N. 297 SENTENZA 9 - 25 luglio 2008

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Procedimento civile - Impugnazioni - Termine annuale ex art. 327 cod.
  proc. civ. - Decorrenza dalla pubblicazione della sentenza mediante
  deposito  in cancelleria anziche' dalla comunicazione dell'avvenuto
  deposito - Lamentata incidenza sul diritto di difesa - Esclusione -
  Non fondatezza della questione.
- Cod. proc. civ., art. 327, primo comma.
- Costituzione, art. 24.
(GU n.32 del 30-7-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Franco BILE;
Giudici:  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
   Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA,  Franco
   GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria
   Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 327, primo
comma,  del codice di procedura civile, promosso con ordinanza del 10
luglio  2007 dalla Corte d'appello di Venezia nel procedimento civile
vertente  tra  l'Azienda  Ospedaliera  di  Padova  e Cavatton Gianni,
iscritta  al  n. 794  del  registro ordinanze 2007 e pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n. 48,  prima serie speciale,
dell'anno 2007.
   Visti  l'atto  di  costituzione dell'Azienda Ospedaliera di Padova
nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
   Udito  nell'udienza pubblica del 6 maggio 2008 il giudice relatore
Alfio Finocchiaro;
   Uditi  gli  avvocati  Giovanni  Sala  e  Luigi Manzi per l'Azienda
Ospedaliera di Padova e l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per
il Presidente del Consiglio dei ministri.
                          Ritenuto in fatto
   1.  -  La  Corte d'appello di Venezia - in sede di gravame avverso
sentenza  del  Tribunale  di  Padova, giudice del lavoro, pronunciata
nella  controversia  fra  G.  C.  e  l'Azienda Ospedaliera di Padova,
depositata  il  18  ottobre  2005, proposto con riserva dei motivi ex
art.  433,  secondo comma, del codice di procedura civile, presentati
il  29  novembre  2006  -  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 327 cod. proc. civ., in riferimento all'art.
24 della Costituzione.
   Secondo  il  giudice  rimettente,  il  citato  art.  327,  facendo
decorrere il termine per la proposizione dell'impugnazione dalla data
del  deposito e non da quella della comunicazione della sentenza, non
garantisce  il diritto di difesa costituzionalmente riconosciuto alle
parti  costituite,  non  essendo per le stesse certo il godimento per
intero del termine decadenziale.
   L'eventuale   accoglimento   della   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  327 cod. proc. civ., in relazione all'art.
430  cod.  proc.  civ.,  non  incide, secondo il giudice a quo, sulla
coerenza  del sistema delle impugnazioni, posto che la decorrenza del
termine  suddetto dalla comunicazione della sentenza invece che dalla
sua  pubblicazione, non appare lesiva del principio secondo cui, dopo
un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente
dalla   notificazione   della  sentenza,  importando  tale  soluzione
unicamente   un   modestissimo   differimento  temporale  di  entita'
predeterminata,  (non  piu'  di cinque giorni ai sensi dell'art. 133,
secondo  comma,  cod.  proc.  civ.), del passaggio in giudicato della
sentenza.
   Tale soluzione assicurerebbe poi - prosegue il collegio rimettente
-    il    pieno   diritto   di   difesa   delle   parti,   garantito
costituzionalmente  dall'art.  24  Cost.,  ponendole in condizione di
utilizzare  per  intero  il tempo normativamente assegnato, a pena di
decadenza,  per  l'impugnazione  della  sentenza,  concretizzando  il
presupposto processuale della conoscenza della stessa, innegabilmente
necessario   per  la  sua  reale  definitivita'  entro  l'anno  dalla
pubblicazione,  ed  ancora assicurando il pieno diritto di difesa ove
la parte poi materialmente voglia effettivamente avvalersene.
   Ne'  l'accoglimento della questione sollevata creerebbe disparita'
di  trattamento  rispetto  alle  parti  contumaci,  per  le  quali la
decorrenza   del  termine  dalla  comunicazione  della  sentenza  non
potrebbe   trovare   applicazione,   considerata  la  peculiare  loro
posizione,  frutto  di una libera scelta, che comporta che in caso di
comprovata  non conoscenza  del  processo (nullita' della citazione o
della  notificazione  della  stessa),  siano  posti  specifici rimedi
proprio  relativamente  al  termine  lungo di impugnazione (art. 327,
secondo comma, cod. proc. civ.).
   La  prospettata  questione  di  costituzionalita'  e'  rilevante -
osserva  la  Corte  rimettente  -  nel  procedimento  a  quo,  per il
carattere  preliminare ed eventualmente assorbente della eccezione di
tardivita' dell'appello, proposta dall'appellato.
   2.  - Nel giudizio di legittimita' costituzionale si e' costituita
l'Azienda  ospedaliera  di  Padova,  appellante  nel  giudizio a quo,
chiedendo  l'accoglimento  della  questione  sulla  base  dei  motivi
addotti dal giudice rimettente.
   L'esigenza  cui sovrintende l'art. 327 cod. proc. civ., di evitare
che  il  passaggio in giudicato della sentenza possa essere protratto
indefinitamente  ad  arbitrio  delle  parti,  non puo' far obliterare
l'altra esigenza a tutela del diritto di difesa in ogni stato e grado
del  procedimento,  che  comporta,  nel  caso in cui le parti debbano
rispettare  termini  previsti  a  pena  di  decadenza,  che  il tempo
assegnato dalla norma sia utilizzato nella sua interezza.
   Il  giudice potrebbe contemperare le esigenze citate sulla base di
una  diversa  lettura che risulti aderente ai principi costituzionali
asseritamente  violati,  e,  dunque,  ritenere  che  il  termine  per
l'impugnazione  decorra  dalla comunicazione del dispositivo da parte
della  cancelleria.  La  comunicazione  conclude  il  procedimento, a
formazione  progressiva, del deposito della sentenza, tanto piu' che,
nel  processo  del  lavoro,  la  legge  non  ne concepisce un momento
distinto,  imponendo al cancelliere di darne «immediata comunicazione
alle parti».
   La previsione del diritto di difesa, costituzionalmente garantito,
in  ogni  stato  e  grado  del  procedimento,  non si realizza ove il
termine  per  l'impugnazione decorra da un momento anteriore a quello
in  cui la parte abbia avuto possibilita' di conoscere la sentenza da
impugnare.
   A  sostegno  della  incostituzionalita', la parte privata richiama
una  serie  di  interventi  manipolativi  della Corte, soprattutto in
materia fallimentare, in cui il termine per reclami e impugnazioni e'
stato   fatto   decorrere  dal  momento  della  effettiva  conoscenza
dell'atto.
   Il  diritto  di difesa deve essere assicurato in modo effettivo ed
adeguato,  indipendentemente dal fatto che la parte voglia valersene,
giacche'  non  si tratta - come pare doversi cogliere dalla pregressa
giurisprudenza della Corte - di discrezionalita' nella fissazione del
termine,  ma di decorrenza, ove questa cominci da un evento di cui il
soggetto non e' in grado di conoscere l'avverarsi.
   Non  sembra  motivo  di  discriminazione  far decorrere il termine
dalla  comunicazione,  per  la  parte  rimasta  contumace,  attesa la
diversita' della posizione del contumace, alla quale il termine lungo
non si applica, quando essa dimostra di non aver avuto conoscenza del
processo  per  nullita'  della  citazione o della notificazione degli
atti.  Al di fuori di tali ipotesi, le conseguenze sfavorevoli di una
decorrenza  del  termine dalla comunicazione, che al contumace non e'
dovuta,   deriverebbero  unicamente  da  una  sua  libera  scelta.  E
comunque,  una  sentenza  additiva  potrebbe far decorrere il termine
dell'impugnazione  dalla  comunicazione  della sentenza, anche per la
parte rimasta contumace.
   3.  -  Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,   che  ha  concluso  per  l'inammissibilita'  e  comunque  per
l'infondatezza  della  questione,  sostenendo  che la rimozione della
norma  denunciata  non comporterebbe automaticamente l'applicabilita'
del diverso meccanismo opinato dalla Corte d'appello, non essendo nei
poteri della Corte costituzionale sostituirla con altra disposizione.
   Il  diverso  regime,  da sostituire all'esistente - si tratterebbe
solo  di  una  diversa  possibile  soluzione,  comunque  rimessa alla
discrezionalita'  del legislatore - sarebbe tutt'altro che conforme a
Costituzione,  discriminando  la  parte rimasta contumace, e rendendo
assolutamente  incerta  per  la  controparte  e  i  terzi la data del
passaggio  in  giudicato  della  sentenza  non  notificata,  e  cosi'
vulnerando  il fondamentale principio della certezza delle situazioni
giuridiche.
   Nel merito, non sarebbe ravvisabile lesione del diritto di difesa,
poiche'   l'individuazione   del   termine   annuale  opera  un  equo
bilanciamento  tra l'indispensabile esigenza di tutela della certezza
delle  situazioni  giuridiche  e  il  diritto di difesa. La soluzione
sarebbe ragionevole e non graverebbe di oneri eccessivi il difensore,
che deve recarsi saltuariamente in cancelleria per aver notizia della
decisione.  Il  lasso  di  tempo di un anno consentirebbe di adottare
ogni determinazione in merito all'eventuale impugnazione.
   Ancorare  il  dies  a  quo del termine di impugnazione ad un unico
momento  certo,  costituisce  elemento irrinunciabile per la certezza
dei   rapporti   giuridici:  la  soluzione  prospettata  dalla  Corte
d'appello di Venezia, di far decorrere il termine dalla comunicazione
di    cancelleria,   determinerebbe   un   passaggio   in   giudicato
differenziato  per  le  parti presenti e per quelle non costituite, a
parte  l'eventualita'  che, per disguido, l'incombente di cancelleria
non  venga  effettuato,  con  la  conseguenza  che  la  sentenza  non
passerebbe mai in giudicato.
   La   congruita'   del   termine  annuale  porrebbe  al  riparo  la
disposizione  in  esame  da dubbi in ordine alla conoscibilita' della
pronuncia,  riferendosi  gli  interventi  demolitivi della Corte solo
alla  ristrettezza  di  particolari  termini,  ad  esempio in materia
fallimentare.
   4.  -  Nell'imminenza  dell'udienza pubblica l'Avvocatura generale
dello  Stato  e  l'Azienda  ospedaliera  di  Padova  hanno depositato
memorie.
   La  difesa erariale, nel confermare le conclusioni esposte, deduce
che   l'inammissibilita'  della  questione  deriva:  a)  dall'erronea
indicazione della norma oggetto di censura conseguendo la prospettata
lesione  del  diritto di difesa non dall'art. 327 cod. proc. civ., ma
dall'art.   133  dello  stesso  codice;  b)  dalla  richiesta  di  un
provvedimento rimesso alla discrezionalita' del legislatore.
   Con  riferimento  alla infondatezza si osserva: a) che il deposito
della  sentenza  non  e' evento imprevedibile per la parte costituita
tramite  un  difensore  tecnico;  b)  che  in materia fallimentare le
pronunce  di  incostituzionalita'  si  giustificavano  per  l'estrema
brevita' dei termini.
   La  difesa  dell'Azienda  ospedaliera  di Padova deduce: a) che si
potrebbe   giungere  ad  una  interpretazione  adeguata  ai  principi
costituzionali;    b)    che    la    giurisprudenza   in   tema   di
incostituzionalita'   delle   norme   in  materia  fallimentare  puo'
applicarsi anche con riferimento all'art. 327 cod. proc. civ.; c) che
la   dichiarazione   d'incostituzionalita'   richiesta   dal  giudice
remittente  non inciderebbe sulla certezza dei rapporti giuridici; d)
che  la  previsione  di  un termine lungo e' adeguata ove sussista la
conoscibilita'  del  deposito; e) che e' irrilevante la posizione del
contumace.
                       Considerato in diritto
   1.  -  La  Corte  d'appello  di  Venezia dubita della legittimita'
costituzionale  dell'art.  327  del codice di procedura civile, nella
parte   in   cui  prevede  la  decorrenza  del  termine  annuale  per
l'impugnazione dalla pubblicazione della sentenza, anziche' dalla sua
comunicazione  a  cura della cancelleria, per violazione dell'art. 24
della  Costituzione,  in  quanto non sarebbe assicurato alle parti il
diritto  di  difesa costituzionalmente garantito, per non essere alle
stesse assicurato il godimento per intero del termine per impugnare.
   2. - La questione non e' fondata.
   3.   -   Questa   Corte  ha  gia'  scrutinato  identica  questione
dichiarandola,  una  prima  volta, inammissibile (sentenza n. 584 del
1990)  e,  una seconda volta, manifestamente inammissibile (ordinanza
n. 129  del  1991).  Le  ragioni per cui la questione fu disattesa in
passato  risiedevano  nel considerare il termine annuale di decadenza
ex  art.  327  cod.  proc.  civ.  logico  corollario del principio di
formazione  del giudicato indipendentemente dalla notificazione della
sentenza,  e  che lo spostamento della decorrenza del termine annuale
alla  data  di  comunicazione  della  sentenza  avrebbe  sconvolto la
coerenza  del  sistema  delle  impugnazioni e postulato modifiche del
sistema   normativo,  riguardo  alla  posizione  del  contumace,  non
consentite alla Corte.
   Preliminarmente   all'individuazione  delle  conseguenze  che  una
pronuncia  di  illegittimita' determinerebbe sulla legge processuale,
occorre  interrogarsi  se  nella  norma denunciata sia ravvisabile un
contrasto con il diritto di difesa, tutelato dall'art. 24 Cost..
   L'art.  327,  primo  comma, cod. proc. civ., - il quale prevede la
decadenza  dalla  impugnazione  dopo  il  decorso  di  un  anno dalla
pubblicazione  della  sentenza, indipendentemente dalla notificazione
di   questa   -   opera   un   non  irragionevole  bilanciamento  tra
l'indispensabile  esigenza  di tutela della certezza delle situazioni
giuridiche  e  il  diritto  di difesa. L'ampiezza del termine annuale
consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione
che lo riguarda, facendo uso della diligenza dovuta in rebus suis. La
decorrenza  fissata  con  riferimento  alla pubblicazione, secondo la
costante   giurisprudenza  di  legittimita',  e'  un  corollario  del
principio  secondo  cui,  dopo  un  certo  lasso  di  tempo,  la cosa
giudicata   si  forma  indipendentemente  dalla  notificazione  della
sentenza  ad  istanza di parte: sicche' lo spostamento del dies a quo
dalla  data  di  pubblicazione  a  quella  di  comunicazione non solo
sarebbe contraddittorio con la logica del processo, ma restringerebbe
irrazionalmente  il  campo  di  applicazione  del  termine  lungo  di
impugnazione  alle  parti costituite in giudizio, alle quali soltanto
la sentenza e' comunicata ex officio.
   E'  bensi' vero che questa Corte, con molteplici decisioni, emesse
in    materia    fallimentare,    ha    dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale  di  norme sulla decorrenza di termini processuali per
l'impugnazione  di  un  atto  da  un determinato evento (ex plurimis:
sentenza  n. 201  del  1993; n. 881 del 1988; nn. 156 e 102 del 1986;
n. 303  del 1985) o dall'affissione (ex plurimis: sentenze n. 224 del
2004;  n. 211  del  2001;  nn.  152  e  151  del 1980) anziche' dalla
comunicazione dello stesso. Tuttavia, il principio e' stato enunciato
in  riferimento ad ipotesi, in cui i termini fissati dal legislatore,
a  parte l'incertezza e inconoscibilita' della loro decorrenza, erano
oggettivamente    esigui:    si    trattava   comunque   di   ipotesi
ontologicamente  diverse  da quella prevista dall'art. 327 cod. proc.
civ.,  dal  momento  che  solamente  per quest'ultima ipotesi - e non
anche per le altre di cui alle richiamate pronunce - l'interessato e'
posto  in  condizione di conoscere la decorrenza iniziale del termine
decadenziale,  senza  l'imposizione  di  oneri  eccedenti  la normale
diligenza (ordinanza n. 56 del 2005).
   Da quanto precede deriva che il principio di cui all'art. 327 cod.
proc.  civ.  non  e'  in  contrasto con l'art. 24 Cost. e, quindi, la
questione proposta non e' fondata.
              per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art.   327,   primo  comma,  del  codice  di  procedura  civile,
sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dalla Corte
d'appello di Venezia, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2008.
                         Il Presidente: Bile
                      Il redattore: Finocchiaro
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 25 luglio 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola