da un
avvocato  avverso  la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale
dell'Abruzzo,   che  ha  dichiarato  inammissibile,  per  difetto  di
giurisdizione,  il ricorso promosso ai sensi dell'art. 28 della legge
n. 794  del  1942,  dal  medesimo professionista, per la liquidazione
degli onorari professionali.
   Il  rimettente  da' atto di condividere l'orientamento «pressoche'
uniforme»  della  Corte  di  cassazione (sono richiamate le sentenze:
sez.  II  civile,  29 luglio 2004, n. 14394; sez. II civile, 27 marzo
2001,  n. 4419;  sez. II civile, 12 settembre 2000, n. 12035; sez. II
civile,  27  marzo  1995,  n. 3603;  sez.  II civile, 18 luglio 1991,
n. 7993),  e  prevalente  presso  il  Consiglio di Stato (sez. IV, 14
aprile  2006, n. 2133; sez. IV, decr. Pres. 21 ottobre 2005, n. 5957;
in  senso contrario, sez. VI, 1 marzo 2005, n. 820), secondo il quale
il  procedimento  camerale  previsto  dagli artt. 28 e 29 della legge
n. 794  del  1942  non  e'  applicabile  alla domanda di pagamento di
compensi  professionali  formulata davanti al giudice amministrativo,
per   attivita'  di  patrocinio  svolta  nell'ambito  della  relativa
giurisdizione.  Piu'  in  generale,  riferisce  il  giudice a quo, la
costante  giurisprudenza  della  Cassazione  ritiene  che lo speciale
procedimento   camerale  non  sia  applicabile  ai  processi  penali,
amministrativi  ovvero  in  materia di compensi riferiti ad attivita'
stragiudiziali,   ed   anche   la  dottrina  perviene  alle  medesime
conclusioni.
   Con  riguardo  al  profilo  di interesse, il rimettente espone gli
argomenti  che  militano a sostegno dell'interpretazione restrittiva,
richiamando  in  primo  luogo il dato letterale, quale emerge sia dal
titolo  della legge n. 794 del 1942, che concerne la liquidazione dei
corrispettivi  dovuti  agli avvocati per prestazioni rese nei giudizi
civili,  sia dal riferimento, contenuto negli artt. 28, 29 e 30 della
citata   legge,   ad   istituti   propri   del   processo   civile  e
all'organizzazione   degli  uffici  giudiziari  civili.  Inoltre,  il
giudice   a   quo  osserva  come,  «nel  presupposto  pacifico  della
giurisdizione  del  giudice  civile  su  controversie  inerenti  alla
determinazione  di  onorari  professionali»,  la configurazione dello
speciale  procedimento  abbia comportato l'intervento del legislatore
sulla   competenza,   attribuita   all'ufficio   giudiziario  che  ha
conosciuto l'attivita' defensionale oggetto di liquidazione.
   Il  rimettente  si  sofferma,  quindi,  sul profilo del riparto di
giurisdizione,  per affermare che «una giurisdizione esclusiva del GA
in  tema  di  diritti  soggettivi patrimoniali necessiterebbe, specie
alla  luce  dei  canoni  restrittivi  enucleati  dalle  sentenze  nn.
204/2004   e   191/2006   della  Consulta,  di  un'espressa  menzione
legislativa che difetta nel testo normativo di cui trattasi».
   Dopo  aver  illustrato  gli  argomenti  a sostegno della soluzione
interpretativa  «conforme alla legislazione vigente come interpretata
dal  Giudice  della  giurisdizione»,  il  Consiglio  di Stato ritiene
tuttavia che la stessa esponga «la norma a dubbi di costituzionalita'
rilevanti  (atteso  l'oggetto del presente giudizio di appello) e non
manifestamente infondati».
   A  fronte  dell'ampia  discrezionalita'  che  va  riconosciuta  al
legislatore nella regolamentazione degli istituti processuali e nella
previsione di forme di tutela differenziate, il giudice a quo ritiene
che  la  censurata  esclusione  non  trovi  giustificazione  sotto il
profilo  della  ragionevolezza,  in  quanto  le  situazioni  poste  a
confronto  sarebbero  in  tutto sovrapponibili, coincidendo l'oggetto
della  tutela  (compensi  professionali)  e sussistendo, anche per il
processo  amministrativo,  l'esigenza di dotare il professionista «di
un   efficiente  strumento  procedurale,  aggiuntivo  alla  procedura
finalizzata  all'emissione  di  un  decreto  ingiuntivo  ex  art. 633
c.p.c.,  dato  dalla via del ricorso al capo dell'ufficio giudiziario
adito per il processo».
