N. 254 ORDINANZA 25 giugno - 4 luglio 2008
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Banca e Istituti di credito - Anatocismo bancario - Attribuzione al CICR del potere di stabilire modalita' e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attivita' bancaria - Denunciato eccesso di delega e lamentata violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza - Esclusione - Manifesta infondatezza della questione. - D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, art. 25, comma 2. - Costituzione, artt. 3, commi primo e secondo, e 76. Banca e Istituti di credito - Anatocismo bancario - Attribuzione al CICR del potere di stabilire modalita' e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attivita' bancaria - Lamentata lesione della dignita' individuale, della salvaguardia del risparmio, dell'iniziativa economica e della proprieta' - Genericita' delle censure - Manifesta inammissibilita' della questione. - D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, art. 25, comma 2. - Costituzione, artt. 2, 41, 42 e 47.(GU n.29 del 9-7-2008 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Franco BILE; Giudici: Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO; ha pronunciato la seguente
Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 2, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), siccome trasfuso nell'art. 120, comma 2, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), promosso con ordinanza del 25 ottobre 2007 dal Tribunale ordinario di Vicenza nel procedimento civile vertente tra la Unicredit Banca d'Impresa S.p.a. e il Fallimento Crestani Costruzioni S.r.l., iscritta al n. 51 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, 1ª serie speciale, dell'anno 2008. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella Camera di consiglio dell'11 giugno 2008 il giudice relatore Paolo Maria Napolitano. Ritenuto che, con ordinanza depositata il 25 ottobre 2007, il Tribunale ordinario di Vicenza ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, con espresso riferimento agli artt. 3, commi primo e secondo, e 76 della Costituzione, dell'art. 25, comma 2, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), siccome trasfuso nell'art. 120, comma 2, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia); che il rimettente precisa di dubitare della legittimita' costituzionale della disposizione che consente alle banche, in violazione di quanto previsto dall'art. 1283 del codice civile, di applicare la capitalizzazione anatocistica degli interessi con cadenza trimestrale (o comunque infrannuale) nei rapporti in conto corrente, anche in caso di pattuizione anteriore alla scadenza degli interessi; che, riguardo alla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale nel giudizio a quo, il rimettente chiarisce di essere chiamato a giudicare in ordine alla opposizione alla stato passivo proposta, nei confronti del Fallimento Crestani Costruzioni S.r.l., dalla Unicredit Banca d'Impresa S.p.a. la quale, insinuatasi nel passivo fallimentare, si era vista ammettere il saldo del conto corrente intestato alla societa' fallita, depurato pero' della somma riferibile alla capitalizzazione trimestrale degli interessi successiva alla delibera del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio del 9 febbraio 2000; che - affermando l'istituto di credito la legittimita' di tale capitalizzazione, in quanto, conformemente alla delibera del CICR emanata ai sensi della disposizione impugnata, essa opererebbe sia nei confronti dell'istituto di credito che del cliente - il Tribunale vicentino ha sollevato questione di costituzionalita' dell'art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 342 del 1999; che il rimettente, riportato il contenuto della disposizione censurata e dell'art. 1, commi 1 e 2, della delibera del CICR del 9 febbraio 2000, osserva che, ferma restando la illegittimita' delle clausole anatocistiche stipulate anteriormente alla entrata in vigore della ricordata delibera CICR, a tenore delle disposizioni sopra richiamate, risulterebbe la liceita' dell'anatocismo la' dove, previsto in condizioni di reciprocita' fra la banca e il cliente, esso operi a vantaggio di entrambi; che, tuttavia, ad avviso del rimettente, anche la condizione di reciprocita' non «muta i profili di illegittimita»; che il rimettente deduce l'illegittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 342 del 1999, in quanto la disposizione sarebbe viziata, con riferimento all'art. 76 della Costituzione, da eccesso di delega; che, per il rimettente, con l'art. 1, comma 5, della legge 24 aprile 1998, n. 128 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dalla appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee - Legge comunitaria 1995-1997), e' stata conferita delega al Governo per l'emanazione di disposizioni «integrative e correttive» del testo unico bancario, essendo stati richiamati espressamente i principi e i criteri direttivi indicati nell'art. 25 della legge 19 febbraio 1992, n. 142 (Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee - Legge comunitaria per il 1991); che sulla base dei medesimi principi e criteri direttivi gia' erano stati emanati sia il decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 481 (Attuazione della direttiva 89/646/CEE relativa al coordinamento delle disposizioni legislative regolamentari e amministrative riguardanti l'accesso all'attivita' degli enti creditizi e il suo esercizio e recante modifica della direttiva 77/780/CEE), sia il d.lgs. n. 385 del 1993; che, secondo il rimettente, anche interpretando estensivamente le finalita' di «correzione e integrazione» del testo unico bancario e i principi e criteri direttivi in base ai quali questo era stato emanato, non puo' ammettersi che essi potessero consentire un intervento in tema di anatocismo, derogatorio rispetto a quanto previsto dall'art. 1283 cod. civ.; che a tale conclusione il rimettente perviene sulla base delle seguenti considerazioni: nessuna delle disposizioni deleganti si riferisce all'anatocismo, ne' e' ravvisabile la volonta' del legislatore delegante di derogare all'art. 1283 cod. civ., tanto piu' attribuendo tale potere ad un «organismo normativo di rango non primario»; il testo unico bancario, oggetto di «integrazione e correzione», non conteneva disposizioni in tema di anatocismo, sicche' la disciplina di questo non puo' corrispondere all'attivita' di integrazione e correzione assegnata al legislatore delegato; in ogni caso la delega, in quanto volta a derogare a una norma imperativa del codice civile, avrebbe dovuto essere «espressa e inequivoca», rispettando, altresi', la previsione dell'art. 76, primo comma, della Costituzione, secondo la quale essa deve essere formulata «per oggetti definiti»; che il giudice a quo conclude, sul punto, osservando che la volonta' derogatoria in questione non potrebbe essere attribuita al legislatore della delega, in quanto, all'epoca del conferimento di questa, ancora non era maturato il mutamento della giurisprudenza della Corte di cassazione che, esclusa la natura normativa degli usi relativi alla pratica anatocistica, ha reso necessario l'intervento del legislatore, volto, si legge, a porre «rimedio ad un improvviso e sfavorevole cambiamento di rotta della Cassazione»; che il Tribunale di Vicenza, illustrando i restanti profili di illegittimita' costituzionale della norma censurata, rileva che essi avrebbero ad oggetto la violazione del principio di eguaglianza sia formale che sostanziale; che, riguardo al primo aspetto, il rimettente ritiene che, benche' sia necessario, ai fini della sua validita', in base alla disposizione delegata, che la previsione dell'anatocismo operi, con la medesima periodicita', nei reciproci rapporti delle parti, cio' non esclude una disparita' di trattamento da parte della legge; in quanto, da un lato, diverso e' il saggio di interesse praticato nei confronti della banca e nei confronti del cliente e, d'altro canto, la clausola anatocistica, inserita nei contratti uniformi praticati dalle banche, non puo' essere rifiutata dal cliente; che, riguardo alla violazione dell'eguaglianza sostanziale, il rimettente osserva che la disposizione censurata «consolida una situazione di gia' grave squilibrio sociale a favore delle banche, che costituisce un ostacolo di ordine economico che limita di fatto [...] il pieno sviluppo [...] [scilicet: del cittadino contraente debole] e la sua effettiva partecipazione all'organizzazione economica del Paese»; che in particolare, diversamente da un'eventuale pattuizione successiva alla scadenza degli interessi, la pattuizione anatocistica anteriore a detta scadenza, benche' caratterizzata dalla reciprocita', consolida una situazione di disuguaglianza, violando il principio per cui «tutti i cittadini [...] sono uguali di fronte alla legge»; che la norma sarebbe altresi' irragionevole laddove consente un meccanismo che la Corte di cassazione ha gia' ritenuto illegittimo, a prescindere dall'eventuale reciprocita' del suo funzionamento, non potendo quest'ultima elidere «i profili di illegittimita», che dipendono, invece, dalla unilaterale costrizione della liberta' contrattuale; che, infine, il rimettente ravvisa ulteriori motivi di irragionevolezza della norma «per tutte le gravi conseguenza che possono derivare al sistema economico (liberta' individuale, risparmio, prezzi, proprieta', iniziativa economica)»; che il Tribunale di Vicenza conclude ribadendo che la disposizione censurata sarebbe viziata da eccesso di delega e - a causa dell'impossibilita' per il cliente di rifiutare la clausola anatocistica, - dalla violazione dei «principi costituzionali riferiti ai valori della liberta' individuale, del risparmio, dell'iniziativa e della stabilita' economica, della proprieta», comportando «la negazione della liberta' e dignita' della persona e della sua uguaglianza davanti alla legge»; che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, la quale ha concluso per la inammissibilita' o, comunque, per la infondatezza della questione; che la Avvocatura dello Stato rileva come la Corte costituzionale, con la sentenza n. 341 del 2007, abbia gia' scrutinato la norma censurata sotto l'aspetto della sua congruita' alla delega legislativa in attuazione della quale e' stata emanata, affermando che la disciplina sia della capitalizzazione degli interessi nell'esercizio del credito bancario che della periodicita' di tale operazione «rientravano nell'ambito della attivita' di adeguamento che il legislatore delegante aveva demandato» a quello delegato; che, anche con riferimento alle dedotte violazioni del principio di eguaglianza, la Avvocatura osserva che la predetta sentenza della Corte costituzionale contiene considerazioni che giustificano, quanto alla sua compatibilita' costituzionale, la peculiare disciplina applicabile agli istituti di credito; che, infine, privi di alcuna argomentazione, e pertanto inammissibili, sarebbero quei profili di censura relativi ai parametri, non esplicitati ma genericamente richiamati nel corpo dell'ordinanza, costituiti dagli artt. 41, primo comma, e 47, primo e secondo comma, della Costituzione. Considerato che il Tribunale ordinario di Vicenza dubita, con esplicito riferimento agli artt. 3, commi primo e secondo, e 76 della Costituzione, e, implicitamente, anche con riferimento agli artt. 2, 41, 42 e 47 della Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 2, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), siccome trasfuso nell'art. 120, comma 2, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia); che, in particolare, per il giudice a quo la disposizione contenuta nella norma censurata, in base alla quale con provvedimento del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio sono stabiliti modalita' e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio della attivita' bancaria, sarebbe stata adottata in assenza di idonea delega legislativa; che, sempre secondo il rimettente, la disposizione medesima violerebbe sia il primo che il secondo comma dell'art. 3 della Costituzione in quanto, per un verso, consentirebbe la applicazione di saggi di interesse sensibilmente diversi a seconda che essi siano pretesi o dovuti dagli istituti di credito, senza che il cliente possa realmente trattare le relative condizioni contrattuali e, per altro verso, contribuirebbe al consolidamento di una situazione di squilibrio contrattuale in favore delle banche, tale da limitare il pieno sviluppo e la effettiva partecipazione dei consumatori alla organizzazione economica del Paese, legittimando un meccanismo di incremento del debito nei confronti degli istituti di credito gia' ritenuto viziato dalla Corte di cassazione; che, infine, la stessa disposizione sarebbe altresi' lesiva di altri interessi costituzionalmente tutelati, quali quello alla dignita' individuale, alla salvaguardia del risparmio, dell'iniziativa economica e della proprieta', per i quali il rimettente non ha specificamente individuato alcun parametro ma che appaiono riconducibili agli artt. 2, 41, 42 e 47 della Costituzione; che, ancora di recente, questa Corte, con la sentenza n. 341 del 2007, ha avuto l'occasione di escludere la difformita' rispetto all'art. 76 della Costituzione della norma ora censurata dal Tribunale di Vicenza; che, in assenza di elementi di sostanziale novita' nella prospettazione del rimettente, non vi e' motivo per discostarsi da tale precedente decisione; che, con riferimento alla dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione, la questione e' manifestamente infondata; che, infatti, a prescindere dal fatto che i vizi denunciati dal rimettente non appaiono essere frutto della disposizione censurata - la quale si limita a rinviare ad altra fonte, dettando la necessaria condizione di reciprocita', la disciplina della capitalizzazione periodica degli interessi - derivando essi, semmai, da un'esistente disparita' di fatto fra la posizione contrattuale degli istituti che esercitano professionalmente l'attivita' creditizia e quella dei loro correntisti, va osservato che, quanto alla introdotta deroga al regime ordinario fissato dall'art. 1283 del codice civile, essa trova la sua giustificazione, come indicato nella citata sentenza n. 341 del 2007, nell'esigenza di uniformare questo aspetto della legislazione interna a quella vigente nei principali Stati che allora costituivano la Unione europea per i quali «la disciplina prevista in materia di anatocismo per il sistema bancario o, piu' in generale, per le attivita' di natura commerciale (o in cui una delle parti fosse un istituto di credito) era diversa da quella prevista nei rapporti di diritto civile». che riguardo alla dedotta irragionevolezza della norma, la quale legittimerebbe una regola contrattuale gia' dichiarata viziata dalla Corte di cassazione, risulta palese che il ricordato orientamento giurisprudenziale e' incongruamente evocato, essendo esso sorto sulla base di una legislazione, precedente a quella ora in esame, la quale appunto non prevedeva deroghe alla disciplina generale prevista dall'art. 1283 cod. civ.; quanto ai restanti profili di illegittimita', implicitamente evocati dal rimettente, essi, stante la assoluta genericita' delle censure, sono manifestamente inammissibili. Visti gli artt. 26 secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 2, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), siccome trasfuso nell'art. 120, comma 2, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), sollevata, con riferimento agli artt. 2, 41, 42 e 47 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Vicenza con l'ordinanza in epigrafe; Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dello stesso art. 25, comma 2, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), siccome trasfuso nell'art. 120, comma 2, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), sollevata, con riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e 76 della Costituzione, sempre dal Tribunale ordinario di Vicenza con la medesima ordinanza. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 giugno 2008. Il Presidente: Bile Il redattore: Napolitano Il cancelliere: Fruscella Depositata in cancelleria il 4 luglio 2008. il cancelliere: Fruscella