N. 217 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 febbraio 2008

Ordinanza  del  26  febbraio  2008  emessa  dal Tribunale di Roma nel
procedimento  civile  promosso da Rizzo Gennaro contro Poste italiane
S.p.a.

Poste  -  Prevista  possibilita'  di assunzione di lavoratori a tempo
  determinato  per  un  periodo  massimo  complessivo  di  sei  mesi,
  compresi  tra aprile e ottobre di ogni anno, e di quattro mesi, per
  periodi diversamente distribuiti, e nella percentuale non superiore
  al  15 per cento dell'organico aziendale - Ingiustificato deteriore
  trattamento   dei   lavoratori  delle  poste  rispetto  agli  altri
  lavoratori riguardo all'applicabilita' di un termine al rapporto di
  lavoro  subordinato  senza  una  causa  giustificatrice  - Indebita
  interferenza sul potere giudiziario per la sottrazione al sindacato
  del  giudice  ordinario  del potere di verifica delle ragioni poste
  alla base dell'assunzione a tempo determinato.
- Decreto  legislativo 6 settembre 2001, n. 368, art. 2, comma 1-bis,
  aggiunto  dall'art.  1,  comma  558,  della legge 23 dicembre 2005,
  n. 266.
- Costituzione, artt. 3, primo comma, 101, 102 e 104.
(GU n.29 del 9-7-2008 )
                            IL TRIBUNALE
   All'udienza  del 26 febbraio 2008 ha pronunciato, dandone lettura,
la  seguente  ordinanza  nella  controversia  in  materia  di  lavoro
iscritta   al   n. 211008/07  R.G.  e  vertente  tra  Rizzo  Gennaro,
elettivamente  domiciliato  in  Napoli, via Carriera Grande presso lo
studio dell'avv. F. Iorio che lo rappresenta e difende per procura in
atti,  ricorrente  e  Poste  Italiane  S.p.a.,  in persona del legale
rappresentante  pro  tempore,  elettivamente domiciliato in Roma, via
L.G.  Faravelli  n. 22  presso  lo  studio dell'avv. M. Grassi che lo
rappresenta e difende per procura in atti, convenuto.
   Con  ricorso  depositato  in  data  15  maggio  2007,  ritualmente
notificato, Rizzo Gennaro conveniva in giudizio Poste Italiane S.p.a.
chiedendo  accertare  e  dichiarare  la  nullita', l'illegittimita' e
l'invalidita' del termine apposto al contratto di lavoro sottoscritto
il  30 giugno 2006 tra le parti ai sensi dell'art. 2, comma 1-bis del
d.lgs.  n. 368/2001  cosi'  come  modificato  dalla legge 23 dicembre
2005,  n. 266;  dichiarare che il rapporto discendente era tuttora in
corso;  condannare  Poste Italiane S.p.a. a riammettere il ricorrente
nel  posto  di  lavoro  precedentemente  occupato;  condannare  parte
convenuta  al pagamento, in suo favore, delle retribuzioni a far data
dal  1°  luglio 2006 a quella della effettiva ripresa del lavoro o da
quella  ritenuta  di  Giustizia  oltre  gli interessi e rivalutazione
monetaria, nonche' al versamento, in favore degli aventi diritto, dei
contributi   previdenziali   relativi,   con  vittoria  di  spese  da
distrarsi.
   A fondamento della domanda attrice assumeva:
     la necessita' che il contratto a tempo determinato sia vincolato
ad  una  causale  oggettiva  che  ne  limiti  la durata concreta, non
ipotetica, ma riscontrabile nella singola assunzione;
     la  illegittimita'  della norma nazionale contenuta nell'art. 2,
comma  1-bis,  d.lgs.  n. 368/2001  -  che  prevede  una  ipotesi  di
assunzione  a  termine  del  tutto  astratta  e svincolata da ragioni
obiettive  per  un  intero  rilevante  settore  di attivita' quale e'
quello  di  Poste  S.p.a.  -  rispetto  al  diritto  comunitario  che
espressamente stabilisce il requisito della necessita' di riscontrare
«ragioni oggettive» (7ª considerando Direttiva 99/70/CEE);
     l'illegittimita'  della  norma  per  violazione  delle regole di
concorrenza;
     l'illegittimita'  della  norma  per  violazione del principio di
uguaglianza  ex  art. 3 Cost. e degli artt. 10 e 76 Cost. per eccesso
di delega;
   Chiedeva, quindi, in via principale un'interpretazione della norma
nazionale   conforme   alla   normativa   comunitaria  con  eventuale
disapplicazione della normativa in contrasto.
   In subordine, chiedeva sospendere il giudizio e rimettere ai sensi
dell'art.  177  del  Trattato  dell'Unione  alla  Corte  di giustizia
dell'Unione   europea   la   definizione   della  seguente  questione
pregiudiziale:  «se  osta  con  il  disposto  della direttiva europea
99/70/CEE del 28 giugno 1999 relativa all'accordo quadro sul lavoro a
tempo  determinato  concluso  da  UNICE,  CEEP e CES, nonche' con gli
artt.  39  e 49 TUE, la normativa di recepimento dello Stato italiano
e,  in  particolare,  l'art. 2 del d.lgs. n. 368 del 6 settembre 2001
cosi'  come  modificato  dalla  legge n. 266 del 23 dicembre 2005 che
autorizza  l'apposizione  di  un termine al rapporto di lavoro con le
Poste  Italiane S.p.a. in forma "acausale" e, pertanto, in assenza di
ragioni obiettive».
   Rilevava,  poi,  che  in  ogni  caso  l'errata trasposizione della
direttiva   contenuta  nella  legge  delega  alla  quale  il  decreto
legislativo dava concreta attuazione determinava altresi' un evidente
vizio  di  incostituzionalita'  del decreto legislativo attuativo per
contrasto  con  gli  artt. 3, e, 10, 24, 35 e 75 della Costituzione e
chiedeva la rimessione della questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  2,  d.lgs.  n. 368/2001, cosi' come modificato dalla legge
n. 256/2005 nelle parte in cui esclude ingiustamente dalla necessita'
e/o  esistenza di una causale obiettiva e dall'obbligo di motivazione
a  pena  di inefficacia, l'assunzione a termine per le Poste Italiane
S.p.a.  per  un  periodo  di 6 mesi, compresi tra aprile e ottobre di
ogni  anno e di 4 mesi per i periodi diversamente distribuiti e nella
percentuale  non  superiore  al  15%  dell'organico aziendale che, al
primo  gennaio  dell'anno a cui le assunzioni si riferiscono, risulti
complessivamente alle sue dipendenze.
   Si costituiva tempestivamente Poste Italiane S.p.a., deducendo che
l'art.  2,  comma  1-bis, d.lgs. n. 368/2001 legittima il rapporto di
lavoro  a  termine  quando  l'assunzione  sia  effettuata  da aziende
concessionarie  del  servizio  pubblico  postale,  abbia luogo per lo
svolgimento  di  tali  attivita'  connesse  all'espletamento  di tale
servizio  e  duri  per  un  periodo  complessivo di sei mesi, se tali
contratti  sono stipulati tra aprile ed ottobre, e quattro mesi per i
periodi  diversamente  distribuiti nell'arco dell'anno, con il limite
percentuale  del  15%  dell'organico  aziendale  adibito  alle stesse
attivita';  che  con  tale  norma il legislatore - muovendo nel solco
gia'  tracciato dall'art. 1, legge n. 230/1962 - ha voluto tipizzare,
con  una  valutazione  effettuata  ex  ante, le ragioni oggettive che
consentono  di  stipulare  contratti  a termine; che si tratta di una
presunzione   legale,   dove   la   sussistenza   delle  ragioni  che
giustificano  l'apposizione  de  termine  al  contratto  di lavoro e'
desunta   dalle   caratteristiche   peculiari  del  settore;  che  il
legislatore ha utilizzato la stessa tecnica prevista per il trasporto
aereo  e  aeroportuale,  con  una  valutazione  di  tipicita' sociale
ispirata  all'esperienza  della  particolare  intensificazione  della
domanda dei servizi in certi periodi dell'anno per il trasporto aereo
e   per   necessita'   di  assicurare  il  mantenimento  del  livello
quantitativo  e  qualitativo  dei servizi postali - che hanno valenza
universale   e  rappresentano  un  servizio  pubblico  essenziale  in
relazione  al  quale  la  societa'  Poste  Italiane concessionaria e'
tenuta a garantire la continuita' - in presenza di altalenanti flussi
di  immissione  di corrispondenza sul mercato non sempre prevedibili;
che pertanto Poste Italiane puo' integrare il suo organico ricorrente
a  forme  contrattuali flessibili ed e' esonerata dalla dimostrazione
della  ricorrenza  della  causale giustificativa dell'apposizione del
termine, salvo l'onere di provare l'effettiva sussistenza del tipo di
attivita' alla quale ha adibito il personale a termine ed il rispetto
del limite numerico pari al 15%.
   In  ordine,  poi,  alla  denunciata  violazione  delle  regole  di
concorrenza,  affermava  la  piena  legittimita' della concessione da
parte  del  nostro  ordinamento  a  Poste  Italiane S.p.a. di diritti
speciali   o  esclusivi  finalizzati  all'espletamento  del  servizio
postale universale, richiamando sia la sentenza emessa dalla Corte di
giustizia in data 17 maggio 2001 in causa C-340/99 TNT Traco S.p.a. e
Poste  Italiane  S.p.a.  sia  la pronuncia della Corte costituzionale
n. 419 del 2000.
   Eccepiva,  quindi,  l'infondatezza  della  pretesa  violazione del
disposto  contenuto nella Direttiva 99/70/CE richiamando testualmente
le  clausole  1 e 5 della direttiva medesima, che ha inteso prevenire
abusi  e prevedere correlative sanzioni, con conseguente possibilita'
per  gli  Stati  membri (anche in relazione a quanto disposto dal 10°
considerando  dell'accordo  recepito dalla direttiva) di tener conto,
in sede di applicazione dei principi contenuti nell'accordo medesimo,
di  particolari  e  specifiche  caratteristiche e/o esigenze legate a
determinati settori.
   Escludeva,  inoltre,  la  violazione della direttiva europea sopra
citata  per  la  mancata  previsione nell'art. 2, comma 1-bis, d.lgs.
n. 368/2001 di «ragioni oggettive» di assunzioni a termine, deducendo
che  la  direttiva  europea  ha  lasciato  ampia  discrezionalita' al
legislatore  nazionale  nel  terminare  i casi in cui puo' o non puo'
essere apposto il termine di durata al contratto di lavoro, stante il
disposto  di cui alla clausola 5 che richiamava testualmente e la sua
attuazione con gli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 368/2001.
