N. 217 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 febbraio 2008
Ordinanza del 26 febbraio 2008 emessa dal Tribunale di Roma nel procedimento civile promosso da Rizzo Gennaro contro Poste italiane S.p.a. Poste - Prevista possibilita' di assunzione di lavoratori a tempo determinato per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile e ottobre di ogni anno, e di quattro mesi, per periodi diversamente distribuiti, e nella percentuale non superiore al 15 per cento dell'organico aziendale - Ingiustificato deteriore trattamento dei lavoratori delle poste rispetto agli altri lavoratori riguardo all'applicabilita' di un termine al rapporto di lavoro subordinato senza una causa giustificatrice - Indebita interferenza sul potere giudiziario per la sottrazione al sindacato del giudice ordinario del potere di verifica delle ragioni poste alla base dell'assunzione a tempo determinato. - Decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, art. 2, comma 1-bis, aggiunto dall'art. 1, comma 558, della legge 23 dicembre 2005, n. 266. - Costituzione, artt. 3, primo comma, 101, 102 e 104.(GU n.29 del 9-7-2008 )
IL TRIBUNALE All'udienza del 26 febbraio 2008 ha pronunciato, dandone lettura, la seguente ordinanza nella controversia in materia di lavoro iscritta al n. 211008/07 R.G. e vertente tra Rizzo Gennaro, elettivamente domiciliato in Napoli, via Carriera Grande presso lo studio dell'avv. F. Iorio che lo rappresenta e difende per procura in atti, ricorrente e Poste Italiane S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via L.G. Faravelli n. 22 presso lo studio dell'avv. M. Grassi che lo rappresenta e difende per procura in atti, convenuto. Con ricorso depositato in data 15 maggio 2007, ritualmente notificato, Rizzo Gennaro conveniva in giudizio Poste Italiane S.p.a. chiedendo accertare e dichiarare la nullita', l'illegittimita' e l'invalidita' del termine apposto al contratto di lavoro sottoscritto il 30 giugno 2006 tra le parti ai sensi dell'art. 2, comma 1-bis del d.lgs. n. 368/2001 cosi' come modificato dalla legge 23 dicembre 2005, n. 266; dichiarare che il rapporto discendente era tuttora in corso; condannare Poste Italiane S.p.a. a riammettere il ricorrente nel posto di lavoro precedentemente occupato; condannare parte convenuta al pagamento, in suo favore, delle retribuzioni a far data dal 1° luglio 2006 a quella della effettiva ripresa del lavoro o da quella ritenuta di Giustizia oltre gli interessi e rivalutazione monetaria, nonche' al versamento, in favore degli aventi diritto, dei contributi previdenziali relativi, con vittoria di spese da distrarsi. A fondamento della domanda attrice assumeva: la necessita' che il contratto a tempo determinato sia vincolato ad una causale oggettiva che ne limiti la durata concreta, non ipotetica, ma riscontrabile nella singola assunzione; la illegittimita' della norma nazionale contenuta nell'art. 2, comma 1-bis, d.lgs. n. 368/2001 - che prevede una ipotesi di assunzione a termine del tutto astratta e svincolata da ragioni obiettive per un intero rilevante settore di attivita' quale e' quello di Poste S.p.a. - rispetto al diritto comunitario che espressamente stabilisce il requisito della necessita' di riscontrare «ragioni oggettive» (7ª considerando Direttiva 99/70/CEE); l'illegittimita' della norma per violazione delle regole di concorrenza; l'illegittimita' della norma per violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. e degli artt. 10 e 76 Cost. per eccesso di delega; Chiedeva, quindi, in via principale un'interpretazione della norma nazionale conforme alla normativa comunitaria con eventuale disapplicazione della normativa in contrasto. In subordine, chiedeva sospendere il giudizio e rimettere ai sensi dell'art. 177 del Trattato dell'Unione alla Corte di giustizia dell'Unione europea la definizione della seguente questione pregiudiziale: «se osta con il disposto della direttiva europea 99/70/CEE del 28 giugno 1999 relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso da UNICE, CEEP e CES, nonche' con gli artt. 39 e 49 TUE, la normativa di recepimento dello Stato italiano e, in particolare, l'art. 2 del d.lgs. n. 368 del 6 settembre 2001 cosi' come modificato dalla legge n. 266 del 23 dicembre 2005 che autorizza l'apposizione di un termine al rapporto di lavoro con le Poste Italiane S.p.a. in forma "acausale" e, pertanto, in assenza di ragioni obiettive». Rilevava, poi, che in ogni caso l'errata trasposizione della direttiva contenuta nella legge delega alla quale il decreto legislativo dava concreta attuazione determinava altresi' un evidente vizio di incostituzionalita' del decreto legislativo attuativo per contrasto con gli artt. 3, e, 10, 24, 35 e 75 della Costituzione e chiedeva la rimessione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, d.lgs. n. 368/2001, cosi' come modificato dalla legge n. 256/2005 nelle parte in cui esclude ingiustamente dalla necessita' e/o esistenza di una causale obiettiva e dall'obbligo di motivazione a pena di inefficacia, l'assunzione a termine per le Poste Italiane S.p.a. per un periodo di 6 mesi, compresi tra aprile e ottobre di ogni anno e di 4 mesi per i periodi diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al 15% dell'organico aziendale che, al primo gennaio dell'anno a cui le assunzioni si riferiscono, risulti complessivamente alle sue dipendenze. Si costituiva tempestivamente Poste Italiane S.p.a., deducendo che l'art. 2, comma 1-bis, d.lgs. n. 368/2001 legittima il rapporto di lavoro a termine quando l'assunzione sia effettuata da aziende concessionarie del servizio pubblico postale, abbia luogo per lo svolgimento di tali attivita' connesse all'espletamento di tale servizio e duri per un periodo complessivo di sei mesi, se tali contratti sono stipulati tra aprile ed ottobre, e quattro mesi per i periodi diversamente distribuiti nell'arco dell'anno, con il limite percentuale del 15% dell'organico aziendale adibito alle stesse attivita'; che con tale norma il legislatore - muovendo nel solco gia' tracciato dall'art. 1, legge n. 230/1962 - ha voluto tipizzare, con una valutazione effettuata ex ante, le ragioni oggettive che consentono di stipulare contratti a termine; che si tratta di una presunzione legale, dove la sussistenza delle ragioni che giustificano l'apposizione de termine al contratto di lavoro e' desunta dalle caratteristiche peculiari del settore; che il legislatore ha utilizzato la stessa tecnica prevista per il trasporto aereo e aeroportuale, con una valutazione di tipicita' sociale ispirata all'esperienza della particolare intensificazione della domanda dei servizi in certi periodi dell'anno per il trasporto aereo e per necessita' di assicurare il mantenimento del livello quantitativo e qualitativo dei servizi postali - che hanno valenza universale e rappresentano un servizio pubblico essenziale in relazione al quale la societa' Poste Italiane concessionaria e' tenuta a garantire la continuita' - in presenza di altalenanti flussi di immissione di corrispondenza sul mercato non sempre prevedibili; che pertanto Poste Italiane puo' integrare il suo organico ricorrente a forme contrattuali flessibili ed e' esonerata dalla dimostrazione della ricorrenza della causale giustificativa dell'apposizione del termine, salvo l'onere di provare l'effettiva sussistenza del tipo di attivita' alla quale ha adibito il personale a termine ed il rispetto del limite numerico pari al 15%. In ordine, poi, alla denunciata violazione delle regole di concorrenza, affermava la piena legittimita' della concessione da parte del nostro ordinamento a Poste Italiane S.p.a. di diritti speciali o esclusivi finalizzati all'espletamento del servizio postale universale, richiamando sia la sentenza emessa dalla Corte di giustizia in data 17 maggio 2001 in causa C-340/99 TNT Traco S.p.a. e Poste Italiane S.p.a. sia la pronuncia della Corte costituzionale n. 419 del 2000. Eccepiva, quindi, l'infondatezza della pretesa violazione del disposto contenuto nella Direttiva 99/70/CE richiamando testualmente le clausole 1 e 5 della direttiva medesima, che ha inteso prevenire abusi e prevedere correlative sanzioni, con conseguente possibilita' per gli Stati membri (anche in relazione a quanto disposto dal 10° considerando dell'accordo recepito dalla direttiva) di tener conto, in sede di applicazione dei principi contenuti nell'accordo medesimo, di particolari e specifiche caratteristiche e/o esigenze legate a determinati settori. Escludeva, inoltre, la violazione della direttiva europea sopra citata per la mancata previsione nell'art. 2, comma 1-bis, d.lgs. n. 368/2001 di «ragioni oggettive» di assunzioni a termine, deducendo che la direttiva europea ha lasciato ampia discrezionalita' al legislatore nazionale nel terminare i casi in cui puo' o non puo' essere apposto il termine di durata al contratto di lavoro, stante il disposto di cui alla clausola 5 che richiamava testualmente e la sua attuazione con gli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 368/2001. Infine, assumeva la pretestuosita' e l'illegittimita' della sollevata questione di incostituzionalita' dell'art. 2, comma 1-bis, d.lgs. n. 368/2001: 1) quanto all'art. 3 Cost., deduceva che per consolidata giurisprudenza costituzionale il contrasto tra la norma di legge e costituzione sussiste ove non vi sia giustificazione in un criterio di razionalita' ossia nell'esigenza di trattare in maniera conforme situazioni analoghe ed in maniera diversa fattispecie tra loro non assimilabili e che nel caso in esame la razionalita' della differenziazione nasceva dalla stessa direttiva comunitaria (che in materia riconosce la discrezionalita' degli Stati membri di prevedere discipline differenziate per settori) e dalle peculiari esigenze di particolari settori di attivita' (come per i dirigenti, per il settore aereo, per il settore agricolo ecc); 2) quanto all'art. 76 Cost., evidenziava che la norma e' stata introdotta nell'ordinamento non in forza della legge n. 422/2000 (legge comunitaria 2000) con la quale il Parlamento ha delegato il Governo a dare attuazione alla direttiva 1999/70/CEE, bensi' a seguito della determinazione del legislatore di estendere al settore postale quanto gia' previsto per il settore aeroportuale; Chiedeva, pertanto, la reiezione del ricorso e, in subordine, la limitazione della condanna economica al periodo successivo all'offerta delle prestazioni da parte del lavoratore e tenendo conto dell'aliunde perceptum. Superflua ogni attivita' istruttoria, veniva fissata udienza per la discussione con termine per il deposito di note autorizzate al giorno 22 novembre 2007. A detta udienza, la causa e' stata rinviata all'udienza monotematica del 26 giugno 2008 - preceduta da note autorizzate - ove e' stata rimessa in discussione in relazione ai profili di possibile illegittimita' costituzionale della lettura dell'art. 2, comma 1-bis, d.lgs. n. 368/2001 anche alla luce della normativa comunitaria. La presente controversia si inserisce nel copioso contenzioso relativo ai contratti a termine stipulati da Poste Italiane S.p.a. e prende, segnatamente, origine dalla nuova disposizione contenuta nell'art. 2, comma 1-bis, d.lgs. n. 368/2001 , come introdotta dall'art. 1, comma 558, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (c.d. finanziaria 2006) ai sensi della quale il Contratto di lavoro a termine e' stato stipulato (30 giugno 2006 al 15 settembre 2006). Occorre, in primo luogo, stabilire l'effettiva portata della norma cosi' introdotta che, testualmente, recita: «Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche quando l'assunzione sia effettuata da imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile e ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al 15 per cento dell'organico aziendale, riferito al 1° gennaio dell'anno cui le assunzioni si riferiscono. Le organizzazioni sindacali provinciali di categoria ricevono comunicazione delle richieste di assunzione da parte delle aziende di cui al presente comma». L'art. 2, d.lgs. n. 368/2001 novellato e' rubricato «disciplina aggiuntiva»; aggiuntiva rispetto all'art. 1 che e' rubricato «apposizione del termine», nel quale sono indicati tutti i requisiti e gli elementi per una legittima apposizione del termine al contratto di lavoro: sussistenza di ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive, e conseguente specificazione scritta. Ritiene questo giudicante che l'unica interpretazione coerente con la ratio della norma e' quella di ritenere che e' stata prevista - in favore del settore postale - una disciplina esclusiva/alternativa rispetto all'art. 1, e non aggiuntiva rispetto a quella generale prevista da quest'ultimo articolo. A sostegno di tale tesi si sono gia' espressi diversi giudici di merito, le cui pronunce vengono condivise da questo giudice remittente (v. Corte Appello Torino 5 ottobre-11 ottobre 2007; Trib. Milano 20 settembre/1° ottobre 2007 Rel. Mennuni; Trib. Milano 25 ottobre 2007 Rel. Peragallo; Trib. Milano 27 settembre 2007 Rel. Di Ruocco; Trib. Milano 25 settembre/6 ottobre 2007 Rel. Sala; Trib. Roma 15 gennaio 2008 Rel. Mimmo). Giova, a questo punto, osservare quanto segue. A sostegno della detta interpretazione vanno richiamate sia la lettura che la ratio della norma, orientate in maniera non equivoca ad introdurre un'ipotesi speciale e tipizzata di legittima apposizione del termine per il trasporto aereo, i servizi aeroportuali e le imprese concessionarie di servizi postali. Una diversa interpretazione - cosi' come proposta da parte ricorrente quale «aggiuntiva» rispetto a quella generale prevista dall'art. 1 - snaturerebbe del tutto la norma, trasformandola da evidente norma di favore per taluni settori di attivita', attraverso l'introduzione di una maggiore elasticita' nella possibilita' di ricorrere ai contratti a termine, in norma «restrittiva» per gli stessi settori di attivita', senza che tale restrizione trovi fondamento in alcuna esigenza concreta. La formulazione della norma - come sopra riportata testualmente - e' identica alla previsione di cui all'art. 1, lett. f) della legge n. 230/1962, introdotta con la legge n. 84/1986, che consentiva la possibilita' di un'autonoma previsione di stipula di contratti a termine per le imprese operanti nel settore del trasporto aereo e nel settore dei servizi aeroportuali. Il fatto che il legislatore ha integralmente riportato nel d.lgs. n. 368/2001 la formulazione della norma in precedenza vigente (salvo aggiungere l'obbligo di comunicazione alle OO.SS.), conduce a ritenere che lo stesso ha inteso prevedere per le imprese operanti nel settore del trasporto aereo una autonoma possibilita' di stipula di contratti a tempo determinato all'interno di limiti temporali e quantitativi individuati dalla norma. Sarebbe, del resto, anomalo ritenere che con l'introduzione dell'art. 2, d.lgs. n. 368/2001, il legislatore ha inteso introdurre una fattispecie del tutto diversa rispetto a quella gia' operante con l'art. 1, lett. f), legge n. 230/1962 e, per fare cio', abbia poi riportato testualmente la norma medesima. Entrambe le norme - perfettamente speculari - contengono, dunque, una disciplina di favore per le aziende operanti nel settore del traffico aereo e dei servizi aeroportuali, introducendo limiti meno rigidi e rigorosi rispetto a quelli gravanti sulla generalita' dei soggetti. Diversamente opinando, ritenere cioe' che la norma abbia introdotto una disciplina che non prescinda ma si aggiunga ai presupposti di cui all'art. 1 della norma medesima, si perverrebbe all'effetto esattamente opposto rispetto a quello di agevolare le imprese indicate: infatti, queste potrebbero stipulare contratti a termine non solo rispettando i criteri generali di cui all'art. 1 ma anche quelli previsti dall'art. 2, introducendo cosi' per tali imprese una disciplina ancor piu' rigorosa e restrittiva proprio per le aziende di quel settore. Tale interpretazione, del resto, e' confortata sia dal termine utilizzato nel testo della rubrica - disciplina aggiuntiva - da intendersi riferito non ai criteri di cui all'art. 1 bensi' alle aziende di quel settore, sia dal fatto che entrambe le norme iniziano utilizzando la stessa locuzione («e' consentita 1'apposizione di un termine alla durata del contratto ...»), lasciando cosi' intendere che entrambe sono destinate a disciplinare i casi in cui la previsione di un termine sia legittima. La medesima interpretazione, allora, deve operarsi in relazione all'ipotesi aggiunta nel comma 1-bis dall'art. 1, comma 558, legge n. 266/2005 relativa alle «imprese concessionarie del servizio postale»: la disciplina del primo comma e' espressamente richiamata nell'incipit, sicche' il legislatore ha chiaramente voluto estendere la medesima disciplina (di cui al primo comma relativa alle imprese del trasporto aereo) anche alle imprese concessionarie del servizio postale. Ad ulteriore conforto di tale interpretazione concorrono i lavori parlamentari relativi alla norma poi riprodotta dall'art. 1, comma 558, legge n. 266/2005: dalla relazione illustrativa del 2 novembre 2005 si evince che l'indirizzo del governo, espresso nella risoluzione 8-00138 della seduta del 28 luglio 2005 della IX Commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni, era rivolto a porre un freno al fenomeno della precarizzazione nel settore postale oltre che limitare le spese di giustizia dell'annoso contenzioso in corso. Dunque, si tratta di un'evidente scelta politica di sostegno a favore di Poste Italiane S.p.a. incidente anche sul bilancio dello Stato, che non puo' che essersi tramutata in una inclusione di Poste nella disciplina di favore gia' esistente per le imprese del settore del trasporto aereo, contenente la previsione di una causale ad hoc. Quanto, poi, all'applicazione soggettiva dell'art. 2, comma 1-bis, ritiene il giudice remittente non condivisibile la tesi - sostenuta da parte attrice - secondo la quale la norma non sarebbe applicabile alla resistente in quanto non si tratterebbe di impresa «concessionaria» del servizio postale, ma di un'impresa «assegnataria» del servizio postale universale. Risulta, infatti, irrilevante il fatto che l'art. 23, comma 2, d.lgs. n. 261/1999 utilizzi il termine «assegnazione» in luogo di «concessione», trattandosi di istituto giuridico rientrante a pieno titolo nel concetto di «concessione amministrativa», come del resto reso evidente dal decreto ministeriale attuativo della norma indicata del 17 aprile 2000 che fa proprio riferimento alla concessione del servizio postale universale alla societa' Poste Italiane S.p.a. Peraltro, sempre dai lavori parlamentari gia' sopra citati emerge con evidenza il riferimento della norma in questione proprio alla societa' Poste Italiane S.p.a. L'esame dei motivi di doglianza di parte ricorrente impone il rispetto dell'ordine di priorita' giuridica da riservare alle preliminari. Infatti, parte attrice ritiene che li' ove la norma venga interpretata in alternativa rispetto all'art. 1 contrasterebbe con l'ordinamento europeo ed in particolare con la direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso tra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale. Questa tesi comporta al giudice la risoluzione di problematiche connesse all'interferenza ed impatto del diritto comunitario sul diritto interno, non solo e non tanto in ordine alle norme di legge ordinaria, ma anche e soprattutto in relazione a principi fondamentali aventi rilevanza e riconoscimento nel sistema costituzionale italiano. Il conflitto fra una previsione contenuta nel diritto comunitario con norme interne comporta in capo al giudice nazionale investito della controversia in cui venga in questione l'applicazione di entrambe le fonti disciplinanti la fattispecie il dovere di dare luogo ad una interpretazione adeguatrice della norma di diritto nazionale ovvero, in caso di conflitto irrisolvibile sussistente allorche' quest'ultima disponga in modo diverso ed inconciliabile con la norma comunitaria, il potere del giudice nazionale di disapplicare la norma di diritto interno operando una sorta di sindacato di legittimita' diffuso. Nell'esame della pregiudiziale, ritiene il giudice remittente di aderire all'orientamento giurisprudenziale che, in sede di merito, risulta - allo stato - maggioritario secondo il quale tale contrasto non risulta ravvisabile. In primo luogo, in quanto le clausole dell'accordo quadro con valore precettivo indicano unicamente quale obiettivo: a) il miglioramento della qualita' del lavoro a tempo determinato garantendo il principio della non discriminazione; b) la creazione di un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato. Non e' dettata, pertanto, alcuna direttiva in ordine all'iniziale contratto a termine stipulato dalle parti e tanto meno in ordine alla necessita' della indicazione di una causale specifica a fronte dell'apposizione del termine. Inoltre, dal «considerando» numero 10 del citato accordo si evince come sia stata demandata agli Stati membri ed alle parti sociali la formulazione di disposizioni volte all'applicazione di principi generali, dei requisiti minimi e delle norme in esso contenuti al fine di tener conto della situazione di ciascuno Stato membro e delle circostanze relative a particolari settori e occupazioni, comprese le attivita' di tipo stagionale: pertanto, l'art. 2, d.lgs. n. 368/2001 altro non e' che la realizzazione di una normativa specifica appunto a due particolari settori. Ancora, la clausola n. 3 del citato accordo quadro, relativa alla definizione di lavoratore a tempo determinato contraddistinto dalla sussistenza di un contratto nel quale il termine sia determinato da condizioni oggettive quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico, non conduce a soluzioni diverse. Infatti, anche tale clausola non richiede affatto un'indicazione specifica della causa giustificativa dell'apposizione del termine, ma richiede unicamente la sussistenza di una certa data, requisito assolutamente presente nell'art. 2 citato allorche' si fa riferimento a contratti a termine da stipularsi tra l'aprile e l'ottobre, requisito presente anche nel contratto a termine stipulato nel caso in esame. Si puo', allora, concludere che l'accordo quadro al quale fa riferimento parte ricorrente regola unicamente gli abusi derivanti da una successione di contratti (vedi anche la clausola 5 che e' dedicata alle misure di prevenzione degli abusi derivanti proprio dall'utilizzo di una successione di contratti e solo in relazione a tale fattispecie e' prevista l'adozione di misure relative alle ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti) e comunque non contiene alcun riferimento alla necessita' della specifica indicazione di una causale per l'apposizione del termine. Appare fornire sostegno a tale interpretazione anche la giurisprudenza della Corte di giustizia (v. sentenza Mangold - Corte di giustizia, grande sezione 22 novembre 2005, causa n. 144/04 sentenza Adelener - Corte di giustizia, grande sezione 4 luglio 2006, causa n. 212/04) che si riferisce a fattispecie inerente alla successione di contratti ed esclude la pertinenza del richiamo alla clausola in relazione al primo contratto a termine stipulato tra le parti. Infine, in ordine al contrasto che si configurerebbe tra la nuova normativa introdotta con la legge finanziaria 2006 e la clausola numero 8 punto 3 - relativa al «non regresso» - si rileva egualmente che le osservazioni svolte dalla difesa di parte attrice non sono condivisibili. Si tratta della clausola che prevede che «l'applicazione del presente accordo non costituisce motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell'ambito coperto dall'accordo stesso»: dalla lettura della norma si evince che e' vietato ridurre il livello generale offerto ai lavoratori allorche', da un lato, ci si trovi di fronte ad una normativa emessa in applicazione del presente accordo e, dall'altro, ci si trovi in un ambito coperto dall'accordo stesso. In ordine al primo aspetto della questione, si osserva che non ci si trova nell'ambito di una normativa emessa in applicazione del suddetto accordo in quanto il d.lgs. n. 368/2001 e' stato emesso per dare attuazione alla direttiva 1999/70/CE) e l'art. 2, comma 1-bis inserito dalla legge finanziaria 2006 e' entrato in vigore a ben cinque anni di distanza. Pertanto, il fatto che il comma in questione sia stato inserito dopo il comma analogo che regola il settore aeroportuale e' solo il frutto di una tecnica legislativa che vuole semplificare con il riferimento per relationem, ma non significa necessariamente che anche questa norma sia stata emessa in funzione dell'applicazione della detta direttiva. Anche diversamente opinando, si rileva in ogni caso che il divieto di regresso si riferisce ad una riduzione del livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell'ambito coperto dall'accordo che, come si e' osservato, e' solo l'ambito relativo alla successione dei contratti a termine. A sostegno di tale tesi si richiama la gia' citata sentenza Mangold (Corte di giustizia, grande sezione 22 novembre 2005 causa 144/04) laddove si afferma che una reformatio in peius della protezione offerta al lavoratori nel settore dei contratti a tempo determinato non e' in quanto tale vietata dall'accordo quadro quando non e' in alcun modo collegata con l'applicazione di questo. Alla luce di tali considerazioni, dunque, si deve ritenere che l'art. 2, comma 1-bis, d.lgs. n. 368/2001 - richiamato da Poste Italiane S.p.a. quale riferimento per l'assunzione a termine di parte attrice - non contrasti con l'ordinamento europeo, con conseguente infondatezza delle questioni pure sollevate in riferimento agli artt. 10 e 11 Cost. Residua, pero', questo punto la questione di incostituzionalita' per asserita inosservanza del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. In altri termini occorre accertare se la diversificazione di disciplina in favore di Poste Italiane S.p.a. - rectius delle imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste - sia ragionevole perche' giustificata dalla diversita' delle fattispecie come affermato in ogni occasione in cui la Corte costituzionale abbia fatto applicazione del principio di uguaglianza. Tale verifica si impone dovendo il giudice dare una interpretazione del diritto nazionale conforme non solo al diritto comunitario prevalente su quello interno ma anche ai valori costituzionali fondamentali dello Stato e, fra questi, al principio di uguaglianza consacrato espressamente all'art. 3 Cost. L'uguaglianza, infatti, non va rispettata solo avendo come riferimento l'ambito comunitario, ma per il giudice nazionale, proprio in quanto sottoposto alla legge ed alla Costituzione, vi e' l'obbligo dell'ulteriore verifica se il precetto da applicare sia rispettoso del criterio consacrato all'art. 3, primo comma Cost. all'interno dello Stato italiano, Stato membro. L'esistenza di situazioni eterogenee va, a parere di questo giudice remittente, vagliata sotto il profilo sostanziale, ossia esaminando la consistenza delle fattispecie disciplinate, non potendo ritenersi che la distinta provenienza (fonte in senso soggettivo) delle previsioni normative (una comunitaria ed una di diritto interno) possa giustificare trattamenti diseguali. Trattasi, infatti, di fonti destinate ad operare entrambe nel territorio dello Stato e necessariamente tenute