   Il  rimettente individua la ratio dell'istituto nella «connessione
ontologica»  tra  il contenzioso introdotto dal professionista per il
recupero  del compenso e la controversia di base, il che per un verso
giustifica  la  previsione  dell'«incidente di esecuzione» davanti al
giudice   della   cognizione   e,  per  altro  verso,  vale  anche  a
differenziare  «tali  questioni» dagli altri crediti pecuniari, per i
quali  risulta esperibile soltanto la procedura di ingiunzione di cui
agli artt. 633 e seguenti cod. proc. civ.
   Tale  connessione,  secondo  il giudice a quo, verrebbe in rilievo
anche  nel processo amministrativo, con la conseguenza che la «scelta
omissiva» del legislatore, il quale ha configurato il procedimento in
esame  per la liquidazione dei compensi soltanto in ambito giudiziale
civile, si porrebbe in contrasto con i parametri costituzionali della
ragionevolezza  (art.  3),  del  diritto di difesa (art. 24), e della
pienezza  ed  effettivita'  della  tutela  giurisdizionale davanti al
giudice amministrativo (artt. 24, 103 e 113).
   2. -  Con  memoria  depositata il 22 maggio 2007 e' intervenuto in
giudizio  il  Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato, ed ha chiesto che la
questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
   La  difesa  erariale  evidenzia, in primo luogo, che il rimettente
non  ha  precisato  se  il  compenso professionale oggetto di domanda
afferisca  a  materia  rientrante  nella  giurisdizione esclusiva del
giudice  amministrativo;  inoltre,  avuto  riguardo alla formulazione
delle  censure,  osserva  come la questione sia posta cumulativamente
con  riferimento  ai  parametri  evocati,  e  manchi dell'esposizione
analitica  delle  ragioni  di  contrasto  con  ciascuno  di essi, con
sostanziale  esclusiva  denunzia  della  irragionevolezza delle norme
censurate.
   Ancora,  secondo  la difesa dello Stato, la questione risulterebbe
inammissibile  sia  perche'  il rimettente avrebbe omesso la doverosa
verifica  della  possibilita'  di  pervenire  ad  una interpretazione
costituzionalmente  orientata,  sia in quanto il predetto chiede alla
Corte   costituzionale  un  intervento  manipolativo,  quale  sarebbe
l'introduzione  di  una  nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo.
   L'Avvocatura  generale richiama quindi la sentenza n. 204 del 2004
della  Corte  costituzionale, ove si afferma che l'art. 103 Cost. non
ha   attribuito  al  legislatore  una  discrezionalita'  assoluta  ed
incondizionata  nella  individuazione  delle  materie  devolute  alla
giurisdizione  esclusiva  del  giudice  amministrativo,  «ma  gli  ha
conferito il potere di indicare "particolari materie" nelle quali "la
tutela  nei confronti della pubblica amministrazione" investe "anche"
diritti soggettivi». Da cio' consegue che nel caso in esame, mancando
il collegamento funzionale tra il contenzioso finalizzato al recupero
del  credito professionale e la posizione autoritativa della pubblica
amministrazione,  non  sarebbe  configurabile  una  nuova  ipotesi di
giurisdizione esclusiva.
   La  difesa  erariale  rileva inoltre che gli artt. 103 e 113 Cost.
sono  inconferenti  rispetto  all'oggetto  della questione, posto che
«non  di tutela nei confronti della pubblica amministrazione si verte
nel  giudizio  principale, ma di diritti sorti tra privati o azionati
iure privatorum».
   Quanto al merito della questione posta in riferimento agli artt. 3
e  24  Cost., infine, l'Avvocatura generale ritiene che la stessa sia
manifestamente infondata.
   La difesa erariale richiama la costante giurisprudenza della Corte
costituzionale  in  tema  di  discrezionalita'  del  legislatore  nel
predisporre  gli  strumenti  della  tutela  giurisdizionale  e quindi
osserva   come,   a   fronte   dell'adeguatezza   degli  strumenti  a
disposizione   degli   avvocati   per   il   recupero   dei  compensi
professionali,  la previsione di uno strumento ulteriore e specifico,
in relazione ad una categoria di giudizi (quelli civili), costituisca
un  plus  che non vulnera la garanzia e l'effettivita' della generale
tutela  assicurata  agli  avvocati  i  quali  prestano  la loro opera
professionale  nei  giudizi  diversi  da quello civile. In ogni caso,
conclude  l'Avvocatura  generale,  «una  norma  eccezionale  non puo'
costituire parametro di riferimento per una disciplina generale».
   3. -  Con  atto  depositato  il 21 maggio 2007 si e' costituita la
parte  appellante  nel  giudizio  a quo, A.A.T., la quale insiste per
l'accoglimento della questione.
   La  parte  privata richiama l'iter argomentativo dell'ordinanza di
rimessione,  evidenziando, in riferimento alla violazione dell'art. 3
Cost.,  l'identita'  del rapporto che intercorre tra professionista e
cliente nei giudizi civili e in quelli amministrativi, a fronte della
quale sarebbe irrilevante la natura dell'oggetto del giudizio.
   La  limitazione  del  procedimento speciale ai soli giudizi civili
determinerebbe,  inoltre,  un trattamento deteriore dell'avvocato che
svolge  la propria attivita' nei giudizi amministrativi, incidendo in
generale   sull'esercizio   del   diritto   di  azione  e  sulla  sua
realizzazione concreta.
   Ancora,  secondo  la parte privata, la normativa censurata sarebbe
in  contrasto  con  l'art.  103  Cost.,  il quale, riconoscendo nella
giurisdizione   amministrativa  lo  strumento  per  la  tutela  degli
interessi   legittimi   e  dei  diritti  soggettivi,  qualifica  tali
situazioni  giuridiche «su un piano di parita' rispetto alle analoghe
situazioni  di  pertinenza  del  Giudice  civile  e, invece, di fatto
differenziate  per  la  carenza  organizzativa del sistema per quanto
attiene ai rapporti tra il professionista e il cliente nei giudizi di
pertinenza del Giudice amministrativo».
   Risulterebbe  vulnerato,  infine,  il precetto di cui all'art. 113
Cost.,  il  quale,  nel prevedere che «contro gli atti della pubblica
amministrazione  e'  sempre  ammessa  la  tutela  giurisdizionale dei
diritti   e   degli   interessi  legittimi  dinanzi  agli  organi  di
giurisdizione  ordinaria e amministrativa», esige che la tutela debba
realizzarsi  su un piano di assoluta parita' nell'ambito dei due tipi
di   giudizio,  laddove,  per  effetto  della  «scelta  omissiva  del
Legislatore»,  in  relazione  ai  giudizi  amministrativi,  la tutela
risulta ingiustificatamente differenziata.
   La  parte privata richiama, quindi, due decisioni del Consiglio di
Stato  (sez.  V,  31  gennaio  2007, n. 385 e n. 386), nella quali si
legge  che  e'  tuttora  operante «il principio secondo il quale sono
applicabili  al  giudizio  amministrativo  le  norme  della procedura
civile   che,   costituendo  espressione  di  principi  generali  sul
processo,  risultano, in mancanza di apposita disciplina, compatibili
con  le  peculiarita'  del  processo  amministrativo».  La  normativa
censurata  sarebbe  percio'  applicabile  al giudizio amministrativo,
essendo oltretutto indubitabile che il giudice amministrativo, per le
cause   rientranti   nella   propria   competenza,   sia  l'autorita'
giurisdizionale   che   meglio   puo'   apprezzare  il  valore  della
prestazione resa dal difensore.
   4. -  Con  atto  depositato il 21 maggio 2007, sono intervenuti in
giudizio    L.V.    e    la    Societa'   italiana   degli   avvocati
amministrativisti,   al   fine   di  sostenere  la  fondatezza  della
questione.
   4.1. -  Preliminarmente,  gli  intervenienti  affermano  di essere
entrambi  parti  in  due  giudizi  sospesi dall'Adunanza Plenaria del
Consiglio  di Stato (n. 1 e n. 2 del 2007), in attesa della decisione
della  presente  questione,  in quanto aventi il medesimo oggetto del
giudizio  principale. Tale circostanza fonderebbe la titolarita', per
entrambi  i  soggetti  intervenuti,  di  un  interesse  qualificato a
partecipare  al  presente  giudizio  di  costituzionalita',  laddove,
diversamente   opinando,  «si  dovrebbe  sollevare  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  del  limite  che sarebbe derivato dalla
particolare  situazione  in  questione per violazione dei principi di
cui  agli  artt.  3 e 24 della Costituzione in relazione al carattere
generale,  assoluto  ed  indifferenziato  del titolo a partecipare al
giudizio  (anche  costituzionale)  per la tutela dei propri diritti e
interessi legittimi».
   La  Societa' italiana degli avvocati amministrativisti afferma poi
che   la   propria   legittimazione   a   partecipare   al   giudizio
costituzionale   discenderebbe   anche   dalla  previsione  contenuta
nell'art.  2 dello statuto sociale, ai sensi del quale essa «concorre
alla  soluzione  dei  problemi  degli avvocati che esercitano la loro
attivita'  professale  nel settore del diritto amministrativo» (primo
comma),   a  tal  fine  «assumendo  ogni  altra  iniziativa  ritenuta
opportuna  per  la  realizzazione  dello  scopo,  anche  dinanzi alle
pubbliche amministrazioni ed agli organi giudiziari» (secondo comma).
   4.2. -   Nel  merito  della  questione,  la  difesa  dei  soggetti
intervenuti  prospetta  argomenti  in  tutto  coincidenti  con quelli
svolti nella memoria di costituzione della parte privata A.A.T., gia'
sintetizzata al paragrafo 3, al quale si rinvia.
   5. -  In  data  26  febbraio  2008  la  parte  privata  A.A.T.  ha
depositato  memoria  illustrativa  per  argomentare  ulteriormente in
merito alla fondatezza della questione.
   L'interveniente   si   sofferma   sulle   pronunce   della   Corte
costituzionale  che  hanno  gia'  esaminato  il procedimento previsto
dagli  artt. 28 e seguenti della legge n. 794 del 1942, e richiama in
particolare  la  sentenza  n. 197  del  1998,  nella  quale  si trova
affermato che «il rito camerale disciplinato dall'art. 29 della legge
n. 794  del 1942 si correla ontologicamente ad uno specifico giudizio
contenzioso  finalizzato  soltanto  alla sollecita liquidazione degli
onorari  di  avvocato  e di procuratore, che il professionista chiede
con  il  ricorso  previsto  dal  precedente art. 28, avente natura di
semplice  domanda».  Da  tale affermazione, secondo la parte privata,
discenderebbe  che lo speciale procedimento puo' essere utilizzato in
tutti  i  casi  in  cui  il  legale agisca per il soddisfacimento del
proprio   credito  per  spese,  onorari  e  diritti  per  prestazioni
giudiziali  in  materia  civile  od  equiparata, e quindi anche per i
compensi  per  prestazioni rese in ambito processuale amministrativo,
rimanendo  escluse  le  sole  ipotesi in cui il credito dell'avvocato
riguardi  compensi  per prestazioni in materia penale o per attivita'
stragiudiziali.
   L'interveniente rileva ancora come le caratteristiche del giudizio
camerale,  nelle  cui  forme  si svolge il procedimento semplificato,
appartengano  anche  al processo amministrativo, e che «l'interesse -
di  cui  il  rito camerale e' portatore - alla sollecita liquidazione
delle  parcelle degli avvocati, essendo correlato alla sussistenza di
una connessione "ontologica" di detto contenzioso con la controversia
di  base,  prescinde  dalla natura del giudizio in cui il credito del
professionista  e' maturato tutte le volte in cui il giudizio stesso,
per  il modo in cui e' strutturato e disciplinato, non ponga ostacoli
concreti all'esperibilita' del rito speciale» (e' citata la decisione
del  Consiglio  di  Stato,  sez.  VI,  1  marzo  2005, n. 820, che ha
ritenuto  l'applicabilita'  del  procedimento  in  esame  al giudizio
amministrativo).
