N. 12 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 19 settembre 2007- 23 maggio 2008

Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito)
depositato  in  cancelleria  il  23 maggio 2008 (del G.i.p. presso il
Tribunale di Milano)

Parlamento  -  Immunita'  parlamentari - Procedimento penale a carico
  dell'on.  Carlo  Taormina  per  il  reato  di  diffamazione a mezzo
  televisione  nei  confronti della dott.ssa Maria Del Savio Bonaudo,
  Procuratore  della  Repubblica  presso  il  Tribunale  di  Aosta  -
  Deliberazione  di  insindacabilita'  della  Camera  dei  deputati -
  Conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello Stato sollevato dal
  giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano -
  Denunciata  mancanza  del nesso funzionale tra i fatti contestati e
  l'esercizio dell'attivita' parlamentare.
- Delibera Camera dei deputati del 2 agosto 2007.
- Costituzione, art. 68, primo comma.
(GU n.24 del 4-6-2008 )
   Il  Giudice  per  le  indagini  preliminari presso il tribunale di
Milano,  letti  gli atti del procedimento penale a carico di Taormina
Carlo  nato  il  16  dicembre  1940  a Roma ed ivi residente in viale
Trastevere  n. 209 difeso dall'avv. Pierpaolo Dell'Anno, indagato per
il  delitto  di  cui  agli  artt. 61 n. 10, 81 cpv., 595, commi 1 e 3
c.p.,  30,  legge  6 agosto 1990, n. 223 e 13, legge 8 febbraio 1948,
n. 47, per avere reso le seguenti dichiarazioni:
     intervista trasmessa dalla RAI - TG3 in data 8 novembre 2004, il
TG3  delle  ore 12 in cui, tra l'altro, lo stesso avrebbe dichiarato:
«la Procura di Aosta ci odia»;
     dichiarazioni  trasmesse dalla RAI nella stessa data - TG1 delle
ore  13,30  in cui il Taormina, tra l'altro, affermava che la Procura
di Aosta e' la peggiore d'Italia;
     dichiarazioni   rese   nella  medesima  data  nell'ambito  della
trasmissione  «Porta  a  Porta»  di  RAI  1, dichiarava, tra l'altro,
rivolto  al  prof. Bruno: «... e io le dico che di fronte alla caduta
verticale  di  tutti  gli  elementi probatori portati dai carabinieri
alla  Procura si e' arrivati al punto di far emergere, far scomparire
un  frammento  osseo  appartenente  al piccolo Samuele per dimostrare
dunque,   come   ultima   spiaggia,  che  quello  era  una  fonte  di
responsabilita».
     dichiarazioni  pubblicate  in  data 14 novembre 2004, dall'ANSA,
sotto  il  titolo  «Giustizia; Taormina, L'ANM? Chi ha la rogna se la
gratta,»    pubblicava    dichiarazioni   dell'avvocato   in   merito
all'intervento  dell'ANM  su  alcuni  casi  eclatanti  tra cui quello
attinente  a  un  omicidio  avvenuto  in  Cogne del seguente testuale
tenore:   «...  si  tratta  infatti  delle  vicende  nelle  quali  la
magistratura  ha  fatto  peggio,  dando  corso  alle piu' inquietanti
gestioni  processuali  Cogne  si segnala per unanime opinione come il
processo  peggio  istruito  nella  storia  della  Repubblica e che si
esprime  nel  peggiore dei modi con il tentativo di criminalizzazione
di   un  avvocato  difensore.  A  quando  la  ricerca  dell'assassino
vero?....».
   In luoghi imprecisati nelle date sopra specificate in cui e' parte
offesa:
     dott.ssa  Maria  Del  Savio Bonaudo, non presente, elettivamente
domiciliata  presso  il  difensore  avv.  Agata Bonaudo in Torino via
Lamarmora  n. 9,  rappresentata  e  difesa dall'avv. Stefano Bonaudo,
Presente.
   Rilevato che la dott.ssa Del Savio Bonaudo ha proposto querela nei
confronti   dell'on.   Carlo   Taormina,  ritenendo  diffamatorie  le
affermazioni  sopra  meglio  riportate  poiche'  in  esse  si farebbe
esplicito  riferimento  a una condotta persecutoria nei confronti del
dichiarante   seguita  dalla  Procura  della  Repubblica  di  cui  la
querelante  risultava essere responsabile nel corso di un indagine in
cui  sarebbero  state  nascoste  e  falsificate  prove  affermando in
sostanza  che  la Bonaudo e i sostituti procuratori presso la Procura
della Repubblica di Aosta sarebbero arrivati a nascondere elementi in
proprio  possesso  o dolosamente ritardare atti del proprio ufficio e
finanche  porre  in  atto  vere  e proprie persecuzioni nei confronti
della imputata e del loro difensore;
   Rilevato  che  questo  giudice - con ordinanza in data 21 dicembre
2006   ha   sottoposto   alla   Camera   dei  deputati  la  questione
dell'applicabilita' dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, in
relazione  al  procedimento penale n. 22087/06 R.G.N.R., pendente nei
suoi  confronti  a  seguito  della  presentazione delle querele sopra
richiamate;
     che  la  Camera  dei  deputati  ,  nel corso della seduta del 1°
agosto  2007, in accoglimento di conforme proposta della Giunta delle
elezioni  e  delle  immunita'  parlamentari, ha riconosciuto ai sensi
dell'art.  68,  primo  comma  della  Costituzione, l'insindacabilita'
delle  opinioni espresse dall'on. Taormina nell'ambito degli articoli
di  stampa  oggetto  del  presente  procedimento  in  quanto espresse
nell'esercizio della funzione parlamentare;
   Considerato  che  la  vicenda  che  occupa  attiene  a  molteplici
dichiarazioni  svolte con riferimento a un procedimento penale in cui
l'on.  Taormina  rivestiva la funzione di avvocato difensore e in cui
lo  stesso  attribuiva  alla  Procura  della Repubblica di Aosta e ai
relativi  componenti la volonta' di non «ricercare l'assassino» ma di
perseguire   l'imputata  e  il  difensore  (il  Taormina  appunto)  e
specifiche condotte quale l'affermata soppressione di prove, di fatto
affermando  la presenza di palesi abusi di magistrati per indirizzare
un processo;
     che -  allo  stato  degli  atti - non risulta provata la verita'
oggettiva dei fatti riferiti;
     che, in ragione di tali aspetti e dell'ulteriore contenuto degli
atti  di  causa, appare sussistere una fattispecie a soluzioni aperte
meritevole  di approfondimento dibattimentale e cio' anche al fine di
accertare l'effettiva verita' dei fatti esposti;
     che   -  dopo  aver  evidenziato  alcuni  giudizi  espressi  dai
querelanti   nei  confronti  dell'onorevole  Taormina,  la  giunta  e
l'Assemblea hanno di fatto aderito alle osservazioni espresse in sede
di  Relazione  di  Giunta  che di seguito si riportano: «Il dibattito
complesso e articolato, ai cui resoconti qui allegati si rimanda e al
quale   si e'   accennato  nel  paragrafo  precedente,  e'  venuto  a
conclusione  nella  seduta  dell'11  luglio 2007, nella quale, con un
orientamento  maggioritario  non  contrastato da voti contrari, si' e
riconosciuta  l'applicabilita'  dell'articolo  68, primo comma, della
Costituzione  ai  casi  in  esame,  e' risultato prevalente, infatti,
l'avviso  per  cui  l'interrogazione  citata  (allegata alla presente
relazione)  di  fatto  contenga  concetti  sostanzialmente analoghi a
quelli  contestati nei capi d'imputazione. Quando nell'interrogazione
stessa  si  sostiene  infatti  che  non  risultano conformi all'etica
professionale   e   alle   doti   di   equilibrio,   che   dovrebbero
caratterizzare  il  magistrato  inquirente, le dichiarazioni rese dai
pubblici ministeri a carico della Franzoni e quelle rese a critica di
un provvedimento del giudice per le indagini preliminari; che occorre
verificare  se  corrisponda  a  verita'  che  gli  investigatori  non
avrebbero,  quante  meno  per  negligenza,  adottato  le  doverose  e
necessarie  cautele  per preservare il luogo del delitto e che vi era
stata  la  possibilita'  concreta che l'arma del delitto possa essere
stata   sottratta,   in  fondo  si  dice  che  vi  sono  state  delle
insufficienze  professionali  degli  investigatori,  tra  i  quali in
primis  rientrano  i  titolari  dell'azione penale e cioe' i pubblici
ministeri.
   Del resto, le espressioni e «marescialli di paese» a la procura di
Aosta  ha  indagato  in  una  sola  direzione»,  magistrati che hanno
indagato  su  Cogne  sono  degli  «incapaci», il processo di Cogne e'
quello  «peggio  istruito  nella  storia della Repubblica» sono tutte
critiche  non delle persone ma dell'operato istituzionale di queste e
dunque  non sono affatto il mero argumentum ad hominem che si ritiene
non   consentito  dall'ordinamento  (Cassazione,  26  febbraio  2003,
Padovani  in  Dir.,  e  Giust.,  2003,  n. 20  pag.  95). Ci si trova
innanzi,   invece,  alla  legittima  critica  dell'esercizio  di  una
pubblica  funzione,  come  la  giurisprudenza  ha  affermato in varie
occasioni.
   Quanto  all'integrita'  del  quadro probatorio e ai relativi dubbi
espressi  dal  Taormina,  quest'ultimo ha depositato in data 4 luglio
2007  copia  di  un  decreto  di  archiviazione  del  G.i.p. di Aosta
relativo  al  procedimento  penale n. 637/2003 RGNR - Aosta, a carico
degli  ufficiali del RIS di Parma. Costoro erano stati denunciati per
falso ideologico e calunnia reale dalla famiglia Lorenzi-Franzoni per
aver  pretesamente  alterato  i  luoghi  e gli elementi di prova. Pur
archiviata  tale  accusa, il G.i.p. afferma in effetti che se in data
17  settembre  2002  era stata osservata fotografata, all'interno del
calco  di  materiale  ematico-cerebrale,  la presenza di un frammento
talvolta  definito  come  osseo, nella documentazione fotografica del
successivo  24 ottobre, invece, tale frammento non era piu' visibile.
Tale  elemento  viene  definito  nel  decreto  di  archiviazione come
«circostanza  pacifica».  A  questo,  probabilmente,  si  riferiva il
Taormina nelle sue esternazioni circa la falsificazione delle prove.
   Le  riserve  che  hanno  portato  all'astensione  (ma  non al voto
contrario) di taluni componenti, motivate dal fatto che a loro avviso
Carlo Taormina abbia esercitato con le dichiarazioni contestategli la
professione  forense e non il mandato parlamentare, sono apparse alla
maggioranza  superabili  in  ragione  di  quanto gia' sostenuto dalla
Giunta  nella seduta del 19 luglio 2005, nella scorsa legislatura. In
tale   occasione  il  relatore  Gironda  Veraldi,  riferendo  su  una
questione  sostanzialmente  analoga  alla  presente  (il  citato doc.
IV-quater,  n. 117), argomento che le due finzioni, quando esercitate
congiuntamente,  sono  difficilmente distinguibili. Che tale fenomeno
ponga  problemi  di  opportunita e'  stato  riconosciuto  da  diversi
componenti, anche tra quelli che hanno votato per l'insindacabilita',
ma cio' non ne ha cambiato l'orientamento di fondo.
   Per  completezza, si puo' aggiungere che nel ricorso per conflitto
fra  poteri  del  Tribunale di Milano contro la delibera attinente al
caso   trattato  nella  scorsa  legislatura,  il  tribunale  medesimo
disconobbe  il  valore  scriminante  dell'interrogazione  piu'  volte
menzionata  per  i  rilievi  critici  mossi  al  colonnello Garofano,
giacche'  essa  si  riferiva ai magistrati procedenti. Sicche', se ne
dovrebbe dedurre che per ammissione stessa dell'autorita' giudiziaria
essa  dovrebbe  valere  oggi a coprire le dichiarazioni oggetto della
presente relazione.
   Per  questi  motivi,  a  maggioranza  e  con distinte votazioni la
Giunta  propone  all'assemblea  di deliberare che i fatti oggetto dei
procedimenti concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento
nell'esercizio delle sue funzioni.
     che - a fronte di tali affermazioni - non e' agevole comprendere
il  nesso fra attivita' politica e dichiarazioni - non risultate vere
in  ordine  alla presenza di una attivita' illecita di magistrati che
avrebbe  dovuto essere denunciata (e provata) nelle sedi competenti e
non   riguardava   una   tematica  generale  e  astratta  oggetto  di
interrogazione e dibattito di fronte al Parlamento;
     che -  inoltre - la conclusione adottata appare in contrasto con
la  costante  giurisprudenza costituzionale: a titolo esemplificativo
puo'  essere  evidenziato quanto affermato nelle sentenze numeri 10 e
11 dell'11 gennaio 2000 (alle quali si sono richiamate, tra le altre,
le  successive  sentenze  n. 52  del  27 febbraio 2002; n. 207 del 20
maggio 2002; n. 294 del 19 giugno 2002).
   «...    E'    pacifico   che   costituiscono   opinioni   espresse
nell'esercizio della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori
della  Camera  e dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento
di una qualsiasi tra le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero
manifestata  in  atti, anche individuali, costituenti estrinsecazione
delle   facolta'   proprie   del   parlamentare   in   quanto  membro
dell'assemblea;
     che  l'attivita' politica svolta dal parlamentare al di fuori di
questo  ambito  non puo' dirsi di per se' esplicazione della funzione
parlamentare  nel  senso  preciso  cui  si riferisce l'art. 68, primo
comma, della Costituzione;
     che  nel  normale  svolgimento  della  vita  democratica  e  del
dibattito politico, le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai
compiti  e  dalle  attivita'  propri  delle  assemblee  rappresentano
piuttosto  esercizio  della  liberta' di espressione comune a tutti i
consociati: ad esse dunque non puo' estendersi, senza snaturarla, una
immunita'  che  la  Costituzione  ha  voluto,  in  deroga al generale
principio  di  legalita' e di giustiziabilita' dei diritti, riservare
alle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni;
     che  la  linea  di  confine fra la tutela dell'autonomia e della
liberta'  delle  Camere, e, a tal fine, della liberta' di espressione
dei  loro  membri,  da  un  lato,  e  la  tutela  dei diritti e degli
interessi,  costituzionalmente  protetti, suscettibili di essere lesi
dall'espressione  di  opinioni,  dall'altro  lato, e'  fissata  dalla
Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell'ambito della
prerogativa.   Senza   questa   delimitazione,  l'applicazione  della
prerogativa  la  trasformerebbe  in  un  privilegio  personale  (cfr.
sentenza  n. 375 del 1997), finendo per conferire ai parlamentari una
sorta  di  statuto  personale di favore quanto all'ambito e ai limiti
della  loro  liberta'  di  manifestazione del pensiero: con possibili
distorsioni  anche  del  principio  di  eguaglianza  e  di parita' di
opportunita' fra cittadini nella dialettica politica;
     che  discende  da  quanto osservato che la semplice comunanza di
argomento  fra  la dichiarazione che si pretende lesiva e le opinioni
espresse  dal  deputato  o dal senatore in sede parlamentare non puo'
bastare a fondare l'estensione alla prima dell'immunita' che copre le
seconde;
     che  tanto  meno  puo'  bastare  a  tal fine la ricorrenza di un
contesto genericamente politico in cui la dichiarazione si inserisca.
Siffatto  tipo di collegamenti non puo' valere di per se' a conferire
carattere  di attivita' parlamentare a manifestazioni di opinioni che
siano   oggettivamente   ad  essa  estranee.  Sarebbe,  oltre  tutto,
contraddittorio  da un lato negare - come e' inevitabile negare - che
di per se l'espressione di opinioni nelle piu' diverse sedi pubbliche
costituisca  esercizio  di  funzione  parlamentare, e dall'altro lato
ammettere  che  essa invece acquisti tale carattere e valore in forza
di  generici  collegamenti  contenutistici con attivita' parlamentari
svolte dallo stesso membro delle Cemere;
     che  in  questo  senso  va  precisato  il significato del «nesso
funzionale»    che    deve    riscontrarsi,    per   poter   ritenere
l'insindacabilita',  tra la dichiarazione e l'attivita' parlamentare;
non  come  semplice  collegamento  di  argomento  o  di  contesto fra
attivita'  parlamentare  e  dichiarazione,  ma  come identificabilta'
della   dichiarazione   stessa   quale   espressione   di   attivita'
parlamentare;
     che   nel   caso   di   riproduzione   all'esterno   della  sede
parlamentare, e'    necessario,    per    ritenere    che    sussista
l'insindacabilta',  che  si  riscontri  la  identita'  sostanziale di
contenuto  fra  l'opinione  espressa  in  sede  parlamentare e quella
manifestata nella sede esterna;
     che  cio'  che  si  richiede,  ovviamente,  non  e  una puntuale
coincidenza testuale, ma una sostanziale corrispondenza di contenuti;
     che  nei  casi in cui non e' riscontrabile esercizio di funzioni
parlamentari,  il  valore della legalita' - giurisdizione non collide
certo  con quello dell'autonomia delle Camere e cosi si spiega che la
giurisprudenza costituzionale abbia appunto stabilito che l'immunita'
non vale per tutte quelle opinioni che «il parlamentare manifesta nel
piu' esteso ambito della politica»;
     che  alla  luce  di  tale  interpretazione  si  debbono pertanto
ritenere,   in   linea   di   principio,   sindacabili  tutte  quelle
dichiarazioni,  che  fuoriescono  dal  campo applicativo del «diritto
parlamentare»   e   che  non  siano  immediatamente  collegabili  con
specifiche  forme  di  esercizio  di  funzioni parlamentari, anche se
siano  caratterizzate  da un asserito «contesto politico» o ritenute,
per il contenuto delle espressioni o per il destinatario o la sede in
cui sono state rese, manifestazione di sindacato ispettivo;
     che  questa  forma  di  controllo  politico  rimessa  al singolo
parlamentare  puo'  infatti  aver  rilievo,  nei  giudizi in oggetto,
soltanto  se si esplica come funzione parlamentare, attraverso atti e
procedure  specificamente  previsti  dai regolamenti parlamentari; se
dunque  l'immunita'  copre  il membro del Parlamento per il contenuto
delle   proprie   dichiarazioni  soltanto  se  concorre  il  contesto
funzionale,  il  problema  specifico,  che  non appare irrilevante in
questo   conflitto,   della  riproduzione  all'esterno  degli  organi
parlamentari  di  dichiarazioni  gia' rese nell'esercizio di funzioni
parlamentari  si  puo' risolvere nel senso dell'insindacabilita' solo
ove  sia  riscontrabile  corrispondenza  sostanziale di contenuti con
l'atto  parlamentare,  non  essendo sufficiente a questo riguardo una
mera comunanza di tematiche».
     che il conforme orientamento della Corte costituzionale e' stato
recentemente  ribadito con la sentenza n. 120 del 16 aprile 2004; nel
dichiarare  infondate  le  questioni  di  legittimita' costituzionale
sollevate  con riferimento all'art. 3, comma 1, della legge 20 giugno
2003, n. 140, si e' affermato che:
   «...   Nonostante   le   evoluzioni   subite,   nel  tempo,  nella
giurisprudenza  di  questa Corte, e' enucleabile un principio, che e'
possibile  oggi  individuare  come  limite  estremo della prerogativa
dell'insindacabilita',   e   con   cio'   stesso   delle  virtualita'
interpretative astrattamente ascrivibili all'art. 68:
     questa  non  puo'  mai  trasformarsi in un privilegio personale,
quale sarebbe una immunita' dalla giurisdizione conseguente alla mera
"qualita'"  di  parlamentare».  Per  tale  ragione l'itinerario della
giurisprudenza  della Corte si e' sviluppato attorno alla nozione del
cd.  «nesso  funzionale», che solo consente di discernere le opinioni
del   parlamentare   riconducibili  alla  libera  manifestazione  del
pensiero,  garantita  ad  ogni  cittadino  nei  limiti generali della
liberta'  di  espressione, da quelle che riguardano l'esercizio della
funzione    parlamentare.    Certamente    rientrano    nello   sfera
dell'insindacabilita'  tutte  le opinioni manifestate con atti tipici
nell'ambito  dei  lavori parlamentari, mentre per quanto attiene alle
attivita'   non   tipizzate  esse  si  debbono  tuttavia  considerare
«coperte»  dalla  garanzia  di  cui  all'art.  68, nei casi in cui si
esplicano  mediante  strumenti, atti e procedure, anche «innominati»,
ma   comunque  rientranti  nel  campo  di  applicazione  del  diritto
parlamentare,  che  il  membro del Parlamento e' in grado di porre in
essere  e  di utilizzare proprio solo e in quanto riveste tale carica
(cfr.  sentenze  n. 56  del 2000, n. 509 del 2002 e n. 219 del 2003).
Cio'   che   rileva,  ai  fini  dell'insindacabilita', e'  dunque  il
collegamento  necessario  con  le  «funzioni»  del  Parlamento, cioe'
l'ambito funzionale entro cui l'atto si scrive, a prescindere dal suo
contenuto comunicativo, che puo' essere il piu' vario, ma che in ogni
caso  deve  essere  tale da rappresentare esercizio in concreto delle
funzioni  proprie  dei membri delle Camere, anche se attuato in forma
«innominata»  sul  piano regolamentare. Sotto questo profilo non c'e'
percio'  una  sorta di automatica equivalenza tra l'atto non previsto
dai   regolamenti   parlamentari  e  l'atto  estraneo  alla  funzione
parlamentare,  giacche',  come  gia'  detto, deve essere accertato in
concreto  se  esista  un nesso che permetta di identificare l'atto in
questione come «espressione di attivita' parlamentare» (cfr. sentenze
n. 10  e  n. 11  del  2000,  n,  379 e n. 219 del 2003). E' in questa
prospettiva   che  va  effettuato  lo  scrutinio  della  disposizione
denunciata.  Le attivita' di «ispezione di divulgazione, di critica e
di  denuncia  politica»  che  appunto  il  censurato art. 3, comma 1,
riferisce  all'ambito  di applicazione dell'art. 68, primo comma, non
rappresentano,  di per se', un'ipotesi di indebito allargamento della
garanzia dell'insindacabilita' apprestata dalla norma costituzionale,
proprio  perche' esse, anche se non manifestate in atti «tipizzarti»,
debbono  comunque, secondo la previsione legislativa e in conformita'
con   il   dettato   costituzionale,  risultare  in  connessione  con
l'esercizio  di  funzioni  parlamentari. E' appunto questo «nesso» il
presidio  delle prerogative parlamentari e, insieme, del principio di
eguaglianza  e  dei  diritti  fondamentali dei terzi lesi.». Occorre,
altresi', evidenziare che la legge n. 140/2003 non ha natura di legge
costituzionale  e,  pertanto,  non e'  idonea  a stravolgere i limiti
delineati  dalla  Corte  in relazione all'applicabilita' dell'art. 68
comma  primo  della  Costituzione.  Pertanto, si ritiene che anche il
riferimento  alle  attivita'  di  «ispezione  divulgazione, critica e
denuncia  politica», espletate fuori dal Parlamento che devono essere
connesse  alla  «funzione  di  parlamentare»  non  possa  prescindere
dall'applicazione  dei  criteri  delineati dalla Corte costituzionale
sopra richiamati. La diversa interpretazione, diretta a ricomprendere
nella  sfera dell'insindacabilita' qualsiasi attivita' politica posta
in essere da parlamentare al di fuori dal Parlamento, oltre che porsi
in   contrasto   con   lo   stesso   art.   68   della  Costituzione,
determinerebbe,  di fatto, la compromissione dei diritti all'onore ed
alla reputazione, anch'essi costituzionalmente tutelati.
     che  la  deliberazione  adottata dalla Camera dei deputati nella
seduta del 1° agosto 2007 appare in contrasto con i richiamati canoni
interpretativi atteso che non contiene alcun elemento concreto da cui
poter  desumere a sussistenza di una corrispondenza sostanziale tra i
contenuti  delle  dichiarazioni  giornalistiche  e televisive oggetto
della  querela  e  le  opinioni  gia'  espresse  dal  parlamentare in
specifici   atti  parlamentari,  non  essendo  sufficiente  una  mera
comunanza  di  tematiche e un generico riferimento alla rilevanza dei
fatti pubblici;
     che   l'interpretazione   prospettata  dalla  decisione  di  cui
trattasi  comporta,  di  fatto,  che  l'istituto previsto dalla norma
costituzionale  si  trasformi da «esenzione di responsabilita' legata
alla  funzione  in  privilegio  personale»  (cfr.  sent.  11/00, gia'
citata)  con  la  conseguenza  che  le  opinioni  e  le dichiarazioni
manifestate  da un parlamentare sarebbero sempre e comunque sottratte
alla verifica giurisdizionale;
     che  deve,  pertanto,  ritenersi  che  la  condotta addebitabile
all'on.  Taormina,  astrattamente  idonea,  nella  sua specificita' e
gravita'   ad  integrare  un  illecito,  esula  dall'esercizio  delle
funzioni  parlamentari e non presenta oggettivamente alcun legame con
atti  parlamentari  neppure  nell'accezione  piu'  ampia  e come tale
dovrebbe   rientrare   nella   cognizione   riservata   al  sindacato
giurisdizionale.
     che  le  opinioni manifestate dall'on. Taormina non possono, per
carenza  del  nesso  funzionale,  ritenersi rese nell'esercizio delle
funzioni   parlamentari   e   quindi   per   esse  non e'  invocabile
l'immunita', ai sensi dell'art. 68, primo comma della Costituzione.
     che,  nel  caso  di  specie,  appare  di  conseguenza necessario
sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, conflitto
ammissibile  sia  sotto  il  profilo  soggettivo  (questo  giudice e'
l'organo   competente   a   decidere,   nell'ambito   delle  funzioni
giurisdizionali  attribuite,  sulla assenta illiceita' della condotta
ascritta  all'indagato  e quindi «a dichiarare la volonta' del potere
cui  appartiene,  in  posizione di piena indipendenza garantita dalla
Costituzione»:  cfr.  fra  le  altre. ordinanze Corte cost. n. 50 del
1999;  n. 469,  407,  261, 254 del 1998), sia sotto quello oggettivo,
trattandosi  della  sussistenza  dei  presupposti  per l'applicazione
dell'art.  68  primo  comma  della Costituzione e della lesione della
propria  sfera  di  attribuzioni  giurisdizionali, costituzionalmente
garantita,   giacche'   illegittimamente  menomata  dalla  suindicata
deliberazione della Camera dei deputati;
                              P. Q. M.
   Visti gli art. 134 Cost. e 37 legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dispone  la sospensione del giudizio in corso a carico di Taormina
Carlo    e   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale, sollevando conflitto di attribuzioni tra poteri dello
Stato e chiede che la Corte:
     dichiari  ammissibile  il  presente  conflitto,  adottando  ogni
conseguente  provvedimento  ai  sensi  degli  artt.  37  e  ss. legge
n. 87/1953 ed ogni altra norma applicabile;
     dichiari   che   non   spettava  alla  Camera  dei  deputati  la
valutazione  della condotta addebitabile all'onorevole Carlo Taormina
, in quanto estranea alla previsione di cui all'art. 68, primo comma,
Cost.;
     annulli la relativa delibera della Camera dei deputati in data 2
agosto 2007 - (A.C. 2937 - Seduta del 2 agosto 2007 - Docc. IV-quater
n. 18-19-20) come in motivazione riportata.
   Manda alla cancelleria per quanto di competenza.
     Cosi' deciso in Milano, il 19 settembre 2007.
                        Il giudice: Tutinelli
Avvertenza
   L'ammissibilita'  del  presente  conflitto  e'  stata  decisa  con
ordinanza n. 122/2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 1ª s.s.,
n. 20 del 7 maggio 2008.