N. 226 ORDINANZA 11 - 20 giugno 2008

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo penale - Appello - Modifiche normative - Appello della parte
  civile  contro  la  sentenza  di  proscioglimento  -  Preclusione -
  Lamentata   violazione   dei   principi   di   uguaglianza   e   di
  ragionevolezza,  del  principio  di  parita'  tra  le  parti  e del
  principio    di    affidamento    -   Omessa   sperimentazione   di
  interpretazioni     conformi    a    Costituzione    -    Manifesta
  inammissibilita' delle questioni.
- Cod.  proc.  pen,  art.  576, come modificato dall'art. 6, comma 1,
  lettera a), della legge 20 febbraio 2006, n. 46.
- Costituzione, artt. 3, 24, 97 e 111.
Processo penale - Appello - Modifiche normative - Appello della parte
  civile  contro  la  sentenza  di  proscioglimento  -  Preclusione -
  Lamentata   violazione   dei   principi   di   uguaglianza   e   di
  ragionevolezza,  del  principio  di  parita'  tra  le  parti  e del
  principio    di    affidamento    -   Omessa   sperimentazione   di
  interpretazioni     conformi    a    Costituzione    -    Manifesta
  inammissibilita' delle questioni.
- Legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 6.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111.
Processo penale - Appello - Modifiche normative - Appello della parte
  civile  contro  la  sentenza  di  proscioglimento  -  Preclusione -
  Disciplina  transitoria  -  Applicabilita'  delle  nuove  norme  ai
  procedimenti  in  corso,  anche  con  riguardo  alla parte civile -
  Lamentata   violazione   del   principio   di   uguaglianza   e  di
  ragionevolezza,   del  principio  di  parita'  tra  le  parti,  del
  principio    di    affidamento    - Omessa    sperimentazione    di
  interpretazioni     conformi    a    Costituzione    -    Manifesta
  inammissibilita' delle questioni.
- Legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111.
(GU n.27 del 25-6-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Franco BILE
Giudici:  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
   Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA,  Franco
   GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria
   Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO ;
ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 576 del codice
di  procedura  penale,  come  modificato  dall'art.  6 della legge 20
febbraio  2006,  n. 46  (Modifiche  al codice di procedura penale, in
materia  di  inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), e
degli  artt.  6  e  10 della medesima legge, promossi, nell'ambito di
diversi  procedimenti  penali, con ordinanze del 22 maggio 2006 dalla
Corte  d'appello  di  Napoli, del 14 giugno e del 5 luglio 2006 dalla
Corte  d'appello di Palermo, del 30 maggio 2006 dalla Corte d'appello
di Lecce, del 23 febbraio 2007 dalla Corte d'appello di Palermo e del
17  maggio  2006  dalla  Corte  d'appello di Brescia, rispettivamente
iscritte  ai  numeri  18,  159,  160,  231,  602  e  635 del registro
ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
numeri 7, 14, 16, 35 e 37, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
   Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
ministri.
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 16 aprile 2008 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
   Ritenuto  che,  con  ordinanza  del 22 maggio 2006 (r.o. n. 18 del
2007), la Corte d'appello di Napoli ha sollevato, in riferimento agli
artt.   3   e   24  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  10  della  legge  20  febbraio 2006, n. 46
(Modifiche   al   codice   di   procedura   penale,   in  materia  di
inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), nella parte in
cui  «non  prevede alcuna disposizione per gli appelli proposti dalla
parte  civile  prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge suddetta
avverso la sentenza di proscioglimento dell'imputato»;
     che  la  Corte  rimettente  riferisce  di essere investita degli
appelli  proposti,  avverso la sentenza di assoluzione pronunciata in
primo  grado, dal pubblico ministero, da un imputato prosciolto e, ai
soli effetti della responsabilita' civile, dalle parti civili;
     che,  alla  luce  delle  modifiche  introdotte dall'art. 6 della
legge  n. 46 del 2006 all'art. 576 del codice di procedura penale che
disciplina l'appello della parte civile, la Corte d'appello di Napoli
ritiene  che l'unico mezzo di impugnazione oggi consentito alla parte
civile  avverso  la  sentenza  di  proscioglimento sia il ricorso per
cassazione;
     che   a   tale   conclusione   condurrebbe,   in   primo  luogo,
l'«interpretazione  sistematica»  dell'art. 576 cod. proc. pen. e, in
particolare, la circostanza che nel nuovo testo e' stato eliminato il
riferimento  al  «mezzo  di  impugnazione  previsto  per  il pubblico
ministero»; con la «conseguenza che, non essendo previsto dagli artt.
