N. 296 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 gennaio - 12 aprile 2008
del 12 marzo 2008 emessa dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia Sezione staccata di Brescia, sul ricorso proposto da Diop Dame contro Questura di Brescia ed altro Straniero - Espulsione automatica in caso di condanna irrevocabile per determinati reati - Automaticita' delle sanzioni - Lesione di diritto fondamentale della persona - Ingiustificato eguale trattamento sanzionatorio di reati non gravi e di scarso allarme sociale (nella specie vendita ambulante di cd musicali) e reati gravi e di rilevante allarme sociale - Incidenza sul principio di liberta' personale - Violazione dei principi della finalita' rieducativa della pena, della liberta' di iniziativa economica privata nei limiti della dignita' e sicurezza umane e d'imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 26, comma 7-bis, aggiunto dall'art. 21, comma 7, della legge 30 luglio 2002, n. 189. - Costituzione, artt. 2, 3, 13, 27, 41 e 97.(GU n.41 del 1-10-2008 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 1435 del 2007, proposto da: Dame Diop, rappresentato e difeso dall'avv. Francesca Pontoglio, con domicilio eletto presso Francesca Pontoglio in Brescia, via D. Mille, 45/A (Fax=030/2808285); Contro Questura di Brescia, Ministero. dell'interno, rappresentati e difesi dall'Avvocatura, domiciliata per legge in Brescia, via S. Caterina, 6 (Fax=030/41267); per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia, del provvedimento 10 luglio 2007 CAT.A12/Imm.ne/2007/2ª sezione, con il quale il questore di Brescia ha denegato al ricorrente il rinnovo del permesso di soggiorno; Visto il ricorso con i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Questura di Brescia; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno; Relatore nella Camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2008 il dott. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue. F a t t o In dita 7 dicembre 2006, il ricorrente - cittadino extracomunitario senegalese - inoltrava al Questore della Provincia di Brescia istanza per il rinnovo del proprio permesso di soggiorno rilasciato per motivi di lavoro autonomo; riceveva con il provvedimento meglio indicato in epigrafe un diniego, motivato con riguardo all'aver subito una condanna, pronunciata con decreto penale del G.i.p. T. Brescia 1504/06 esecutivo il 3 novembre 2006, per il reato previsto e punito dall'art. 171 della legge n. 633/1941, ossia per una violazione del diritto di autore, condanna ritenuta automaticamente ostativa al richiesto rinnovo ai sensi dell'art. 26, comma 7-bis del d.lgs. n. 286/1998, nel testo introdotto dalla legge 30 luglio 2002, n. 189; avverso tale provvedimento, proponeva ricorso a questo tribunale, deducendo fra l'altro un motivo volto, nella sostanza, a censurare la normativa posta a base del diniego sotto i profili di illegittimita' costituzionale meglio indicati in prosieguo, chiedendo a questo giudice di sollevare la relativa questione. Di conseguenza, questo giudice, ritenendo la questione stessa rilevante e non manifestamente infondata, nei termini di cui appresso, con ordinanza 25 gennaio 2008, n. 93, accoglieva la domanda cautelare sospendendo il provvedimento impugnato sino all'esito del giudizio di costituzionalita'. D i r i t t o Il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la dedotta questione di legittimita' costituzionale dell'art. 26, comma 7-bis del d.lgs. n. 286/1998 nel testo introdotto dall'art. 21 della legge 30 luglio 2002, n. 189, nella parte in cui prevede che la condanna con provvedimento irrevocabile per alcuno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II della legge 22 aprile 1941, n. 633 e successive modificazioni, relativi alla tutela del diritto di autore, e degli articoli 473 e 474 del codice penale comporti la revoca del permesso di soggiorno - e quindi, per implicito, ma inequivocabilmente, il diniego del suo rinnovo alla scadenza, come avvenuto nel caso di specie, per la condanna riportata di cui in narrativa. A) Quanto alla rilevanza della questione. 1) Ritiene il Collegio che - cosi' come richiesto dall'art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - della norma denunciata debba allo stato degli atti ragionevolmente farsi applicazione nel presente giudizio a quo. Infatti, l'impugnato provvedimento di diniego si fonda in via esclusiva sulla norma stessa, per cui delle due l'una. 2) Se la norma venisse dichiarata incostituzionale, il ricorso dovrebbe senz'altro essere accolto, e ne conseguirebbe l'annullamento dell'atto impugnato con obbligo dell'amministrazione di riesaminare la fattispecie alla luce delle residue norme che disciplinano il soggiorno dello straniero in Italia. 3) Se invece la norma venisse ritenuta conforme a Costituzione, il ricorso dovrebbe essere senz'altro respinto, perche' come si e' detto esso configura un automatismo fra la riportata condanna e la privazione del titolo di soggiorno, atto che quindi si configura in tal caso come dovuto e non soggetto a discrezionalita' alcuna. B) Quanto alla non manifesta infondatezza della questione. 1) Il Collegio deve premettere che la qualificazione giuridica della conseguenza sfavorevole disposta dalla norma denunciata a carico dello straniero condannato e' non unanime, potendo trattarsi o di una pena accessoria, come ritenuto dalla giurisprudenza prevalente, ovvero di una misura di sicurezza, ovvero di una generica sanzione amministrativa accessoria. Sembra peraltro al Collegio che due caratteristiche della fattispecie prescindano dalla sua qualificazione e siano determinanti per ritenerne l'incostituzionalita'. 2) In primo luogo, appare evidente che revocare il permesso di soggiorno o - il che e' lo stesso - negarne il rinnovo a chi si trovi nella situazione descritta dalla norma significhi limitarne la liberta' personale, garantita dall'art. 13 della Costituzione come liberta' fisica di movimento in linea di principio anche ai non cittadini. E' infatti evidente che lo straniero e' in tal modo privato del titolo che gli consente di trattenersi in modo lecito sul territorio nazionale, e deve quindi fisicamente allontanarsene. In tali termini allora, come ritenuto da costante giurisprudenza di codesta Corte, «di fronte all'incisione di beni di tal pregio, il controllo di costituzionalita' delle norme di legge contestate deve avvenire in modo da garantire che il sacrificio della liberta' sia giustificato dall'effettiva realizzazione di altri valori costituzionali o non vada incontro a ostacoli insormontabili costituiti dalla protezione di altri valori costituzionali» (cosi' espressamente la sentenza 24 febbraio 1995, n. 58, che cita come precedenti le sentenze nn. 63 del 1994, 81 del 1993, 368 del 1992, 366 del 1991). 3) In secondo luogo, la norma cosi' come configurata integra senza dubbio una fattispecie di presunzione di pericolosita' in senso ampio, ovvero secondo la giurisprudenza di codesta Corte null'altro che «l'obbligatoria ed automatica applicazione della misura in tali ipotesi, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione e da eventuali ulteriori accertamenti» (cosi' espressamente Corte cost. 27 luglio 1982, n. 139). 4) Cio' premesso, si osserva allora come per insegnamento di codesta Corte le fattispecie di pericolosita' presunta siano contrastanti anzitutto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto impongono identico trattamento di fattispecie che ben possono differire da caso a caso. Cio' e' stato affermato in primo luogo nelle sentenze relative alle misure di sicurezza personali, 27 luglio 1982, n. 139 e 28 luglio 1983, n. 249 per tutte, rispetto alle quali il raffronto si ritiene omogeneo per quanto gia' osservato, data la loro natura di limitazione alla liberta' personale comune a quella della fattispecie in esame. 5) Cio' e' stato affermato anche con riferimento alla destituzione di diritto prevista dall'art. 85 del T.U. impiegati civili dello Stato, rispetto alla quale, nella sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, codesta Corte ebbe anzi modo di osservare come «l'ordinamento appaia vieppiu' orientato, oggi, verso la esclusione di sanzioni rigide, avulse da un confacente rapporto di adeguatezza col caso concreto ed ha osservato esser cio' largamente tendenziale - in adempimento del principio di eguaglianza» e come, ove la conseguenza sfavorevole sia applicata nell'esercizio dell'azione amministrativa sia leso anche il canone del suo buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione. Sulla stessa linea si colloca da ultimo la recentissima sentenza 27 febbraio 2008, n. 32, la quale, come pure e' noto, ha dichiarato illegittime per contrasto con l'art. 3 Cost. le norme della legge fallimentare che comminavano a carico del fallito, per il solo fatto di esser stato dichiarato tale, una serie di incapacita' personali, ritenendosi che in proposito l'automatismo comporti identico trattamento di situazioni che sono, o possono essere, diverse, e quindi vanno valutate caso per caso. 6) Nella specifica materia dei cittadini stranieri, identici principi sono affermati dalla sentenza 24 febbraio 1995, n. 58 gia' citata, e ad avviso del Collegio non e' privo di significato come codesta stessa Corte, nella recente ordinanza 27 aprile 2007, n. 143, abbia ritenuto di condividere, come diritto vivente, l'interpretazione del d.lgs. n. 286/1998 che esclude automatismi fra la commissione di determinati fatti reato e il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, richiedendo un apprezzamento della pericolosita' del soggetto compiuto caso per caso. Lo stesso principio e' poi stato accolto anche dal legislatore nazionale, in recepimento di una direttiva europea, per gli stranieri c.d. lungosoggiornanti, con l'art. 1 del d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 3, che ha modificato l'art. 9 del d.lgs. n. 286/1998. La nuova norma, al comma 4, prevede espressamente che per rilasciare o denegare il permesso di soggiorno a tali soggetti si debba svolgere un esame concreto della loro pericolosita', ove eventuali reati commessi sono elementi da valutare, ma non comportano automatismi. Si tratta, ad avviso del Collegio, di una ulteriore affermazione del principio posto dalla ricordata sentenza 14 ottobre 1988, n. 971. 7) Occorre poi aggiungere, per completezza, che alla revoca o al diniego del permesso corrisponde la necessita' che lo straniero lasci il territorio nazionale, senza riguardo alcuno per le relazioni di affetto, famiglia o lavoro che vi possa avere costituito, con lesione sia dei diritti fondamentali tutelati dall'art. 2 della Costituzione, sia del principio della valenza rieducativi della pena di cui al successivo art. 27, nel caso in cui la misura si ritenesse pena accessoria. Nella piu' volte ricordata sentenza 24 febbraio 1995, n. 58, codesta Corte ha infatti statuito che tali automatismi «frappongono ingiustificati ostacoli, non soltanto alla liberta' personale, ma anche alle possibilita' di sviluppo della personalita' del condannato in vista dell'eventuale superamento della sua condizione come soggetto socialmente pericoloso». 8) Va infine rilevato che la norma in esame e' all'evidenza ispirata dall'intento di tutelare quel particolare elemento del patrimonio costituito dal diritto di autore, essendo nata, per fatto notorio, come misura di contrasto al fenomeno dei venditori non autorizzati di oggetti contraffatti, nella specie supporti video ed audio riproducenti opere dell'ingegno abusivamente duplicate. Peraltro, data la levita' della pena principale prevista dall'art. 171 in esame, tale condotta appare, se commessa da un cittadino, connotata da un disvalore non particolarmente intenso. Ove pero' il colpevole sia straniero, a tale pena come detto si aggiunge la conseguenza radicalmente desocializzante della perdita del permesso di soggiorno, in cio' il Collegio ravvisa ulteriore violazione dell'art. 3, nonche' dell'art. 41, in quanto la Costituzione tutela si' l'iniziativa economica di cui il diritto di autore e' prodotto, ma con il limite del rispetto della dignita' e sicurezza umane, che nella specie appaiono menomate.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2, 3, 27, 41 e 97 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 26, comma 7-bis del d.lgs. n. 286/1998 nel testo introdotto dall'art. 21 della legge 30 luglio 2002, n. 189, ai sensi di cui in motivazione. Ordina la sospensione del presente giudizio e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, nonche' la notifica della presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri e la comunicazione della medesima ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Cosi' deciso in Brescia, nella Camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2008. Il Presidente: Conti L'estensore: Gambato Spisani