N. 309 SENTENZA 29 - 30 luglio 2008

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Procedimento civile - Esecuzione forzata - Espropriazione immobiliare
  -  Modifiche  normative  -  Anticipazione  della  preclusione della
  presentazione  dell'istanza  di  conversione  del  pignoramento  al
  momento  in  cui  viene  disposta  la vendita - Ultrattivita' della
  previgente  disciplina  nell'ipotesi  di  procedure esecutive nelle
  quali  la  vendita  era  stata  gia' disposta prima dell'entrata in
  vigore  delle  modifiche normative - Mancata previsione - Lamentata
  violazione  dei  principi  di  uguaglianza  e  ragionevolezza e del
  diritto  di difesa - Inidoneita' della nuova normativa a comprimere
  posizioni  soggettive  processuali acquisite - Non fondatezza della
  questione.
- Cod.  proc.  civ., art. 495; d.l. 14 marzo 2005, n. 35 (convertito,
  con  modificazioni,  dalla  legge  14  maggio 2005, n. 80), art. 2,
  comma  3-sexies,  come sostituito dall'art. 1, comma 6, della legge
  28  dicembre  2005,  n. 263  e successivamente modificato dall'art.
  39-quater  del  d.l.  30  dicembre  2005,  n. 273,  convertito, con
  modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.33 del 6-8-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Franco BILE;
Giudici:  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
   Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA,  Franco
   GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria
   Rita SAULLE, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente
                              Sentenza
nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 495 del codice
di  procedura civile e dell'art. 2, comma 3-sexies, del decreto-legge
14  marzo  2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14
maggio 2005, n. 80, come sostituito dall'art. 1, comma 6, della legge
28  dicembre  2005,  n. 263,  e  successivamente modificato dall'art.
39-quater del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con
modificazioni,  dalla  legge  23  febbraio  2006, n. 51, promosso dal
giudice  dell'esecuzione del Tribunale di Roma nei giudizi riuniti di
opposizione   agli  atti  esecutivi  instaurati  dalla  Assimobil  di
Assennato  Maria  Laura & c. s.a.s. contro la Capitalia s.p.a. ed
altri,  iscritta  al  n. 21  del registro ordinanze 2008 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 8, 1ª serie speciale,
dell'anno 2008.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio dell'11 giugno 2008 il Giudice
relatore Francesco Amirante.
                          Ritenuto in fatto
   1.  -- Nel corso di un giudizio di opposizione agli atti esecutivi
(in cui l'opponente aveva impugnato il provvedimento con il quale era
stato  dichiarato inammissibile un suo precedente ricorso, volto alla
revoca  dell'aggiudicazione  per  avere  egli  presentato  istanza di
conversione   del   pignoramento)   il  giudice  dell'esecuzione  del
Tribunale  di  Roma ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 24
della  Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale degli
artt.  495  del  codice  di procedura civile e 2, comma 3-sexies, del
decreto-legge  14  marzo  2005, n. 35, convertito, con modificazioni,
dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, come sostituito dall'art. 1, comma
6, della legge 28 dicembre 2005, n. 263, e successivamente modificato
dall'art.  39-quater  del  decreto-legge  30  dicembre  2005, n. 273,
convertito,  con  modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51.
Tali  disposizioni  sono  censurate  nella parte in cui, fissando - a
partire  dal  1°  marzo  2006 - in un momento anteriore all'emissione
dell'ordinanza   di   vendita   la   preclusione  alla  presentazione
dell'istanza  di conversione, non fanno salvo il diritto del debitore
a fare affidamento sulla posizione giuridica acquisita nel previgente
regime, secondo cui egli avrebbe potuto presentare detta istanza fino
al  giorno  dell'udienza  in cui si teneva la vendita. Nel giudizio a
quo  l'opponente  aveva  depositato  istanza di conversione lo stesso
giorno  (12  maggio  2006) in cui il notaio delegato aveva redatto il
verbale di vendita .
   Precisa  il remittente che il nuovo testo dell'art. 495 cod. proc.
civ.  consente la conversione del pignoramento soltanto prima che sia
disposta  la  vendita  e  che  il tenore letterale dettato nel regime
transitorio  - secondo cui «questa disposizione entra in vigore il 1°
marzo  2006  e  si  applica anche alle procedure esecutive pendenti a
tale  data  di  entrata  in vigore» - non lascia dubbi interpretativi
sulla scelta retroattiva operata dal legislatore della riforma, tanto
e' vero che e' fatta salva l'applicazione delle norme precedentemente
in  vigore  solo  per la fase relativa alla vendita, laddove gia' sia
stata   emanata   la  relativa  ordinanza;  e'  cosi',  infatti,  che
testualmente  ha  dichiarato  il  legislatore  «...nel prevedere che,
quando  e'  gia'  stata  ordinata  la vendita, la stessa ha luogo con
l'osservanza  delle  norme  precedentemente  in  vigore».  La  chiara
espressione  «la  stessa»,  contenuta  nella citata disposizione, non
potrebbe  che  rivolgersi  alla  fase della sola vendita, vale a dire
allo  svolgimento  di  ognuna  delle  attivita'  che  conducono  alla
definizione  del  procedimento di vendita che avviene con l'emissione
del decreto di trasferimento, con preclusione dell'applicazione della
disciplina  previgente  ad  ogni  diversa attivita' processuale delle
procedure pendenti.
   Osserva  quindi il giudice a quo (il quale ricorda che il processo
esecutivo e' strutturato non come una sequenza di atti preordinati ad
un  unico  provvedimento  finale,  secondo  il  modello  del processo
ordinario  di cognizione, ma come una serie autonoma di atti ordinati
a  successivi  e  distinti  provvedimenti) come l'ultrattivita' della
disciplina previgente residui soltanto per la fase della vendita gia'
disposta,  mentre  il  nuovo  regime  risulta  applicabile a tutte le
procedure  per  le  quali non sia stata emessa l'ordinanza di vendita
ovvero,  anche  quando  essa  e'  stata  emessa,  per  tutte  le fasi
anteriori  alla  vendita  stessa.  Ne  consegue  che,  ogni volta che
l'istanza di conversione venga proposta dal debitore esecutato in una
procedura  in  cui  la  vendita  sia  gia'  stata disposta, l'istanza
medesima  deve  essere  dichiarata  inammissibile  e  cio'  anche  se
l'immobile  non  sia  stato venduto a causa delle vicende processuali
concrete.
   Cio'  appare  al  Tribunale  lesivo  dell'affidamento del debitore
circa le posizioni giuridiche processuali acquisite, secondo cui egli
avrebbe  potuto presentare domanda di conversione del pignoramento, e
cosi'  recuperare  l'immobile,  fino al giorno dell'udienza in cui si
teneva la vendita. Infatti, secondo il previgente testo dell'art. 495
cod.  proc.  civ.,  il  debitore  poteva  chiedere la conversione «in
qualsiasi  momento  anteriore  alla  vendita»,  dove  per  vendita si
intendeva  l'udienza  di  vendita  e  non  il  provvedimento  che  la
disponeva,  anche  sulla  scorta  dell'orientamento  della  Corte  di
cassazione.
   A  parere  del  Tribunale,  la  mera applicazione della disciplina
nuova  alle  procedure  pendenti  potrebbe risultare in conflitto con
posizioni  legittimamente acquisite dalle parti in virtu' del vecchio
regime,  cosi'  dando luogo a problemi di legittimita' costituzionale
con  riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. Al legislatore della riforma
il  remittente riconosce ampia discrezionalita' nel dettare un regime
transitorio,  purche'  esso  si  conformi  ai  fondamentali  principi
costituzionali  sulla  tutela dei diritti. Nel caso specifico, pero',
la distinzione tra le fasi soggette ad ultrattivita' della disciplina
abrogata e quelle soggette a retroattivita' della disciplina di nuova
introduzione non terrebbe conto dell'esigenza di certezza che si pone
per  il  cittadino non solo con riferimento al contenuto di una legge
ma anche riguardo alla normativa processuale, dovendo egli conoscere,
nella  dinamica  dei  suoi  diritti  processuali, quali principi sono
applicabili a tutela delle sue aspettative.
   Secondo  il  remittente - che richiama la giurisprudenza di questa
Corte  in  tema  di  retroattivita'  della legge - il cittadino ha il
diritto  alla  ragionevole  aspettativa  che la corretta applicazione
della  norma,  che  ha consacrato una determinata modalita' di difesa
processuale,  non  verra'  riconsiderata  a  posteriori  a  causa del
cambiamento  della  legge  che  regola  quell'atto e quella attivita'
processuale:  pur  non essendo la regola dell'efficacia irretroattiva
della  legge  intangibile  per  il  legislatore  -  che  puo' dettare
apposita  normativa  transitoria  in  ragione delle sue insindacabili
scelte  politiche  -  tuttavia  questi dovra' pur sempre creare tra i
vari  atti  processuali  un  rapporto  tale da consentire il rispetto
dell'unita',  della  coerenza  interna  del  sistema  processuale nel
rispetto dei diritti costituzionali di azione e di difesa.
   2.  --  E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  che  ha  concluso  per  la  non  fondatezza  della questione,
preliminarmente   osservando   come  la  disciplina  previgente,  nel
disporre  che  l'istanza di conversione potesse essere presentata «in
qualsiasi  momento  anteriore  alla  vendita»,  avesse  dato  luogo a
diverse  discussioni  interpretative  che avevano trovato, infine, un
punto  di  arrivo  in  quella giurisprudenza che individuava l'ultimo
momento    utile    nell'aggiudicazione    definitiva    del    bene.
Interpretazione,   questa,   poco   sollecita   nei  confronti  della
situazione  dell'aggiudicatario  alla  cui  posizione  conferiva  una
connotazione di particolare precarieta', in quanto esposta al rischio
della  sospensione  dell'emissione del provvedimento di trasferimento
del bene proprio in ragione di quegli eventi processuali indicati dal
Tribunale  rimettente  (rinvio  dell'udienza di vendita, differimento
della vendita a causa dell'asta andata deserta ecc.).
   Con  la  modifica  in  esame,  dunque,  si  conferisce  certezza e
stabilita'  al  momento  temporale  entro  il  quale il debitore puo'
presentare l'istanza di conversione del pignoramento, identificandolo
con  il provvedimento attraverso il quale il giudice dell'esecuzione,
sentite  le  parti, dispone la vendita o l'assegnazione, autorizzando
altresi'   la  liberazione  delle  cose  pignorate.  La  disposizione
risponde  percio' pienamente, secondo l'interveniente, alla ratio del
processo  esecutivo  di attuare, con celerita' e certezza, la pretesa
del  creditore  ed  e', d'altra parte, bilanciata, dal punto di vista
dell'interesse  del  debitore a presentare istanza di conversione del
pignoramento,  dall'ulteriore  modifica  introdotta dalla novella del
codice  di  procedura  civile sempre con riferimento all'art. 495 con
cui,  secondo  la nuova formulazione del quarto comma, il termine per
la rateizzazione delle somme versate dal debitore in sostituzione del
bene  pignorato  e'  raddoppiato dai nove mesi di cui alla originaria
formulazione agli attuali diciotto.
   Premesso  che  la Costituzione non impone un modello vincolante di
processo,  l'Avvocatura  ricorda,  con riferimento alla emanazione di
norme  transitorie  volte  a  segnare  il  passaggio  da  un  sistema
processuale  ad  un  altro, come sia stata piu' volte da questa Corte
affermata  la  discrezionalita'  del legislatore, in ragione dei fini
che  intende  perseguire, nel regolare il passaggio da una vecchia ad
una  nuova  disciplina.  Inoltre  la doglianza, nei termini in cui e'
stata   formulata   dal   remittente,  potrebbe  riguardare,  secondo
l'Avvocatura,  tutte le norme di diritto transitorio che accompagnano
il  passaggio da un ordinamento processuale ad un altro, nella misura
in  cui  dalle  stesse  discenda l'applicazione per un certo lasso di
tempo   di   un   regime   processuale  differenziato,  allorche'  il
legislatore  -  nell'ambito  di  un  giudizio  pendente  alla data di
entrata  in  vigore  della  nuova disciplina normativa - disponga che
certe situazioni rimangono disciplinate dalle disposizioni previgenti
ed altre possano gia' seguire la disciplina sopravvenuta.
   Con   particolare   riferimento   alla  parte  della  disposizione
transitoria  in  esame  che  dispone l'ultrattivita' della disciplina
anteriore  alla novella (per la sola fase attinente alla vendita), la
stessa  si  tradurrebbe  in una sostanziale applicazione della regola
generale  secondo  cui  le  disposizioni  processuali  rispondono  al
principio  del  tempus  regit actum: disposta la vendita da parte del
giudice  prima  dell'entrata  in  vigore  della riforma in virtu' del
citato principio, non potrebbero che applicarsi le regole vigenti nel
momento  in  cui  la  vendita  e'  stata  ordinata, l'effetto di tale
decisione  del  giudice  dell'esecuzione essendo quello di aprire una
nuova  e  specifica  fase  del  processo esecutivo (conformato in una
serie   di   fasi,   come  sottolineato  nella  stessa  ordinanza  di
rimessione).  In particolare, con l'ordinanza che dispone la vendita,
si  apre  una  fase  subprocedimentale  che,  in  base  al  principio
menzionato,  non  puo'  che  essere  regolata  dalle norme vigenti al
momento in cui detta fase sia stata dichiarata aperta.
   La  prospettata  violazione  dell'art.  24  Cost.  sarebbe  infine
esclusa  ove si consideri che tale precetto non impone affatto - come
chiarito  da  questa Corte in molteplici occasioni - che il cittadino
possa conseguire la tutela giurisdizionale sempre nello stesso modo e
con   i  medesimi  effetti,  purche'  non  vengano  imposti  oneri  o
prescritte  modalita'  tali  da  rendere  impossibile  o estremamente
difficile   l'esercizio  del  diritto  di  difesa  o  lo  svolgimento
dell'attivita'  processuale.  Del  resto,  le  garanzie proprie delle
parti del giudizio di esecuzione non sarebbero comparabili con quelle
proprie del giudizio di cognizione.
                       Considerato in diritto
   1.  --  Questa  Corte  e'  chiamata dal Tribunale di Roma, sezione
delle  esecuzioni  immobiliari,  a  scrutinare,  con riferimento agli
artt. 3 e 24 della Costituzione, la legittimita' costituzionale degli
artt.  495  cod. proc. civ. e 2, comma 3-sexies, del decreto-legge 14
marzo  2005,  n. 35,  convertito  con  modificazioni,  dalla legge 14
maggio 2005, n. 80, come sostituito dall'art. 1, comma 6, della legge
28  dicembre  2005,  n. 263,  e  successivamente modificato dall'art.
39-quater del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con
modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51.
   Secondo  il  remittente  le suddette disposizioni sono illegittime
anche  per  violazione  «dei  principi costituzionali impliciti della
ragionevolezza  delle  statuizioni legislative e dell'affidamento del
soggetto processuale all'azione secondo la legge processuale vigente,
nella  parte  in  cui  le  censurate  disposizioni non fanno salvo il
diritto  del  debitore  a  fare affidamento sulla posizione giuridica
processualmente  acquisita secondo cui egli poteva presentare domanda
di  conversione del pignoramento, e cosi' recuperare l'immobile, fino
al giorno dell'udienza in cui si teneva la vendita».
   Il  remittente  espone  che  davanti  a  lui pende un procedimento
esecutivo immobiliare nel corso del quale, in data 12 maggio 2006, il
notaio  delegato  ha proceduto alla vendita dell'immobile pignorato e
alla   aggiudicazione   provvisoria   e  la  debitrice  esecutata  ha
presentato  istanza di conversione del pignoramento; che il 15 maggio
2006 il giudice ha dichiarato l'inmamissibilita' di tale istanza; che
la debitrice ha impugnato il 16 maggio l'aggiudicazione provvisoria e
il  18  maggio  il  provvedimento  dichiarativo dell'inammissibilita'
dell'istanza di conversione del pignoramento.
   Nell'ordinanza  di  rimessione si premette che il testo originario
dell'art.  495 cod. proc. civ. consentiva al debitore assoggettato ad
esecuzione  di  presentare  l'istanza di conversione del pignoramento
«in qualsiasi momento anteriore alla vendita», e che tale espressione
era   stata   costantemente   interpretata   nel  senso  che  neppure
l'aggiudicazione  provvisoria avesse effetti preclusivi. Si premette,
altresi',  che,  secondo le norme censurate, l'istanza di conversione
puo'  essere  presentata  fino  a  che non sia «disposta la vendita o
l'aggiudicazione  a norma degli artt. 530, 552 e 569 cod. proc. civ.»
e  che  esse,  entrate  in  vigore  il  1°  marzo  2006, per espressa
disposizione  si  applicano alla procedure esecutive in corso, con la
precisazione  che:  «quando,  tuttavia,  e'  gia'  stata  ordinata la
vendita,   la   stessa   ha   luogo   con  l'osservanza  delle  norme
precedentemente in vigore».
   Siffatta  ultima  disposizione  concerne  soltanto le modalita' di
svolgimento della procedura di vendita, di per se' considerata, e non
anche  la  fissazione del termine entro il quale puo' essere proposta
l'istanza   di   conversione   anche  nell'ipotesi  -  implicitamente
presupposta e pacificamente ricorrente nel caso in esame - di vendita
disposta prima dell'entrata in vigore delle modifiche normative.
   Ritenuta,  sulla base delle considerazioni e dei fatti esposti, la
rilevanza  della  questione,  il Tribunale remittente ne argomenta la
non  manifesta  infondatezza,  sostenendo che la discrezionalita' che
spetta  al  legislatore,  in  specie  nel  regolare il trapasso da un
regime  processuale  ad  un  altro  e  nel  dettare  quindi  le norme
transitorie  che ritiene opportune, non puo' essere mai esercitata in
modo  irragionevole e tale da compromettere l'affidamento delle parti
nel  rispetto delle posizioni legittimamente acquisite. Con specifico
riferimento  alla  questione  sollevata, il remittente afferma che il
legislatore  avrebbe  dovuto,  nelle  ipotesi  di procedure esecutive
nelle  quali  la  vendita  era  stata  gia'  disposta, come in quella
davanti  a  lui  pendente,  stabilire  l'applicabilita'  a  tutti gli
effetti  della  previgente  disciplina  e  non  limitarla  alle  mere
modalita'  dello  svolgimento  della  vendita.  Cio' per il principio
secondo  cui la validita' e l'efficacia degli atti processuali devono
essere stabilite alla stregua della legge vigente al momento del loro
compimento. Nella specie, l'atto idoneo a identificare il regolamento
delle facolta' delle parti era il provvedimento di disposizione della
vendita. Intervenuto questo, la parte legittimamente poteva elaborare
la propria condotta processuale secondo la originaria disciplina, che
consentiva    la    conversione    del    pignoramento   anche   dopo
l'aggiudicazione provvisoria.
   Si  verificherebbe,  quindi,  una  disparita'  di  trattamento tra
debitori  esecutati  in  procedure  in  cui  la vendita non era stata
ancora  disposta  anteriormente  all'entrata  in  vigore  della nuova
normativa  e  debitori  assoggettati  ad  esecuzione  nella  quale il
medesimo provvedimento era stato emesso precedentemente.
   2.  --  La  motivazione  sulla  rilevanza  della  questione non e'
implausibile, sicche' l'ammissibilita' di questa non e' dubbia.
   Nel  merito,  le argomentazioni del remittente sono da condividere
soltanto  per  quanto  concerne  il richiamo al principio generale il
quale  esige  che  il  passaggio  da un previgente ad un nuovo regime
processuale  non sia regolato da norme manifestamente irragionevoli e
lesive  dell'affidamento  nella tutela delle posizioni legittimamente
acquisite,  ma  non  con riguardo all'applicazione dei detti principi
alla questione in esame.
   Ai  fini della risoluzione della questione in scrutinio, non e' il
provvedimento  che  dispone  la vendita dei beni pignorati l'atto con
riguardo  al  quale  va  identificata  la  normativa  applicabile nel
passaggio  dal  previgente  al  nuovo  regime processuale, secondo il
principio  tempus  regit  actum,  bensi' l'istanza di conversione del
pignoramento.
   La  tesi  del remittente - secondo la quale, una volta disposta la
vendita,  il debitore poteva fare legittimo affidamento sul fatto che
i  tempi e le modalita' da rispettare nell'esercitare il diritto alla
conversione del pignoramento sarebbero rimasti quelli stabiliti dalla
previgente  disciplina  e  non  dalla nuova - non ha un condivisibile
fondamento.  Il  collegamento che la normativa stabilisce tra la fase
cui  e'  pervenuta  la procedura esecutiva e la facolta' accordata al
debitore  di  chiedere la conversione del pignoramento istituisce una
preclusione  all'esercizio  di  quest'ultima,  i  cui termini possono
liberamente  essere  modificati  dal  legislatore, con il solo limite
della  non  manifesta  irragionevolezza  della  disciplina dettata e,
quindi,   della   sua  idoneita'  a  non  pregiudicare  o  gravemente
comprimere posizioni soggettive preesistenti.
   In tale valutazione si deve tener conto non soltanto del contenuto
della nuova normativa, ma anche delle modalita' e dei tempi della sua
introduzione, riferiti all'atto processuale di cui si tratta, e cioe'
all'istanza  di conversione del pignoramento e non alla vendita, come
vorrebbe  il  remittente.  Quest'ultima, infatti, nei vari momenti in
cui  la relativa procedura si svolge, ai fini che qui interessano, ha
soltanto  la  funzione  di  fornire  al  legislatore  i termini delle
possibili opzioni riguardo alla suddetta preclusione.
   Tutto  cio'  premesso,  si  rileva  che,  nel  caso  in  esame, la
modifica,  che  ha  anticipato  al  momento  in  cui la vendita viene
disposta la preclusione per l'istanza di conversione del pignoramento
rispetto  alla  previgente disciplina, e' stata introdotta con l'art.
2,  comma 3, del decreto-legge n. 35 del 2005, convertito dalla legge
n. 80  del  2005,  e  la  sua  entrata  in  vigore era differita alla
scadenza  di  centoventi  giorni  dalla  pubblicazione della legge di
conversione  nella  Gazzetta  Ufficiale,  avvenuta il 14 maggio 2005.
Successivamente,  la data di entrata in vigore e' stata ulteriormente
differita  al  15  novembre  2005 (art. 8 del decreto-legge 30 giugno
2005,  n. 115)  e,  poi,  con la legge di conversione 17 agosto 2005,
n. 168, al 1° gennaio 2006, scadenza mantenuta nell'impugnato art. 1,
comma 6, della legge n. 263 del 2005 e, infine, prorogata al 1° marzo
2006   dall'art.   39-quater   del  decreto-legge  n. 273  del  2005,
convertito dalla legge n. 51 del 2006).
   Da  quanto  esposto emerge che i debitori assoggettati a procedure
esecutive,  nelle  quali  la  vendita  era stata disposta prima della
modifica    legislativa,   gia'   dalla   pubblicazione   del   primo
provvedimento erano consapevoli di avere ancora centoventi giorni per
fruire  dell'allora  vigente regime normativo, termine che poi, per i
differimenti   dell'entrata  in  vigore  della  nuova  normativa,  ha
superato i nove mesi. Non vi e' stata, quindi, alcuna compressione di
posizioni  soggettive  processuali  acquisite; ne' varrebbe obiettare
che  soltanto l'art. 1, comma 6, della legge n. 263 del 2005 contiene
l'espressa  previsione  dell'applicazione  della  novella processuale
alle  procedure  esecutive in corso. Con tale previsione, infatti, si
e' reso esplicito cio' che era gia' conseguenza dei principi generali
in  tema  di  passaggio  dall'una ad altra disciplina processuale per
quanto  non  regolato  da  disposizioni  transitorie.  Anche  volendo
ammettere  che  soltanto  con  il  citato  ultimo  provvedimento  del
dicembre  2005  i  debitori  assoggettati a procedura esecutiva siano
stati  resi  definitivamente edotti dell'applicabilita' ad essi della
nuova  normativa, e' innegabile che costoro abbiano pur sempre potuto
disporre  di  un  termine  di  circa  due  mesi, tale da non incidere
gravemente  sulla facolta' di presentare l'istanza di conversione del
pignoramento  (del  resto  proponibile  subito  dopo  il pignoramento
stesso).
   In  realta', la tesi del remittente si basa sul convincimento che,
una  volta  che  una  procedura  sia  iniziata,  le  decadenze  e  le
preclusioni   processuali  non  possano  che  essere  regolate  dalla
disciplina  vigente  al  momento  della sua instaurazione. Si tratta,
pero',  di una tesi infondata alla stregua delle osservazioni svolte,
costituente quindi una mera petizione di principio.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  495  del  codice  di procedura civile e dell'art. 2, comma
3-sexies,  del  decreto-legge  14  marzo 2005, n. 35, convertito, con
modificazioni,  dalla  legge  14  maggio 2005, n. 80, come sostituito
dall'art.  1,  comma  6,  della  legge  28  dicembre  2005, n. 263, e
successivamente  modificato  dall'art. 39-quater del decreto-legge 30
dicembre  2005, n. 273, convertito, con modificazioni, dalla legge 23
febbraio  2006,  n. 51,  sollevata,  in riferimento agli artt. 3 e 24
della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l'ordinanza indicata in
epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 29 luglio 2008.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Amirante
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il il 30 luglio 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola