N. 196 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 - 31 gennaio 2008

Ordinanza  emessa  dalla Commissione tributaria provinciale di Milano
il  31  gennaio  2008  sul ricorso proposto da Lagarina S.r.l. contro
Agenzia delle Entrate - Ufficio di Milano 1

Imposte  e  tasse  -  Ricorso  avverso  silenzio rifiuto formatosi su
  istanze  di rimborso di IRPEG risultante a credito da dichiarazioni
  presentate   in  data  anteriore  al  30  giugno  1997  -  Avvenuto
  compimento  dell'ordinario  termine  decennale  di prescrizione del
  credito  di  imposta,  decorrente,  secondo  quanto  ritenuto dalla
  giurisprudenza  di legittimita', dal riconoscimento anche implicito
  dello  stesso,  ovvero  dalla  scadenza dei termini rispettivamente
  prescritti  dagli  artt. 36-bis e 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per
  la liquidazione e per l'accertamento - Sopravvenuta disposizione di
  legge  secondo cui, nel quadro delle iniziative volte a definire le
  pendenze con i contribuenti, e di rimborso delle imposte, l'Agenzia
  delle  entrate  provvede alla erogazione delle eccedenze di IRPEF e
  IRPEG dovute in base alle dichiarazioni dei redditi presentate fino
  al  30  giugno 1997, senza far valere la eventuale prescrizione del
  diritto   dei   contribuenti   -   Omessa  proposizione,  da  parte
  dell'Amministrazione  finanziaria,  dell'eccezione  di prescrizione
  del diritto azionato - Irragionevolezza - Denunciata violazione del
  principio    di    uguaglianza    sotto    il    duplice    profilo
  dell'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  tra  le parti del
  processo  tributario  e tra i contribuenti - Incidenza sui principi
  di  buon andamento, di imparzialita' e di efficienza della pubblica
  amministrazione  -  Contrasto  con  il  divieto  costituzionale  di
  escludere  o di limitare la tutela giurisdizionale avverso gli atti
  della pubblica amministrazione.
- Legge 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, comma 58.
- Costituzione, artt. 3, 97 e 113, comma secondo.
(GU n.27 del 25-6-2008 )
                LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
   Ha   emesso   la   seguente  ordinanza  sul  ricorso  n. 14103/06,
depositato l'11 dicembre 2006:
     avverso  silenzio  rifiuto  istanza  rimb.  Irpeg  1982,  contro
Agenzia Entrate - Ufficio Milano 1, proposto dal ricorrente: Lagarina
S.r.l., via della Signora n. 2/a - 20122 Milano, difeso da: prof. dr.
Marco  Piazza,  dr.  Guido  Luigi Elefante, avv. Patrizia Castellano,
Studio associato Piazza, Galleria Passerella n. 1 - 20122 Milano;
     avverso  silenzio  rifiuto  istanza  rimb.  Irpeg  1985,  contro
Agenzia  Entrate - Ufficio Milano 1, proposto dal ricorrente Lagarina
S.r.l.,  via della Signora n. 2/A - 20122 Milano, difesa da prof. dr.
Marco  Piazza,  dr.  Guido  Luigi Elefante, avv. Patrizia Castellano,
Studio associato Piazza, galleria Passerella n. 1 - 20122 Milano.
                      Svolgimento del processo
   Con  il  ricorso  indicato in epigrafe la societa' Lagarina S.r.l.
impugna  il  silenzio  rifiuto dell'Agenzia delle Entrate, Ufficio di
Milano  n. 1,  in  relazione all'istanza di rimborso di crediti IRPEG
relativi agli anni 1982 e 1985, spedita a mezzo di raccomandata il 22
luglio 2005.
   La  ricorrente  afferma che nella dichiarazione dei redditi del 29
dicembre  1982,  relativa al periodo d'imposta 1981, aveva chiesto il
rimborso  dell'IRPEG  risultante a credito per lire 35.553.000; anche
nella  dichiarazione  del  28  febbraio  1986, relativa al periodo di
imposta   1984-1985  (esercizio  a  cavallo  delle  due  annate)  era
risultato  un  credito  di  IRPEG  di lire 70.834.000 del quale aveva
chiesto contestualmente il rimborso.
   Rilevata  l'inottemperanza dell'Amministrazione Finanziaria, il 25
novembre   2004   aveva  chiesto  informazioni  e  aveva  sollecitato
l'esecuzione   dei   rimborsi.   Non  avendo  ricevuto  risposta,  la
ricorrente  aveva  inviato  altra raccomandata in data 22 luglio 2005
con  nuova  richiesta  di  informazioni  e  sollecito  di  pagamento,
raccomandata a cui l'amministrazione non aveva dato alcuna risposta.
   Considerato che i crediti di cui si chiedeva il rimborso non erano
stati  mai  contestati  e  pertanto  erano  diventati  certi,  e  che
nonostante  i  solleciti  inviati  dalla ricorrente l'Amministrazione
finanziaria,   contravvenendo   all'obbligo   di   dare  informazioni
(previsto  dagli  articoli  5  e  8  della  legge  n. 241/1990)  e di
restituire  le  somme versate in eccedenza (previsto dall'articolo 38
del  D.P.R.  n. 602/1973)  non  ha  ancora provveduto ai rimborsi, la
ricorrente  chiede  che  l'Agenzia  delle  entrate  sia condannata al
pagamento  di  Euro  15.779,31 (pari a lire 30.533.000) per Irpeg del
1981 e di Euro 36.582,71 (pari a lire 70.834.000) per Irpeg del 1985,
oltre gli interessi dovuti per legge sulle predette somme.