   La  parte  privata  richiama  quindi  parte  della  giurisprudenza
costituzionale sul principio di uguaglianza (sentenze n. 24 del 2004,
n. 441  del  2000,  n. 89  del  1996 e n. 82 del 1973), evidenziando,
quanto   all'ampiezza   del   sindacato   sul   merito  delle  scelte
legislative,   che  detto  sindacato  «e'  possibile  solo  ove  esse
trasmodino  nella  manifesta  irragionevolezza  o nell'arbitrio, come
avviene   allorquando  la  sperequazione  normativa  tra  fattispecie
omogenee  assuma aspetti e dimensioni tali da non potersi considerare
sorretta  da alcuna ragionevole giustificazione» (sentenza n. 394 del
2006).
   La  mancata  estensione  del  procedimento semplificato ai giudizi
amministrativi,  a  parere  dell'interveniente, non risponde ad alcun
interesse  qualificato  a  soddisfare un'esigenza propria o esclusiva
del  processo civile, essendo di carattere storico le ragioni per cui
le  norme  censurate  fanno  riferimento  al  solo  giudizio  civile:
all'epoca,  infatti,  era  ancora  prevista la giurisdizione in unico
grado  del  Consiglio  di  Stato,  avente  carattere di giurisdizione
superiore,  e come tale esclusa dalla disciplina in esame, al pari di
quella riferibile alla Corte di cassazione.
   Diversamente   oggi,   nel   mutato  contesto  ordinamentale,  non
troverebbe  piu'  giustificazione  il  diritto  vivente  che  esclude
l'applicabilita'    della    procedura   semplificata   al   giudizio
amministrativo   «da   un   lato   in   forza  di  un'interpretazione
strettamente  letterale della stessa, dall'altro nella considerazione
del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in materia di
controversie  tra  privati».  Quanto  al  profilo  della  carenza  di
giurisdizione  del  giudice amministrativo in materia di controversie
tra  privati,  il  deducente  sottolinea  come il ricorso proposto ai
sensi dell'art. 28 della legge n. 794 del 1942 introduca una «domanda
meramente conseguente, eventuale ed accessoria al giudizio principale
(radicato  nel  rispetto  delle  regole  della giurisdizione)», cosi'
risultando   correttamente  introdotta  davanti  al  giudice  che  ha
conosciuto il predetto giudizio.
   La  parte  privata  evidenzia  ancora come l'estensione al giudice
amministrativo   della  «nuova  competenza  giurisdizionale  ex  lege
n. 794/1942   in   materia   di   diritti  soggettivi,  sottrae  alla
giurisdizione   civile   ordinaria   soltanto   la   cognizione   dei
procedimenti    camerali,   lasciando   impregiudicata   quella   sui
procedimenti   instaurati  con  il  rito  ordinario  e  quella  sulle
procedure monitorie previste dagli artt. 633 e seguenti del codice di
procedura  civile». Il risultato dell'estensione, quindi, non sarebbe
la  creazione di una sorta di "ulteriore giurisdizione esclusiva" del
giudice  amministrativo, rimanendo ferma la giurisdizione del giudice
ordinario  tutte le volte in cui, per scelta del professionista, o in
conseguenza  del  comportamento  processuale  della  controparte,  il
giudizio camerale non possa avere luogo.
   6. -  In  data 26 febbraio 2008 hanno depositato ulteriore memoria
L.V. e la Societa' italiana degli avvocati amministrativisti.
   Gli  intervenienti  richiamano  l'orientamento  restrittivo  della
giurisprudenza    costituzionale    in    tema    di   ammissibilita'
dell'intervento   di  soggetti  che  non  siano  parti  del  giudizio
principale  (in  particolare,  ordinanze n. 162 del 2002 e n. 361 del
1988),  ritenendo,  tuttavia,  che  nel  caso di specie possa trovare
applicazione il principio derogatorio espresso dalla stessa Corte con
riferimento  alle  situazioni in cui il giudizio di costituzionalita'
risulti  direttamente  incidente  su  posizioni giuridiche soggettive
«quando  non  vi  sia  la  possibilita' per i titolari delle medesime
posizioni  di  difenderle  come  parti nel processo stesso» (sentenze
n. 315 e n. 314 del 1992).
   Con  riferimento  al  merito  della  questione, nella memoria sono
sviluppati  argomenti  in  tutto  identici a quelli prospettati nella
memoria della parte privata A.A.T., gia' sintetizzata al paragrafo 5,
al quale si rinvia.
                       Considerato in diritto
   1. -  Il Consiglio di Stato ha sollevato questioni di legittimita'
costituzionale,  in  riferimento  agli  artt.  3, 24, 103 e 113 della
Costituzione, degli artt. 28 e 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794,
nella parte in cui non consentono, secondo il diritto vivente, che il
procedimento   semplificato   ivi  previsto,  avente  ad  oggetto  la
liquidazione  dei  compensi  spettanti  agli  avvocati  in  relazione
all'attivita'  prestata  nei  giudizi civili, si applichi nei giudizi
amministrativi,   per   la   liquidazione  dei  compensi  riguardanti
l'attivita' defensionale in essi svolta.
   2. - Devono essere dichiarati inammissibili gli interventi di L.V.
e  della  Societa' italiana degli avvocati amministrativisti, che non
sono parti nel giudizio a quo, ma in giudizi aventi analogo oggetto e
sospesi  in  attesa  della  decisione  sulla  presente  questione. E'
costante  giurisprudenza  di  questa Corte che possono partecipare al
giudizio  di  legittimita'  costituzionale le sole parti del giudizio
principale   ed  i  terzi  portatori  di  un  interesse  qualificato,
immediatamente  inerente al rapporto sostanziale dedotto nel giudizio
e  non  semplicemente  regolato,  al  pari di ogni altro, dalla norma
oggetto di censura.
   3. -  Preliminarmente  occorre  rilevare che il richiamo, da parte
del rimettente, agli artt. 103 e 113 Cost. e' privo di argomentazioni
atte   a   rendere   comprensibile   il  legame  tra  tali  parametri
costituzionali  e  le  controversie  nascenti tra avvocati e clienti,
aventi  ad oggetto il recupero di crediti professionali. Sia la prima
che  la  seconda  delle norme costituzionali citate si riferiscono in
modo  chiaro  e  incontrovertibile  alla  tutela  nei confronti della
pubblica  amministrazione,  mentre  nel  caso  di specie si tratta di
controversie  insorte  tra  privati,  a  seguito  di  un contratto di
prestazione  d'opera  professionale.  La  carenza  di  motivazione in
ordine   alla   pertinenza  dei  suddetti  parametri  rende  pertanto
inammissibile la questione sollevata in riferimento agli stessi.
   4.1. - In riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione non e'
fondata.
   4.2. - La normativa denunciata presenta caratteristiche di marcata
specialita',  essendo stata dettata dal legislatore in considerazione
della  omogeneita'  del  ramo  di  giurisdizione  e  della  identita'
dell'ufficio   giudiziario  esistenti  tra  la  lite  instaurata  per
recuperare   il  credito  insoddisfatto,  vantato  dall'avvocato  nei
confronti  del  proprio cliente per prestazioni giudiziali in materia
civile,  ed il giudice davanti al quale si puo' svolgere la procedura
camerale  semplificata  prevista  dall'art. 29 della legge n. 794 del
1942.  Si  tratta  infatti  di  un  credito  di  natura squisitamente
civilistica,   nascente   da  un  contratto  di  prestazione  d'opera
professionale  stipulato  tra  l'avvocato  ed  il cliente normalmente
prima  dell'instaurazione  della  controversia  giudiziaria e in ogni
caso  distinto  e separato rispetto alla stessa. Questa Corte ha gia'
avuto  modo di precisare, con riguardo alla procedura de qua, che «il
procedimento  trova giustificazione e limite nella peculiarita' delle
fattispecie  che  ne  consentono  l'instaurazione e ne consigliano la
definizione possibilmente in via conciliativa». A tale argomentazione
fondamentale  si  puo'  aggiungere  «la  relativa  semplicita'  degli
accertamenti di fatto, solitamente desumibili dagli atti del processo
nel  quale  le  prestazioni  sono  state eseguite o che, comunque, in
riferimento alla controversia, sono normale esplicazione di attivita'
di   patrocinio»   (sentenza   n. 22   del   1973).  Proprio  per  la
particolarita'  del  contenzioso a cui e' applicabile il procedimento
semplificato  previsto  dalle norme censurate, «non appare arbitrario
ne'  irrazionale  che tale trattamento non sia stato esteso a tutti i
professionisti  di  cui  all'art. 633 del codice di procedura civile»
(sentenza n. 238 del 1976).