   Infine,   assumeva  la  pretestuosita'  e  l'illegittimita'  della
sollevata  questione di incostituzionalita' dell'art. 2, comma 1-bis,
d.lgs. n. 368/2001:
     1)  quanto  all'art.  3  Cost.,  deduceva  che  per  consolidata
giurisprudenza  costituzionale  il  contrasto tra la norma di legge e
costituzione  sussiste  ove non vi sia giustificazione in un criterio
di  razionalita'  ossia nell'esigenza di trattare in maniera conforme
situazioni  analoghe  ed  in maniera diversa fattispecie tra loro non
assimilabili   e   che  nel  caso  in  esame  la  razionalita'  della
differenziazione  nasceva  dalla stessa direttiva comunitaria (che in
materia riconosce la discrezionalita' degli Stati membri di prevedere
discipline  differenziate  per settori) e dalle peculiari esigenze di
particolari  settori  di  attivita'  (come  per  i  dirigenti, per il
settore aereo, per il settore agricolo ecc);
     2)  quanto  all'art. 76 Cost., evidenziava che la norma e' stata
introdotta  nell'ordinamento  non  in  forza  della legge n. 422/2000
(legge  comunitaria  2000)  con la quale il Parlamento ha delegato il
Governo  a  dare  attuazione  alla  direttiva  1999/70/CEE,  bensi' a
seguito  della determinazione del legislatore di estendere al settore
postale quanto gia' previsto per il settore aeroportuale;
   Chiedeva,  pertanto,  la reiezione del ricorso e, in subordine, la
limitazione   della   condanna   economica   al   periodo  successivo
all'offerta delle prestazioni da parte del lavoratore e tenendo conto
dell'aliunde perceptum.
   Superflua  ogni  attivita' istruttoria, veniva fissata udienza per
la  discussione  con  termine  per il deposito di note autorizzate al
giorno 22 novembre 2007.
   A   detta   udienza,   la  causa  e'  stata  rinviata  all'udienza
monotematica del 26 giugno 2008 - preceduta da note autorizzate - ove
e'  stata rimessa in discussione in relazione ai profili di possibile
illegittimita' costituzionale della lettura dell'art. 2, comma 1-bis,
d.lgs. n. 368/2001 anche alla luce della normativa comunitaria.
   La  presente  controversia  si  inserisce  nel copioso contenzioso
relativo  ai contratti a termine stipulati da Poste Italiane S.p.a. e
prende,  segnatamente,  origine  dalla  nuova  disposizione contenuta
nell'art.  2,  comma  1-bis,  d.lgs.  n. 368/2001  ,  come introdotta
dall'art.  1,  comma  558, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (c.d.
finanziaria  2006)  ai  sensi  della  quale  il Contratto di lavoro a
termine e' stato stipulato (30 giugno 2006 al 15 settembre 2006).
   Occorre, in primo luogo, stabilire l'effettiva portata della norma
cosi'  introdotta  che, testualmente, recita: «Le disposizioni di cui
al  comma  1 si applicano anche quando l'assunzione sia effettuata da
imprese  concessionarie  di  servizi  nei  settori delle poste per un
periodo  massimo  complessivo  di  sei  mesi,  compresi  tra aprile e
ottobre  di  ogni  anno,  e  di quattro mesi per periodi diversamente
distribuiti  e  nella  percentuale  non  superiore  al  15  per cento
dell'organico  aziendale,  riferito  al  1°  gennaio dell'anno cui le
assunzioni si riferiscono. Le organizzazioni sindacali provinciali di
categoria  ricevono  comunicazione  delle  richieste di assunzione da
parte delle aziende di cui al presente comma».
   L'art.  2,  d.lgs.  n. 368/2001 novellato e' rubricato «disciplina
aggiuntiva»;   aggiuntiva   rispetto  all'art.  1  che  e'  rubricato
«apposizione  del termine», nel quale sono indicati tutti i requisiti
e gli elementi per una legittima apposizione del termine al contratto
di lavoro: sussistenza di ragioni tecniche, produttive, organizzative
o sostitutive, e conseguente specificazione scritta.
   Ritiene questo giudicante che l'unica interpretazione coerente con
la ratio della norma e' quella di ritenere che e' stata prevista - in
favore  del  settore  postale  - una disciplina esclusiva/alternativa
rispetto  all'art.  1,  e  non  aggiuntiva rispetto a quella generale
prevista da quest'ultimo articolo.
   A  sostegno  di tale tesi si sono gia' espressi diversi giudici di
merito,   le   cui  pronunce  vengono  condivise  da  questo  giudice
remittente  (v. Corte Appello Torino 5 ottobre-11 ottobre 2007; Trib.
Milano  20  settembre/1°  ottobre  2007 Rel. Mennuni; Trib. Milano 25
ottobre  2007  Rel. Peragallo; Trib. Milano 27 settembre 2007 Rel. Di
Ruocco;  Trib.  Milano  25  settembre/6 ottobre 2007 Rel. Sala; Trib.
Roma 15 gennaio 2008 Rel. Mimmo).
   Giova, a questo punto, osservare quanto segue.
   A  sostegno  della  detta  interpretazione vanno richiamate sia la
lettura  che  la ratio della norma, orientate in maniera non equivoca
ad   introdurre   un'ipotesi   speciale   e  tipizzata  di  legittima
apposizione   del   termine   per   il  trasporto  aereo,  i  servizi
aeroportuali e le imprese concessionarie di servizi postali.
   Una  diversa  interpretazione  -  cosi'  come  proposta  da  parte
ricorrente  quale  «aggiuntiva»  rispetto  a quella generale prevista
dall'art.  1  -  snaturerebbe  del  tutto la norma, trasformandola da
evidente  norma di favore per taluni settori di attivita', attraverso
l'introduzione  di  una  maggiore  elasticita'  nella possibilita' di
ricorrere  ai  contratti  a  termine,  in norma «restrittiva» per gli
stessi  settori  di  attivita',  senza  che  tale  restrizione  trovi
fondamento in alcuna esigenza concreta.
   La  formulazione della norma - come sopra riportata testualmente -
e'  identica  alla previsione di cui all'art. 1, lett. f) della legge
n. 230/1962,  introdotta  con  la legge n. 84/1986, che consentiva la
possibilita'  di  un'autonoma  previsione  di  stipula di contratti a
termine per le imprese operanti nel settore del trasporto aereo e nel
settore dei servizi aeroportuali.
   Il  fatto che il legislatore ha integralmente riportato nel d.lgs.
n. 368/2001  la formulazione della norma in precedenza vigente (salvo
aggiungere   l'obbligo  di  comunicazione  alle  OO.SS.),  conduce  a
ritenere  che  lo  stesso ha inteso prevedere per le imprese operanti
nel  settore del trasporto aereo una autonoma possibilita' di stipula
di  contratti  a  tempo determinato all'interno di limiti temporali e
quantitativi individuati dalla norma.
   Sarebbe,  del  resto,  anomalo  ritenere  che  con  l'introduzione
dell'art.  2, d.lgs. n. 368/2001, il legislatore ha inteso introdurre
una fattispecie del tutto diversa rispetto a quella gia' operante con
l'art.  1,  lett.  f),  legge n. 230/1962 e, per fare cio', abbia poi
riportato testualmente la norma medesima.
   Entrambe  le norme - perfettamente speculari - contengono, dunque,
una  disciplina  di  favore  per  le aziende operanti nel settore del
traffico  aereo  e dei servizi aeroportuali, introducendo limiti meno
rigidi  e  rigorosi  rispetto a quelli gravanti sulla generalita' dei
soggetti.
   Diversamente   opinando,   ritenere   cioe'  che  la  norma  abbia
introdotto  una  disciplina  che  non  prescinda  ma  si  aggiunga ai
presupposti  di  cui  all'art. 1 della norma medesima, si perverrebbe
all'effetto  esattamente  opposto  rispetto  a quello di agevolare le
imprese  indicate:  infatti,  queste potrebbero stipulare contratti a
termine  non solo rispettando i criteri generali di cui all'art. 1 ma
anche  quelli  previsti  dall'art.  2,  introducendo  cosi'  per tali
imprese  una disciplina ancor piu' rigorosa e restrittiva proprio per
le aziende di quel settore.
   Tale  interpretazione,  del  resto,  e' confortata sia dal termine
utilizzato  nel  testo  della  rubrica  -  disciplina aggiuntiva - da
intendersi  riferito  non  ai  criteri  di cui all'art. 1 bensi' alle
aziende di quel settore, sia dal fatto che entrambe le norme iniziano
utilizzando  la  stessa locuzione («e' consentita 1'apposizione di un
termine  alla  durata  del contratto ...»), lasciando cosi' intendere
che  entrambe  sono  destinate  a  disciplinare  i  casi  in  cui  la
previsione di un termine sia legittima.
   La  medesima  interpretazione,  allora, deve operarsi in relazione
all'ipotesi  aggiunta  nel  comma 1-bis dall'art. 1, comma 558, legge
n. 266/2005   relativa  alle  «imprese  concessionarie  del  servizio
postale»:  la  disciplina del primo comma e' espressamente richiamata
nell'incipit,  sicche' il legislatore ha chiaramente voluto estendere
la  medesima  disciplina (di cui al primo comma relativa alle imprese
del  trasporto  aereo) anche alle imprese concessionarie del servizio
postale.
   Ad  ulteriore conforto di tale interpretazione concorrono i lavori
parlamentari  relativi  alla  norma poi riprodotta dall'art. 1, comma
558,  legge  n. 266/2005: dalla relazione illustrativa del 2 novembre
2005   si   evince   che  l'indirizzo  del  governo,  espresso  nella
risoluzione  8-00138  della  seduta  del  28  luglio  2005  della  IX
Commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni, era rivolto a porre
un  freno al fenomeno della precarizzazione nel settore postale oltre
che limitare le spese di giustizia dell'annoso contenzioso in corso.
   Dunque,  si  tratta  di  un'evidente scelta politica di sostegno a
favore  di  Poste  Italiane S.p.a. incidente anche sul bilancio dello
Stato,  che non puo' che essersi tramutata in una inclusione di Poste
nella  disciplina di favore gia' esistente per le imprese del settore
del trasporto aereo, contenente la previsione di una causale ad hoc.
   Quanto, poi, all'applicazione soggettiva dell'art. 2, comma 1-bis,
ritiene  il  giudice remittente non condivisibile la tesi - sostenuta
da  parte attrice - secondo la quale la norma non sarebbe applicabile
alla   resistente   in   quanto   non   si   tratterebbe  di  impresa
«concessionaria»    del    servizio   postale,   ma   di   un'impresa
«assegnataria» del servizio postale universale.
   Risulta,  infatti,  irrilevante  il  fatto che l'art. 23, comma 2,
d.lgs.  n. 261/1999  utilizzi  il  termine «assegnazione» in luogo di
«concessione»,  trattandosi  di istituto giuridico rientrante a pieno
titolo  nel  concetto di «concessione amministrativa», come del resto
reso evidente dal decreto ministeriale attuativo della norma indicata
del  17  aprile  2000 che fa proprio riferimento alla concessione del
servizio postale universale alla societa' Poste Italiane S.p.a.
   Peraltro,  sempre dai lavori parlamentari gia' sopra citati emerge
con  evidenza  il  riferimento  della norma in questione proprio alla
societa' Poste Italiane S.p.a.
   L'esame  dei  motivi  di  doglianza  di parte ricorrente impone il
rispetto   dell'ordine  di  priorita'  giuridica  da  riservare  alle
preliminari.
   Infatti,  parte  attrice  ritiene  che  li'  ove  la  norma  venga
interpretata  in  alternativa  rispetto all'art. 1 contrasterebbe con
l'ordinamento  europeo  ed in particolare con la direttiva 1999/70/CE
relativa  all'accordo  quadro sul lavoro a tempo determinato concluso
tra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale.
   Questa  tesi  comporta  al giudice la risoluzione di problematiche
connesse  all'interferenza  ed  impatto  del  diritto comunitario sul
diritto  interno,  non solo e non tanto in ordine alle norme di legge
ordinaria,   ma   anche   e   soprattutto  in  relazione  a  principi
fondamentali   aventi   rilevanza   e   riconoscimento   nel  sistema
costituzionale italiano.
   Il  conflitto fra una previsione contenuta nel diritto comunitario
con  norme  interne  comporta  in capo al giudice nazionale investito
della  controversia  in  cui  venga  in  questione  l'applicazione di
entrambe  le  fonti  disciplinanti  la  fattispecie il dovere di dare
luogo  ad  una  interpretazione  adeguatrice  della  norma di diritto
nazionale  ovvero,  in  caso  di  conflitto irrisolvibile sussistente
allorche' quest'ultima disponga in modo diverso ed inconciliabile con
la norma comunitaria, il potere del giudice nazionale di disapplicare
la  norma  di  diritto  interno  operando  una  sorta di sindacato di
legittimita' diffuso.
   Nell'esame  della  pregiudiziale, ritiene il giudice remittente di
aderire  all'orientamento  giurisprudenziale  che, in sede di merito,
risulta  - allo stato - maggioritario secondo il quale tale contrasto
non risulta ravvisabile.
   In  primo  luogo,  in  quanto  le clausole dell'accordo quadro con
valore   precettivo   indicano  unicamente  quale  obiettivo:  a)  il
miglioramento   della   qualita'   del  lavoro  a  tempo  determinato
garantendo il principio della non discriminazione; b) la creazione di
un   quadro  normativo  per  la  prevenzione  degli  abusi  derivanti
dall'utilizzo  di una successione di contratti o rapporti di lavoro a
tempo determinato.
   Non  e' dettata, pertanto, alcuna direttiva in ordine all'iniziale
contratto a termine stipulato dalle parti e tanto meno in ordine alla
necessita'  della  indicazione  di  una  causale  specifica  a fronte
dell'apposizione del termine.
   Inoltre, dal «considerando» numero 10 del citato accordo si evince
come  sia  stata demandata agli Stati membri ed alle parti sociali la
formulazione  di  disposizioni  volte  all'applicazione  di  principi
generali,  dei  requisiti  minimi  e delle norme in esso contenuti al
fine di tener conto della situazione di ciascuno Stato membro e delle
circostanze relative a particolari settori e occupazioni, comprese le
attivita'  di tipo stagionale: pertanto, l'art. 2, d.lgs. n. 368/2001
altro  non e' che la realizzazione di una normativa specifica appunto
a due particolari settori.
   Ancora,  la clausola n. 3 del citato accordo quadro, relativa alla
definizione  di  lavoratore a tempo determinato contraddistinto dalla
sussistenza  di  un contratto nel quale il termine sia determinato da
condizioni  oggettive  quali  il raggiungimento di una certa data, il
completamento  di  un compito specifico o il verificarsi di un evento
specifico, non conduce a soluzioni diverse.
   Infatti,  anche  tale clausola non richiede affatto un'indicazione
specifica della causa giustificativa dell'apposizione del termine, ma
richiede  unicamente  la  sussistenza  di  una  certa data, requisito
assolutamente presente nell'art. 2 citato allorche' si fa riferimento
a  contratti  a  termine  da  stipularsi  tra  l'aprile  e l'ottobre,
requisito  presente  anche nel contratto a termine stipulato nel caso
in esame.
   Si  puo',  allora,  concludere  che  l'accordo  quadro al quale fa
riferimento parte ricorrente regola unicamente gli abusi derivanti da
una  successione  di  contratti  (vedi  anche  la  clausola  5 che e'
dedicata  alle  misure  di  prevenzione degli abusi derivanti proprio
dall'utilizzo  di  una successione di contratti e solo in relazione a
tale  fattispecie  e'  prevista  l'adozione  di  misure relative alle
ragioni  obiettive  per  la  giustificazione del rinnovo dei suddetti
contratti)  e comunque non contiene alcun riferimento alla necessita'
della  specifica  indicazione  di  una  causale per l'apposizione del
termine.
   Appare   fornire   sostegno   a   tale  interpretazione  anche  la
giurisprudenza  della Corte di giustizia (v. sentenza Mangold - Corte
di  giustizia,  grande  sezione  22  novembre  2005,  causa n. 144/04
sentenza Adelener - Corte di giustizia, grande sezione 4 luglio 2006,
causa  n. 212/04)  che  si  riferisce  a  fattispecie  inerente  alla
successione  di  contratti ed esclude la pertinenza del richiamo alla
clausola  in  relazione al primo contratto a termine stipulato tra le
parti.
   Infine,  in ordine al contrasto che si configurerebbe tra la nuova
normativa  introdotta  con  la  legge  finanziaria 2006 e la clausola
numero  8 punto 3 - relativa al «non regresso» - si rileva egualmente
che  le  osservazioni  svolte  dalla difesa di parte attrice non sono
condivisibili.
   Si  tratta  della  clausola  che  prevede  che «l'applicazione del
presente accordo non costituisce motivo valido per ridurre il livello
generale   di   tutela  offerto  ai  lavoratori  nell'ambito  coperto
dall'accordo  stesso»:  dalla  lettura  della  norma si evince che e'
vietato  ridurre il livello generale offerto ai lavoratori allorche',
da  un  lato,  ci  si  trovi  di  fronte  ad  una normativa emessa in
applicazione  del  presente  accordo e, dall'altro, ci si trovi in un
ambito coperto dall'accordo stesso.
   In  ordine al primo aspetto della questione, si osserva che non ci
si  trova  nell'ambito  di  una  normativa emessa in applicazione del
suddetto  accordo in quanto il d.lgs. n. 368/2001 e' stato emesso per
dare  attuazione  alla  direttiva 1999/70/CE) e l'art. 2, comma 1-bis
inserito  dalla  legge  finanziaria  2006  e' entrato in vigore a ben
cinque anni di distanza.
   Pertanto,  il  fatto  che il comma in questione sia stato inserito
dopo  il  comma analogo che regola il settore aeroportuale e' solo il
frutto  di  una  tecnica  legislativa  che  vuole semplificare con il
riferimento  per  relationem,  ma  non  significa necessariamente che
anche  questa  norma  sia  stata emessa in funzione dell'applicazione
della detta direttiva.
   Anche diversamente opinando, si rileva in ogni caso che il divieto
di  regresso  si  riferisce  ad una riduzione del livello generale di
tutela  offerto  ai  lavoratori nell'ambito coperto dall'accordo che,
come  si e' osservato, e' solo l'ambito relativo alla successione dei
contratti  a  termine.  A  sostegno  di tale tesi si richiama la gia'
citata  sentenza  Mangold  (Corte  di  giustizia,  grande  sezione 22
novembre  2005 causa 144/04) laddove si afferma che una reformatio in
peius   della  protezione  offerta  al  lavoratori  nel  settore  dei
contratti   a  tempo  determinato  non  e'  in  quanto  tale  vietata
dall'accordo  quadro  quando  non  e'  in  alcun  modo  collegata con
l'applicazione di questo.
   Alla  luce  di  tali  considerazioni, dunque, si deve ritenere che
l'art.  2,  comma  1-bis,  d.lgs.  n. 368/2001  - richiamato da Poste
Italiane S.p.a. quale riferimento per l'assunzione a termine di parte
attrice  -  non  contrasti con l'ordinamento europeo, con conseguente
infondatezza delle questioni pure sollevate in riferimento agli artt.
10 e 11 Cost.
   Residua,  pero',  questo punto la questione di incostituzionalita'
per  asserita  inosservanza  del  principio  di  uguaglianza  sancito
dall'art. 3 Cost.
   In  altri  termini  occorre  accertare  se  la diversificazione di
disciplina in favore di Poste Italiane S.p.a. - rectius delle imprese
concessionarie  di  servizi nei settori delle poste - sia ragionevole
perche'   giustificata   dalla   diversita'  delle  fattispecie  come
affermato  in  ogni  occasione  in  cui la Corte costituzionale abbia
fatto applicazione del principio di uguaglianza.
   Tale   verifica   si   impone   dovendo   il   giudice   dare  una
interpretazione  del  diritto  nazionale conforme non solo al diritto
comunitario   prevalente   su  quello  interno  ma  anche  ai  valori
costituzionali  fondamentali  dello Stato e, fra questi, al principio
di uguaglianza consacrato espressamente all'art. 3 Cost.
   L'uguaglianza,   infatti,  non  va  rispettata  solo  avendo  come
riferimento  l'ambito  comunitario,  ma  per  il  giudice  nazionale,
proprio  in  quanto sottoposto alla legge ed alla Costituzione, vi e'
l'obbligo  dell'ulteriore  verifica  se  il precetto da applicare sia
rispettoso  del  criterio  consacrato  all'art.  3, primo comma Cost.
all'interno dello Stato italiano, Stato membro.
   L'esistenza  di  situazioni  eterogenee  va,  a  parere  di questo
giudice  remittente,  vagliata  sotto  il  profilo sostanziale, ossia
esaminando la consistenza delle fattispecie disciplinate, non potendo
ritenersi  che  la  distinta  provenienza (fonte in senso soggettivo)
delle  previsioni  normative  (una  comunitaria  ed  una  di  diritto
interno) possa giustificare trattamenti diseguali.
   Trattasi,  infatti,  di  fonti  destinate  ad operare entrambe nel
territorio  dello  Stato  e  necessariamente  tenute a coordinarsi ed
integrarsi  nel rispetto si' della preminenza del diritto comunitario
operante  in  virtu'  delle  limitazioni  della sovranita' consentite
dall'art.  11  Cost.,  ma  comunque  sempre  in attuazione dei valori
costituzionali  nazionali  aventi  il  rango  di  «principi e diritti
fondamentali» la cui osservanza va garantita all'interno dello Stato.
   Questo  in  ragione  della  costante  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale    (da    ultimo   ribadita   nelle   sentenze   Corte
costituzionale  sent.  n. 348 e n. 349/2007, ma vedasi anche sentenze
n. 484/2006, 284/2007 e prima fra tutte sent. n. 183/1973).
   Tale  eterogeneita'  di fattispecie non e' ravvisabile nel caso in
esame,  poiche'  l'interpretazione  nascente  dal  combinato disposto
dell'art.  1,  d.lgs.  n. 368/2001  e  dell'art.  2,  comma 1-bis del
medesimo  decreto - come sopra illustrata - implica che norme diverse
disciplinano  in  maniera diseguale situazioni identiche, con l'unica
differenza  che  la  seconda  norma riguarda i lavoratori del settore
postale per il quale viene creata una disciplina speciale anche sotto
il profilo sanzionatorio.
   Inoltre,  la  «acausalita»  provocata in tale settore incide anche
sul  potere  giudiziale  di verifica delle condizioni giustificatrici
dell'apposizione   del  termine  e,  di  conseguenza,  sul  principio
costituzionale    dell'indipendente    esercizio    della    funzione
giurisdizionale  da  parte  del  giudice  ordinario, sottraendogli il
potere  di  valutare  autonomamente  i  fatti rilevanti ai fini della
qualificazione del rapporto ex artt. 101 e 104 Cost.
   La  questione  viene,  pertanto,  sollevata  anche  d'ufficio  nei
termini del thema decidendum di seguito riassuntivamente precisati:
1) Norma censurata.
   L'art.  2, comma 1-bis, d.lgs. n. 368/2001 - come modificato dalla
legge  n. 266/2005  - ha introdotto per le aziende concessionarie del
servizio  postale  (e  segnatamente  per  Poste  Italiane S.p.a.) una
disciplina  esclusiva/alternativa  rispetto  a quella prevista in via
generale dall'art. 1 del citato decreto legislativo.
   Ne  consegue  che tali aziende hanno la possibilita' di assumere a
tempo  determinato senza neppure l'obbligo di indicazione scritta del
termine  di  durata oltre che della causale e di consegnare copia del
contratto al dipendente, consentendo cosi' di «peggiorare» la vecchia
tutela   dei  lavoratori  a  tempo  determinato  che  gia'  prevedeva
l'obbligo di indicazione scritta del termine di durata (art. 1, comma
3, legge n. 230/1962).
   Nella  vecchia normativa (per gli aeroportuali) era stata inserita
un  ulteriore ipotesi alla lettera f), fermi restando, parimenti alle
altre  ipotesi,  tutti i requisiti generali previsti per la legittima
apposizione del termine, quali l'indicazione scritta della durata, la
consegna del contratto ecc.
   Dunque,  e' stata introdotta la possibilita' - nel settore postale
- di utilizzare contratti senza causale accanto a quelli con causale:
l'art.  2,  comma  1-bis, prevede la possibilita' di stipulare per 10
mesi  (6+4), consentendo di fatto di poter stipulare per tutto l'anno
e oltre contratti a termine con causale e senza causale. Si tratta di
una  disciplina  di  favore  per  il settore postale per sei mesi tra
aprile  e  ottobre (periodo complessivo), periodo durante il quale si
possono  succedere  tutte le assunzioni che si desiderano, cosi' come
per  4  mesi  nel  restante  periodo,  senza  alcun vincolo purche' -
ovviamente - si rimanga entro i detti tetti temporali.
   Al di fuori di questi periodi si rientra nella disciplina generale
ex  art.  1  con conseguente applicazione dei limiti alla successione
previsti nell'art. 5 d.lgs. n. 368/2001.
   Peraltro,  anche  la  disciplina «sanzionatoria» appare piu' lieve
rispetto  a  quella  prevista  per  i  contratti stipulati ex art. 1,
d.lgs.   n. 368/2001:   infatti,  l'art.  5,  comma  3,  richiama  la
successione dei contratti stipulati ex art. 1 e non ex art. 2, con la
conseguenza  che il secondo contratto intervenuto entro i dieci/venti
giorni  dalla  scadenza  del  precedente  viene  considerato  a tempo
indeterminato.
   La  sanzione  della conversione, dunque, non opera per i contratti
stipulati  ex  art. 2, per i quali e' prevista la disciplina speciale
in  forza  della  quale  ogni  anno  si  possono  succedere un numero
indefinito  di  assunzioni  purche' non vengano superati i limiti del
periodo  complessivo  di  6 mesi tra aprile e ottobre e di 4 mesi nei
restanti   mesi  dell'anno,  con  applicabilita'  dunque  solo  della
sanzione  ex  art.  5, comma 4, li' ove non vi sia una distanza tra i
contratti di almeno un giorno l'uno dall'altro.
   Tale   lettura   importa  una  disparita'  di  trattamento  tra  i
lavoratori  in  generale  e quelli addetti al servizio postale, per i
quali non opera necessariamente la disciplina - anche sanzionatoria -
di carattere generale.
2) Norme parametro.
   Art.  3,  primo comma, Cost. laddove importa che situazioni eguali
debbano essere oggetto di uguale disciplina normativa.
   Artt.  101,  102  e  104  Cost.,  laddove  consentono  al  giudice
ordinario  di  delibare  in  maniera  indipendente  per  la specifica
risoluzione delle concrete fattispecie in giudizio.
3) Sulla rilevanza.
   Non vi e' dubbio che la legittimita' di una disciplina legislativa
che  esenta  la  parte  datoriale  (Poste  Italiane S.p.a.) dal dover
fornire  prova  in  ordine  alle  ragioni  obiettive e temporanee che
giustifichino  l'apposizione  del  termine  in  quanto preliminare di
merito  vada  accertata  in  via di priorita' logica e che essa abbia
applicazione  nel  caso di specie essendo stata rimessa al giudicante
la  verifica della legittimita' dell'apposizione del termine medesimo
al detto contratto di lavoro.
   Trattandosi  di  contratto  che  per tabulas risulta stipulato con
espresso  richiamo al citato art. 2, comma 1-bis, d.lgs. n. 368/2001,
se   la   disciplina   «acausale»   venisse  ritenuta  legittimamente
applicabile,  il  giudicante  dovrebbe  ritenere  valida  la clausola
appositiva  del  termine  esonerando  la  parte datoriale dal fornire
qualsivoglia riscontro probatorio circa le ragioni temporanee.
4) Sulla non manifesta infondatezza.
   La    questione    deve   essere   sollevata,   anche   d'ufficio,
nell'impossibilita'  del  giudice remittente di individuare una norma
che   sia   rispettosa   del   principio   fondamentale  dell'art.  3
Costituzione.
   La  Corte  costituzionale  ha  gia'  piu'  volte  riconosciuto  la
legittimita'  costituzionale di discipline differenziate del lavoro a
termine,  giustificate  dalle  peculiari  caratteristiche dei singoli
rapporti  di  lavoro  (v.  sent.  n. 80/1994, ord. n. 347/1998; sent.
n. 419/0000).
   Ai  fini  del  giudizio  di legittimita' costituzionale, pero', ha
sempre   valutato  che  la  norma  risponda  comunque  a  criteri  di
ragionevolezza e/o di razionalita'.
   Tali  criteri  non  appaiono  emergere  nel  caso in esame: non si
ravvede, infatti, quale peculiare elemento di stagionalita' ovvero di
peculiarita' possa sottendere il settore postale per giustificare una
disciplina derogatoria, tanto meno per 10 mesi su 12 all'anno.
   Di  tali elementi non vi e' alcuna traccia nei lavori parlamentari
preparatori gia' sopra citati.
   Peraltro, mentre per il settore aeroportuale puo' affermarsi che -
anche  per  comune esperienza - il periodo aprile/ottobre rappresenta
un   momento  di  maggiore  intensita/utilizzo  dei  servizi  con  la
conseguenza   che  ad  una  maggiore  domanda  della  clientela  deve
corrispondere  una  adeguata  risposta delle imprese e che, pertanto,
trattasi  di  esigenza  fisiologica  se  non  patologica  di  maggior
personale,  per  il  settore  dei servizi postali non si conoscono le
ragioni  che  giustifichino  le dette assunzioni proprio nel medesimo
periodo temporale previsto per servizi ben diversi.
   Analogamente,   in   occasione  della  sanatoria  del  contenzioso
concomitante  alla  trasformazione  dell'Ente  Poste  in societa' per
azioni  (art.  9, comma 21, d.l. n. 501/1996) la Corte costituzionale
aveva  ritenuto legittima la disciplina di favore soltanto in ragione
dell'eccezionalita' delle circostanze storiche.
   Tali  circostanze  non  risultano  piu'  sussistere  alla  data di
entrata  in  vigore  della  norma, sicche' i problemi economici della
societa'  Poste  Italiane non possono assurgere ad interessi generali
preminenti sui diritti dei lavoratori.
   Non   sono,   di  conseguenza,  ravvisabili  valori  ed  interessi
costituzionalmente  protetti  che giustifichino il sacrificio imposto
ai lavoratori del settore postale.
   La  disparita'  di  trattamento  tra lavoratori non trova adeguata
giustificazione  nel caso concreto, non sussistendo piu' un interesse
pubblico  al  buon esito del processo di privatizzazione del servizio
postale.
   Egualmente,  la  creazione  di  una «acausalita» introdotta per le
assunzioni   a   termine  nel  settore  postale  sottrae  in  maniera
ingiustificata  al  giudice  ordinario  il  potere  di verifica delle
effettive  ragioni oggettive e temporanee poste alla base della detta
assunzione  con  conseguente  lesione  delle  prerogative  del potere
giudiziario.
                              P. Q. M.
   Visto  l'art.  134  Cost.  e  l'art. 23 della legge 1° marzo 1953,
n. 87;
   Ritenuta  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'   costituzionale   dell'art.   2,  comma  1-bis,  d.lgs.
n. 368/2001,  in  relazione  agli articoli 3, primo comma e 101, 102,
104 Cost.;
   Sospende il giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli atti
alla Corte costituzionale;
   Dispone  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti costituite ed al Presidente del Consiglio dei
ministri,  nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati
e del Senato della Repubblica.
     Roma, addi' 26 febbraio 2008
                 Il giudice del lavoro: Delle Donne