N. 240 SENTENZA 23 giugno - 2 luglio 2008

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Elezioni - Carica di consigliere comunale - Cause di incompatibilita'
  -  Incompatibilita'  per  lite pendente con l'ente locale - Mancata
  estensione  alle  persone  titolari  di  organi  rappresentativi di
  soggetti  che  si  trovino  nella  stessa  situazione  - Denunciata
  violazione  dei  principi  di ragionevolezza e di buon andamento ed
  imparzialita'   della   pubblica  amministrazione  -  Richiesta  di
  intervento    additivo    non    costituzionalmente   obbligato   -
  Inammissibilita' della questione.
- D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 63, comma 1, numero 4).
- Costituzione, artt. 3 e 97.
(GU n.29 del 9-7-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Franco BILE;
Giudici:  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
   Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA,  Franco
   GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria
   Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente
                              Sentenza
nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 63, comma 1,
numero  4),  del  decreto  legislativo  18 agosto 2000, n. 267 (Testo
Unico  delle  leggi sull'ordinamento degli enti locali), promosso con
ordinanza  del  7  aprile  2006  dalla Corte d'appello di Firenze nel
procedimento  civile vertente tra Gorio Giovanni Battista e il Comune
di  Castelnuovo  Berardenga iscritta al n. 249 del registro ordinanze
2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, 1ª
serie speciale, dell'anno 2007.
   Visti  gli  atti  di  costituzione di Gorio Giovanni Battista, del
Comune  di  Castelnuovo  Berardenga  nonche' l'atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 20 maggio 2008 il giudice relatore
Sabino Cassese;
   Uditi  gli  avvocati  Clara  Mecacci  per Gorio Giovanni Battista,
Maurizio  Brizzolari  per  il  Comune  di  Castelnuovo  Berardenga  e
l'avvocato  dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio
dei ministri.
                          Ritenuto in fatto
   1.  -  La  Corte  d'appello  di  Firenze ha sollevato questione di
legittimita'  costituzionale,  con  riferimento  agli articoli 3 e 97
della  Costituzione,  dell'art.  63,  comma 1, numero 4), del decreto
legislativo   18   agosto  2000,  n. 267  (Testo  Unico  delle  leggi
sull'ordinamento degli enti locali).
   La  disposizione  stabilisce, tra l'altro, che «non puo' ricoprire
la   carica  di  sindaco,  presidente  della  provincia,  consigliere
comunale,  provinciale  o  circoscrizionale  [...]  colui che ha lite
pendente,   in   quanto   parte   di   un   procedimento   civile  od
amministrativo, rispettivamente, con il comune o la provincia».
   Il Collegio rimettente dubita della legittimita' costituzionale di
tale  disposizione,  nella  parte  in cui «non estende il suo effetto
alle  persone  titolari della rappresentanza organica di soggetti che
si  trovino  nella  stessa  situazione di lite pendente gia' prevista
dalla norma stessa».
   1.2. - La Corte d'appello di Firenze riferisce che dinanzi ad essa
pende giudizio di appello avverso la sentenza del 26 luglio 2005, con
la  quale  il  Tribunale  di  Siena  ha  rigettato  la  domanda volta
all'annullamento della delibera del Consiglio comunale di Castelnuovo
Berardenga  adottata  in  data 29 aprile 2005, con cui il ricorrente,
gia' consigliere comunale, e' stato dichiarato decaduto dall'ufficio,
in  base  alla  disposizione  impugnata,  per  aver  promosso, non in
proprio  ma  in  qualita'  di amministratore delegato di due distinte
societa',  un  ricorso  al  Tribunale  amministrativo regionale volto
all'annullamento di una delibera consiliare. Secondo quanto riferisce
il  Collegio  rimettente,  il  giudice  di primo grado ha ritenuto di
interpretare  estensivamente  la  causa  di incompatibilita' prevista
dalla  norma  impugnata: essa riguarderebbe non solo, come emerge dal
tenore letterale della disposizione, chi abbia personalmente una lite
pendente  con  l'ente  comunale  o  provinciale, ma anche chi ricopra
cariche  rappresentative  di  soggetti che abbiano, a loro volta, una
lite pendente con gli stessi enti.
   In  punto  di  rilevanza,  il Collegio rimettente afferma che solo
l'accoglimento,  da parte della Corte costituzionale, della questione
di   legittimita'   costituzionale   prospettata   potrebbe  impedire
l'accoglimento   dell'appello,   che,   altrimenti,  dovrebbe  invece
ritenersi fondato.
   La  Corte  d'appello  di  Firenze  non  ritiene, infatti, di poter
aderire  all'interpretazione  estensiva  fatta propria dal giudice di
primo  grado,  neppure  utilizzando,  a  tal  fine,  il  canone della
interpretazione  adeguatrice, sia perche' le norme che restringono il
diritto di elettorato passivo sono di stretta interpretazione, sia in
base  ad  una  interpretazione sistematica dell'art. 63, comma 1, del
d.lgs.  n. 267  del  2000,  che,  per individuare i destinatari delle
ipotesi  di  incompatibilita'  previste  al  numero  2), si riferisce
espressamente  ai  soggetti  titolari  di  poteri  di  rappresentanza
(«colui  che, come titolare, amministratore, dipendente con poteri di
rappresentanza   o   di   coordinamento   ha  parte,  direttamente  o
indirettamente,  in  servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o
appalti»),  mentre  per  identificare  i  destinatari  della causa di
incompatibilita'  prevista  al numero 4) si limita ad indicare, senza
alcun  riferimento  a  soggetti titolari di poteri di rappresentanza,
«colui  che  ha  lite  pendente,  in  quanto parte di un procedimento
civile o amministrativo».
   In  punto  di  non  manifesta infondatezza, il Collegio rimettente
ravvisa,  in  relazione alle finalita' della disciplina giuridica del
conflitto   di  interessi,  una  equivalenza,  da  un  lato,  fra  la
situazione  della persona fisica direttamente titolare dell'interesse
in  conflitto  con  quello  dell'ente  pubblico,  e,  dall'altro,  la
situazione  della  persona  fisica  che sia rappresentante legale del
soggetto  titolare  dell'interesse  in  conflitto.  Tale  equivalenza
renderebbe   illegittima,  per  violazione  dell'art.  3  Cost.,  una
disciplina  diversificata  delle  stesse,  qual e' quella attualmente
dettata dalla disposizione censurata.
   Inoltre, secondo la Corte rimettente, l'estensione della regola di
incompatibilita'  alle persone titolari della rappresentanza organica
dei  soggetti  che  si  trovino nella situazione di lite pendente con
l'ente  locale  sarebbe imposta dall'art. 97 Cost., che richiederebbe
al   legislatore   di   impedire   «le  situazioni  piu'  evidenti  e
indiscutibili di conflitto di interessi».
   2.  -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  deducendo  l'inammissibilita' e comunque l'infondatezza della
questione di legittimita' costituzionale sollevata.
   La difesa erariale premette che la disposizione censurata e' norma
di natura eccezionale considerato che pone una limitazione al diritto
di elettorato passivo sancito dall'art. 51 Cost.
   Nel  merito,  richiama  il consolidato orientamento della Corte di
cassazione  in  ordine  alla «nozione di "parte in giudizio" in senso
tecnico  riferita,  cioe',  a  quel soggetto il quale a seguito della
proposizione  di  domanda giudiziale e della costituzione in giudizio
diventa  titolare  di  una  serie di poteri processuali finalizzati a
dare impulso al processo» (Cass. Civ., sez. I, 19 maggio 2001, 6880).
Alla luce di tale orientamento, la qualita' di parte in senso tecnico
e' riferita alla societa' medesima e non al suo rappresentante legale
e,   ad  avviso  della  difesa  erariale,  la  differente  disciplina
riservata  dalla  norma al caso in cui il soggetto eletto alla carica
di  consigliere comunale rivesta la qualita' di rappresentante legale
di  una  societa' che sia parte di un giudizio con il Comune rispetto
al  caso  in  cui  l'eletto alla carica di consigliere comunale abbia
personalmente  una  causa  con  il  Comune, non appare lesiva ne' del
principio  di  ragionevolezza  ne'  dei  principi di buon andamento e
imparzialita'  della  pubblica  amministrazione  (artt. 3 e 97 Cost.)
Difatti,  da un lato, il potere di rappresentanza organica di un ente
collettivo  non  necessariamente  si  accompagna alla titolarita' del
potere  di  formare  la  volonta'  dell'ente;  dall'altro, i vantaggi
derivanti  dall'esito della lite in corso ricadono direttamente nella
sfera giuridica del soggetto rappresentato.
   3. - Nel giudizio di costituzionalita' si sono costituite le parti
del giudizio principale.
   3.1.  - Il Comune di Castelnuovo Berardenga sostiene la fondatezza
della   questione   di   legittimita'   costituzionale,  nei  termini
prospettati dal giudice a quo.
   3.2.    -   L'appellante   conclude   invece   nel   senso   della
inammissibilita' e infondatezza della questione stessa.
   In  primo luogo, la questione proposta dal giudice a quo sarebbe -
a  suo  avviso  -  inammissibile,  in  quanto  tesa a sollecitare una
pronuncia  additiva  della Corte costituzionale in una materia, quale
quella  della  disciplina delle cause di incompatibilita', che, anche
in  considerazione  della  natura  politica  dei  diritti  coinvolti,
rientra nella «discrezionalita' del legislatore».
   Nel merito, la difesa della parte richiama la giurisprudenza della
Corte  di  cassazione  (Cass.  Civ., sez. I, 29 maggio 1972, n. 1685;
Cass.,  sez.  lav.,  29.10.2003,  n. 16245),  secondo cui la causa di
incompatibilita'  per  lite  pendente  deve  riferirsi ad un rapporto
litigioso  del  quale  sia  parte  l'eletto  in  persona propria, non
potendo invece riguardare gli amministratori di una persona giuridica
allorche'  sia  quest'ultima,  quale  soggetto  giuridico distinto ed
autonomo dalle persone fisiche dei suoi amministratori, ad avere lite
pendente con il Comune.
                       Considerato in diritto
   1.  -  La  Corte  d'appello  di  Firenze ha sollevato questione di
legittimita'  costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 97 della
Costituzione,   dell'art.   63,  comma  1,  numero  4),  del  decreto
legislativo   18   agosto  2000,  n. 267  (Testo  unico  delle  leggi
sull'ordinamento  degli enti locali), nella parte in cui «non estende
il suo effetto alle persone titolari della rappresentanza organica di
soggetti  che  si  trovino  nella  stessa situazione di lite pendente
prevista dalla norma stessa».
   2. - La questione non e' ammissibile.
   Va  premesso  che  la  legislazione in materia di incompatibilita'
degli  amministratori  locali,  nell'ipotesi  di  lite  pendente,  ha
progressivamente  circoscritto l'ambito di applicazione dell'istituto
e  attenuato  i  suoi  effetti  limitativi in relazione al diritto di
elettorato passivo.
   Il  legislatore  ha dapprima trasformato la lite pendente da causa
di  ineleggibilita' a causa di incompatibilita' (art. 15 del d.P.R. 5
aprile  1951,  n. 203,  recante  «Testo  unico  delle  leggi  per  la
composizione   e   l'elezione   degli  organi  delle  amministrazioni
comunali»,  sostituito  dall'art.  3,  primo  comma, numero 4), della
legge   23   aprile  1981,  n. 154,  recante  «Norme  in  materia  di
ineleggibilita'  ed  incompatibilita'  alle  cariche  di  consigliere
regionale,  provinciale,  comunale e circoscrizionale e in materia di
incompatibilita'  degli  addetti  al  servizio sanitario nazionale»).
Successivamente,  per  evitare applicazioni distorsive dell'istituto,
ha  escluso  dal  suo  ambito  diverse fattispecie: la lite per fatto
connesso  con l'esercizio del mandato; la lite in materia tributaria;
la  lite  promossa  nell'esercizio  dell'azione popolare; la semplice
costituzione di parte civile nel processo penale; la lite promossa in
esito  a  sentenza di condanna, o ad essa conseguente, in mancanza di
affermazione  di  responsabilita'  con  sentenza passata in giudicato
(art.  3-ter  del  decreto-legge  22  febbraio  2002,  n. 13, recante
«Disposizioni  urgenti  per  assicurare  la  funzionalita' degli enti
locali»).
   In   questo  quadro,  il  giudice  rimettente  chiede  alla  Corte
costituzionale  una pronuncia additiva che, in senso inverso rispetto
all'evoluzione  normativa  descritta,  abbia  l'effetto  di  ampliare
l'ambito di applicazione dell'istituto dell'incompatibilita' per lite
pendente, estendendolo all'ipotesi in cui l'eletto sia titolare della
rappresentanza organica di un soggetto avente lite con l'ente locale.
   Questa   Corte  ha  piu'  volte  affermato  che  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  e'  inammissibile  quando il rimettente
solleciti  un  intervento  additivo  che  non  sia costituzionalmente
obbligato  (ordinanze  n. 333  e 185 del 2007). Nel caso in esame, la
soluzione sollecitata dal rimettente non puo' ritenersi imposta dalle
norme  costituzionali  invocate. Come questa Corte ha gia' avuto modo
di  affermare,  proprio  con  riferimento  all'ambito di applicazione
dell'incompatibilita'  per lite pendente, «spetta al legislatore, nel
ragionevole  esercizio  della sua discrezionalita', attuare l'art. 51
della   Costituzione,   stabilendo   il   regime   delle   cause   di
ineleggibilita'  e  incompatibilita»  (sentenza  n. 160 del 1997). E'
vero  che  l'art.  97  Cost.  impone al legislatore di regolare, come
afferma  il rimettente, le «situazioni piu' evidenti ed indiscutibili
di  conflitto di interessi». Ma cio' non significa che il legislatore
debba  risolvere  ogni  situazione  di  conflitto di interessi con il
principio  della  incompatibilita'.  Nel bilanciamento fra i principi
previsti  dagli  artt.  51  e  97  della Costituzione, il compito del
Parlamento  e'  quello  di  valutare  in  modo ragionevole le diverse
ipotesi  di  conflitto  e,  in  relazione  alla gravita' di ciascuna,
graduare  il  trattamento normativo piu' appropriato e proporzionato.
Questo  puo'  essere  di  volta in volta rappresentato non solo dalla
ineleggibilita'  o  dalla  incompatibilita', ma anche dall'obbligo di
astenersi o di dichiarare la situazione di conflitto.
   La  previsione  di  una  incompatibilita' non costituisce, quindi,
l'unica  soluzione  a  disposizione del legislatore per porre rimedio
alla    specifica    situazione    di    conflitto    di    interessi
dell'amministratore  titolare  della  rappresentanza  organica  di un
soggetto  avente  lite  pendente  con  l'ente  locale.  Ne' a diversa
conclusione  potrebbe  pervenirsi  sulla base di una comparazione con
altre  ipotesi  di  conflitto  richiamate  dalla  Corte  d'appello di
Firenze,  che  presentano rilevanti elementi di diversita' rispetto a
quella   cui   il   rimettente  chiede  di  estendere  il  regime  di
incompatibilita'  (art.  63,  comma 1, del decreto legislativo n. 267
del  2000,  art. 2 della legge 20 luglio 2004, n. 215, recante «Norme
in materia di risoluzione dei conflitti di interesse» e art. 1394 del
codice civile).
              Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  63,  comma 1, numero 4), del decreto legislativo 18 agosto
2000,  n. 267  (Testo  Unico  delle leggi sull'ordinamento degli enti
locali),   sollevata,  con  riferimento  agli  artt.  3  e  97  della
Costituzione,  dalla  Corte  d'appello  di Firenze con l'ordinanza in
epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2008.
                         Il Presidente: Bile
                        Il redattore: Cassese
                      Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 2 luglio 2008.
                      Il cancelliere: Fruscella