N. 243 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 - 23 gennaio 2008

Ordinanza  del  23  gennaio  2008  emessa dal Tribunale di Milano sul
reclamo  proposto  dalla  Sept Italia S.p.A. contro Kaitech S.p.A. ed
altri

Procedimento  civile  - Societa' - Controversie in materia di diritto
  societario  e  di  intermediazione  finanziaria, nonche' in materia
  bancaria  e  creditizia  -  Procedimento  di primo grado dinanzi al
  tribunale  in  composizione  collegiale  -  Istanza  di  fissazione
  dell'udienza collegiale - Mancata notifica nel termine perentorio -
  Prevista   estinzione   immediata   del  processo  in  luogo  della
  cancellazione  della  causa  dal  ruolo  - Lamentata sproporzione e
  incoerenza  della  sanzione rispetto alla finalita' di garantire la
  ragionevole  durata del processo, con effetti pregiudizievoli per i
  diritti  sostanziali  e  processuali della parte onerata - Asserita
  disparita'   di   trattamento   rispetto   all'ipotesi  di  mancata
  comparizione  delle  parti  innanzi  al  collegio  per  la sentenza
  contestuale,  per la quale e' prevista la cancellazione della causa
  dal  ruolo  -  Denunciata  violazione  del  diritto di difesa e dei
  principi di uguaglianza e di ragionevolezza.
- Decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, art. 8, comma 4.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.35 del 20-8-2008 )
                            IL TRIBUNALE
   A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 15 marzo 2007
ha pronunciato la seguente ordinanza.
   Il  giudice  relatore  designato  ex art. 12, d.lgs n. 5/2003, con
ordinanza  5  febbraio  2007  ha  dichiarato - ai sensi del combinato
disposto  degli  artt.  8,  comma 4 e 12, comma 5 del d.lgs. citato -
l'estinzione del giudizio, poiche' parte attrice (SEPT Italia S.p.A.)
ha  notificato l'istanza di fissazione udienza oltre il termine di 20
giorni previsto dall'art. 8, comma c) del decreto citato: i convenuti
avevano  notificato  la  propria  terza replica ex art. 7, comma 3 in
data 12 maggio 2006, sicche', stante il tenore letterale della norma,
l'attore   non   volendo   replicare  ulteriormente,  avrebbe  dovuto
notificare  la  propria  istanza  di  fissazione  udienza entro venti
giorni «dalla data della notifica dello scritto difensivo delle altre
parti  al  quale non intende[va] replicare», ovvero entro il 2 giugno
2006; ha invece compiuto detta notifica il 9 giugno 2007.
   Nel  reclamare  l'ordinanza  predetta  avanti  al  Collegio  parte
attrice  lamenta  che  l'argomentare  del  giudice  di prime cure non
sarebbe  corretta:  ai  sensi  dell'art. 7, comma 3, d.lgs n. 5/2003,
sostiene il reclamante «e' ammesso lo scambio di ulteriori memorie di
replica  tra le parti finche' non e' decorso il termine massimo di 80
giorni dalla notifica della memoria di controreplica del convenuto di
cui  al comma 2»; inoltre «ove necessario al fine dell'attuazione del
contraddittorio  il relatore assegna un termine non inferiore a dieci
e  non inferiore a venti giorni per repliche»; nella specie l'attrice
-  a  suo  dire -  non  avrebbe  potuto  notificare ai convenuti (che
avevano  notificato  la terza controreplica 12 maggio 2006) ulteriore
replica,  poiche'  il  termine  di  trenta  giorni  a lei concesso da
costoro  sarebbe scaduto dopo il termine massimo previsto dalla legge
per   lo   scambio   di  memorie;  pertanto,  volendo  proseguire  il
contraddittorio,  a fronte di un termine per replica che scadeva dopo
il  termine massimo, si sarebbe avvalsa, per evitare l'estinzione del
giudizio,  della  possibilita'  di notificare l'istanza di fissazione
udienza  nei  venti  giorni  dalla  scadenza  del  termine massimo di
ottanta  giorni  di  cui all'art. 7, comma 3 (richiamato dall'art. 8,
comma  4  per  disciplinare  le  ipotesi di estinzione del giudizio),
chiedendo  nel contempo al relatore di essere autorizzato a replicare
ulteriormente,  secondo  quanto  previsto  in  proposito dall'art. 7,
comma 3, ultima parte.
   Quindi  nessuna  delle  ipotesi di estinzione prevista dalla legge
(art.  8,  comma  4)  si  sarebbe  verificata, ed il avrebbe errato a
considerare   assorbente,   agli   effetti   della   declaratoria  di
estinzione,  la  mancata  notifica dell'istanza di fissazione udienza
nei  venti giorni dalla scadenza dell'ultima replica dei convenuti (2
giugno  2006),  avendo  la  legge previsto - per l'ipotesi in cui una
parte  sia  «in termini» per una replica, nonostante nelle more spiri
il  termine  massimo  di  ottanta  giorni  previsto per lo scambio di
scritti  difensivi -  la  possibilita'  di  notificare  l'istanza  di
fissazione  d'udienza  e  la  richiesta di autorizzazione al deposito
dell'ulteriore  scritto  difensivo, entro venti giorni dalla scadenza
del  termine massimo di ottanta giorni dalla controreplica ex art. 7,
comma  2,  e  non  dalla notifica dell'ultimo scritto difensivo della
controparte cui non intenda rispondere.
   L'argomento  dei  reclamanti  e'  in  astratto  fondato;  e' vero,
infatti, che l'art. 8 prevede la possibilita' di notificare l'istanza
di  fissazione  udienza  nei  venti giorni dalla scadenza del termine
massimo  di  ottanta  giorni  dalla  notifica della controreplica del
convenuto  di  cui all'art. 7, comma 2, poiche' tiene conto del fatto
che  la  disciplina  del  contraddittorio  di  cui  all'art.  7  puo'
comportare che una delle parti sia in termini per replicare quando e'
imminente  la scadenza del termine massimo che chiude necessariamente
il  contraddittorio,  rendendo inammissibile la memoria, e creando il
presupposto  dell'estinzione  del  giudizio:  la parte potrebbe avere
venti  giorni  per  rispondere  con  una memoria benche' di li' a tre
giorni  scada il termine massimo di ottanta; in tal caso, per evitare
l'estinzione   del   giudizio   la   parte   potra'  avvalersi  della
possibilita'  di  notificare  nei  venti  giorni  dalla  scadenza del
termine  massimo  di  ottanta  giorni,  che  interrompe  comunque  il
contraddittorio,  l'istanza  di fissazione udienza ex art. 12, e, nel
contempo,  di  richiedere  al giudice la fissazione di un termine per
depositare    l'ultimo   scritto   difensivo   (termine   che   sara'
ragionevolmente  concesso  solo  se  lo  scritto  sia  necessario per
ristabilire la parita' del contraddittorio).
   Se  cosi'  fosse  nella  specie,  il giudice di prime cure avrebbe
effettivamente  errato  a  considerare  assorbente agli effetti della
verifica   dell'estinzione   del   giudizio   la   mancata   notifica
dell'istanza  di fissazione d'udienza collegiale nel termine di venti
giorni  dall'ultima  replica  dei  convenuti,  poiche' avrebbe dovuto
considerare  decorrente  il termine stesso dalla scadenza del termine
massimo  di  ottanta  giorni,  a  sua volta decorrente dalla notifica
della controreplica del convenuto.