a coordinarsi ed integrarsi nel rispetto si' della preminenza del diritto comunitario operante in virtu' delle limitazioni della sovranita' consentite dall'art. 11 Cost., ma comunque sempre in attuazione dei valori costituzionali nazionali aventi il rango di «principi e diritti fondamentali» la cui osservanza va garantita all'interno dello Stato. Questo in ragione della costante giurisprudenza della Corte costituzionale (da ultimo ribadita nelle sentenze Corte costituzionale sent. n. 348 e n. 349/2007, ma vedasi anche sentenze n. 484/2006, 284/2007 e prima fra tutte sent. n. 183/1973). Tale eterogeneita' di fattispecie non e' ravvisabile nel caso in esame, poiche' l'interpretazione nascente dal combinato disposto dell'art. 1, d.lgs. n. 368/2001 e dell'art. 2, comma 1-bis del medesimo decreto - come sopra illustrata - implica che norme diverse disciplinano in maniera diseguale situazioni identiche, con l'unica differenza che la seconda norma riguarda i lavoratori del settore postale per il quale viene creata una disciplina speciale anche sotto il profilo sanzionatorio. Inoltre, la «acausalita» provocata in tale settore incide anche sul potere giudiziale di verifica delle condizioni giustificatrici dell'apposizione del termine e, di conseguenza, sul principio costituzionale dell'indipendente esercizio della funzione giurisdizionale da parte del giudice ordinario, sottraendogli il potere di valutare autonomamente i fatti rilevanti ai fini della qualificazione del rapporto ex artt. 101 e 104 Cost. La questione viene, pertanto, sollevata anche d'ufficio nei termini del thema decidendum di seguito riassuntivamente precisati: 1) Norma censurata. L'art. 2, comma 1-bis, d.lgs. n. 368/2001 - come modificato dalla legge n. 266/2005 - ha introdotto per le aziende concessionarie del servizio postale (e segnatamente per Poste Italiane S.p.a.) una disciplina esclusiva/alternativa rispetto a quella prevista in via generale dall'art. 1 del citato decreto legislativo. Ne consegue che tali aziende hanno la possibilita' di assumere a tempo determinato senza neppure l'obbligo di indicazione scritta del termine di durata oltre che della causale e di consegnare copia del contratto al dipendente, consentendo cosi' di «peggiorare» la vecchia tutela dei lavoratori a tempo determinato che gia' prevedeva l'obbligo di indicazione scritta del termine di durata (art. 1, comma 3, legge n. 230/1962). Nella vecchia normativa (per gli aeroportuali) era stata inserita un ulteriore ipotesi alla lettera f), fermi restando, parimenti alle altre ipotesi, tutti i requisiti generali previsti per la legittima apposizione del termine, quali l'indicazione scritta della durata, la consegna del contratto ecc. Dunque, e' stata introdotta la possibilita' - nel settore postale - di utilizzare contratti senza causale accanto a quelli con causale: l'art. 2, comma 1-bis, prevede la possibilita' di stipulare per 10 mesi (6+4), consentendo di fatto di poter stipulare per tutto l'anno e oltre contratti a termine con causale e senza causale. Si tratta di una disciplina di favore per il settore postale per sei mesi tra aprile e ottobre (periodo complessivo), periodo durante il quale si possono succedere tutte le assunzioni che si desiderano, cosi' come per 4 mesi nel restante periodo, senza alcun vincolo purche' - ovviamente - si rimanga entro i detti tetti temporali. Al di fuori di questi periodi si rientra nella disciplina generale ex art. 1 con conseguente applicazione dei limiti alla successione previsti nell'art. 5 d.lgs. n. 368/2001. Peraltro, anche la disciplina «sanzionatoria» appare piu' lieve rispetto a quella prevista per i contratti stipulati ex art. 1, d.lgs. n. 368/2001: infatti, l'art. 5, comma 3, richiama la successione dei contratti stipulati ex art. 1 e non ex art. 2, con la conseguenza che il secondo contratto intervenuto entro i dieci/venti giorni dalla scadenza del precedente viene considerato a tempo indeterminato. La sanzione della conversione, dunque, non opera per i contratti stipulati ex art. 2, per i quali e' prevista la disciplina speciale in forza della quale ogni anno si possono succedere un numero indefinito di assunzioni purche' non vengano superati i limiti del periodo complessivo di 6 mesi tra aprile e ottobre e di 4 mesi nei restanti mesi dell'anno, con applicabilita' dunque solo della sanzione ex art. 5, comma 4, li' ove non vi sia una distanza tra i contratti di almeno un giorno l'uno dall'altro. Tale lettura importa una disparita' di trattamento tra i lavoratori in generale e quelli addetti al servizio postale, per i quali non opera necessariamente la disciplina - anche sanzionatoria - di carattere generale. 2) Norme parametro. Art. 3, primo comma, Cost. laddove importa che situazioni eguali debbano essere oggetto di uguale disciplina normativa. Artt. 101, 102 e 104 Cost., laddove consentono al giudice ordinario di delibare in maniera indipendente per la specifica risoluzione delle concrete fattispecie in giudizio. 3) Sulla rilevanza. Non vi e' dubbio che la legittimita' di una disciplina legislativa che esenta la parte datoriale (Poste Italiane S.p.a.) dal dover fornire prova in ordine alle ragioni obiettive e temporanee che giustifichino l'apposizione del termine in quanto preliminare di merito vada accertata in via di priorita' logica e che essa abbia applicazione nel caso di specie essendo stata rimessa al giudicante la verifica della legittimita' dell'apposizione del termine medesimo al detto contratto di lavoro. Trattandosi di contratto che per tabulas risulta stipulato con espresso richiamo al citato art. 2, comma 1-bis, d.lgs. n. 368/2001, se la disciplina «acausale» venisse ritenuta legittimamente applicabile, il giudicante dovrebbe ritenere valida la clausola appositiva del termine esonerando la parte datoriale dal fornire qualsivoglia riscontro probatorio circa le ragioni temporanee. 4) Sulla non manifesta infondatezza. La questione deve essere sollevata, anche d'ufficio, nell'impossibilita' del giudice remittente di individuare una norma che sia rispettosa del principio fondamentale dell'art. 3 Costituzione. La Corte costituzionale ha gia' piu' volte riconosciuto la legittimita' costituzionale di discipline differenziate del lavoro a termine, giustificate dalle peculiari caratteristiche dei singoli rapporti di lavoro (v. sent. n. 80/1994, ord. n. 347/1998; sent. n. 419/0000). Ai fini del giudizio di legittimita' costituzionale, pero', ha sempre valutato che la norma risponda comunque a criteri di ragionevolezza e/o di razionalita'. Tali criteri non appaiono emergere nel caso in esame: non si ravvede, infatti, quale peculiare elemento di stagionalita' ovvero di peculiarita' possa sottendere il settore postale per giustificare una disciplina derogatoria, tanto meno per 10 mesi su 12 all'anno. Di tali elementi non vi e' alcuna traccia nei lavori parlamentari preparatori gia' sopra citati. Peraltro, mentre per il settore aeroportuale puo' affermarsi che - anche per comune esperienza - il periodo aprile/ottobre rappresenta un momento di maggiore intensita/utilizzo dei servizi con la conseguenza che ad una maggiore domanda della clientela deve corrispondere una adeguata risposta delle imprese e che, pertanto, trattasi di esigenza fisiologica se non patologica di maggior personale, per il settore dei servizi postali non si conoscono le ragioni che giustifichino le dette assunzioni proprio nel medesimo periodo temporale previsto per servizi ben diversi. Analogamente, in occasione della sanatoria del contenzioso concomitante alla trasformazione dell'Ente Poste in societa' per azioni (art. 9, comma 21, d.l. n. 501/1996) la Corte costituzionale aveva ritenuto legittima la disciplina di favore soltanto in ragione dell'eccezionalita' delle circostanze storiche. Tali circostanze non risultano piu' sussistere alla data di entrata in vigore della norma, sicche' i problemi economici della societa' Poste Italiane non possono assurgere ad interessi generali preminenti sui diritti dei lavoratori. Non sono, di conseguenza, ravvisabili valori ed interessi costituzionalmente protetti che giustifichino il sacrificio imposto ai lavoratori del settore postale. La disparita' di trattamento tra lavoratori non trova adeguata giustificazione nel caso concreto, non sussistendo piu' un interesse pubblico al buon esito del processo di privatizzazione del servizio postale. Egualmente, la creazione di una «acausalita» introdotta per le assunzioni a termine nel settore postale sottrae in maniera ingiustificata al giudice ordinario il potere di verifica delle effettive ragioni oggettive e temporanee poste alla base della detta assunzione con conseguente lesione delle prerogative del potere giudiziario.
P. Q. M. Visto l'art. 134 Cost. e l'art. 23 della legge 1° marzo 1953, n. 87; Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1-bis, d.lgs. n. 368/2001, in relazione agli articoli 3, primo comma e 101, 102, 104 Cost.; Sospende il giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti costituite ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Roma, addi' 26 febbraio 2008 Il giudice del lavoro: Delle Donne