593  e  seg. c.p.p. un autonomo potere di appello della parte civile,
il mezzo di cui dispone dopo la riforma tale soggetto processuale non
puo' che essere il ricorso per cassazione»;
     che,  in  secondo  luogo, sarebbe «del tutto incongruo» ritenere
che  la  parte civile possa proporre autonomamente appello avverso la
sentenza  di  proscioglimento  in  casi  piu'  ampi rispetto a quelli
riservati,  a  seguito  della  novella del 2006, alla pubblica accusa
(limitati  alle  ipotesi  di  cui  all'art.  603, comma 2, cod. proc.
pen.);
     che, secondo la Corte rimettente, se l'eliminazione dell'appello
della    parte    civile   puo'   ritenersi   esente   da   vizi   di
incostituzionalita'  «per  i  processi  non  ancora esauriti in primo
grado»,  essa  presenterebbe invece evidenti profili di contrasto con
la Costituzione in relazione «ai procedimenti pendenti in appello» al
momento dell'entrata in vigore della legge;
     che, infatti, nei procedimenti in corso - non essendo consentito
alla parte civile altro mezzo di impugnazione, a differenza di quanto
stabilito dall'art. 10 della legge n. 46 del 2006 per l'imputato e il
pubblico  ministero  che possono proporre ricorso per cassazione - la
declaratoria  di  inammissibilita' dell'appello comporta che la parte
civile   e'   costretta  a  subire  gli  effetti  della  sentenza  di
proscioglimento  ai  sensi  dell'art. 652 cod. proc. pen., pur avendo
legittimamente  esercitato un diritto che la legge le conferiva prima
della riforma;
     che sarebbe, pertanto, evidente la violazione degli artt. 3 e 24
Cost., per l'ingiustificata disparita' di trattamento riservata nella
disciplina  transitoria alla parte civile, rispetto all'imputato e al
pubblico ministero;
     che  analoga questione e' sollevata, in riferimento agli artt. 3
e  111 Cost., dalla Corte d'appello di Palermo, con due ordinanze del
medesimo  tenore  del  14  giugno 2006 (r.o. n. 159 del 2007) e del 5
luglio  2006 (r.o. n. 160 del 2007), con le quali e' censurato l'art.
10  della legge 20 febbraio 2006, n. 46, nella parte in cui prevede -
per  l'imputato  e  per il pubblico ministero e non gia' per la parte
civile   costituita -   la   possibilita'  di  proporre  ricorso  per
cassazione   entro   quarantacinque   giorni   dalla   notifica   del
provvedimento  di inammissibilita' dell'appello proposto, avverso una
sentenza  di  proscioglimento,  prima della data di entrata in vigore
della legge;
     che,  con  altra ordinanza del 23 febbraio 2007 (r.o. n. 602 del
2007),  la  Corte  d'appello  di Palermo ha sollevato, in riferimento
agli  stessi parametri, questione di costituzionalita' degli artt. 6,
comma  1,  lettera  a),  e  10  della  citata  legge  n. 46 del 2006,
dubitando    della    legittimita'    costituzionale    anche   della
inappellabilita'  a regime delle sentenze di proscioglimento da parte
della persona offesa costituita parte civile;
     che,  ai  fini della rilevanza, i rimettenti precisano di essere
investiti  degli  appelli  proposti  tra gli altri dalla parte civile
avverso  sentenze  di  assoluzione  pronunciate  rispettivamente  dal
Giudice   per   le  indagini  preliminari,  in  funzione  di  giudice
dell'udienza  preliminare,  del  Tribunale di Palermo per il reato di
lesioni  (r.o.  n. 159  del  2007); dal Tribunale di Agrigento per il
reato  di  false  informazioni al pubblico ministero (r.o. n. 160 del
2007); dal Tribunale di Palermo per il reato di lesioni colpose (r.o.
n. 602 del 2007);
     che  in  tutte  le  ordinanze  si  da'  atto che, nelle more del
giudizio,  e'  entrata  in  vigore  la legge n. 46 del 2006 e che, in
forza  dell'art.  10  di essa, gli appelli proposti dovrebbero essere
dichiarati inammissibili;
     che  la  Corte  d'appello  di  Palermo  muove  da un presupposto
interpretativo  identico a quello fatto proprio dalla Corte d'appello
di  Napoli:  vale  a  dire  che le modifiche recate dall'art. 6 della
legge n. 46 del 2006 all'art. 576 cod. proc. pen. abbiano fatto venir
meno  il  potere di appello della parte civile avverso le sentenze di
proscioglimento;
     che tale conclusione e' argomentata sulla base di considerazioni
in  parte  analoghe  a  quelle  sviluppate  dalla  Corte d'appello di
Napoli;  cio',  in  particolare,  per quanto riguarda l'eliminazione,
nell'art.  576  citato,  del richiamo al «mezzo previsto dal pubblico
ministero»,  che  nel  testo  originario  costituiva il solo elemento
testuale per legittimare l'appello della parte civile;
     che,  peraltro,  la  Corte d'appello di Palermo richiama - quali
ulteriori  elementi  ostativi  ad  una  diversa interpretazione della
disciplina  censurata -  sia  il  divieto, sancito nell'art. 12 delle
preleggi,  di  adottare  «interpretazioni  "creative"  quand'anche il
risultato  dovesse  essere conforme alle intenzioni del Legislatore»;
sia il principio di tassativita' delle impugnazioni, in base al quale
i  provvedimenti  del  giudice  possono  essere  impugnati  solo  dai
soggetti e con i mezzi espressamente indicati;
     che,  tanto premesso, la Corte d'appello rimettente dubita della
legittimita'  costituzionale  della  disciplina transitoria contenuta
nell'art. 10 della legge n. 46 del 2006, sul rilievo che nei riguardi
della   parte   civile -   il  cui  appello,  proposto  anteriormente
all'entrata  in vigore della legge, e' dichiarato inammissibile - non
sia  prevista  neppure  la  possibilita',  contemplata  invece per il
pubblico   ministero  e  per  l'imputato,  di  proporre  ricorso  per
cassazione;
     che   tale   disciplina   darebbe  luogo  ad  una  irragionevole
disparita'  di  trattamento  fra pubblico ministero e imputato, da un
lato,  e  parte  civile, dall'altro, con conseguente violazione degli
artt. 3 e 111 Cost.;
     che sarebbe altresi' vulnerato il principio dell'affidamento, in
quanto  il  sistema  processuale,  consentendo  al danneggiato di far
valere  la propria pretesa civilistica nel processo penale, creerebbe
in tale soggetto una «aspettativa [...] a percorrere fino in fondo la
via  prescelta,  allestendo  reazioni capaci di elidere gli eventuali
pregiudizi derivanti da taluni provvedimenti»;
     che,  pertanto,  sarebbe palesemente irragionevole una normativa
che,  privando  la  parte  civile  di  ogni potere d'impugnazione, la
costringa  «a  subire l'efficacia di giudicato della sentenza penale,
pur  avendo scelto di innestare la sua pretesa di essere risarcita in
un contesto processuale che le conferiva il potere di appello»;
     che  la  disciplina transitoria introdurrebbe, infine, anche una
disparita'  di  trattamento  «tra  chi  ha intrapreso l'azione civile
nella   sede  propria  e  chi  ha,  invece,  optato  per  l'esercizio
dell'azione   civile   nel   processo   penale,   essendo  inibito  a
quest'ultimo -   e   non   per   sua   determinazione -  il  diritto,
riconosciuto  invece al secondo, di chiedere, con l'appello, un nuovo
giudizio di merito che ribalti la pronunzia a lui sfavorevole»;
     che,  nella  ordinanza iscritta al n. 602 del registro ordinanze
del  2007,  la  Corte  d'appello  di  Palermo  precisa inoltre che la
sentenza  della Corte costituzionale n. 26 del 2007 - con la quale e'
stata  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 1 della
legge  n. 46 del 2006, nella parte in cui, sostituendo l'art. 593 del
codice  di  procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa
appellare  contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per
le  ipotesi  previste dall'art. 603, comma 2, del medesimo codice, se
la  nuova  prova  e'  decisiva,  ed, in parte qua, dell'art. 10 della
medesima legge - non incide sull'odierno quesito di costituzionalita'
che  concerne  l'art.  6  della  legge  n. 46  del 2006, modificativo
dell'art. 576 cod. proc. pen.;
     che, con ordinanza del 17 maggio 2006 (r.o. n. 635 del 2007), la
Corte d'appello di Brescia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,
24  e  111  Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art.
576,  comma  1,  cod.  proc.  pen., come modificato dall'art. 6 della
citata legge n. 46 del 2006, e dell'art. 10 della medesima legge;
     che  la  Corte  d'appello  rimettente  precisa,  ai  fini  della
rilevanza,  di  essere  investita  dell'appello proposto - avverso la
sentenza  con cui il Giudice per le indagini preliminari, in funzione
di  Giudice  dell'udienza  preliminare,  del Tribunale di Brescia, ha
assolto  l'imputato dal reato di ingiuria e percosse perche' il fatto
non  sussiste -  dalla  parte  civile  che ha chiesto «l'affermazione
della  penale  responsabilita'  dell'imputato  e la sua condanna alla
pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento del danno»;
     che,  nel merito, anche la Corte rimettente ritiene che la nuova
formulazione  dell'art.  576 cod. proc. pen. imponga «di escludere il
potere  di  appello della parte civile»: cio' perche' la soppressione
dell'inciso «con il mezzo previsto per il pubblico ministero» avrebbe
totalmente svincolato il potere di impugnazione della parte civile da
quello del pubblico ministero;
     che,   pertanto,   alla  parte  civile  «non  puo'  piu'  essere
riconosciuta  la  facolta'  di  appello,  ne'  contro  le sentenze di
condanna,  ne'  contro  le  sentenze  di  assoluzione,  e neanche nei
residui  casi  in  cui  tale facolta' e' tuttora concessa al p.m. dal
nuovo art. 593, comma 2, cod. proc. pen.»;
     che  l'eliminazione  del  potere di appello della persona offesa
costituitasi  parte civile integrerebbe una violazione degli artt. 3,
24 e 111 Cost.;
     che   nell'ordinanza   si   evidenzia,   in  primo  luogo,  come
l'eliminazione  del  potere di appello impedirebbe «alla parte civile
di chiedere il riesame nel merito di decisioni che potrebbero esserle
irreparabilmente pregiudizievoli, in base ai meccanismi preclusivi di
cui agli artt. 652 e 654 cod. proc. pen.»;
     che  la  disciplina  censurata  sarebbe  inoltre  irragionevole,
poiche', da un lato, mantiene inalterata la possibilita' per la parte
civile  di  far  valere  le proprie pretese civilistiche nel processo
penale  e,  dall'altro,  «scoraggia  tale  scelta, deprivandola degli
adeguati strumenti di tutela giuridica delle medesime»;
     che,  in riferimento al lamentato contrasto con l'art. 24 Cost.,
la  Corte  rimettente  osserva  come  il diritto di difesa, garantito
anche  alla  persona  offesa  dal  reato, non possa ritenersi attuato
dalle  sole norme connesse alla costituzione di parte civile, dovendo
invece  «estrinsecarsi  nell'effettivita'  della tutela delle pretese
civilistiche», ivi compreso evidentemente il potere di impugnazione;
     che,  quanto  alla dedotta lesione dell'art. 111, secondo comma,
Cost.,  la  Corte  d'appello  di  Brescia  osserva come la disciplina
censurata  «introduca  un evidente squilibrio fra le parti, impedendo
radicalmente  l'appello alla parte civile, sia in caso di assoluzione
che  di condanna, laddove all'imputato e' riconosciuta ampia facolta'
di  impugnazione»:  uno squilibrio oltre il limite consentito sia dal
principio  di  ragionevolezza,  sia  dal  rispetto  di  altri  valori
costituzionali  e,  segnatamente, del diritto di difesa delle persone
offese dal reato e del principio della parita' tra le parti;
     che  la  Corte d'appello di Brescia formula, in riferimento alla
disciplina  transitoria,  censure analoghe a quelle prospettate dalle
altre  ordinanze  di rimessione, sul rilievo che la parte civile - in
mancanza  di  una  disciplina che le consenta di proporre ricorso per
cassazione,   come   previsto   per   il  pubblico  ministero  e  per
l'imputato -  sarebbe «costretta a subire l'efficacia di un giudicato
formatosi  sulla sentenza di primo grado e senza piu' la possibilita'
di  ricorrere  al  giudice  civile, pur avendo optato per il giudizio
penale  in  un  contesto  legislativo  che  le conferiva il potere di
appello»;
     che, con ordinanza del 30 maggio 2006 (r.o. n. 231 del 2007), la
Corte  d'appello  di Lecce ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,
24,   97   e   111  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale   dell'art.  576  cod.  proc.  pen.,  come  modificato
dall'art.  6  della  legge  n. 46  del  2006, «nella parte in cui non
consente  alla  parte  civile  l'appello  contro le sentenze di primo
grado», e dell'art. 10 della medesima legge, «che dichiara, anche con
riguardo alla parte civile, applicabile ai processi in corso la nuova
disciplina»;
     che la Corte d'appello rimettente premette che, con sentenza del
Tribunale  di Brindisi, l'imputato e' stato condannato per i reati di
danneggiamento,  lesioni  personali,  minacce  e  ingiurie, unificati
dalla continuazione, alla pena complessiva di mesi tre di reclusione,
previo riconoscimento delle attenuanti generiche;
     che  avverso  detta  sentenza  hanno  proposto  appello le parti
civili,    «chiedendo,    ai   sensi   dell'art.   577   c.p.p.,   la
rideterminazione della pena, reputando inadeguata quella inflitta per
il  reato satellite di ingiurie, nonche' revocarsi il beneficio della
sospensione condizionale e liquidarsi, a titolo di danni, la somma di
10.000,00  (a fronte di quella - euro 400,00 - liquidata in sentenza,
reputata  inadeguata)», e l'imputato, che ha chiesto l'assoluzione in
relazione a tutte le imputazioni;
     che la Corte d'appello - rilevato che nelle more del giudizio e'
entrata  in  vigore  la legge n. 46 del 2006 che ha modificato l'art.
576  cod.  proc.  pen. e ha abrogato l'art. 577 dello stesso codice -
afferma  che  per  effetto di tali modifiche l'appello proposto dalla
parte  civile  ai sensi dell'art. 577 cod. proc. pen. dovrebbe essere
dichiarato inammissibile;
     che,  quanto  alla  impugnazione  proposta dalla parte civile ai
sensi  dell'art.  576  cod. proc. pen., la Corte d'appello rimettente
ritiene   invece   di   dover  sollevare  questione  di  legittimita'
costituzionale  nei  termini  sopra  precisati,  sul  presupposto che
l'art.  576  censurato, nella formulazione risultante dalle modifiche
introdotte  dalla  legge  n. 46 del 2006, non consenta piu' l'appello
della   parte   civile   avverso   le   sentenze  di  condanna  e  di
proscioglimento;
     che,  al riguardo, la rimettente osserva che la possibilita' per
la  parte  civile  di  proporre appello - avverso i capi civili della
sentenza di condanna e, ai soli effetti della responsabilita' civile,
avverso  la  sentenza  di  proscioglimento - derivava unicamente, nel
previgente  assetto  normativo,  dal collegamento tra l'art. 576 cod.
proc. pen. e l'art. 593 dello stesso codice;
     che proprio per tale ragione, nel corso dei lavori parlamentari,
si decise di «sganciare» il potere di impugnazione della parte civile
da quello del pubblico ministero, attraverso l'eliminazione nell'art.
576  cod.  proc.  pen.  dell'inciso  «con  il  mezzo  previsto per il
pubblico  ministero», cosi' da mantenere ferma la possibilita' per la
parte civile di proporre impugnazione;
     che  tuttavia,  nonostante  la  chiara volonta' legislativa, una
volta  eliminato il collegamento con l'appello del pubblico ministero
non  e'  piu'  possibile  riconoscere  un  analogo  potere alla parte
civile,  stante  il  principio  di  tassativita'  delle  impugnazioni
contenuto nell'art. 568, comma 1, cod. proc. pen.;
     che  pertanto -  mancando  oggi  nel codice una disposizione che
consenta  alla parte civile di proporre appello contro le sentenze di
primo  grado  (di  condanna  e  di proscioglimento) - l'unico rimedio
offerto  alla  parte civile a tutela delle proprie ragioni sarebbe il
ricorso per cassazione;
     che  il  mantenimento  in  capo  alla parte civile del potere di
proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento e di condanna
non  potrebbe,  del resto, desumersi ne' dal mancato riferimento alla
parte  civile in sede di disciplina transitoria (evidenziandosi anzi,
al  riguardo,  un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale,
derivante  dalla  impossibilita'  per  la  parte  civile  di proporre
ricorso per cassazione come previsto invece per il pubblico ministero
e  per  l'imputato); ne' dal riferimento all'impugnazione della parte
civile contenuto nell'art. 600 cod. proc. pen., che si riferisce alle
sole statuizioni concernenti la provvisionale;
     che,  tanto  premesso,  la  Corte d'appello di Lecce afferma che
l'attuale  sistema  delle  impugnazioni -  nella  parte  in  cui  non
consente  piu'  l'appello  della  parte civile avverso le sentenze di
condanna  e  di  proscioglimento -  si  pone  «in  contrasto  con  la
Costituzione,  tanto piu' ove si consideri che la possibilita' per la
parte  civile  di proporre appello contro la sentenza di primo grado,
sia  pure  ai  soli  effetti  civili,  venne  introdotta  nel  nostro
ordinamento  proprio  in  seguito  alla  sentenza n. 1 del 1970 della
Corte costituzionale»;
     che,  quanto  alla  disciplina  transitoria, la Corte rimettente
pone  in evidenza come essa finisca per «paralizzare le gia' azionate
pretese  civilistiche  del  danneggiato  dal  reato,  pretese  che se
proposte nella sede civile avrebbero potuto essere coltivate non solo
in  primo  grado,  ma  anche  in  grado  d'appello»,  con conseguente
violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost.;
     che,  nei  giudizi  da  cui  originano  le ordinanze iscritte ai
numeri  159,  160,  602  e  635  del  registro ordinanze del 2007, e'
intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio,  rappresentato  e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato;
     che   l'Avvocatura   generale   eccepisce,   in   primo   luogo,
l'inammissibilita'   delle  questioni  proposte  alla  stregua  della
ordinanza  n. 32  del  2007,  con  cui  la  Corte  costituzionale  ha
dichiarato  la  manifesta inammissibilita' di questioni analoghe, per
omessa   verifica -   da   parte   dei   giudici  rimettenti -  della
possibilita'  di  interpretare  la  disposizione  censurata  in senso
conforme a Costituzione, in assenza di un diritto vivente;
     che,  nel  merito, la difesa erariale ritiene peraltro infondate
le    questioni,   perche'   basate   su   un   erroneo   presupposto
interpretativo:  a  suo avviso, infatti, in ossequio al «fondamentale
canone   ermeneutico»   che  impone  di  preferire  l'interpretazione
conforme  a Costituzione, l'art. 576 cod. proc. pen., come novellato,
ben  potrebbe  essere  interpretato  nel  senso  che  la parte civile
conserva  la  possibilita' di proporre appello avverso la sentenza di
proscioglimento.
   Considerato  che  le  ordinanze  di rimessione sollevano questioni
analoghe  e,  pertanto,  i  relativi giudizi vanno riuniti per essere
definiti con un'unica pronuncia;
     che  le  Corti  d'appello di Palermo (r.o. n. 602 del 2007) e di
Brescia  dubitano,  in  riferimento  agli  artt.  3,  24  e 111 della
Costituzione,  della legittimita' costituzionale dell'art. 576, comma
1,  del codice di procedura penale, come modificato dall'art. 6 della
legge  20  febbraio  2006,  n. 46  (Modifiche  al codice di procedura
penale,   in   materia   di   inappellabilita'   delle   sentenze  di
proscioglimento) -  quest'ultimo  direttamente  censurato dalla Corte
d'appello di Palermo - nella parte in cui esclude che la parte civile
possa proporre appello, ai soli effetti della responsabilita' civile,
avverso  la sentenza di proscioglimento dell'imputato, e dell'art. 10
della medesima legge recante la relativa disciplina transitoria;
     che  la  Corte  d'appello  di Lecce ha sollevato, in riferimento
agli  artt.  3,  24,  97  e  111  Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  576  cod. proc. pen., come novellato dalla
legge  n. 46  del  2006,  «nella parte in cui non consente alla parte
civile  l'appello  contro  le sentenze di primo grado» e dell'art. 10
della stessa legge;
     che  le  Corti  d'appello  di  Napoli e di Palermo (r.o. n. 18 e
n. 159 del 2007) censurano esclusivamente l'art. 10 della legge n. 46
del   2006,   che  prevede  l'immediata  applicabilita'  della  nuova
disciplina  ai  procedimenti  in corso alla data di entrata in vigore
della  legge,  senza  consentire  alla parte civile - a differenza di
quanto  previsto  invece per il pubblico ministero e per l'imputato -
di  proporre  ricorso per cassazione, a seguito della declaratoria di
inammissibilita'  dell'appello  anteriormente proposto, per contrasto
con gli artt. 3, 24 e 111 Cost.;
     che  presupposto  comune  dei dubbi di costituzionalita' e - per
tutte le ordinanze di rimessione - la premessa interpretativa secondo
cui  la riforma delle impugnazioni del 2006 avrebbe soppresso, per la
parte civile, il potere di appello;
     che  le  Corti  rimettenti  pervengono  sostanzialmente  a  tale
conclusione  alla  luce  del  generale  principio di tassativita' dei
mezzi  di  impugnazione  espresso  nell'art. 568, comma 1, cod. proc.
pen.  ed in forza di una duplice considerazione: sia la constatazione
che  la  parte  civile  non  e'  inclusa tra i soggetti legittimati a
proporre appello dall'art. 593 cod. proc. pen.; sia il rilievo che il
testo  novellato  dell'art.  576  del  codice di rito - nel corpo del
quale  e'  stata  soppressa  l'originaria statuizione, che consentiva
alla  parte  civile  di  proporre  impugnazione  con  lo stesso mezzo
previsto  per il pubblico ministero - non specifica di quali mezzi di
impugnazione detta parte sia ammessa a fruire;
     che   peraltro,   questa   Corte -   dichiarando  manifestamente
inammissibile una questione di legittimita' costituzionale fondata su
un  identico  presupposto ermeneutico (ordinanza n. 32 del 2007) - ha
evidenziato  che  «deve  registrarsi  l'assenza  allo  stato,  di  un
«diritto  vivente» conforme alla premessa interpretativa posta a base
dei  dubbi di legittimita' costituzionale»: potendosi ravvisare, gia'
all'epoca di tale decisione, una diversa soluzione ermeneutica idonea
a soddisfare il petitum degli odierni rimettenti;
     che, in particolare, nella citata pronuncia, e' stata richiamata
l'opposta  tesi  affermata dalla Corte di cassazione, in virtu' della
quale  la  novella  del 2006 non avrebbe affatto determinato il venir
meno,  in  capo  alla  parte  civile, del potere di appello contro le
sentenze  di  proscioglimento,  ai soli effetti della responsabilita'
civile;
     che  tale  tesi - nel frattempo divenuta maggioritaria presso la
giurisprudenza  di  legittimita - ha trovato ulteriore conferma nella
pronuncia  delle sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza 29
marzo  2007,  n. 27614)  che  ha ribadito come la parte civile, anche
dopo  l'intervento sull'art. 576 cod. proc. pen. ad opera dell'art. 6
della  legge  n. 46  del  2006,  possa proporre appello, agli effetti
della  responsabilita'  civile, contro la sentenza di proscioglimento
pronunciata nel giudizio di primo grado;
     che,  nell'affermare  tale opzione ermeneutica, il giudice della
legittimita'  ha,  in  particolare,  fatto  leva sull'interpretazione
logico-sistematica  dell'art.  576  cod.  proc. pen. - attribuendo «a
mero  difetto di tecnica legislativa la formulazione letterale» della
norma  in  questione -  e,  soprattutto,  sulla volonta' legislativa,
quale desumibile dai lavori parlamentari;
     che, in proposito, la Corte di cassazione ha evidenziato come le
modifiche  apportate al testo normativo originariamente approvato dal
Parlamento,  dopo il rinvio alle Camere da parte del Presidente della
Repubblica  ai  sensi  dell'art.  74  Cost. -  ed  in  particolare la
soppressione,  nell'art.  576  cod.  proc.  pen., dell'inciso «con il
mezzo  previsto  dal  pubblico  ministero» -  risultassero in realta'
finalizzate  a  «rimodulare,  accrescendoli, i poteri di impugnazione
della  parte civile, sganciandone la posizione da quella del pubblico
ministero»  ed  a  ripristinare,  dunque,  il potere di appello della
parte privata: con il chiaro intento di recepire il rilievo formulato
nel  messaggio  presidenziale,  circa  l'eccessiva compressione della
tutela  delle  vittime  del  reato quale si delineava nelle soluzioni
legislative inizialmente adottate;
     che  i  medesimi rilievi valgono anche, secondo quanto affermato
dalla  stessa  Corte  di cassazione, per cio' che attiene all'appello
della  parte  civile  avverso  i  capi della sentenza di condanna che
riguardano  l'azione  civile  e  le sentenze pronunciate a seguito di
giudizio abbreviato;
     che  a  cio'  va aggiunto come neppure in ordine alla disciplina
transitoria  si riscontri uniformita' di vedute: essendosi affermato,
da  una  parte  della giurisprudenza di legittimita', che ove pure la
nuova  legge avesse effettivamente rimosso il potere di appello della
parte civile, non ne conseguirebbe comunque - contrariamente a quanto
assumono i rimettenti - l'inammissibilita' dell'appello anteriormente
proposto da detta parte; e cio' in quanto la disposizione transitoria
di cui all'art. 10, comma 1 - evocata dai giudici a quibus a sostegno
del  loro assunto - nello stabilire che «la presente legge si applica
ai  procedimenti  in  corso  alla  data  di  entrata  in vigore della
medesima»,  si  sarebbe  limitata  soltanto a riaffermare il generale
principio tempus regit actum, tipico della materia processuale;
     che,   pertanto,   avendo   omesso   i   giudici  rimettenti  di
sperimentare  adeguate  soluzioni  ermeneutiche âˆ' diverse da quelle
praticate  âˆ'  idonee a rendere le disposizioni censurate esenti dai
prospettati  dubbi  di  legittimita',  le  questioni  proposte devono
essere  dichiarate  manifestamente  inammissibili,  alla  luce  della
costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, ordinanze n. 35
del  2006,  n. 381  del 2005 e n. 279 del 2003; nonche', su questione
analoga, oltre alla gia' richiamata ordinanza n. 32 del 2007, si veda
l'ordinanza n. 3 del 2008).
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
              per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi,
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  576  del codice di procedura
penale,  come  modificato  dall'art.  6 della legge 20 febbraio 2006,
n. 46  (Modifiche  al  codice  di  procedura  penale,  in  materia di
inappellabilita'  delle sentenze di proscioglimento), e degli artt. 6
e  10  della  medesima legge, sollevate, in riferimento agli artt. 3,
24,  97 e 111 della Costituzione, dalle Corti d'appello di Napoli, di
Palermo,  di  Brescia  e  di  Lecce,  con  le  ordinanze  indicate in
epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 giugno 2008.
                         Il Presidente: Bile
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 20 giugno 2008
              Il direttore della cancelleria: Di Paola