   Ebbene  nella specie lo scambio degli scritti difensivi e' avvento
secondo lo schema seguente:
     il  29 dicembre 2005 e' stata notificata dall'attrice la replica
ex  art.  6  d.lgs. n. 5/2003 (anche per la riassunzione del giudizio
con  rito  societario  essendo  stato  in precedenza mutato il rito e
cancellata  la  causa  dal  ruolo  ai  sensi  dell'art. 1 u.c. stesso
decreto);
     il  25/26  gennaio  2006  i  convenuti  hanno replicato ai sensi
dell'art. 7, comma 1;
     il 17 febbraio 2006 l'attore ha replicato ex art. 7, comma 2;
     il  14  marzo 2006, i convenuti hanno controreplicato ex art. 7,
comma 2;
     il  13  aprile  2006 l'attore ha nuovamente replicato ex art. 7,
comma 3;
     il  12  maggio  2006 i convenuti hanno controreplicato ex art.7,
comma 3;
     il  9  giugno 2006 l'attrice ha notificato istanza di fissazione
udienza  (chiedendo  al  giudice relatore, ex art. 7, comma 3, ultima
parte,  anche  l'autorizzazione alla notifica di ulteriore memoria di
controreplica  ai  convenuti e l'integrazione del contraddittorio nei
confronti di un terzo).
   Cio'   chiarito   si  osserva  che  il  termine  di  venti  giorni
(perentorio  e  non  modificabile dalle parti ex art. 153 c.p.c.) per
l'eventuale  ulteriore  (quarta) replica dell'attore alla memoria dei
convenuti del 12 maggio 2006 scadeva, ex art. 155 c.p.c., il 1 giugno
2006 (e non il 2 giugno 2006 come affermato nell'ordinanza).
   Il  termine  massimo  di  ottanta  giorni  dalla controreplica dei
convenuti  ex  art.  7, comma 2 scadeva il 2 giugno 2006, quindi il 3
giugno 2006 essendo il 2 giorno festivo.
   Quindi  l'attrice,  volendo  proseguire  il  contraddittorio  come
afferma,  ben avrebbe potuto notificare il suo scritto di replica nel
termine massimo di venti giorni predetto, il quale scadeva, peraltro,
entro  quello  massimo  previsto  dalla legge per la prosecuzione del
contraddittorio.
   A  quel  punto  ciascuna  parte,  avrebbe avuto la possibilita' di
notificare  istanza di fissazione udienza nei venti gironi successivi
alla scadenza del termine massimo di ottanta giorni.
   Oppure,  non  volendo replicare, avrebbe dovuto notificare istanza
di  fissazione  entro  il  1°  giugno  2006 nel termine, cioe', di 20
giorni dalla notifica dell'ultimo scritto di controparte.
   Non avendo cosi' operato, l'attrice ha dato luogo ad un'ipotesi di
estinzione  del  giudizio, diversa, invero, da quella individuata dal
giudice di prime cure, ma comunque foriera dello stesso effetto.
   E non vale il diverso argomentare della controparte, che si avvale
per  giungere  ad  opposta  conclusione  del  presupposto erroneo del
termine  di  «trenta giorni» concesso dai convenuti all'attrice nella
loro  controreplica:  e'  vero  che  in  virtu'  di  tale  termine la
possibilita' per l'attrice di replicare a controparte sarebbe scaduta
l'11  giugno  2006,  cioe'  in  un  momento successivo a quello della
scadenza  del  termine  massimo di ottanta giorni, ma di quel termine
l'attrice  non  si  poteva  avvalere,  perche'  in  quella  fase  del
contraddittorio  non  sono ammessi, espressamente termini superiori a
venti  giorni  per  ulteriori  memorie  (l'art. 7, comma 3, dopo aver
previsto  la  possibilita' di scambi ulteriori nel termine perentorio
di  20  giorni,  prosegue affermando che «Alle medesime condizioni e'
ammesso lo scambio di ulteriori memorie...».
   Pertanto il processo dovrebbe essere dichiarato estinto.
   Tuttavia  il  Collegio  reputa, avendolo altresi' prospettato alle
parti  nel  corso  dell'udienza  di  discussione,  che la fattispecie
sottoposta al suo esame ponga in maniera non manifestamente infondata
la  questione  della costituzionalita' della norma di cui all'art. 8,
comma  4,  d.lgs  n. 5/2003  nella  parte  in  cui stabilisce che «La
mancata  notifica  dell'istanza  di  fissazione  d'udienza  nei venti
giorni   successivi  alla  scadenza  dei  termini  di  cui  ai  commi
precedenti,   o   del  termine  per  il  deposito  della  memoria  di
controreplica  del convenuto di cui all'art. 7, comma 2, ovvero dalla
scadenza  del  termine  massimo  di cui all'art. 7, comma 3 determina
l'estinzione del processo» in via immediata.
   Questione  nella  fattispecie  rilevante  atteso che proprio detta
disciplina  dovrebbe  condurre  il  Collegio  a dichiarare estinto il
processo  introdotto  da  SEPT  Talia  S.p.A. nei confronti di Carnet
S.p.A., Kaitech S.p.A., Fabio Daniele e Maria Lazzerini.
   E cio' ritiene sulla base delle considerazioni che seguono.
   Alla  luce dei principi generali dai quali e' ragionevole ritenere
che  il  legislatore  non  abbia  inteso  discostarsi,  quindi, della
«funzione»  dell'istituto dell'estinzione del giudizio, va rammentato
che l'estinzione e' una vicenda anormale del processo, finalizzata ad
evitare  la  prosecuzione  di  attivita'  processuale quando tutte le
parti, per accordo esplicito (rinuncia agli atti) o per comportamento
concludente (inattivita), lo ritengono inutile.
   Proprio  perche'  l'inattivita'  e'  uno  dei  presupposti  che il
legislatore  pone  a  base del meccanismo d'estinzione, le parti sono
tenute  a  compiere  atti  ritenuti essenziali per l'iter processuale
entro  termini  perentori  con  funzione  acceleratoria,  e  la  loro
inosservanza  determina l'estinzione immediata (es. art. 182, comma 2
c.p.c.  e  290  c.p.c.,  165 c.p.c. 102 c.p.c.) o differita (art. 181
c.p.c.  309  c.p.c.)  del  processo, a prescindere dal fatto se detta
inosservanza sia frutto di consapevole volonta' o di mera negligenza.
   Come  gia' nel processo ordinario (i casi sono riassunti nell'art.
307  c.p.c.),  anche  nel nuovo rito societario viste le finalita' di
celerita'  e  concentrazione  che  lo  ispirano -  il  legislatore ha
introdotto  dei  termini  perentori  per il compimento di determinate
attivita'   con   funzione   acceleratoria,   ed  ha  previsto  quale
conseguenza   della  mancata  osservanza  degli  stessi  l'estinzione
immediata  (art.  8,  comma  4)  o  differita  (art. 16, comma 1) del
processo.
   La  disciplina  che il legislatore ha previsto per quello speciale
atto   d'impulso   processuale   che   e'   l'istanza  di  fissazione
dell'udienza  collegiale  (in  particolare  la decorrenza del termine
perentorio di venti giorni per la notifica dell'istanza di fissazione
dell'udienza  collegiale  in  ragione dell'attuale combinato disposto
degli  artt.  7 e 8 del d.lgs n. 5/2003 frutto di modifiche apportate
con  il  d.lgs.  n. 37/2004),  prevede  che  la  stessa  debba essere
notificata  entro  un  termine  perentorio  che  decorre  da  momenti
diversi,   a   seconda   di   come   in  concreto  si  e'  svolto  il
contraddittorio, momenti la cui individuazione spetta alle parti alla
luce  di  disposizioni normative obbiettivamente complesse, frutto di
una formulazione non sempre chiara e lineare; cio' in una fase in cui
il  giudizio  si  svolge  esclusivamente  tra  le parti attraverso lo
scambio  degli  scritti  difensivi,  e  ove,  quindi,  il  giudice e'
totalmente assente rispetto a quel molo di direzione del procedimento
(175  c.p.c.) che, nel rito ordinario, si esprime anche attraverso la
chiara  fissazione  dei  termini  perentori  entro  cui le parti, per
legge,  devono  svolgere  determinate attivita', pena, in taluni casi
(art. 307 c.p.c.), l'estinzione del giudizio;
   La sanzione per l'esercizio non tempestivo di detto atto d'impulso
e' l'estinzione immediata del giudizio.
   La  conseguenza  dell'estinzione  immediata  del giudizio a fronte
dell'agire  non tempestivo della parte onerata nel passaggio delicato
del  giudizio  alla  fase  apud  iudicem, non appare (anche alla luce
della   formulazione   della   disciplina  in  concreto  dettata  dal
legislatore)  sanzione  coerente  con  i  principi  costituzionali, e
soprattutto  con  il  principio  di cui all'art. 24 Cost.: l'idea del
processo  civile coerente con il dettato costituzionale, e' quello di
un  processo, certamente il piu' possibile rapido, ma al tempo stesso
idoneo  a  consentire  concretamente  alle  parti di difendere i loro
diritti  e  di  ottenere  -  attraverso il ricorso al giudice, quelle
stesse  utilita'  in  termini  di  riconoscimento ed affermazione dei
diritti,  che  avrebbe potuto consentire attraverso il rispetto della
norma sostanziale.
   La  garanzia  del  diritto di difesa non si esaurisce, infatti, al
momento dell'accesso al processo, ma va configurato - anche in virtu'
dell'art.  111  Cost.  che  rafforza la garanzia sancita dall'art. 24
Cost.  -  come  diritto  ad ottenere una pronuncia di merito, per cui
debbono considerarsi eccezionali le ipotesi di violazione delle norme
rituali   che   precludano  la  conoscenza  del  diritto  sostanziale
controverso.
   Pertanto,  quand'anche  si consideri coerente con i principi anche
costituzionali  di  celerita' del processo, la scelta del legislatore
di porre termini perentori d'impulso processuale, appare incongruo ed
irragionevole  sanzionare  con  l'estinzione  immediata del processo,
l'agire   non  tempestivo  della  parte  che  abbia,  si'  notificato
l'istanza  di fissazione dell'udienza collegiale, ma oltre il termine
stabilito  nella  speciale  ipotesi  che  lo riguarda (magari errando
nell'interpretazione   di   una  disciplina,  invero,  non  chiara  e
lineare):  che,  cioe',  si  sia  attivata,  mostrando cosi' di avere
interesse  alla  prosecuzione  del  giudizio, ma non tempestivamente;
tanto  piu' appare irragionevole se si considera che detta negligenza
o  detto  errore  di interpretazione della norma, viene a cogliere la
parte  una  volta  che  il  compiuto  svolgersi del contraddittorio -
magari  con  l'ampiezza  massima  concessa dal legislatore come nella
specie   -   dimostra,   invece,   che   le   parti  hanno  coltivato
diligentemente  e pienamente l'interesse ad ottenere la pronuncia del
giudice adito.
   Il  legislatore  ha, quindi, ad avviso del tribunale, compiuto una
scelta   irragionevole   nel   quadro   dei  principi  costituzionali
richiamati, quando ha previsto all'esito dell'inattivita' della parte
in argomento, la conseguenza dell'estinzione «immediata» del processo
anziche'   quella   della  «cancellazione  della  causa  dal  ruolo»,
conseguenza  quest'ultima che, pur portando anch'essa all'estinzione,
si  articola  in  un doppio grado di omissioni (l'omessa riassunzione
della   causa  cancellata),  che  appare,  nel  contesto  della  fase
processuale  in esame - a contraddittorio compiutamente svolto - piu'
coerente  con  la filosofia di una sanzione fondata sulla presunzione
legale del disinteresse delle parti alla pronuncia.
   Se  si  considera,  inoltre,  che  la condotta di cui all'art. 16,
comma 1, d.lgs n. 5/2003 (mancata presentazione delle parti avanti al
Collegio  per  la  sentenza  contestuale)  - ben piu' esplicita della
notifica  non  tempestiva  di un'istanza di fissazione della medesima
udienza  nel  senso di manifestare un disinteresse delle parti per la
pronuncia  del  giudice  -  e' sanzionata dal legislatore con la sola
cancellazione  della  causa dal ruolo, la scelta legislativa relativa
alla  sanzione  processuale  predetta  appare  vieppiu'  incongrua ed
irragionevole  sotto  l'ulteriore  profilo  di contrasto con l'art. 3
Cost.
   Conclusivamente reputa il Collegio che la liberta' del legislatore
di  atteggiare  i  mezzi di tutela del diritto di difesa in relazione
alla  protezione  di  altri  interessi  costituzionalmente  garantiti
(celerita'  del  processo)  non  puo'  spingersi a vanificare in sede
giurisdizionale situazioni riconosciute in sede sostanziale, ponendo,
piu'  che  incentivi  ad  un procedere spedito del giudizio, ostacoli
all'esercizio dell'azione, che si rivelano tali in quanto non congrui
e non ragionevoli.
   L'estinzione immediata del processo quale conseguenza prevista dal
legislatore   nelle   ipotesi  di  cui  all'art.  8,  comma  4  -  da
individuarsi  in  virtu'  di  una lettura combinata e non agevole del
disposto  degli art. 8, commi 1, 2, e 3 dell'art. 7, d.lgs. n. 5/2003
-  appare,  quindi,  conseguenza irragionevole,  avuto  riguardo alla
finalita'  dell'istituto dell'«estinzione», sotto un duplice profilo:
(a)  in  riferimento  all'art. 3 della Costituzione, perche' crea una
diversita'  di  trattamento  essenziale,  e non giustificabile tra il
«non   agire»  costituito  dal  non  comparire  davanti  al  Collegio
all'udienza  ex  art.  16 (sanzionato con la sola cancellazione della
causa  dal  ruolo, benche' imputabile ad entrambe le parti e, quindi,
anche  percio'  sintomatico  in  modo ben piu' chiaro e biunivoco del
disinteresse  per  la  pronuncia  giurisdizionale),  e il «non agire»
costituito  dalla mancata notifica dell'istanza di fissazione udienza
ex  art. 12 nel termine di venti giorni dalla scadenza dei termini di
cui  ai  commi  1,  2  e 3 dell'art. 8, o del termine per il deposito
della memoria di controreplica del convenuto di cui all'art. 7, comma
2, ovvero dalla scadenza del termine massimo di cui all'art. 7, comma
3; (b) in riferimento all'art. 24 della Costituzione poiche', ponendo
una  preclusione  con  effetto  immediato  a  che  il  processo possa
proseguire  nella  fase  apud  iudicem,  impedisce irragionevolmente,
cioe'  con  una  sanzione processuale gravissima (che se non estingue
l'azione   che  puo'  essere  riproposta,  non  interrompe  eventuali
decadenze  che  siano nel frattempo maturate) e quindi sproporzionata
rispetto  allo  scopo  di salvaguardare in quella fase lo svolgimento
celere  del giudizio, che la parte possa sanare autonomamente, con la
riassunzione  del  giudizio,  l'eventuale  errore di valutazione o di
interpretazione  compiuto,  ed  ottenere la tutela del diritto che ha
inteso affermare con l'esercizio dell'azione.
                              P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge 1° marzo 1953, n. 87;
   a)  sospende  il  gudizio  in  corso e rimette gli atti alla Corte
costituzionale  affinche'  la  stessa  dichiari  incostituzionale per
violazione  degli  artt. 3 e 24 della Costituzione l'art. 8, comma 4,
d.lgs  n. 5/2003  nella  parte  in  cui  stabilisce  che  «La mancata
notifica  dell'istanza  di  fissazione  d'udienza  nei  venti  giorni
successivi  alla  scadenza  dei termini di cui ai commi precedenti, o
del  termine  per  il  deposito  della  memoria  di controreplica del
convenuto  di  cui  all'art.  7,  comma  2  ovvero dalla scadenza del
termine massimo di cui all'art. 7, comma 3 determina l'estinzione del
processo» anziche' la cancellazione della causa dal ruolo;
   b)  dispone  che la presente ordinanza sia notificata a cura della
cancelleria  alle  parti,  nonche'  al  Presidente  del Consiglio dei
ministri  e  comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del
Senato della Repubblica.
     Milano, addi' 22 gennaio 2008
                        Il Presidente: Ciampi