   Si  e'  costituito  in  giudizio  l'Ufficio di Milano dell'Agenzia
delle    Entrate,    il    quale   in   via   preliminare   eccepisce
l'inammissibilita'  del  ricorso  per  inesistenza  del provvedimento
impugnato e violazione degli articoli 18 e 19 del decreto legislativo
n. 546/1992.
   L'ufficio  fa rilevare che il citato articolo 19 elenca in maniera
tassativa  gli  atti  avverso i quali puo' proporsi legittimamente il
ricorso  davanti  alla  Commissione  tributaria  provinciale. In modo
improprio    la    ricorrente    ha    ritenuto   che   il   silenzio
dell'Amministrazione  Finanziaria  sulla  sua  «istanza  di rimborso»
possa  rientrare al punto g) dell'articolo 19 del decreto legislativo
n. 546/1992.
   L'istanza  di  controparte, con cui si chiede il pagamento del suo
credito,  non  e', giuridicamente, un'istanza di rimborso ex articolo
37  e  38  del D.P.R. n. 602/1973. Infatti l'articolo 37 disciplina i
casi  di rimborso delle ritenute dirette, mentre l'articolo 38 regola
i  casi  di  rimborso  di  versamenti  diretti. In entrambi i casi il
presupposto  giuridico  per  il  rimborso e' l'essere il contribuente
caduto  in  «errore  materiale,  duplicazione  o inesistenza totale o
parziale dell'obbligo di versamento».
   Nella  fattispecie  in  esame la ricorrente chiede il rimborso del
credito  risultante  dalla propria dichiarazione e, quindi, non di un
versamento  effettuato  per  errore.  Dunque non sono applicabili gli
articoli 37 e 38 del citato d.P.R. n. 602/1973.
   Le  istanze  inoltrate nel 2004 e nel 2005 non sono altro che atti
stragiudiziali  diretti alla interruzione del termine di prescrizione
e  non  gia'  atti  prodromici  diretti  al  fine di un provvedimento
amministrativo  «autonomamente  impugnabile»,  ai  sensi dell'art. 19
d.lgs. n. 546/1992.
   Per  mero  tuziorismo  l'Ufficio  segnala  che l'unico caso per il
quale,  nell'ipotesi  di  credito  risultante dalla dichiarazione, e'
ammessa  l'istanza  di  rimborso  (in  senso  tecnico),  sulla  quale
l'Amministrazione  Finanziaria  deve pronunciarsi, e' quello previsto
dall'articolo  4,  comma  4,  del  d.P.R.  n. 42/1988 che riguarda il
credito da riporto poi non utilizzato.
   Anche   la   giurisprudenza  e'  costante  nell'affermare  che  la
procedura   prevista   dall'articolo   38,   d.P.R.   n. 602/1973  e'
applicabile  soltanto  alle ipotesi di errore nella dichiarazione che
ha   determinato  un  versamento  in  eccesso  (in  alternativa  alla
dichiarazione  integrativa  quando i termini per la sua presentazione
fossero gia' scaduti); giammai per ottenere il rimborso di un credito
esposto  in  dichiarazione  e  non  ancora erogato. A questo riguardo
l'Ufficio  richiama la sentenza n. 3718 in data 14 gennaio 2005 della
Corte di cassazione (sezione tributaria) e quella numero 11830 del 12
marzo 2002 della stessa sezione.
   Inoltre,  se  si  considerasse  applicabile  ai crediti risultanti
dalla   dichiarazione,   la   procedura   del  silenzio  rifiuto,  il
contribuente  potrebbe  ottenere  un titolo di condanna esecutivo che
costringerebbe  l'Amministrazione  ad  adempiere  pur  in presenza di
crediti   non  esigibili.  Infatti  la  procedura  amministrativa  di
liquidazione  dei  rimborsi  subordina  l'erogazione  ad una serie di
ulteriori  condizioni che il giudice non e' tenuto a verificare, come
quelle   previste   dalla  circolare  n. 45/2004  (conformita'  della
liquidazione ex art. 36-bis, d.P.R. n. 600/1973, inesistenza di altri
crediti  erariali,  assenza di accertamenti per l'annualita', assenza
di  provvedimenti  di  fermo  amministrativo,  esistenza di eventuali
cessioni del credito, ecc.). Infine la validazione e l'erogazione dei
rimborsi  si  svolge  in  ordine  cronologico,  ordine  che  verrebbe
sconvolto  dalla  esistenza  di una sentenza di condanna, creando una
sorta  di  corsia  preferenziale  a  danno  di altri contribuenti che
fossero in attesa di rimborsi per annualita' precedenti.
   Nel  merito  l'Ufficio, senza rinuncia alle eccezioni preliminari,
afferma   che   «dalle   liquidazioni   ex  articolo  36-bis,  d.P.R.
n. 600/1973 delle dichiarazioni dei redditi non e' stato riconosciuto
alcun rimborso».
   Afferma  inoltre  di  non  poter  riconoscere  alla documentazione
allegata   al  ricorso  (ovvero  alle  fotocopie  delle  ricevute  di
presentazione  delle dichiarazioni e alle copie di uno stralcio delle
dichiarazioni  in questione) «una forza probatoria tale da dimostrare
l'avvenuta presentazione delle dichiarazioni e in particolare la loro
presentazione   in   conformita'  dei  dati  contenuti  nell'asserita
fotoriproduzione».
   «Il  mancato  riscontro,  con  canoni  di assoluta certezza, della
veridicita'   dei   fatti,   sostenuta   dalla  ricorrente,  potrebbe
comportare  il  rischio  di un indebito riconoscimento del credito di
imposta con evidente danno per l'Erario».
   Nella   ripetizione   dell'indebito  opera  il  normale  principio
dell'onere  della  prova  a  carico  del creditore. Nel caso in esame
spetta alla ricorrente dimostrare l'esistenza dell'intero importo del
credito.  «Diventa  necessaria  l'esibizione  da parte della societa'
degli  originali  delle  dichiarazioni con i relativi allegati, copia
del  bilancio e l'esibizione di prove idonee a documentare il preteso
rimborso,  anche  in  considerazione  del  fatto  che per gli anni in
questione   tale   documentazione   doveva   essere   allegata   alla
dichiarazione.  In  particolare  si  doveva  allegare  documentazione
giustificativa  delle  ritenute  d'acconto subite e credito d'imposta
sui dividendi».
   Pertanto  l'ufficio  chiede  il  rigetto del ricorso e la condanna
della ricorrente alla rifusione delle spese processuali.
   Con  memoria  di  replica depositata il giorno 11 dicembre 2006 la
societa'  ricorrente  fa  rilevare  che  non  spetta  a  lei  provare
l'esistenza   dei  crediti  d'imposta  poiche'  essi  emergono  dalle
dichiarazioni presentate a suo tempo all'amministrazione finanziaria,
crediti  dei quali aveva chiesto contestualmente il rimborso, e per i
quali  successivamente  aveva  inviato  altre  istanze di rimborso ex
articolo  38,  d.P.R.  n. 602/1973 (documenti allegati al ricorso sub
1-4).  L'ufficio non ha mai contestato i suddetti crediti. L'organo a
suo   tempo   competente  (il  Centro  di  Servizio)  avrebbe  dovuto
controllare,  entro  il  31 dicembre dell'anno successivo a quello di
presentazione   della   dichiarazione,  attraverso  la  procedura  di
liquidazione  delle  dichiarazioni, i crediti di imposta spettanti ed
effettuare i rimborsi.
   «Il  fatto  che l'ufficio non abbia mai effettuato il rimborso non
e'  la dimostrazione dell'inesistenza dei crediti, ma anzi e' proprio
il  fatto  di  non  avere mai messo in discussione la loro spettanza,
nonostante  i  numerosi  solleciti della contribuente, che ne attesta
l'esistenza».   A   questo   riguardo   si   richiama   il  principio
giurisprudenziale  enunciato  dalla sentenza n. 1183/2002 della Corte
di cassazione.
   Infine  la  ricorrente  fa  rilevare che «i crediti ai quali si fa
riferimento   risalgono  a  ben  venti  anni  fa,  cosicche'  sarebbe
contrario alle norme civilistiche (art. 2220 c.c.) e fiscali (art. 22
del    d.P.R.   n. 600/1973)   richiedere   alla   ricorrente   detta
documentazione.  Peraltro  trattasi  di documentazione a disposizione
dell'amministrazione  finanziaria  e  prodotta  a  suo  tempo  con la
presentazione  delle  dichiarazioni».  Pur  ritenendo  di  avere gia'
maturato  il  diritto  al  rimborso  dei  crediti  richiesti  con  le
dichiarazioni   (crediti   mai   contestati,   ne'  rettificati,  ne'
compensati,  ne' ceduti a terzi), tuttavia, per scrupolo difensivo la
ricorrente   produce  copia  delle  dichiarazioni  dei  redditi,  dei
bilanci,  dei  certificati  della  societa'  partecipata Sidas S.r.l.
concernenti  il  versamento dei dividendi e le ritenute d'acconto (da
cui  derivano  in  buona  parte  i crediti di imposta), e copia delle
raccomandate inviate al Centro di Servizio in risposta alle richieste
di documenti ex articolo 36-bis, d.P.R. n. 600/1973.
                       Motivi della decisione
   Preliminarmente  va  precisato  che  non e' fondata l'eccezione di
inammissibilita' del ricorso, sollevata dall'ufficio.
   La questione e' stata esaminata dalla Corte di cassazione, sezione
tributaria,  con  la  sentenza  n. 11830  del  12  marzo 2002, che ha
enunciato il seguente principio di diritto:
   «In  tema  di  imposte  sui redditi, qualora il contribuente abbia
evidenziato nella dichiarazione un credito d'imposta, non occorre, da
parte  sua,  al fine di ottenere il rimborso, alcun altro adempimento
(quale,  in  particolare,  l'istanza  ex  articolo  38  del d.P.R. 29
settembre 1973, n. 602, estranea alla fattispecie anzidetta), ma deve
solo  attendere  che l'amministrazione finanziaria eserciti, sui dati
in  dichiarazione,  il  potere  -  dovere  di  controllo,  secondo la
procedura di liquidazione delle imposte prevista dall'art. 36-bis del
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ovvero, ricorrendone i presupposti,
secondo  lo  strumento della rettifica della dichiarazione. Una volta
che  il  credito  si  sia  consolidato - attraverso un riconoscimento
esplicito   in  sede  di  liquidazione,  ovvero  per  effetto  di  un
riconoscimento  implicito derivante dal mancato esercizio nei termini
del potere di rettifica -, l'amministrazione e' tenuta ad eseguire il
rimborso  e  il  relativo  credito  del contribuente e' soggetto alla
ordinaria  prescrizione  decennale, decorrente dal riconoscimento del
credito  stesso».  Questo  orientamento  e' stato confermato da altra
sentenza  della stessa sezione della Corte di cassazione, numero 3718
in  data 14 gennaio 2005. Entrambe sono menzionate anche dall'ufficio
nell'atto  di  costituzione in giudizio, sebbene esse siano contrarie
alla eccezione di inammissibilita'.
   Nella  motivazione  della  prima sentenza e' detto chiaramente che
l'articolo  38  del d.P.R. n. 602/1973 non e' applicabile all'ipotesi
di  credito  di  imposta  risultante dalla dichiarazione dei redditi,
perche'  essa  riguarda  situazioni di fatto totalmente differenti, e
«cioe'  quando si sono verificati fatti che impongono al contribuente
di   attivarsi  entro  un  determinato  termine  per  fare  conoscere
all'amministrazione  sia la fonte del preteso diritto al rimborso che
la  volonta'  di  ottenere  il  rimborso.  Tali fatti, per previsione
espressa  e  tassativa  dell'articolo  38,  d.P.R.  n. 602/1973  (che
sancendo  una  decadenza  e'  norma  di stretta interpretazione) sono
l'errore  materiale, la duplicazione, l'inesistenza totale o parziale
dell'obbligo  di versamento. Nessuno di questi fatti si e' verificato
nel  caso  sottoposto  ad  esame,  sicche'  la norma invocata risulta
totalmente estranea ed indifferente».
   Dunque  non e' necessaria l'istanza di rimborso per determinare il
silenzio rifiuto della amministrazione quando siano decorsi i termini
per la liquidazione, ex articolo 36-bis, d.P.R. n. 600/1973, e quello
per l'accertamento ex articolo 43 del medesimo decreto.
   Questo  non significa pero' che il contribuente non possa proporre
il  ricorso  previsto  dagli articoli 18 e 19 del decreto legislativo
n. 546/1992,  al  fine  di  ottenere il rimborso del credito indicato
nella  dichiarazione.  Se  si  fosse  di contrario avviso si dovrebbe
ravvisare  un  conflitto  di  tali  norme  con  l'articolo  113 della
Costituzione,  che garantisce la tutela giurisdizionale dei diritti e
degli   interessi  legittimi  dinanzi  agli  organi  della  giustizia
ordinaria   o   amministrativa.  Dunque,  il  fatto  che  il  credito
risultante  dalla dichiarazione dei redditi non possa rientrare nelle
ipotesi  di  silenzio-rifiuto  previste  dall'articolo  38,  primo  e
secondo  comma  del  d.P.R. n. 602/1973, non significa affatto che il
silenzio-rifiuto non possa risultare in altro modo ed in particolare,
dalla  mancata  liquidazione  del  credito  di  imposta  nei  termini
previsti   dall'articolo   36-bis  del  d.P.R.  n. 600/1973.  Infatti
l'articolo   19,  lettera  g)  del  decreto  legislativo  n. 546/1992
considera   impugnabile   «il   rifiuto   espresso   o  tacito  della
restituzione  di  tributi,  sanzioni  pecuniarie ed interessi o altri
accessori   non  dovuti»,  concetto  ben  ampio  e  non  strettamente
correlato  al  procedimento  descritto  nell'articolo  38  del d.P.R.
n. 602/1973 che, peraltro, assoggetta l'istanza di rimborso a termini
di  decadenza  non suscettibili di estensione all'ipotesi di rimborso
di  credito  risultante  dalla  dichiarazione. Infatti in questo caso
l'istanza di rimborso viene formulata con la stessa dichiarazione dei
redditi da cui risulta il credito d'imposta.
   Va  da  se che, come precisato nelle medesime sentenze della Corte
di  cassazione, il credito risultante dalla dichiarazione e' soggetto
alla  ordinaria prescrizione decennale, decorrente dal riconoscimento
anche implicito del credito stesso, ovvero dalla scadenza dei termini
per  la  comunicazione  di  una  liquidazione della dichiarazione con
esito  diverso  da quello prospettato dal contribuente o, in mancanza
di  questa, dalla scadenza del termine per la notifica dell'avviso di
accertamento.
   Dunque  il  ricorso  e'  ammissibile.  Tuttavia  resta  aperta  la
questione  preliminare  della  eventuale  prescrizione del diritto al
rimborso  che, nel caso in esame, si e' verificata perche', sia dalla
scadenza  del  termine  fissato per la liquidazione ex 36-bis, d.P.R.
n. 600/1973,  sia  da  quella  per  l'accertamento ex articolo 43 del
medesimo  decreto,  (per  la  dichiarazione  del  1986  detto termine
scadeva,  secondo  la legislazione allora vigente, il 31 dicembre del
quinto anno successivo a quello della dichiarazione stessa, ovvero il
31  dicembre  del 1991) sono trascorsi piu' di dieci anni prima della
presentazione  del  ricorso.  E'  pur  vero  che  la ricorrente aveva
inviato  in precedenza ben due richieste di chiarimenti e sollecitato
la  liquidazione  e  il rimborso di quanto dovuto, ma entrambe queste
richieste  (astrattamente  idonee  ad  interrompere  il  corso  della
prescrizione),  sono  intervenute  il 25 novembre 2004 e il 21 luglio
2005,  ovvero  quando  erano gia' trascorsi (alla data del 1° gennaio
2002)  piu'  di  dieci  anni  dall'inizio del termine di prescrizione
sopra indicato.
   L'eventuale  estinzione  del diritto per prescrizione e' rilevante
nel  presente  giudizio  perche',  a  causa  del  tempo trascorso dal
periodo  di  imposta  in  questione l'ufficio non e' piu' in grado di
verificare   l'esito  delle  attivita'  di  liquidazione,  posto  che
all'epoca  none  era  stata  ancora introdotto il sistema informatico
dell'amministrazione  tributaria;  solo in alcuni casi e' in grado di
rilevare  l'esistenza  di rimborsi effettuati molti anni dopo, ma non
ha  la impossibilita' di stabilire con certezza che altri crediti non
siano  stati rimborsati; in ogni caso non e' in grado di verificare e
riferire l'esito delle attivita' di liquidazione perche' si tratta di
pratiche  amministrative i cui fascicoli sono stati gia' destinati al
macero.  Peraltro  l'obbligo  della  la  pubblica amministrazione, di
custodire  la  documentazione  delle pratiche fiscali, fuori dai casi
della  esistenza  di  controversie  in  corso,  non puo' certo essere
prolungato  oltre il termine ordinario di prescrizione, cosi' come e'
stabilito  per i privati dall'articolo 2220 del codice civile, con la
deroga   prevista   dall'articolo   22,   secondo  comma  del  d.P.R.
n. 600/1973.
   Dunque  questa  oggettiva  impossibilita',  per  l'amministrazione
finanziaria,  di  contrastare  nel  merito  la pretesa del ricorrente
dovrebbe  comportare,  qualora  non  fosse  eccepita la prescrizione,
l'accoglimento  del  ricorso  e  la condanna dell'Agenzia al rimborso
delle cospicue somme risultanti, come crediti di imposta, dalle copie
delle   dichiarazioni  prodotte  dalla  ricorrente.  Copie  che  sono
indubbiamente   utilizzabili   come  prova,  salvo  che  non  ne  sia
esplicitamente  contestata  la  conformita' agli originali (art. 2719
del  codice  civile).  Questa  contestazione non e' stata prospettata
dall'ufficio  (che  deduce  soltanto  la  loro inutilizzabilita' come
mezzo  di  prova) e non potrebbe in alcun modo essere dedotta proprio
perche'  manca  la  disponibilita'  degli originali (presentati a suo
tempo al Centro di servizio) e la possibilita' di un confronto.
   Dunque  la  questione relativa alla prescrizione del diritto e' di
importanza risolutiva per la definizione del giudizio.
   L'estinzione del diritto per prescrizione non puo' essere rilevata
di  ufficio  dal  giudice  (art.  2938  del  codice  civile),  ma  e'
necessario  che  sia  eccepita  dalla  parte  che  vi  ha  interesse.
L'ufficio  si  e' astenuto dal sollevare l'eccezione di prescrizione,
in  ossequio  al  disposto contenuto nell'articolo 3, comma 58, della
legge  24  dicembre  2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del
bilanci  annuale  e  pluriennale dello Stato) che cosi' dispone: «Nel
quadro   delle   iniziative  volte  a  definire  le  pendenze  con  i
contribuenti,  e  di  rimborso delle imposte, l'Agenzia delle entrate
provvede  alla  erogazione delle eccedenze di IRPEF e IRPEG dovute in
base  alle  dichiarazioni  dei  redditi  presentate fino al 30 giugno
1997,  senza  far  valere  la  eventuale prescrizione del diritto dei
contribuenti».
   Questa norma e' palesemente contraria a principi costituzionali di
uguaglianza,  di  ragionevolezza,  di  tutela  giurisdizionale  e  di
organizzazione dei pubblici uffici secondo criteri di buon andamento,
di  imparzialita'  e  di  efficienza  della  pubblica amministrazione
(articoli 3, 113 e 97 della Costituzione).
   E' contraria al principio di eguaglianza perche' discrimina tra le
parti   del   processo  e  tra  diverse  categorie  di  contribuenti.
Certamente  non  trova altro esempio in tutta la legislazione vigente
il  caso  di  una  norma (come quella in esame) che vieta solo ad una
delle  parti  il  potere  di  dedurre ed eccepire fatti e circostanze
rilevanti  ai  fini  della  decisione.  La  struttura  della norma e'
singolare   e   irragionevole  perche',  pur  incidendo  sui  diritti
soggettivi  ed  in particolare sull'obbligo della p.a. di eseguire un
rimborso,  perviene  a  questo  risultato non modificando le norme di
diritto  sostanziale sulla prescrizione (eventualmente prolungando la
durata  del  termine), ma alterando i poteri processuali di una delle
parti  in  causa. L'anomalia e' ancora piu' evidente ove si consideri
che essa non modifica la disciplina del processo in modo indifferente
per  le  parti  ma  si  rivolge  soltanto  ad un organo interno della
pubblica  amministrazione  vietandogli  di  esercitare  una  facolta'
prevista  in  generale  dall'ordinamento  processuale,  che  resta in
apparenza inalterato.
   Con    questo    singolare    meccanismo   normativo   si   incide
sostanzialmente   sull'istituto   della  prescrizione  con  efficacia
retroattiva   e   in   violazione   dei  principi  generali,  sanciti
dall'articolo  3  della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in
materia di statuto dei diritti del contribuente), il quale stabilisce
che  le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo e che i
termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti d'imposta
non possono essere prorogati.
   La  norma  e'  in contrasto con il secondo comma dell'articolo 113
della  Costituzione  perche'  esclude la tutela giurisdizionale della
stessa  pubblica  amministrazione  per determinate categorie di atti.
Infatti  essa  vieta  all'Agenzia  delle  Entrate  di  far  valere la
prescrizione  soltanto  per  «le eccedenze di IRPEF e IRPEG dovute in
base  alle  dichiarazioni  dei  redditi  presentate fino al 30 giugno
1997».
   La  norma  e'  contraria  al  principio  di ragionevolezza perche'
estendendo il divieto ai rapporti derivanti da tutte le dichiarazioni
anteriori  al  30  giugno  1997 senza alcun limite iniziale, offre ai
contribuenti   la   possibilita'  di  riaprire  ad  libitum  rapporti
giuridici di credito anche risalenti al passato remoto.
   E'   contraria   al  principio  di  ragionevolezza  anche  perche'
l'espressione,  «Nel  quadro  delle  iniziative  volte  a definire le
pendenze  con  i  contribuenti»,  e'  priva  di  senso e di contenuto
precettivo,  e  si  presenta come una giustificazione incongrua della
speciale   deroga   alla  generale  applicazione  delle  norme  sulla
prescrizione.  Infatti  l'espressione  suddetta  non  puo'  che  fare
riferimento  o  a  rapporti  sub iudice, e quindi non suscettibili di
prescrizione  (giacche'  il  termine  di  prescrizione  resta sospeso
durante  tutto il corso della lite e fino alla conclusione definitiva
del  processo, articolo 2945 secondo comma del codice civile), oppure
a  rapporti  tributari  per  i quali siano ancora aperti i termini di
accertamento,  per  i  quali  ovviamente  non puo' essersi verificata
alcuna prescrizione.
   Ugualmente   privo   di  senso  e'  l'inciso,  «Nel  quadro  delle
iniziative  ...  di  rimborso  delle  imposte», perche' l'espressione
«iniziative  di rimborso delle imposte» non puo' fare riferimento che
al  rimborso  di  ufficio,  previsto  dall'articolo 42-bis del d.P.R.
n. 602/1973,  e, in virtu' del rinvio contenuto nella suddetta norma,
al  potere  dovere  dell'ufficio di procedere alla liquidazione delle
dichiarazioni  dei redditi ex art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973. Ma, nel
senso  suddetto,  il  riferimento  all'iniziativa dell'ufficio non ha
alcun  significato  normativo,  anche  perche'  la  liquidazione deve
avvenire  entro  un termine piu' breve e percio' non puo' mai essersi
verificata  una  prescrizione del diritto del ricorrente. Se poi, per
assurdo,  si  volesse estendere la classe delle «iniziative», a tutte
le  richieste  di  rimborso  provenienti  dai  contribuenti, la norma
dovrebbe significare che di fronte a qualunque rivendicazione tardiva
e  remota,  l'Agenzia  delle Entrate non potrebbe piu' opporre alcuna
difesa. Questo confermerebbe la censura di totale irragionevolezza.
   Dunque   il   divieto  rivolto  agli  uffici,  di  far  valere  la
prescrizione,  puo'  fare  riferimento  soltanto  al  rimborso  delle
imposte  il  cui  diritto sia stato gia' definitivamente riconosciuto
dalla  amministrazione in uno dei modi sopra specificati dalle citate
sentenze della Corte di cassazione.
   Ma  sotto  questo  profilo  non si comprende quale possa essere la
ragione  di  politica  legislativa  per  cui  lo  Stato  abbia voluto
rinunciare  ad  una  eccezione  fondata sulle norme di diritto comune
(valevoli  per  tutte le situazioni di prolungata inerzia dell'avente
diritto),   peraltro   favorendo   soltanto   alcune   categorie   di
contribuenti  a  discapito  di  altri,  a cominciare da quelli le cui
dichiarazioni  fossero state presentate dopo il 30 giugno 1997. Ed e'
questo   il   secondo  profilo  della  violazione  del  principio  di
uguaglianza, sancito dall'articolo 3 della Costituzione.
   Inoltre  la  norma  rivela  la  sua assoluta irragionevolezza e il
contrasto  inconciliabile con l'articolo 97 della Costituzione ove si
considerino  gli effetti perversi che essa produce, perche' da' adito
a vere e proprie frodi in danno dell'erario.
   Infatti   occorre   tenere  presente  che  la  liquidazione  della
dichiarazione,  prevista  dall'articolo  36-bis del d.P.R. n. 600 del
1973,  non prevedeva e non prevede tuttora che il disconoscimento del
credito  di  imposta,  esposto nella dichiarazione dei redditi, debba
essere  formalmente  comunicato  al  dichiarante.  Infatti, mentre il
primo  comma  stabilisce  che  all'esito della liquidazione l'ufficio
deve  provvedere  ad effettuare i rimborsi eventualmente spettanti in
base  alle dichiarazioni, il comma terzo stabilisce soltanto che, «ai
fini  delle  correzioni,  esclusioni  e  riduzioni previste dal comma
secondo»,  l'ufficio  deve  invitare  il contribuente, «anche a mezzo
telefono  o  a  mezzo  posta, a fornire chiarimenti in ordine ai dati
contenuti  nella dichiarazione e ad esibire o trasmettere ricevute di
versamento  e altri documenti indicati nella dichiarazione ma ad essa
non allegati o difformi dai dati forniti da terzi».
   Vero  e'  che  la  legge  n. 212/2000  (statuto  dei  diritti  del
contribuente) all'articolo 6, comma 2, stabilisce: «L'amministrazione
deve  informare  il  contribuente  di  ogni fatto o circostanza a sua
conoscenza  dai  quali possa derivare il mancato riconoscimento di un
credito  ovvero  l'irrogazione  di  una  sanzione,  richiedendogli di
integrare   o   correggere  gli  atti  prodotti  che  impediscono  il
riconoscimento,  seppure parziale, di un credito». Anche questa norma
pero'  non  prevede  l'emanazione, dopo la richiesta di chiarimenti e
della  esibizione di documenti, di un vero e proprio provvedimento di
rigetto  della  richiesta  di  rimborso.  Ma  quand'anche  si volesse
affermare  che  da  essa scaturisce l'obbligo dell'amministrazione di
comunicare   il  rifiuto  del  rimborso  del  credito  esposto  nella
dichiarazione,  si  deve rilevare che essa non puo' esplicare effetti
sul  passato e sui procedimenti definiti prima dell'entrata in vigore
della citata legge n. 212/2000.
   Dunque,  in  precedenza,  e  specificamente  all'epoca  in  cui si
procedeva alla liquidazione delle dichiarazioni presentate negli anni
1982   e   1986,   il   dichiarante   poteva   essere  informato  del
disconoscimento  del  credito solo indirettamente, quando riceveva un
rimborso  inferiore  alla  somma  da  lui esposta nella dichiarazione
oppure  quando  la liquidazione metteva in evidenza non un credito ma
un  debito  di imposta. Viceversa, quando l'ufficio, anche dopo avere
chiesto  chiarimenti  e  documenti,  si  limitava  a  disconoscere il
credito  di  imposta, non era tenuto ad eseguire alcuna comunicazione
al  dichiarante. Si tratta certamente di una carenza normativa, a cui
tuttavia  non  e' possibile porre rimedio con la legge n. 212 entrata
in vigore nel 2000.
   Questa  deficienza  va  poi  messa  in relazione con la situazione
determinatasi  con  il  riordino  degli  uffici  dell'amministrazione
finanziaria  e  con  la  soppressione  dei centri di servizio, che in
passato   erano   deputati   alle  attivita'  di  liquidazione  delle
dichiarazioni  dei  redditi  e  di  rimborso e recupero delle imposte
liquidate.  Ma  soprattutto  si  deve  tenere conto delle esigenze di
buona  organizzazione  e  di  economicita'  nel  funzionamento  degli
uffici,  esigenze  che impongono la eliminazione della documentazione
cartacea  risalente  ad annualita' remote e a rapporti ormai definiti
ovvero non fatte oggetto di controversie pendenti. A cio' si aggiunga
che   anche   i   dati   informatici   relativi   alle  dichiarazioni
ultradecennali  talvolta  non  sono  stati mai archiviate su supporto
informatico,  talaltra  sono  stati  eliminati  quando si trattava di
dichiarazioni  non  assoggettate ad accertamento e/o a contestazione.
Sta  di  fatto  che  le  interrogazioni  al  SIAT  non  consentono di
conoscere l'esito di dichiarazioni relative ad annualita' antecedenti
al decennio.
   Queste  circostanze  hanno  determinato la concreta impossibilita'
dell'ufficio  di  risalire agli atti di liquidazione compiuti in anni
remoti  e  di  giustificare  la non spettanza del rimborso per quelle
dichiarazioni risalenti agli anni 80. Infatti in altro caso analogo a
quello  qui  in  esame  (vedi  nota  1)   l'ufficio  ha semplicemente
replicato   che   «trattandosi   di   annualita'   pregresse,   dalle
interrogazioni  al  SIAT non e' possibile verificare ne' i dati delle
dichiarazioni   dei  redditi  modello  760,  ne'  i  risultati  delle
liquidazioni effettuate dal Centro di servizi di Milano».
   Risulta   percio'  evidente  come  taluni  contribuenti,  malgrado
l'inerzia  serbata  ben oltre il decennio della prescrizione, possano
approfittare  di questa situazione di impotenza della controparte per
rispolverare  vecchie  dichiarazioni che si chiudevano con un credito
di imposta a suo tempo non riconosciuto e, malgrado la consapevolezza
dell'insussistenza  del  diritto,  pretendere ora il rimborso, quando
l'amministrazione  finanziaria non e' piu' in grado di contrastare la
pretesa  a  causa  della sicura distruzione delle pratiche cartacee e
dell'improvvida  preclusione  dell'eccezione di prescrizione, imposta
dall'articolo 3, comma 58 della legge 24 dicembre 2003, n. 350.
   Percio',  sotto  questo aspetto deve ravvisarsi un conflitto della
predetta   norma  con  i  principi  sanciti  dall'articolo  97  della
Costituzione,  secondo  cui  gli  uffici  pubblici  sono  organizzati
secondo  disposizioni  di legge, in modo che siano assicurati il buon
andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione.
   Che  l'ipotesi, di una capziosa reviviscenza di crediti di imposta
a  suo  tempo non riconosciuti, non sia del tutto teorica, e' provato
dal  fatto  che  in  taluni  casi, secondo le deduzioni dell'ufficio,
dalle  interrogazioni  al SIAT risulta riconosciuto (e talvolta anche
eseguito)  il  rimborso di una somma inferiore a quella richiesta dal
ricorrente,  con  specifica  indicazione  della  data  e  del  numero
dell'ordinativo  di  pagamento  (vedi  nota  2)  . Cio' nonostante il
ricorrente  ha  chiesto  ugualmente  il  rimborso dell'intero credito
risultante   dalla  dichiarazione.  I  dati  menzionati  dall'ufficio
resistente risultano soltanto dal sistema informativo, ma il silenzio
del  ricorrente  su  queste  specifiche deduzioni fa ritenere ammesso
l'effettivo   rimborso   parziale   del   credito   e,   dunque,   la
consapevolezza del disconoscimento del credito residuo e la pregressa
tacita accondiscendenza al rifiuto del rimborso per la parte residua.
   Tuttavia,  dopo  la  promulgazione  della  legge 24 dicembre 2003,
n. 350,   che   inibisce   agli  uffici  di  opporre  l'eccezione  di
prescrizione,  questi  contribuenti si sono d'improvviso ricordati di
questi  remoti crediti di imposta derivanti da dichiarazioni non piu'
soggette  ad accertamento (e dunque del tutto estranee a qualsivoglia
contenzioso), per rivendicare dalla Stato somme che a suo tempo erano
state  disconosciute,  secondo  gli  ordinari  canoni di liquidazione
delle  dichiarazioni.  L'inerzia  serbata  per oltre dieci anni prima
della novella del dicembre 2003 dimostra che essi si erano rassegnati
a   non   esigere   piu'   il   rimborso  essendo  consapevoli  della
insussistenza del credito residuo.
   Dunque,  l'improvvido divieto di eccepire la prescrizione, rivolto
soltanto  agli  uffici  finanziari e contenuto nel citato articolo 2,
comma  58, della legge n. 350/2003, da un lato non ha una ragionevole
spiegazione normativa, dall'altro finisce soltanto con il favorire la
soddisfazione di ingiuste richieste di rimborso.
   Pertanto   e'   necessario   sollevare  di  ufficio  questione  di
legittimita'  costituzionale  della predetta norma, in relazione agli
articoli  3,  97 e 113 secondo comma della Costituzione, posto che la
norma   impedisce   all'Agenzia   delle   Entrate   di   eccepire  la
prescrizione.


(1)  Si veda il ricorso n. 14104/06, ricorrente Lambro S.r.l., per il
quale  e'  stata  sollevata  la  stessa  questione  di illegittimita'
costituzionale.
(2)  La  predetta  circostanza  non  e' in contrasto con quanto prima
specificato    circa    la   cancellazione   dei   dati   informatici
pluridecennali,  perche' i database relativi ai rimborsi, ovvero alle
erogazioni  di denaro da parte dell'Erario, seguono regole diverse da
quelle sui dati generali attinenti alle dichiarazioni dei redditi.
                              P. Q. M.
   Visti  l'articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, sospende il
processo  e  dispone  l'immediata  trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale,  sollevando  questione di legittimita' costituzionale
dell'articolo  2,  comma  58,  della  legge  24 dicembre 2003, n. 350
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello  Stato),  per  contrasto  con  il  principio  costituzionale di
ragionevolezza  e  con  gli  articoli 3, 97 e 113 secondo comma della
Costituzione.
   Ordina  che  a  cura  della  segreteria  la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti  in causa nonche' al Presidente del Consiglio
dei  ministri,  e  sia  comunicata ai presidenti delle due Camere del
Parlamento.
     Milano, addi' 23 gennaio 2008
                 Il Presidente estensore: Chiarolla