N. 253 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 marzo 2008

Ordinanza del 17 marzo 2008 emessa dal G.u.p. del Tribunale di Torino
nel procedimento penale a carico di Mita Ion


Reati  e  pene  -  Reato di favoreggiamento dell'ingresso illegale in
  altro  Stato  del quale la persona non e' cittadina o non ha titolo
  di   residenza  permanente  -  Indeterminatezza  della  fattispecie
  criminosa  -  Configurazione  di  una  norma  penale  in  bianco  -
  Violazione  della riserva di legge in materia penale, del principio
  di  tassativita'  e  determinatezza  delle  norme  incriminatrici -
  Lesione del diritto all'emigrazione.
- Decreto  legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 12, comma 1, come
  sostituito  dall'art.  11  della legge 30 luglio 2002, n. 189, come
  modificato  dall'art.  1-ter  del  decreto-legge 14 settembre 2004,
  n. 241,  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 12 novembre
  2004, n. 271.
- Costituzione, artt. 25 e 35, comma quarto.
(GU n.36 del 27-8-2008 )
                IL GIUDICE PER L'UDIENZA PRELIMINARE

   Nel  procedimento  n. 12504/03 R.N.R. e 19260/03 R.G. G.i.p. Trib.
Torino,  a carico di Mita Ion + 6; previa separazione della posizione
di  quest'ultimo  dal  procedimento  principale, definito con il rito
abbreviato  in  udienza  preliminare, in relazione al solo addebito a
lui  elevato  al  capo  C  della  richiesta  di rinvio a giudizio, ha
pronunciato la seguente ordinanza ex art. 23, legge 11 marzo 1953.
                          Ritenuto in fatto

   Mita Ion e' imputato di violazione in concorso dell'art. 12, comma
3,  d.lgs. n. 286/1998, in concorso con il gruppo di «passeurs» Calin
Gheorghe, Calin Ilie e Malacu George (alias Topriceanu Mihaita, detto
Turi   Mihai).   Dagli   atti  si  evince  pero'  unicamente  un  suo
coinvolgimento    per    far    espatriare   clandestinamente   verso
l'Inghilterra  (paese  extra-Schengen)  alcuni conoscenti, ed in tale
veste avrebbe (richiedendo informazioni a persone rimaste estranee al
procedimento)  prima  ottenuto  il  consiglio di rivolgersi al gruppo
Neascu/Gherghisan; fallito l'esperimento, perche' i «passeurs» non si
erano   presentati   all'appuntamento   avrebbe   poi   ottenuto   un
appuntamento  con  il gruppo dei Calin; avrebbe quindi accompagnato i
conoscenti    nel    luogo   stabilito   perche'   potessero   salire
clandestinamente  sul  treno  nei  pressi del bivio della Pronda. Fin
dalle  prime  battute  delle indagini e' emerso il coinvolgimento del
Mita   in  «un  solo  episodio»  (ord.  g.i.p.  24  luglio  2003,  di
attenuazione  della misura cautelare da custodia in carcere in quella
degli  arresti  domiciliari;  in  seguito  e' stata poi revocata ogni
misura,  a  differenza  che per i coimputati «passeurs»). E' evidente
dallo  svolgersi degli accadimenti (documentati probatoriamente dalle
intercettazioni  telefoniche  e  paralleli  appostamenti di p.g.) che
Mita si e' attivato per agevolare la partenza di quattro persone, non
identificate,  che  dovevano  partire  insieme,  e solo di quelle. In
atti -  e  tenuto  conto  delle  puntuali  spiegazioni  che  egli  ha
reiteratamente  fornito  in  sede di interrogatorio in relazione agli
elementi  a  suo  carico  (conversazioni  telefoniche  intercettate e
concomitanti  appostamenti  di  p.g.)  -  a carico del Mita non vi e'
altro;   in   specie   non   vi   e'  alcun  elemento  che  smentisca
l'occasionalita'  della  condotta  di  favoreggiamento, legata ad una
situazione  specifica e in relazione alla quale egli stesso ha dovuto
rivolgersi a terzi «professionisti» (che venivano pagati per questo),
per agevolare parenti o persone a lui legate e senza che vi sia alcun
elemento per ritenere che egli abbia percepito a propria volta denaro
in  cambio  dell'aiuto  prestato.  Anche dai colloqui telefonici pare
evincersi  l'estraneita' di Mita all'attivita' dei «passeurs», che ha
contattato  da estraneo e per favorire familiari/utenti a lui vicini.
Ne   e'  spia  sintomatica  gia'  l'opzione  dell'accusa  di  elevare
l'addebito  di  cui  all'art.  12, d.lgs. n. 286/1998 in concorso, al
capo C con il c.d. gruppo dei Calin e non invece in concorso, al capo
A,  con  il  gruppo Neascu/Gherghisan, pure da lui contattato; e cio'
perche' solo a mezzo dei Calin egli era infine riuscito nel suo unico
scopo, che era di far espatriare le quattro persone che a lui avevano
chiesto aiuto.
                           Sulla rilevanza

   Da  cio'  consegue,  come  correttamente evidenziato dalla difesa,
che:
     a)  l'addebito  anche  a  carico  di Mita Ion di favoreggiamento
dell'immigrazione  («atti  diretti  a favorire l'ingresso in Italia»)
appare  nel  suo  caso dovuto unicamente alla formulazione unitaria e
indistinta  del  capo  C,  che riguarda anche i presunti correi Calin
Gheorghe,  Calin Ilie e Malacu George; formulazione priva di elementi
individualizzanti  e che in ogni caso non trova corrispondenza alcuna
in  atti  per  quanto  attiene  a  Mita Ion, a quanto si desume dalla
stessa  ricostruzione  che  dei  fatti  ha  evidenziato  il  pubblico
ministero in sede di discussione del rito abbreviato;
     b)  Mita non puo' essere ritenuto concorrente nel reato previsto
dall'art.  12,  comma  3, d.lgs. n. 286/1998, ma al piu' soggetto che
individualmente  ha  commesso  «atti  diretti  a procurare l'ingresso
illegale  in  altro Stato del quale la persona non e' cittadina o non
ha titolo di residenza permanente», condotta sanzionata autonomamente
dal comma 1 dello stesso articolo.
   Il  capo  C  e'  contestato  «da  epoca  non  precisata posteriore
all'estate  del  2002»;  e'  pacifico  che  l'attivazione di Mita per
agevolare l'espatrio risale al marzo 2003.
   Ne  consegue  che  a  Mita e' stata contestata la violazione della
disciplina   dell'art.   12,   comma   1,  ultima  parte,  nella  sua
formulazione,  ex  legge  30  luglio  2002,  n. 189:  quindi, secondo
l'opinione che pare ormai prevalente - nonostante un contrario obiter
iniziale  in Cass., sez. III, 28 novembre 2002, ric. Hoxha, pronuncia
che  peraltro  non  affronta  direttamente  la  questione  bensi'  la
sufficienza  e idoneita' degli «atti diretti» al fine della rilevanza
penale  della  condotta  -  quale titolo di reato autonomo e non piu'
quale circostanza aggravante della condotta «base» delineata al comma
1.  Addirittura  in  relazione alla vecchia norma, richiamandosi alla
ratio   e   alla   storia   normativa   sottese   alle  norme  penali
incriminatrici   contenute   nel  d.lgs.  n. 286/1998,  gia'  si  era
prospettata una sostanziale autonomia tra fattispecie, in effetti del
tutto  diverse  tra  loro;  prospettazione non accolta dalla Corte di
cassazione  a fronte dell'indubbio e primario ostacolo costituito dal
tenore  letterale  della formulazione del vecchio art. 12 (per tutte,
Cass.  pen.  sez.  I,  4  dicembre  2000,  ric. Vishe). L'incipit del
vecchio  terzo  comma  («se  il fatto di cui al comma 1 e' commesso a
fine  di  lucro  o da tre o piu' persone in concorso»), letteralmente
delineante  una circostanza aggravante ad effetto speciale, e' stato,
e non certo casualmente, abbandonato nella formulazione dell'art. 12,
novellata dalla legge n. 189/2002.
   Cio'  premesso,  e'  pero'  indubbio  che  la  condotta del Mita -
ricerca  di  indicazioni  su  chi  fossero i «passeurs», contatto con
quest'ultimi  per  ottenere  un appuntamento per gli espatriandi, non
identificati, dei quali nulla. si sa se non che la prima destinazione
avrebbe  dovuto  essere  l'Inghilterra  dato  il  mezzo  di trasporto
utilizzato,  nonche'  l'accompagnamento  di  questi  ultimi sul luogo
dell'appuntamento - integra a pieno titolo la fattispecie autonoma di
cui  al  comma  1 dell'art. 12 del citato decreto, per avere posto in
essere atti diretti a procurare l'ingresso illegale in altro Stato di
persone  sfornite  di  documenti, a titolo occasionale, individuale e
senza  scopo  di  lucro:  quindi,  della  sola  seconda parte (la cui
autonomia  dalla  prima  e'  sancita  dalla disgiuntiva «ovvero») del
reato di cui al comma 1 dell'art. 12.
   Va  da  ultimo  segnalato che le modifiche successive apportate al
legislatore  all'art. 12, d.lgs. n. 286/1998 non paiono in alcun modo
influire  sulla  rilevanza  della questione che viene qui proposta. A
seguito  dell'entrata in vigore dell'art. 1-ter del d.l. n. 241/2004,
infatti,  la commissione del fatto «da tre o piu' persone in concorso
tra  loro  o  utilizzando  servizi internazionali di trasporto ovvero
documenti  contraffatti  o alterati o comunque illegalmente ottenuti»
non costituisce piu' elemento integrativo della fattispecie di cui al
comma   3   dell'art.   12,  d.lgs.  n. 286/1998  bensi'  circostanza
aggravante applicabile alla previsione incriminatrice sia del comma 3
che  del  comma  1  dello stesso articolo: quindi, sia all'ipotesi di
favoreggiamento  c.d.  «semplice» che a quella «a scopo di profitto».
La novita' rilevante apportata dalla novella legislativa del 2004 non
comporta, di conseguenza, alcuna modifica nella struttura della norma
incriminatrice  da  applicarsi nel caso concreto, ex art. 12, comma l
ultima  parte,  d.lgs.  n. 286/1998,  limitandosi ad introdurre delle
circostanze  aggravanti (comunque non contestate nel caso di Mita Ion
perche'  all'epoca non ancora entrate in vigore) che hanno ad oggetto
particolari   modalita'  di  commissione  degli  atti  integranti  la
condotta  favoreggiamento:  che  quindi,  in  quanto  tali e comunque
perche'   si   tratta   di   elementi   accidentali  del  reato,  non
contribuiscono  ad  una tipizzazione della condotta ne' la modificano
quanto  ad  elementi  integrativi  della  fattispecie.  Vi  e'  stato
unicamente  un  inasprimento  della  sanzione, inapplicabile nel caso
concreto poiche' norma sfavorevole successiva nel tempo.
                  Sulla non manifesta infondatezza

   Individuata  la  norma  incriminatrice  da  applicare  nel caso di
specie,  e  cioe'  il  favoreggiamento c.d. «semplice» dell'«ingresso
illegale  in  altro Stato del quale la persona non e' cittadina o non
ha   titolo   di  residenza  permanente»,  sorgono,  in  ordine  alla
legittimita' costituzionale della stessa, perplessita' che non paiono
poter  essere  risolte  in sede interpretativa in sede di giudizio di
merito.  Si  tratta  di  perplessita' che sono gia' state espresse in
dottrina  e che, a parere di questo giudice, debbono essere condivise
alla luce delle considerazioni che seguono.
   Va  premesso -  senza  entrare nel merito della articolata vicenda
normativa  che ha infine condotto alla formulazione dell'attuale art.
12,  d.lgs.  n. 286 -  che  l'introduzione  della figura autonoma del
favoreggiamento in Italia dell'ingresso illegale di migranti in altro
Stato  estero  pare  evidentemente dovuta alla volonta' di colmare un
vuoto  che  impediva  di  attrarre nella sfera della rilevanza penale
condotte censurabili in quanto attivita' assolutamente tipiche di chi
gestisce  il  traffico  di  migranti  clandestini.  In altri termini,
l'assenza  di  previsione di fattispecie punitiva del favoreggiamento
dei  flussi  clandestini  «verso  l'estero»  impediva  che  venissero
sanzionate  le  condotte di «intermediazione di movimenti illeciti, o
comunque  clandestini,  di  lavoratori migranti, che non si risolvono
nel  favorire  materialmente  il  loro  ingresso o la loro permanenza
nello  Stato»  (Cass.,  sez. VI, 22 novembre 2000, ric. p.m. in proc.
Durante);  e,  soprattutto,  lasciava  in una sorta di zona grigia le
attivita' (non autonomamente costituenti reato, quali invece, ad es.,
l'approvvigionamento  di  documenti  falsificati,  o  altre attivita'
penalmente  rilevanti in via autonoma) poste in essere sul territorio
nazionale  comunque  favorenti i flussi di migrazione clandestina «in
transito»  verso  l'estero:  attivita' aspecifiche, non tipizzate ne'
tipizzabili,  ritenute  meritevoli  di  sanzione  perche' comunque a)
potenzialmente  pericolose  per  l'ordine  pubblico  e  b)  parimenti
espressione  di  sfruttamento  del  corposo fenomeno della migrazione
clandestina.  Ma  proprio  la verifica della ratio della formulazione
post-novella  del  2002 (immodificata a seguito del nuovo intervento,
operato  con la legge n. 271/2004) rende evidente che quest'ultima e'
chiaro  frutto  della volonta' legislativa di colpire in tutte le sue
forme  la  gestione  del  traffico  di  clandestini  «allargando»  la
normativa  penale  in  modo  tale  da  farvi  rientrare  anche quelle
situazioni  fattuali  che  andavano  in precedenza esenti da sanzione
solo  perche' non vi era prova di un aggancio della condotta posta in
essere  dal  soggetto che favoriva il migrante nel transito e/o nuova
fuoruscita  con  la  condotta  di  chi  ne  aveva favorito l'ingresso
clandestino in Italia.
   Situazioni   fattuali,  si  noti,  che  non  sono  in  alcun  modo
assimilabili   a   quella  del  Mita  Ion,  del  quale  risulta  solo
l'attivazione per contattare chi era in grado di far clandestinamente
espatriare persone che gia' si trovavano e permanevano sul territorio
italiano  e  che  non risulta vi fossero giunti grazie ad una qualche
attivazione del Mita medesimo.
   La  norma  incriminatrice  di  cui  al  comma primo, ultima parte,
dell'art.  12,  d.lgs.  n. 286/1998  e'  figura  di reato a soglia di
tutela  anticipata e a condotta libera, connotata (sia prima che dopo
la  novella  operata  con  il  d.l. n. 241/2004) da un unico elemento
tipizzante:  quello dell'illiceita' speciale, che assurge ad elemento
centrale  per  identificare  l'antigiuridicita'  di  una condotta che
altrimenti  si  risolverebbe in mera agevolazione all'esercizio di un
diritto  della  persona,  quello  di emigrare dal territorio italiano
verso altri Stati.
   E'  evidente,  al  riguardo,  che  il  presupposto  di  illiceita'
speciale  della  «violazione  delle  disposizioni  del presente testo
unico»  puo'  riferirsi  al  favoreggiamento dell'immigrazione ma non
anche  a  quello  dell'emigrazione,  che  non trova (ne' si vede come
potrebbe  trovare)  in  esso  alcuna  regolamentazione,  posto che si
tratta   di   un   corpo   di   norme   «concernenti   la  disciplina
dell'immigrazione  e  norme  sulla  condizione  dello  straniero»  in
Italia.
   Unico   presupposto   di   illiceita'  speciale  con  funzione  di
tipizzazione   risulta   allora   essere  quello  della  «illegalita»
dell'ingresso  procurato  (o meglio favorito) dall'Italia nello stato
estero  di  destinazione  del migrante clandestino: dizione che non a
caso,   nei   reati  di  favoreggiamento,  si  trova  associata  solo
all'ipotesi  di  «ingresso in altro Stato del quale la persona non e'
cittadina».
   Ma  sotto  tale  profilo  e' altrettanto evidente che il contenuto
dell'«illegalita»   andrebbe  individuato  facendo  riferimento  alla
normativa del paese estero di destinazione, e cio', oltretutto, dando
per  scontato -  circostanza  che scontata non e' affatto - che nella
fattispecie alla quale la norma debba applicarsi si possa individuare
con   certezza   un   paese   estero  di  destinazione  del  migrante
clandestino; compito non certo facilitato dalla struttura della norma
incriminatrice,  che  punisce  anche  soltanto  gli  «atti  diretti»,
indipendentemente dall'ottenimento di un qualsiasi risultato.
   Se, pero', l'«illegalita» va intesa (e non puo' non essere intesa,
poiche'  in  caso contrario il favoreggiamento dell'ingresso illegale
in   Stato   straniero   non   si  verificherebbe  mai,  e  la  norma
incriminatrice  sarebbe  di conseguenza del tutto priva di contenuto)
nel  senso  della  contrarieta'  ad un complesso di norme regolatrici
emesse  da  un paese straniero, ne consegue che ci si trova di fronte
ad  una  fattispecie  penale  in  bianco il cui precetto e' descritto
attraverso  il  rinvio  ad  una legge straniera: e cio' in violazione
della  riserva  di  legge  sancita  dall'art.  25 della Costituzione.
Risulta  palese  il  problema  del  mancato rispetto del principio di
tassativita' e determinatezza delle norme penali incriminatrici.
   La  Corte di cassazione (sez. I, udienza 8 maggio 2002, depositata
il  3  giugno 2002, ric. Galgano) aveva gia' motivato nel senso della
aderenza  dell'art.  12  al  principio suddetto e quindi del rispetto
dell'art.  25  della  carta  costituzionale.  Cio' pero' avveniva: 1)
ante-novella  operata  con  la legge n. 189/2002 e in un contesto del
tutto  diverso, nel quale la figura del favoreggiamento dell'ingresso
in  Stato  estero  non  esisteva  ancora;  2)  in  riferimento  ad un
presupposto  di  illiceita' speciale, la «contrarieta' alle norme del
testo  unico», comunque inapplicabile alla fattispecie incriminatrice
di cui all'attuale art. 12, comma 1 ultima parte.
   La  verifica  del  requisito  di illiceita' della «contrarieta' al
testo  unico»,  argomentava  infatti  la  suprema  Corte nel motivare
perche'  dovesse  ritenersi  manifestamente  infondata  la questione,
poteva   al   massimo   comportare   «una   maggiore  difficolta'  di
individuazione  e  ricostruzione  della  fattispecie  concreta ma non
anche  un  difetto  di  tipicita'  della fattispecie astratta, in se'
compiutamente definita e comprendente, al suo interno, ogni possibile
combinazione  della  prevista attivita' diretta a favorire l'ingresso
di stranieri in Italia con la violazione di ciascuna delle specifiche
disposizioni,  attinenti  alla  materia,  del  decreto legislativo in
esame». Per contro, in altra pronuncia la suprema Corte ha affrontato
incidentalmente  la medesima questione concludendo per l'aderenza del
vecchio  art.  12  al  principio  di  determinatezza  e  tassativita'
(problema che la Corte si poneva data «la genericita' della locuzione
"violazione  delle  disposizioni  del  presente  testo  unico"...»  e
rilevato  il  concreto  rischio che «...potrebbero essere incriminati
comportamenti concretamente non lesivi attraverso un "modello estremo
di  anticipazione di tutela..."», salvo che per quei «casi marginali»
che  «trovano  il  loro limite nella necessita' della sussistenza del
dolo»  (cosi  testualmente  Cass.,  sez.  III, 18 giugno 2002, dep. 9
agosto 2002, ric. Tolkachov).
   Si  e'  visto,  pero',  che  gli  argomenti addotti dalla Corte di
cassazione  nelle  citate  sentenze  (in  specie  nella prima, che ha
affrontato   direttamente  la  questione)  non  sono  in  alcun  modo
mutuabili  oggi  per  risolvere  la  questione  venuta a profilarsi a
seguito  dell'introduzione  della figura di reato del favoreggiamento
dell'«ingresso illegale in altro Stato», se non altro perche - quanto
a  quest'ultima  -  il  presupposto  di  illiceita'  speciale e' oggi
tutt'altro e non puo' che riferirsi alla normativa dello Stato estero
di  destinazione.  Ne  consegue  che  la  sua  compatibilita'  con il
principio  di  riserva  di  legge e di tassativita' della fattispecie
penale risulta ben piu' problematica.
   Ne'  varrebbe  obiettare,  a  parere  di  questo  giudice,  che un
recupero  della  determinatezza  della  fattispecie potrebbe avvenire
attraverso   la   valorizzazione   delle  modalita'  in  concreto  di
attuazione della condotta incriminata: procedimento «sostitutivo» che
comunque   non   pare   corretto   e   il   cui   utilizzo   in  sede
giurisprudenziale  evidenzia  ancor  piu' l'ambiguita' di fondo della
norma incriminatrice.
   Non   solo:  e'  procedimento  interpretativo  che  porta  ad  una
pericolosa confusione di piani, posto che l'emigrazione in condizioni
di  «illegalita»  (visto  dall'ottica  della legge italiana, e quindi
l'emigrazione  dall'Italia di chi si ritrova ad essere clandestino in
Italia)  non  e'  affatto  di per se' significativa di clandestinita'
«comunque»  e  in  qualsiasi  paese,  poiche'  il  migrante  potrebbe
appartenere  ad  una  delle  categorie  che  nello  Stato  estero  di
destinazione  gli  consente  l'acquisizione di un titolo di residenza
permanente  (i.e.  minore,  richiedente  asilo,  coniuge e parente di
cittadino del paese straniero ove egli e' diretto).
   Si tratta di terreno, com'e' evidente, che rende ancor piu' palese
la    violazione    del    principio   di   determinatezza,   poiche'
l'agevolazione -  anche  con  modalita'  evidentemente «clandestine»,
quali  quella evidenziatasi nel presente procedimento - a lasciare il
territorio  italiano  e'  condotta  gia' di per se' sufficiente a far
ricadere  la  fattispecie concreta in quella astratta incriminatrice,
poiche', indipendentemente da che cosa accada una volta lasciato tale
territorio, gia' si e' consumato il reato con l'apposizione in essere
degli atti diretti a favorire l'ingresso in Stato estero, dato che e'
stata   riprodotta   dal  legislatore  la  struttura  a  consumazione
anticipata  gia'  letteralmente  contenuta nel vecchio art. 12 per il
favoreggiamento all'emigrazione.
   Appare   allora  evidente  che  all'attivita'  gia'  ritenuta  dal
legislatore  di  per  se'  sola integrante la fattispecie criminosa -
perche' a consumazione anticipata - puo' allora conseguire, a seconda
di  dove  il  migrante  sia  in  definitiva  diretto ovvero riesca ad
approdare, una situazione che puo' essere di illegalita' per lo Stato
estero  oppure no; e cio', ad esempio, solo perche' in un determinato
paese egli e' in grado di azionare determinati diritti e in altri no.
Si   tratta,  quindi,  di  illegalita'  eventuale  e  futura,  ancora
sottoposta  a  determinate condizioni sia fattuali che giuridiche nel
momento  in  cui  pero' gia' dovrebbe ritenersi perfezionata a carico
del  favoreggiatore  la  consumazione  (anticipata)  del reato di cui
all'art. 12, comma 1, d.lgs, n. 286/1998.
   Vi e' poi un ulteriore profilo per cui non puo' ritenersi conforme
alla   Costituzione   una   norma   che  risulti  «comunque»  violata
ogniqualvolta  le  caratteristiche  dell'espatrio  (o  dei  meri atti
diretti  a  favorirlo: ed e' evidente che l'opzione legislativa della
soglia  avanzata  di  incriminazione  rende  ancor  piu' pregnante il
problema   del   difetto  di  determinatezza)  siano  tali  da  poter
semplicemente   affermare  che  tale  espatrio  e'  avvenuto,  o  era
programmato, «in modo clandestino».
   Gia'  si  e'  detto,  infatti,  della  difficolta'  concettuale di
prevedere   una  norma  che  sanzioni  chi  favorisce  chi  si  muova
dall'Italia  (e  quindi,  in ipotesi, per restare in ambito dei paesi
Schengen; ovvero per mutare rotta una volta fuori dall'Italia in modo
imprevedibile),   e   quali  sono  i  motivi  che  hanno  indotto  il
legislatore   a   prevederla:   peraltro  in  una  chiara  ottica  di
repressione   del   fenomeno   della  mercificazione  dei  flussi  di
migrazione clandestina.
   Il  fatto,  pero',  che  non  vengano utilizzati - ove necessari -
documenti  validi  per  l'espatrio  e'  conseguenza inevitabile dello
status  di clandestino in Italia; per cui, cosi ragionando, qualsiasi
atto  diretto  ad  agevolare  l'emigrazione  di  chiunque si trovi ad
essere  non  in regola (o non piu' in regola) sul territorio italiano
sarebbe passibile di sanzione penale.
   Si  noti che la norma che qui si intende sottoporre all'attenzione
della  Corte comporterebbe, se applicata nel suo insuperabile dettato
letterale,  l'attrazione  nella sfera di rilevanza penale anche delle
condotte  che  in definitiva permettano al soggetto «favorito», senza
essere  costretto  ad  autodenunciarsi  alla  pubblica autorita' come
clandestino,  di  rientrare  nella propria patria di origine, in quei
casi  in  cui  il  rimpatrio non potrebbe avvenire se non fisicamente
attraversando Stati terzi.
   E' evidente che proprio per evitare tale situazione paradossale la
giurisprudenza  e'  stata  gia'  costretta  a  singolari oscillazioni
nell'applicazione     della     fattispecie     incriminatrice    del
favoreggiamento    dell'«ingresso    illegale    in   altro   Stato».
(sottolineature di questo giudice).
   La  giurisprudenza  piu'  recente  ha, per contro, interpretato la
norma  dell'agevolazione  all'ingresso  illegale  in altro Stato, sia
quanto  alla  figura  «semplice»  di  cui al primo comma sia quanto a
quella  qualificata  di  cui  al  terzo  comma  (parimenti incentrata
sull'illiceita' speciale costituita dalla contrarieta' alla normativa
dello  Stato  estero  di  destinazione)  facendo  dipendere  in  toto
l'integrazione del reato in capo al favorente dalle «dichiarazioni di
intenti» del soggetto favorito e dal tasso di affidabilita' di queste
ultime. Cosi', per tutte, Cass., sez. I, 15 giugno 2007, ric. p.g. in
proc.  Afloarei,  secondo  la quale la prova dell'intenzione e' onere
del  soggetto favorito ma che non puo' risolversi in mera allegazione
dichiarativa,  necessitando di un quid pluris in termini di riscontro
esterno;  Cass.,  Sez.  I, 24 gennaio 2006, ric. p.m. in proc. Bacin,
per  la  quale  ove  vi  sia  prova  positiva  che  il  trasporto  e'
preordinato al rimpatrio dello straniero al proprio paese di origine,
sia  pure  attraverso  il  mero  transito in altri Stati, il soggetto
agevolatore  va  esente  da  responsabilita'  poiche' in tal caso non
sussiste  il  reato  «alla  luce del principio di offensivita» (cosi'
testualmente  la  suprema  Corte); ancora - ponendosi un problema non
certo  marginale  di  legittimita'  della  limitazione della liberta'
personale a fronte di una norma cosi' strutturata, in primis quanto a
convalida dell'arresto - Cass., sez. I, 26 ottobre 2006, ric. p.m. in
proc.  Urzica,  secondo  la quale, fermo il principio che il presunto
favoreggiatore  va  assolto  per  insussistenza  del fatto qualora si
provi  che  il  favorito  era intenzionato a rimpatriare, «se non sia
individuabile  con  immediata  evidenza  lo  scopo della destinazione
finale,  l'arresto  del  soggetto  che  sia  colto  in  flagranza  di
favoreggiamento  di  tale  condotta va considerato legittimo, essendo
l'accertamento di merito riservato alla sede dibattimentale».
   Le  operazioni  interpretative  di  cui  sopra, a parere di questo
giudice,  rendono  ancor  piu'  evidente  la tensione della figura di
reato  qui in esame con il principio di determinatezza previsto dalla
Carta   costituzionale:  rendendo  necessario,  a  parere  di  questo
giudice, un intervento della Corte.
   Appare,  cioe', palese una difficolta' di applicazione della norma
che   nell'incertezza   rischia   di   indurre  a  pericolosi  divari
interpretativi,  in  realta'  legati non alla valutazione dell'ambito
nel   quale   si  muove  la  condotta  del  soggetto  agente,  bensi'
dell'ambito  della vicenda concreta del soggetto favorito: situazione
che  sul  piano della tassativita' e determinatezza della fattispecie
risulta inaccettabile.
   Pare,  infine,  che debba essere affrontato anche il profilo della
possibile  non  conformita'  della  norma di cui all'art. 12, comma 1
seconda  parte  rispetto al principio costituzionalmente garantito di
cui  all'art.  35, quarto comma Cost. E' vero che il 35, quarto comma
Cost. contiene una riserva di legge, ma proprio il fatto che la Corte
costituzionale  la  abbia  in passato invocata, in materia di diritto
dell'immigrazione  e di disciplina della condizione dello straniero -
essenzialmente,  va  detto,  in  sede  di  rigetto delle questioni di
legittimita'  costituzionale  sollevate  in relazione alla disciplina
dell'espulsione  dello  straniero  dal territorio italiano - parrebbe
evidenziare  che la stessa Corte ha inteso sottolineare con chiarezza
che  proprio  e  soltanto  in  presenza  di  condizioni  eccezionali,
espressamente  richiamantesi  a  concetti  quali  la  pericolosita' e
l'ordine pubblico, puo' ritenersi legittima la compressione (di fatto
tale,  nel momento in cui viene sanzionata penalmente l'attivita' del
soggetto  agevolatore)  del  diritto  all'emigrazione,  che  lo Stato
«riconosce»  come diritto della persona, e non «concede» in relazione
a situazioni o a precondizioni.
                              P. Q. M.

   Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953;
   Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  sollevata  dalla  difesa di Mita Ion in
ordine  all'art.  12, primo comma, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, nei
limiti  sopra  indicati  e  cioe'  in  relazione  alla fattispecie di
favoreggiamento  dell'«ingresso  illegale in altro Stato del quale la
persona  non  e'  cittadina o non ha titolo di residenza permanente»,
per violazione degli artt. 25 e 35, quarto comma della Costituzione.
   Dispone  nuova  sospensione  del  giudizio a carico di Mita Ion in
relazione   alla   imputazione  elevata  a  suo  carico  sub  C)  nel
procedimento   penale   sopra   emarginato   e   dispone  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
   Ordina  la notificazione, a cura della cancelleria, della presente
ordinanza  al  Presidente  del  Consiglio  e  ai Presidenti delle due
Camere del Parlamento.
     Torino, addi' 17 marzo 2008
                      Il giudice: Bersano Begey