N. 261 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 giugno 2008
Ordinanza del 3 giugno 2008 emessa dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento sul ricorso proposto da Fedrizzi Luca contro Ministero della giustizia Avvocato e procuratore - Esami di abilitazione all'esercizio della professione - Obbligo di motivazione del voto verbalizzato in termini alfanumerici - Esclusione in base al «diritto vivente» - Incidenza sul diritto di azione e di difesa in giudizio - Violazione del principio di tutela giurisdizionale - Lesione dei principi del giusto processo - Violazione degli obblighi internazionali relativi al giusto processo statuiti dalla CEDU. - Regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, art. 22, comma 9, convertito nella legge 22 novembre 1934, n. 36; regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37, artt. 17-bis, 22, 23, e 24, comma 1. - Costituzione, artt. 24, commi primo e secondo, 111, commi primo e secondo, 113, primo comma, e 117, primo comma.(GU n.37 del 3-9-2008 )
IL TRIBUNALE REGIONALE DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 181 del 2007 proposto da Fedrizzi Luca, rappresentato e difeso dall'avv. Elena Cainelli ed elettivamente domiciliato presso l'avv. Alessandra Margoni con studio in Trento, via Scipio Sighele , 3; Contro il Ministero della giustizia - Commissione esami di avvocato - sessione 2006 contro Corte appello di Trento e Sottocommissione esami di avvocato sessione 2006 contro Corte appello di Perugia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trento nei cui uffici in largo Porta Nuova n. 9 e' per legge domiciliata per l'annullamento del giudizio di non ammissione alla prova orale dell'esame per l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato indetto con d.m. 15 novembre 2006, siccome espresso nel verbale della I Sottocommissione presso la Corte d'appello di Perugia di data 30 marzo 2007, reso noto il 14 giugno 2007 tramite affissione, nonche' di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione intimata; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Udito alla pubblica udienza del 17 gennaio 2008 - relatore il consigliere Sergio Conti - l'Avvocato dello Stato Sarre Pirrone per l'amministrazione resistente; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. F a t t o e D i r i t t o 1. - Con sentenza non definitiva n. 103 del 24 aprile 2008, relativa al presente ricorso - avente ad oggetto l'impugnativa del giudizio negativo degli scritti redatti dall'istante in sede di esami di abilitazione alla professione forense, sessione 2006/2007 - sono state respinte due delle tre censure dedotte dalla ricorrente. Eguale conclusione negativa avrebbe dovuto assumersi per il residuale motivo, con la quale era stato dedotto il difetto di motivazione dell'espresso giudizio alla luce della totale inidoneita' ad esternarlo da parte del cosiddetto voto alfanumerico; e cio' tenuto conto del consolidato indirizzo della giurisprudenza del Consiglio di Stato; tuttavia, con la recente sentenza 30 maggio 2006, n. 193, questo Tribunale, dopo aver osservato che «pur sussistendo l'esistenza di qualche principio di segno opposto, e' ormai piu' che maggioritario e pressoche' consolidato presso il giudice d'appello quell'orientamento giurisprudenziale secondo il quale, anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 241 del 1990, l'onere di motivazione della valutazione forense e' sufficientemente adempiuto con l'attribuzione di un punteggio alfanumerico (o numerico), configurandosi quest'ultimo come formula sintetica che vale ad esternare adeguatamente il giudizio tecnico delle CC.GG.», aveva, peraltro, argomentatamente concluso che il detto indirizzo collide con quello fatto proprio nella propria precedente pronuncia n. 351 del 2001, confermata integralmente in quella sopra richiamata, accogliendo per conseguenza il ricorso. Ai fini della definizione del detto motivo deve essere dunque ricordato che l'indirizzo adottato della IV Sez. del Consiglio di Stato sull'anzidetta questione con le decisioni n. 537, 538, 539, 540, 541, 543 e 689 del 2008 fanno propria, invece, la sufficienza del voto alfanumerico nel giudizio in sede generale di legittimita'; che, inoltre, proprio con riferimento al prodotto ricorso l'ordinanza 6 settembre 2007, n. 84, con cui questo tribunale aveva accolto la domanda di misura cautelare, disponendo che gli elaborati scritti della candidate fossero riesaminati da altra Sottocommissione ed ammettendola con riserva a sostenere le prove orali subordinatamente all'emissione di un giudizio positivo sulle stesse prove, e' stata riformata dalla sez. IV del Consiglio di Stato con ordinanza 13 novembre 2007, n. 5861, che ha richiamato a tal fine le propria precedente contraria giurisprudenza in ordine all'inesistenza di un obbligo di motivazione diverso da quello dell'espressione del solo voto cosiddetto alfanumerico. Ad avviso del Collegio pare, peraltro, possibile ancora una volta lumeggiare le ragioni che indubitano sul piano della legittimita' costituzionale la ormai «granitica» giurisprudenza del Consiglio di Stato, che eleva da oltre 18 anni un vallo non valicabile per la potenziale percezione delle concrete ragioni addotte dalle commissioni esaminatrici a sostegno del giudizio negativo sulle prove scritte svolte dai candidati. Giova premettere sotto un primo profilo che la mera espressione alfanumerica di un giudizio non sembra integrare alcuna reale ed effettiva «motivazione sintetica», ove l'espressione «motivazione» assolva l'esigenza di' manifestare al candidato il perche' della sua reiezione alle prove scritte, ma pare tradursi soltanto nell'espressione di un valore essenzialmente relativo che si' manifesta in termini matematici, oscuro restando comunque il fondamento valutativo del connesso giudizio. Il tribunale e' ben consapevole di quanto statuito anche da ultimo da codesta sovrana Corte con le pronunce n. 466 del 2000, n. 419 e 420 del 2005 e da ultimo ancora n. 28 del 2006, ma persiste a ritenere che, allo stato, non si configuri il fondamento dell'affermata inammissibilita' delle questioni a suo tempo sollevate e dunque la sussistenza di un mero dissenso in giurisprudenza, come tale suscettibile di diversa evoluzione, da cui ha tratto fondamento l'affermata estraneita' di codesta sovrana Corte al riguardo: ogni diversa lettura dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e', infatti, in materia costantemente reletta in sede d'appello, il che accredita la totale ed ormai incondizionata preclusione da parte del Consiglio di Stato ad una diversa lettura della suddetta norma. Alla stregua, pertanto, dei richiamati precedenti l'espressione alfanumerica del voto e' ormai ritenuta capace di soddisfare pienamente la necessita' di una sufficiente motivazione senza che da siffatta espressione ogni candidato non ammesso agli orali possa peraltro comprendere dove abbia sbagliato e quali errori possano e debbano essere emendati in una successiva tornata d'esami di abilitazione. L'orientamento del Consiglio di Stato deve, quindi, essere ormai qualificato come diritto vivente e valgano al riguardo le pronunce della sez. IV n. 6155 del 2004, n. 4165 del 2005, n. 1009 del 2007, n. 2221 del 2007, n. 5855 del 2006, n. 9348 del 2006, n. 6507 del 2006, n. 25 del 2007, n. 4657 del 2007; della sez. V n. 163 del 1989; della sez. VI n. 14 del 1999; del Consiglio di Giustizia per la Regione Siciliana n. 236 del 2004; nonche' dei TT.AA.RR. che, a fronte di tante cassazioni delle opposte pronunce, hanno ormai desistito da ogni ulteriore sforzo per una diversa e piu' appagante lettura dell'ordinamento. Rafforza la suesposta conclusione il fatto che, seppure il d.l. 21 maggio 2003, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003, n. 180 al suo art. 1-bis (ma cfr. anche l'art. 22, nono comma del r.d.l. n. 1578 del 1933) abbia innovativamente introdotto alcuni criteri di valutazione delle prove d'esame in discussione, tale precetto non pare essere stato recepito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, che, seppure con riferimento ai pubblici concorsi, ha statuito che «la predeterminazione dei criteri di valutazione delle prove a posti di pubblico impiego non puo' essere considerata elemento imprescindibile ai fini della legittimita' della procedura, trattandosi di attivita' riservata alla discrezionalita' dell'Amministrazione, rispetto alla quale il sindacato di legittimita' e' estremamente ristretto» per cu i «la mancanza od indeterminatezza di tali criteri non puo' di per se' comportare l'illegittimita' del concorso e delle valutazioni in esso formulate quando i giudizi espressi per i singoli candidati non presentino aspetti di irrazionalita' e di violazione della par condicio» (Cons. Stato, sez. V, n. 14 dicembre 2006, n. 7116; sez. VI, 12 dicembre 2002, n. 6250). Il tribunale non e' persuaso delle argomentazioni sopra svolte, osservando che, per comune insegnamento, la materia dei giudizi nei concorsi e nelle prove di abilitazione, non pare ascrivibile all'area della discrezionalita' amministrativa nel pregnante significato suo proprio, quale ponderata scelta alternativa del mezzo maggiormente satisfattivo dell'interesse pubblico, ma che, avendo detti giudizi ad oggetto la sufficienza o l'insufficienza delle ridette prove scritte come pure la loro completezza od incompletezza ovvero il loro illogico e non argomentato svolgimento, essi coinvolgano concetti giuridici a contenuto indeterminato che, ancorche' riassunti nell'imprecisa ed ambigua formula della «discrezionalita' tecnica», che altri classificherebbero come un elegante ossimoro, ben sarebbero passibili di un riscontro di piena cognizione, non potendo essere diversamente giustiziabile la pretesa dei candidati, diametralmente opposta a quella, peraltro totalmente immotivata, delle Commissioni esaminatrici. Non appare pervero un mero accidente, privo di ogni rilevanza sul piano processuale, il fatto che l'art. 44 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, cosi' come novellato dall'art. 1, comma 2, della legge 21 luglio 2000, n. 205, preveda che la decisione sui mezzi istruttori, ben diversamente dall'acquisizione meramente cartolare di un tempo, comprenda anche a consulenza tecnica d'ufficio per l'accertamento della legittimita' di ogni questione positivamente sottratta all'area della riserva amministrativa. Ne' per converso sembra possibile aderire alla concorrente argomentazione che si fa inesattamente discendere in detto orientamento dalla nozione di discrezionalita', affermandosi contraddittoriamente che il riscontro dei visti giudizi negativi espressi dalle Commissioni di concorso o di abilitazione sarebbe sottoposto ad un «sindacato» estremamente ristretto, quando si persiste a negare ogni possibilita' che tale pur limitato controllo sulla denunciata irrazionalita' di essi o sulla violazione della par condicio possa configurarsi ed essere concretamente esercitato sulla base di una motivazione di cui si attesta nel contempo la totale superfluita' (cfr. ancora ex multis Cons. Stato, sez. V, 19 aprile 2007, n. 1794, sez. VI, 26 maggio 2006, n. 3147; Tribunale amministrativo regionaleLazio Roma, sez. I, 3 luglio 2007, n. 5941). Quanto ad una potenziale diversa riflessione sulla questione all'esame non consta, poi, essere stato sotto alcun profilo valorizzato il sopravvenuto art. 11, comma 5, del d.lgs. 24 aprile 2006, n. 166, che del tutto analogamente a quanto stabilito dall'originaria formulazione del d.P.R. 9 agosto 1994, n. 487 quando, cioe', la norma prescriveva la «motivazione del punteggio» e dunque antecedentemente alla modifica richiesta dall'Adunanza generale del Consiglio di Stato con avviso del 9 novembre 1995, n. 120, ha stabilito per lo svolgimento dei concorsi notarili l'obbligo della motivazione per i giudizi di non idoneita', sostituito dal solo voto nell'opposta ipotesi di idoneita' e dunque di ammissione alle prove orali dei candidati. 2. - Per quanto piu' direttamente concerne la presente controversia la questione di legittimita' costituzionale che si solleva appare, anzitutto, rilevante nella vicenda all'attenzione del Collegio, atteso che, dovendosi altrimenti fare applicazione del richiamato «granitico» indirizzo del Consiglio di Stato, pena l'annullamento della relativa sentenza su appello dell'Avvocatura distrettuale dello Stato, il ricorso dovrebbe essere altrimenti respinto in toto. Nell'ipotesi invece che gli artt. 22, nono comma del r.d.l. n. 1578 del 1933 e 17-bis, 22, 23 e 24, primo comma del r.d. n. 37 del 1934, richiamati dalla ricorrente nell'atto introduttivo fossero suscettibili di un'interpretazione orientata al rispetto delle norme costituzionali, volta a far emergere l'obbligo di una congrua motivazione, il ricorso potrebbe essere accolto per la denunciata violazione dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che alle richiamate norme sovrapporrebbe il vincolo indotto dal generalissimo principio ivi enunciato per la retta redazione di ogni atto o provvedimento amministrativo. Con riguardo, poi, alla non manifesta infondatezza della stessa questione questa deve essere riguardata, a parere del remittente Collegio, alla luce dei precetti di cui agli artt. 24, primo e secondo comma, 111, primo e secondo comma, 113, primo comma in associazione a quanto stabilito dall'art 117, primo comma della Costituzione. Quanto al principio di effettivita' della tutela giurisdizionale, proclamato dall'art. 24, primo e secondo comma e, con riguardo all'esercizio della giurisdizione amministrativa, dall'art. 113, primo comma della Costituzione giova osservare che la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha progressivamente e costantemente valorizzato il dogma della sufficienza del voto alfanumerico immediatamente dopo il richiamato parere 9 novembre 1995, n. 120 dell'Adunanza generale con cui e' stata richiesta la modifica dell'art. 12, primo comma del d.P.R. 9 agosto 1994, n. 487, disciplinante in via generale l'accesso per concorso al pubblico impiego, che prescriveva espressamente e puntualmente «la motivazione del punteggio», cui ha successivamente dato corso il Governo con d.P.R. 30 ottobre 1996, n. 693, tramite la sostituzione dell'espressione «assegnazione del punteggio» a quella antecedente; e cio' proprio a seguito dell'ivi argomentata sufficienza del voto alfanumerico. La suddetta novella, a seguito della quale le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato hanno poi dato negli anni successivi coerente seguito, appare dunque di tutto rilievo, essendo stata cosi' espunta dal tessuto dell'ordinamento l'unica disposizione in grado di positivamente infirmare la teoria del voto alfanumerico; altrettanto rilevante appare, inoltre, il richiamato avviso dell'Adunanza generale per il fatto che sia stato in tale occasione fornito da parte di un organo consultivo a composizione astrattamente totalitaria ex art. 17 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 un assai autorevole avviso, di per se' potenzialmente capace di escludere in prosieguo ogni diversa lettura della norma anche in sede giurisdizionale in applicazione dell'art. 3 della legge n. 241 del 1990. Il fondamento della richiesta di modifica rivolta al Governo traspare, poi, apertamente dalle argomentazioni svolte nel visto parere dell'Adunanza generale, che non ha dissimulato l'avvertita preoccupazione che l'altrimenti incombente obbligo della motivazione in capo alle commissioni esaminatrici potesse costituire problemi organizzativi di non agevole soluzione con conseguente allungamento dei tempi di correzione degli elaborati ben oltre il termine di sei mesi stabilito dall'art. 11, quinto comma dello stesso regolamento. La valorizzazione dei principi, oltre che d'imparzialita', di economicita' e di celerita' di espletamento delle procedure concorsuali, ha trovato dunque una corrispondente risposta nella suddetta modifica dell'art. 12, comma 1, del richiamato d.P.R. n. 487 del 1994, in cio' pensosamente assicurandosi piena applicazione al principio di buon andamento stabilito dall'art. 97 della Costituzione. In tale statuizione e nel successivo orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato pare, tuttavia, che sia rimasta negletta la diversa, ma non meno rilevante esigenza della trasparenza dei giudizi formulati dalle commissioni esaminatrici e che, quindi, nel confronto con l'art. 97 della Costituzione, fatto proprio nell'esercizio della sua primaria funzione da parte del Consiglio di Stato ex art. 100 della Costituzione, sia rimasto recessivo il diverso principio tratto dai richiamati artt. 24, primo e secondo comma e 113, primo comma della Costituzione, che altrettanto puntualmente proclamano il principio di effettivita' della tutela giurisdizionale. Traendo le conseguenze dalle svolte argomentazioni sembra arduo dubitare che, se l'affermazione che il voto alfanumerico sia espressione sintetica, ma completa del giudizio, essa appaia tanto perentoria quanto insoddisfacente, restando per tale via impedito lo svolgersi di un successivo giusto processo, posto che le commissioni esaminatrici continuano a conservare ingiustificatamente un'area di impenetrabile insindacabilita' a fronte dell'affermata preclusione di ogni potenziale verifica degli eventuali vizi della motivazione di volta in volta addotta. Per questo aspetto viene conseguentemente in considerazione l'art. 22 del r.d. n. 1578 del 1933, come modificato dal d.l. n. 112 del 2003 e dalla sua legge di conversione. Tale disposizione, al nono comma, stabilisce espressamente che «la commissione istituita presso il Ministero della giustizia definisce i criteri per la valutazione degli elaborati scritti», che devono essere comunicati alle varie Sottocommissioni: fra tale criteri, devono comunque essere sempre presenti i seguenti: a) chiarezza, logicita' e rigore metodologico dell'esposizione; b) dimostrazione della concreta capacita' di soluzione di specifici problemi giuridici; c) dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici trattati; d) dimostrazione della capacita' di cogliere eventuali profili di interdisciplinarieta'; e) relativamente all'atto giudiziario, dimostrazione della padronanza delle tecniche di persuasione. A tale stregua non e' dato davvero comprendere quale significato possa avere la norma in questione, che vincola le commissioni a fissare criteri per la valutazione delle prove d'esame, ove non concorra per la verifica dell' applicazione dei suddetti criteri, nessuno di essi escluso, il correlative obbligo di motivazione dei giudizi formulati sugli elaborati dei candidati. Con riguardo, poi, all'ulteriore profilo di legittimita' costituzionale che pare configurarsi, occorre osservare che, in base a quanto stabilito dall'art. 111, primo e secondo comma della Costituzione «la giurisdizione si attua con il giusto processo regolato dalla legge», che «si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita', davanti ad un giudice terzo ed imparziale»: sotto questo profilo la ragione del dubbio della costituzionalita' delle suddette norme, siffattamente interpretate e necessariamente leggibili in base al «diritto vivente» elaborato negli anni dal Consiglio di Stato, trae alimento nella circostanza gia' piu' sopra ad altri fini sottolineata che, in un siffatto quadro, sia radicalmente esclusa ogni possibilita' che siano garantiti il diritto di difesa in giudizio e dunque le regole coessenziali al giusto processo con preclusione per la giustiziabilita' della stessa pretesa avanzata in sede giurisdizionale: non potendo, infatti, applicarsi la regola che, a fronte di un giudizio negativo espresso nei confronti di un soggetto, quest'ultimo non sia verificabile neppure sotto l'angusto profilo della sua motivazione appare concorrentemente viziato il principio di effettivita' della tutela giurisdizionale. Altrettanto manifestamente non infondata appare la stessa questione alla luce dell'art. 117, primo comma della Costituzione, posto che, seppure l'art. 111, primo e secondo comma abbia pacificamente introdotto nel nostro ordinamento i principi del giusto processo come statuiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo delle liberta' fondamentali a tutti i processi nazionali e non soltanto a quelli coinvolgenti i diritti convenzionalmente tutelati, l'art. 117, primo comma fa obbligo allo Stato di esercitare la potesta' legislativa nel rispetto dei vincoli derivanti dal diritto comunitario e dagli obblighi internazionali. Sotto questo aspetto e' sufficiente dunque richiamare quanto statuito da codesta sovrana Corte con le sentenze 24 ottobre 2007, n. 348 e 349, con le quali e' stata attratta alla competenza di codesta sovrana Corte ogni questione inerente alla retta applicazione nell'ordinamento nazionale della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali sottoscritta a Roma il 4 novembre 950 e cui e' stata data esecuzione con legge 4 agosto 1955, n. 848, nonche' del suo Protocollo addizionale firmato a Parigi il 20 marzo 1952. Nella specie la questione sopra illustrata appare, infatti, non manifestamente infondata anche alla luce delle regole del giusto processo e del principio della sua effettivita', la cui violazione, ove non sanzionata da codesta sovrana Corte, renderebbe la pronuncia di conseguente reiezione da parte di questo tribunale direttamente ricorribile per saltum davanti alla Corte europea di Strasburgo. Sul fondamento delle argomentazioni che precedono ed alla stregua della rilevanza e della reputata non manifesta infondatezza della questione prospettata si rimette la sua definizione alla Corte costituzionale con sospensione del presente giudizio.
P. Q. M. Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 24, primo e secondo comma, 111, primo e secondo comma, 113 primo comma e 117, primo comma della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale del disposto di cui all'art. 22, nono comma del r.d.l. 23 novembre 1933, n. 1578, convertito dalla legge 22 novembre 1934, n. 36 e di cui agli articoli 17-bis, 22, 23 e 24, primo comma del r.d.l. 23 gennaio 1934, n. 37, nella parte in cui non prevedono l'obbligo di giustificare e/o motivare il voto verbalizzato in termini alfanumerici in occasione delle operazioni di valutazione delle prove scritte d'esame per l'abilitazione alla professione forense. Sospende medio tempore il presente giudizio nella parte ancora non definita, con rinvio al definitivo per ogni ulteriore statuizione in rito nel merito e sulle spese di lite. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che, a cura della segreteria del tribunale, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della conseguente pronuncia da parte della Corte costituzionale decorre il termine perentorio di mesi 6 per la riassunzione in questa sede del giudizio. Cosi' deciso in Trento, nella Camera di consiglio del 17 gennaio 2008. Il Presidente estensore: Mariuzzo