   4.3. -  Alla  base  del  procedimento  previsto dall'art. 29 della
legge  n. 794  del 1942 non sta la qualita' del creditore (avvocato),
bensi'  il  collegamento  della  domanda  mirante  al  pagamento  del
compenso  con  un  ben delimitato tipo di controversie (civili), che,
come  specificato  dall'art.  28,  si  sono  svolte nell'ambito dello
stesso ufficio giudiziario.
   La specificita' di cui sopra esclude che il rito camerale previsto
dalle norme censurate possa estendersi ad altri tipi di controversie,
in  quanto  tale  rito  «si  correla ontologicamente ad uno specifico
giudizio contenzioso finalizzato soltanto alla sollecita liquidazione
degli  onorari di avvocato e procuratore» (sentenza n. 197 del 1998).
La  giurisprudenza  di  questa  Corte  non  ha pertanto affermato una
inesistente  connessione  «ontologica»  tra  il  contenzioso volto al
recupero  del  compenso professionale e la controversia di base, come
invece ritenuto dal giudice rimettente e ribadito dalla parte privata
regolarmente  costituita  in  questo  giudizio,  ma, al contrario, ha
messo  in  rilievo  il  legame,  questo  si'  ontologico, tra il rito
camerale  previsto  dall'art.  29 ed il giudizio specifico mirante al
pagamento degli onorari per prestazioni effettuate in un procedimento
giudiziale civile.
   Nel caso, invece, di prestazioni professionali date nell'ambito di
un procedimento svoltosi davanti al giudice amministrativo, emerge in
modo  evidente  l'eterogeneita'  tra  la controversia di base - volta
alla  tutela  di  situazioni giuridiche soggettive asseritamente lese
dalla  pubblica  amministrazione  o  da  soggetti  privati  posti  in
particolare   posizione   di   preminenza   (quali,   ad  esempio,  i
concessionari di pubblici servizi) - e lo specifico contenzioso volto
ad  ottenere  l'adempimento  di  un  obbligo  nascente da un rapporto
contrattuale  intercorrente  tra soggetti privati. Quest'ultimo e' da
considerare  estraneo  rispetto  alle  «particolari materie» ritenute
dalla giurisprudenza di questa Corte suscettibili di essere inserite,
anche  dallo  stesso  legislatore,  nella  sfera  della giurisdizione
esclusiva  del  giudice  amministrativo,  quale configurata dall'art.
103,  primo comma, Cost. Non ricorre difatti la figura della pubblica
amministrazione-autorita',   necessario   presupposto  perche'  possa
estendersi  la  giurisdizione  esclusiva  (sentenze n. 204 del 2004 e
n. 191  del  2006),  ma  rilevano  soltanto un attore e un convenuto,
entrambi  soggetti  privati,  al  di  fuori di qualsiasi esercizio di
poteri autoritativi.
   Ne'  vale obiettare - come fa la parte privata costituita - che la
richiesta   pronuncia  additiva  si  limiterebbe  ad  introdurre  una
possibilita'  aggiuntiva  rispetto  a  quelle offerte dal rito civile
(processo  ordinario  di  cognizione,  giudizio monitorio ex art. 633
cod.   proc.   civ.),  giacche'  l'esclusivita'  della  giurisdizione
amministrativa   sarebbe   data,   nella   fattispecie,  in  caso  di
accoglimento   della   questione,   dalla   competenza   del  giudice
amministrativo  a giudicare su controversie aventi ad oggetto diritti
soggettivi,  al  di  fuori  da  ogni  connessione  degli  stessi  con
l'operare della pubblica amministrazione come autorita'. Il fatto che
restino  percorribili  altre  vie,  davanti al giudice civile, per il
recupero  giudiziario del credito insoddisfatto, non fa venir meno la
circostanza  che  la  pronuncia  richiesta  a  questa Corte dovrebbe,
secondo  il rimettente, creare un nuovo ed inedito caso di cognizione
piena  del  giudice  amministrativo  su  diritti  soggettivi, senza i
presupposti  individuati  da  questa Corte come unici compatibili con
l'art. 103 Cost.
   4.4. -  Alla luce di quanto detto sopra, quella che viene definita
dal  giudice  a  quo una irragionevole «scelta omissiva», si presenta
invece  come  una  non  irragionevole  restrizione  all'accesso  alla
procedura  speciale  di cui agli artt. 28 e 29 della legge n. 794 del
1942,  imposta  dalle regole generali di riparto delle giurisdizioni,
che impediscono una completa equiparazione a tal fine - postulata dal
rimettente  e  dalla  parte privata costituita - tra giudizi civili e
giudizi amministrativi.
   D'altra  parte,  la tutela dei diritti degli avvocati che prestano
la  loro  opera  in  giudizi  diversi  da  quelli  civili  o  in sede
extragiudiziaria  e'  comunque  assicurata  in  modo  pieno,  in  via
generale  per  tutti i professionisti, sia dall'ordinario giudizio di
cognizione che dal procedimento d'ingiunzione di cui agli artt. 633 e
seguenti  del  codice  di  procedura  civile.  La  norma  assunta dal
rimettente  come  tertium  comparationis  e' senza dubbio derogatrice
della disciplina generale di cui sopra e deve ritenersi giustificata,
come  gia' detto, dalla omogeneita' del tipo di giurisdizione e dalla
identita'  dell'ufficio giudiziario. Questa Corte peraltro ha fissato
il  principio  che  «quando  si  adotti come tertium comparationis la
norma   derogatrice,   la   funzione  del  giudizio  di  legittimita'
costituzionale  non puo' essere se non il ripristino della disciplina
generale,  (...),  non  l'estensione  ad  altri casi di quest'ultima»
(sentenza n. 298 del 1994).
   Si  puo' aggiungere che l'estensione di una disciplina derogatrice
piu'   favorevole,   dettata  dal  legislatore  per  una  fattispecie
particolare,  ad  una  fattispecie altrettanto particolare, ancorche'
simile,  non  deve porsi in contrasto con principi insiti nel sistema
costituzionale  (nel  caso di specie quelli che presiedono al riparto
delle  giurisdizioni), salvo che sia necessario assicurare l'adeguata
tutela   di   un  diritto  fondamentale,  in  ipotesi  carente  nella
legislazione  ordinaria.  Tale eventualita', come chiarito prima, non
ricorre nel presente giudizio.
   4.5. - Prova ulteriore della perdurante non irragionevolezza della
scelta  operata  dal  legislatore  del 1942 e' la circostanza che una
eventuale   estensione   del   rito  speciale  previsto  dalle  norme
censurate - nel quale, per esplicita previsione legislativa, non sono
ammesse   impugnazioni,  ma  solo,  per  giurisprudenza  costante  di
legittimita', il ricorso per cassazione - produrrebbe paradossalmente
una  diminuzione  di  tutela  poiche',  ai  sensi  dell'ultimo  comma
dell'art.  111  Cost., contro le decisioni dei giudici amministrativi
il  ricorso per cassazione e' ammesso per i soli motivi inerenti alla
giurisdizione.    Per   evitare   tale   inaccettabile   conseguenza,
occorrerebbe  pertanto  parificare  il  ricorso al Consiglio di Stato
avverso  la  decisione  di  un  TAR  ad  un ricorso per cassazione ed
escludere  del tutto l'invocata tutela speciale per i compensi dovuti
in  seguito  a  prestazioni  effettuate nell'ambito di cause svoltesi
davanti    al    medesimo    supremo   organo   della   giurisdizione
amministrativa.
   Le  difficolta'  sistemiche sopra evidenziate contribuiscono a far
ritenere  non  irragionevole  l'attuale  restrizione  ai soli giudizi
civili  dell'applicabilita'  del  procedimento  semplificato previsto
dalle norme censurate.
              Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibili  gli  interventi  di L.V. e della Societa'
italiana degli avvocati amministrativisti;
   Dichiara inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale
degli  artt.  28  e 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794 (Onorari di
avvocato  e  di  procuratore  per  prestazioni  giudiziali in materia
civile)  sollevate,  in  riferimento  agli  artt.  103  e  113  della
Costituzione,  dal  Consiglio  di  Stato  con  l'ordinanza  citata in
epigrafe;
   Dichiara  non  fondata la questione di legittimita' costituzionale
delle  medesime disposizioni sollevata, in riferimento agli artt. 3 e
24 Cost., dal Consiglio di Stato con la stessa ordinanza.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 2 aprile 2008.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Silvestri
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria l'11 aprile 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola