N. 300 ORDINANZA 9 - 25 luglio 2008

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il
  pubblico  ministero  di  appellare le sentenze di proscioglimento -
  Preclusione, salvo nelle ipotesi di cui all'art. 603, comma 2, cod.
  proc.  pen., se la nuova prova e' decisiva - Disciplina transitoria
  -    Prevista    inammissibilita'   dell'appello   proposto   prima
  dell'entrata  in vigore della novella - Denunciata irragionevolezza
  nonche'  violazione  dei  principi  di  parita'  delle  parti  e di
  ragionevole   durata   del  processo  -  Omessa  descrizione  della
  fattispecie,   con  conseguente  impossibilita'  di  verificare  la
  rilevanza della questione - Manifesta inammissibilita'.
- Cod.  proc. pen., art. 593, come sostituito dall'art. 1 della legge
  20  febbraio  2006,  n. 46; d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 36,
  comma  1,  come  modificato dall'art. 9, comma 2, della legge n. 46
  del 2006; legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10.
- Costituzione, artt. 3 e 111.
(GU n.32 del 30-7-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Franco BILE;
Giudici:  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
   Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA,  Franco
   GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria
   Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 593 del codice
di  procedura  penale,  come  sostituito  dall'art.  1 della legge 20
febbraio  2006,  n. 46  (Modifiche  al codice di procedura penale, in
materia  di  inappellabilita'  delle  sentenze  di  proscioglimento);
dell'art. 36, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274
(Disposizioni  sulla  competenza  penale del giudice di pace, a norma
dell'articolo   14  della  legge  24  novembre  1999,  n. 468),  come
modificato dall'art. 9, comma 2, della citata legge n. 46 del 2006; e
dell'art.  10  della  medesima  legge,  promosso con ordinanza del 10
maggio 2006 dal Tribunale di Trieste nel procedimento penale a carico
di F. S., iscritta al n. 459 del registro ordinanze 2006 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 44, 1ª serie speciale,
dell'anno 2006.
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 25 giugno 2008 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
   Ritenuto  che,  con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale
di  Trieste  ha  sollevato,  in  riferimento agli artt. 3 e 111 della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 593
del  codice  di  procedura  penale, come sostituito dall'art. 1 della
legge  20  febbraio  2006,  n. 46  (Modifiche  al codice di procedura
penale,   in   materia   di   inappellabilita'   delle   sentenze  di
proscioglimento);  dell'art.  36, comma 1, del decreto legislativo 28
agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice
di  pace,  a  norma  dell'articolo  14  della legge 24 novembre 1999,
n. 468),  come  modificato  dall'art.  9, comma 2, della citata legge
n. 46 del 2006; e dell'art. 10 della medesima legge;
     che   il  rimettente  premette,  in  punto  di  rilevanza  della
questione,  che  -  in  forza  della  sopravvenuta  disciplina di cui
all'art.  10  della legge n. 46 del 2006, in riferimento all'art. 593
cod. proc. pen. e all'art. 36, comma 1, del d. lgs. n. 274 del 2000 -
«dovrebbe  definire  il  grado  di  giudizio  mediante  pronuncia  di
ordinanza non impugnabile di inammissibilita', di talche' verrebbe ad
essere  precluso  l'esame  delle  questioni  di  merito  proposte con
l'interposto gravame»;
     che,  quanto  alla  non manifesta infondatezza, il giudice a quo
dichiara   di  recepire  «integralmente  le  motivazioni  di  analoga
ordinanza della Corte d'appello di Trieste, che condivide in toto»;
     che  il  Tribunale  rimettente  rileva,  in  particolare,  come,
secondo  la costante giurisprudenza di questa Corte, la previsione di
limiti  al potere di impugnazione del pubblico ministero - di per se'
non  incompatibile  con  il  principio  di  parita'  delle  parti nel
processo  -  debba  comunque  trovare una ragionevole giustificazione
nella  peculiare  posizione istituzionale della parte pubblica, nella
funzione  alla  stessa  affidata e in esigenze connesse alla corretta
amministrazione della giustizia;
     che  nei  lavori  preparatori  della  legge  n. 46  del  2006, e
segnatamente  nella  relazione  di  accompagnamento  alla proposta di
legge,  le  ragioni  dell'intervento  normativo  sarebbero ricondotte
esclusivamente  alla  necessita'  di  dare  attuazione all'art. 2 del
Protocollo   addizionale   n. 7   alla  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e delle liberta' fondamentali,
adottato  a  Strasburgo  il  22  novembre  1984,  ratificato  e  reso
esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98, con riferimento al diritto,
ivi  sancito, «al doppio grado di giurisdizione in materia penale per
chiunque  venga  dichiarato  colpevole di una infrazione penale da un
tribunale»;
     che tali ragioni si paleserebbero, peraltro, non solo diverse da
quelle  che,  secondo  la  giurisprudenza  costituzionale richiamata,
potrebbero legittimare una limitazione dei poteri di impugnazione del
pubblico  ministero,  ma  anche  prive  di fondamento; infatti - come
questa  Corte  ha  ripetutamente  affermato  -  il  doppio  grado  di
giurisdizione di merito non forma oggetto di garanzia costituzionale,
e   l'art.  2  del  Protocollo  addizionale  dianzi  menzionato  «non
legittima  una  interpretazione  per  cui  il  riesame ad opera di un
tribunale superiore debba coincidere con un giudizio di merito»;
     che  la  limitazione  del  potere  di  impugnazione del pubblico
ministero   avverso   le  sentenze  di  proscioglimento  non  sarebbe
giustificata  neppure dalla circostanza che l'appello sia formalmente
precluso  anche  all'imputato,  «ben  diverso  essendo  il rispettivo
interesse sostanziale a proporre impugnazione avverso una sentenza di
proscioglimento»;
     che,  pertanto, la disciplina censurata si porrebbe in contrasto
con  gli  artt.  3 e 111 Cost., poiche' introduce una limitazione dei
poteri  di  appello  del  pubblico  ministero priva di idonee ragioni
giustificative;
     che   sarebbe   violato,  inoltre,  il  principio  della  durata
ragionevole del processo sancito dall'art. 111, secondo comma, Cost.,
giacche'  la  legge  n. 46 del 2006 - eliminando l'appello avverso le
sentenze  di  proscioglimento  e  ampliando  i motivi del ricorso per
cassazione  -  avrebbe  determinato un aumento dei gradi di giudizio;
con  conseguente  allungamento  dei  tempi  processuali  e rischio di
prescrizione dei reati;
     che  cio'  risulterebbe  tanto  piu'  evidente in relazione alla
disciplina  transitoria  dettata  dall'art.  10 della legge n. 46 del
2006,  poiche'  la  previsione  di una indiscriminata declaratoria di
inammissibilita'  degli appelli proposti prima dell'entrata in vigore
della  legge  - derogando al principio tempus regit actum che governa
la materia processuale - non solo sacrificherebbe «un atto di gravame
tempestivamente   proposto,   costringendo  la  parte  interessata  a
presentarne  un  altro»;  ma  comporterebbe,  altresi', l'inevitabile
differimento    della    presentazione   della   nuova   impugnazione
«all'eseguita  notifica  del  provvedimento  di  inammissibilita'  e,
pertanto, ad un termine futuro ed incerto».
   Considerato   che   il  Tribunale  di  Trieste  ha  sollevato,  in
riferimento  agli  artt.  3  e  111  della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  593  del codice di procedura
penale,  come  sostituito  dall'art.  1 della legge 20 febbraio 2006,
n. 46  (Modifiche  al  codice  di  procedura  penale,  in  materia di
inappellabilita'  delle  sentenze  di proscioglimento); dell'art. 36,
comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni
sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14
della  legge  24 novembre 1999, n. 468), come modificato dall'art. 9,
comma  2,  della  citata  legge  n. 46 del 2006; e dell'art. 10 della
medesima legge;
     che   il   giudice  a  quo  -  nel  sottoporre  a  scrutinio  di
costituzionalita'  le  disposizioni  censurate,  nella  parte  in cui
limitano  l'appello  del  pubblico  ministero  avverso le sentenze di
proscioglimento  - omette ogni descrizione della fattispecie concreta
sottoposta  al suo esame, limitandosi ad affermare apoditticamente la
rilevanza della questione;
     che  nell'ordinanza  di  rimessione  non risulta esplicitata, in
particolare,   la   circostanza   se   il   giudizio  a  quo  origini
effettivamente  dall'appello  proposto  dal pubblico ministero contro
una  sentenza  di  proscioglimento  (e,  segnatamente,  da un appello
proposto  prima  dell'entrata  in  vigore  della legge n. 46 del 2006
avverso  una  sentenza di proscioglimento emessa dal giudice di pace,
avuto riguardo al coinvolgimento nell'impugnativa anche dell'art. 36,
comma  1, del d.lgs. n. 274 del 2000 e dell'art. 10 della legge n. 46
del  2006):  non consentendo, con cio', a questa Corte la verifica in
ordine alla rilevanza della questione;
     che   a   siffatta   omissione  consegue,  secondo  la  costante
giurisprudenza  di  questa Corte, la manifesta inammissibilita' della
questione  (con  riferimento a questioni analoghe, ordinanze n. 216 e
n. 207 del 2007).
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
              per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  593  del codice di procedura
penale,  come  sostituito  dall'art.  1 della legge 20 febbraio 2006,
n. 46  (Modifiche  al  codice  di  procedura  penale,  in  materia di
inappellabilita'  delle  sentenze  di proscioglimento); dell'art. 36,
comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni
sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14
della  legge  24 novembre 1999, n. 468), come modificato dall'art. 9,
comma  2,  della  citata  legge  n. 46 del 2006; e dell'art. 10 della
medesima  legge,  sollevata,  in riferimento agli artt. 3 e 111 della
Costituzione,  dal  Tribunale  di Trieste con l'ordinanza indicata in
epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2008.
                         Il Presidente: Bile
                         Il redattore: Flik
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 25 luglio 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola