N. 318 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 dicembre 2007

del  19  dicembre 2007 emessa dal Giudice di pace di Marano di Napoli
nel  procedimento  civile  promosso  da Caruso Pietro contro Progress
assicurazioni S.p.A.

Responsabilita' civile - Risarcimento del danno derivante da sinistro
  stradale  -  Azione  proposta  da  soggetto danneggiato da sinistro
  stradale  nei  confronti della propria compagnia di assicurazione -
  Disciplina  del  sistema  di  risarcimento  diretto  introdotto dal
  Codice  delle  assicurazioni  private  - Ritenuta preclusione della
  possibilita'  di  esercitare  la pretesa risarcitoria nei confronti
  del  danneggiante  e della sua compagnia di assicurazione, in linea
  con  il  principio  generale  del  neminem laedere - Estraneita' ai
  principi  e  ai criteri direttivi della delega conferita al Governo
  per   il   riassetto  delle  disposizioni  vigenti  in  materia  di
  assicurazioni  -  Eccesso  di  delega  -  Denunciata violazione dei
  principi  di  uguaglianza  e  di  ragionevolezza,  sotto il profilo
  dell'ingiustificata  disparita'  di  trattamento dei danneggiati in
  situazioni  normativamente  assimilabili - Incidenza sul diritto di
  difesa.
- Decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, artt. 149 e 150.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 76, in relazione all'art. 4 della legge
  delega 29 luglio 2003, n. 229.
(GU n.43 del 15-10-2008 )
                         IL GIUDICE DI PACE
   Letta  la  comparsa  di  costituzione  e risposta depositata dalla
Progress  Assicurazioni S.p.A. nel giudizio per risarcimento danni da
incidente  stradale  iscritto  al  n. r.g. 11892, con il quale Caruso
Pietro  deduceva  di  essere proprietario del veicolo Piaggio Beverly
tg.  CX  54090  e che il giorno 8 luglio 2002 alle ore 11,30 circa in
Marano  di  Napoli  alla  via Adda, veniva urtato e danneggiato dalla
Fiat  Panda  tg.  FO  823792  il cui conducente, proveniente da senso
opposto di marcia, effettuava una manovra di inversione ad «U». Tanto
premesso Caruso Pietro conveniva in giudizio la Progress S.p.A. nella
qualita' di compagnia che copre i rischi derivanti dalla circolazione
del  veicolo  di  sua  proprieta',  al fine di sentir dichiarare essa
Progress  S.p.A. tenuta al risarcimento dei danni subiti nella misura
di € 3.000,00.
   Rilevato  che  alla prima udienza il convenuto sollevava eccezione
preliminare   ai   sensi  degli  artt.  134  Cost.,  art.  23,  legge
n. 87/1953,  ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza della
questione  di  legittimita'  costituzionale sollevata dalla convenuta
degli  artt.  149  e  150  del  decreto legislativo 7 settembre 2005,
n. 209  per  contrasto con gli artt. 3-24-76 della Costituzione della
Repubblica  italiana  nella  parte in cui prevede, che il danneggiato
possa  proporre  azione,  diretta  nei  soli  confronti della propria
impresa  di  assicurazione,  ed  ove  non si prevede che debba essere
convenuto  in giudizio anche il presunto responsabile civile, e nella
parte  in  cui  prevede  l'inserimento  di  clausole  abusive  per il
consumatore e nella parte in cui non determina gli eventuali vantaggi
conseguibili dal consumatore-assicurato.
   Rilevato,  altresi', che la convenuta chiedeva conseguentemente di
sospendere il presente giudizio, provvedendo l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte Costituzionale.
   Osservato  che  ad  avviso di questo giudice le menzionate norme -
art.  149  e 150 del d.lgs. n. 209/2005 - acquistano rilievo sotto il
profilo    dell'incostituzionalita',    riportandosi    in    diritto
integralmente  alla memoria difensiva di costituzione della convenuta
Progress S.p.A. e cioe':
     «1)   Validita'   ed  efficacia  delle  clausole  del  contratto
assicurativo  in  concernenti  la  procedura risarcitoria di cui agli
artt. 149 e 150 d.lgs. n. 209/2005.
   E'  pacifico che principio cardine dell'ordinamento giuridico, del
diritto  civile  e'  quello dell'autonomia contrattuale come palesato
dall'art. 1322 del codice civile ai sensi del quale "le parti possono
liberamente  determinare  il  contenuto  del  contratto,  nei  limiti
imposti dalla legge".
   Strumento  privilegiato  mediante  le quali si esplica l'autonomia
privata  e' il negozio giuridico. Ovvero la dichiarazione di volonta'
diretta ad uno scopo pratico riconosciuto dall'ordinamento e ritenuto
meritevole  di  tutela, cui l'ordinamento ricollega effetti giuridici
conformi,  idonei  a proteggere ed assicurare il raggiungimento dello
scopo pratico.
   Elementi del negozio sono quindi la causa, la forma e la volonta'.
   Fermi  tali principi, inoltre, e' da rilevare che, nell'ambito dei
contratti  conclusi  tra professionista e consumatore, il legislatore
in  particolare nel codice del consumo, riserva particolare tutela al
contraente  piu'  debole,  prevedendo  all'uopo  che la conclusione e
l'esecuzione   di   siffatti   contratti  si  ispiri  ai  criteri  di
trasparenza correttezza e buona fede.
   Cio'  affinche'  il  consenso prestato dal consumatore si formi su
clausole  ben  chiare  ed affatto pregiudizievoli dei suoi interessi.
Precisamente  il  legislatore,  nazionale e comunitario, tende a dare
tutela  al  contraente  piu'  debole  all'atto  della  conclusione di
contratti  con  soggetti economicamente piu' forti. Il codice civile,
all'art. 1341, in tema di condizioni generali di contratto regola due
tipi  di  clausole  predisposte  da  una  parte,  in  relazione  alla
possibile  debolezza  del  contraente  aderente.  Il  comma 1 infatti
disciplina   il   regime  delle  cosiddette  condizioni  generali  di
contratto  e  stabilisce  la  regola,  secondo la quale le condizioni
generali   predisposte  da  uno  dei  contraenti  sono  efficaci  nei
confronti  dell'altro  se  al momento della conclusione del contratto
erano  da  questi  conosciute  o  conoscibili,  mediante  l'ordinaria
diligenza.  Il  comma  2,  invece, disciplina la situazione specifica
nella  quale le condizioni stesse sono vessatorie e stabilisce che le
stesse,  per  essere  vincolanti nei confronti dell'altro contraente,
debbono   essere   approvate   particolarmente  per  iscritto,  nella
consapevolezza  di  assumere  un  obbligo  oggettivamente  gravoso. A
livello  comunitario,  la  tutela  del  contraente  piu' debole si e'
svolta  con  l'emanazione di diverse ed importanti direttive, fino ad
arrivare  alla  direttiva CEE 93/13, di portata generale, concernente
specificamente  le  clausole  abusive  nei contratti col consumatore.
Principio  ispiratore e' da intravedersi chiaramente nella tutela del
contraente  piu'  debole,  ovvero  nel  riequilibrio  delle posizioni
giuridiche  delle  parti  al  fine  di  evitare  il rafforzamento del
contraente  economicamente  piu' forte. L'orientamento comunitario e'
stato  recepito  dal  nostro  ordinamento  ove  si  e'  compiuta  una
trasformazione, un'evoluzione del sistema contrattualistico, dapprima
con  l'innesto  codicistico  operato  dalla  legge n. 52/1996, che ha
introdotto   il   capo   XIV-bis   intitolato   "dei   contratti  del
consumatore",  e  poi  con  l'emanazione del nuovo codice del consumo
d.lgs. n. 206/2005.
   Alla  luce  della  nuova normativa, hanno trovato applicazione nel
nostro  ordinamento  nuovi principi: quello del neoformalismo, quello
della  maggiore  ingerenza  e  controllo  del giudice sul regolamento
contrattuale,   quello   della   "nullita'   di  protezione",  quello
dell'affermazione   di   un   quarto   vizio   del   volere,   quello
dell'istituzione della categoria soggettiva della classificazione dei
contratti.
   Neoformalismo.   Il   neoformalismo  si  riferisce  all'importanza
assegnata  dal  legislatore  trasnazionale  alla  forma  scritta  del
contratto, quale requisito di validita' dell'atto. La ratio e' quella
di   informare   la  parte  contrattuale  piu'  debole.  All'uopo  si
stabilisce  un vero e proprio obbligo giuridico di informare ai sensi
dell'art.  21  della Costituzione, al quale corrisponde un diritto ad
essere informati sulla natura del contratto e su tutte la clausole in
esso  contenute, al fine di poter esplicare effettivamente il diritto
di   autodeterminazione   del  singolo  nell'ambito  delle  relazioni
negoziali  ai  sensi degli art 2 e 24 Cost. In tal senso, infatti, il
codice  del  consumo  tutela  il  diritto fondamentale ad un'adeguata
informazione e ad una corretta pubblicita'.
   Ingerenza e controllo del giudice sul regolamento contrattuale. Il
suddetto  principio  concerne  la verifica della natura abusiva della
clausola  negoziale o del comportamento approfittatore del contraente
piu' forte.
   In  particolare,  nella nuova disciplina, il giudice non si limita
piu'  a verificare se le clausole vessatorie siano state sottoscritte
ex  art.  1341 del codice civile, ma e' chiamato pure a verificare la
nature  di  quelle  pattuizioni  e la reale volonta' della parte piu'
debole   di   aderirvi.   Pertanto,  il  giudice,  laddove  verifichi
l'abusivita'  l'iniquita' dell'accordo, dovra' dichiarare la nullita'
della  clausola  abusiva.  Nullita'  di  protezione.  Conseguenza del
principio  di cui sopra e' l'introduzione, nel nostro ordinamento, di
una  nuova  categoria  di  invalidita',  la  nullita'  relativa  o di
"protezione"  che  si  pone  a  livello  intermedio tra la nullita' e
l'annullabilita'  tradizionali e che ha quali elementi caratteristici
la radicale inefficacia dell'atto nullo, la sua insanabilita', se non
in   ipotesi   del   tutto   eccezionali,   l'assolutezza  e  la  sua
rilevabilita'  d'ufficio. Ne e' applicazione l'art. 33 del codice del
consumo  che  impone  che  le  clausole inserite nei contratti tra il
consumatore   ed   il   professionista   devono   essere   chiare   e
comprensibili.  L'articolo  de  quo,  quindi,  impone  un obbligo ben
preciso  che  riguarda  l'informazione  contrattuale  sul piano della
trasparenza  e  della  decodificabilita' del contenuto del contratto.
L'art.  36  del  codice  del consumo, invece, sanziona la nullita' di
protezione  delle  clausole  abusive  che  innescano un significativo
squilibrio  a  danno  di  una parte ed al vantaggio dell'altra. Nella
specie  l'ordinamento  sanziona  l'ingiustizia  non  del contratto in
quanto tale, ma del contratto in quanto frutto di un abuso perpetrato
dalla  parte  piu' forte ai danni dell'antagonista piu' debole. A ben
guardare siffatta nullita' si differenzia dalla nullita' contrattuale
disciplinata  dal  codice civile all'art. 1418, in quanto flessibile,
legata  alla  singola  regolamentazione  e  strettamente  legata alla
verifica  che  il  patto  si  atteggi  come  iniquo. Si puo' pertanto
affermare   che   la   nullita'   comunitaria  sposti  il  baricentro
dall'aspetto  strutturale,  che  e'  quello  proprio  della  nullita'
codicistica,  a  quello funzionale, centrando tutta la sua attenzione
sul regolamento degli interessi.
   Ingiustizia  contrattuale.  L'aspetto concerne la sproporzione tra
le  prestazioni  dei  contraenti  e  la  situazione  di disequilibrio
economico  e  giuridico fra le parti. La categoria de qua e' espressa
sia   nella  legislazione  speciale  che  in  quella  di  derivazione
contrattuale. Ne e' riprova l'art. 1469-bis, comma 1 ove campeggia la
formula  de  "significativo  squilibrio  del diritto e degli obblighi
derivanti dal contratto".
   Orbene   nel   caso   in  specie  l'introduzione  della  procedura
risarcitoria  di  cui  agli  artt.  149  e 150 del nuovo codice delle
assicurazioni  incide inequivocabilmente sulla qualificazione e sulla
natura  del contratto assicurativo, tradizionalmente ricondotto entro
il  paradigma  di  cui  all'art.  1917 del codice civile, rispetto al
quale  rivela  l'identita'  di causa. Ed invero la procedura in esame
segna  il  passaggio da un'assicurazione della responsabilita' civile
ad  un'assicurazione  diretta,  ovvero da un sistema di assicurazione
incardinato  sui  fondamentali  principi  civilisti di cui agli artt.
2043,  2052,  2054,  2055, ad un sistema che impone al danneggiato di
rivolgere  la  sua  richiesta, stragiudizialmete come giudizialmente,
direttamente     al     proprio    assicuratore,    indipendentemente
dall'accertamento  delle  reali responsabilita', e quindi rinunciando
in   definitiva   ad   un  risarcimento  realmente  satisfattivo  dei
pregiudizi  patrimoniali  e  non  patrimoniali, a fronte di privilegi
allo stato presunti.
   Ebbene  sorgono  dubbi  sulla  validita'  dei contratti in cui sia
inserita  la  clausola  che  impone  di  effettuare  la  richiesta di
risarcimento direttamente alla propria compagnia.
   Va  innanzitutto  rilevato,  infatti, che il d.lgs. n. 209/2005 e'
stato  emanato  in  forza della legge delega n. 229/2003, pertanto la
delega  doveva esercitarsi entro il termine prefissato e nel rispetto
dei  principi  e  dei criteri direttivi della legge delega. Orbene in
alcun  punto  questa entra specificamente nel merito del risarcimento
dei  danni  e  nella liquidazione del sinistro, se non alla lettera b
ove  impone al Governo di rispettare i principi e criteri direttivi a
tutela  del  consumatore  e,  in generale dei contraenti piu' deboli,
limitatamente   al   profilo   della   trasparenza  delle  condizioni
contrattuali,  nonche'  dell'informativa  preliminare,  contestuale e
successiva  alla  conclusione del contratto, avendo riguardo anche al
processo  di  liquidazione  del sinistro. Il criterio informatore era
chiaramente quello di tutelare il consumatore-contraente piu' debole,
non   certamente   quello   di  modificare  i  principi  generali  di
risarcimento  del  danno.  Piu'  in  particolare la protezione andava
riservata   al   contraente,   non  al  titolare  di  un'obbligazione
risarcitoria   extracontrattuale.  Invece  l'art.  149  considera  il
soggetto  nella  sua qualita' di vittima di un sinistro stradale, non
in  quella  di  contraente-consumatore.  Ed  invero il soggetto nella
veste  di  danneggiato,  secondo  i  ben  noti  principi  in  tema di
responsabilita'  civile,  non  diventa  titolare  di  alcun  rapporto
contrattuale,   ma   controparte  di  un  altro  soggetto,  il  quale
commettendo  un  fatto illecito ha causato un danno ingiusto che deve
risarcire  in  virtu'  degli  artt.  2043,  2054  del  codice civile.
Pertanto il decreto legislativo ha modificato sia sostanzialmente che
proceduralmente  i  diritti  del  danneggiato,  facolta'  questa  non
concessa    dalla   legge   delega.   Di   tutta   evidenza,   quindi
l'incostituzionalita'  degli artt. 149 e 150 per eccesso di delega ex
art. 76 Cost.
   Ma  per quel che piu' interessa non si puo' non evidenziare che le
clausole  che  si  contestano,  hanno,  secondo la loro formulazione,
natura  obbligatoria  (e  ci  chiediamo  che  fine faccia l'autonomia
negoziale  !)  nonche'  vessatoria, ovvero comprimono i diritti degli
assicurati  (nella  loro qualita' di danneggiati) vale a dire di quei
soggetti che la legge delega mirava a tutelare.
   Ed   infatti   sottoscrivendo  siffatte  polizze  contrattuali  le
"vittime" subiscono indubbi pregiudizi:
     l'assicurato  precedentemente,  nel  caso  di sinistro stradale,
diventava  creditore  di  due  distinti  rapporti  giuridici,  uno ex
delicto  col  danneggiante,  l'altro  ex  lege  con l'assicuratore di
quest'ultimo.   La   previsione  normativa  de  qua,  stando  ad  una
interpretazione    letterale,    sembrerebbe    escludere    l'azione
extracontrattuale   nei   confronti   del  danneggiante,  con  chiara
limitazione del diritto di difesa della vittima.
   Letteralmente  l'art.  149  dispone  "In  caso di sinistro tra due
veicoli  a  motore  identificati ed assicurati per la responsabilita'
civile  obbligatoria,  dal  quale  siano  derivati  danni  ai veicoli
coinvolti  o  ai  loro  conducenti, i danneggiati devono rivolgere la
richiesta   di  risarcimento  all'impresa  di  assicurazione  che  ha
stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato".
   E'  chiaro, poi, che una volta inoltrata la richiesta alla propria
compagnia,  prima  in  fase  stragiudiziale,  e  poi  instaurando  un
giudizio  ordinario,  rimane  precluso  ogni accertamento sulle reali
responsabilita'  nella  produzione  dell'evento  dannoso.  Secondo il
fondamentale  principio  del nostro ordinamento, il danno risarcibile
e'  quello ingiusto, ossia quello che ravvisi la sua causa efficiente
nella  condotta illecita altrui di talche' si verifichi la previsione
di   cui  all'art.  2043  del  codice  civile  (condotta-evento-nesso
causale).  Per  cui,  logica  vuole che non possa essere risarcito il
danno  se  non  venga  accertata  una  condotta  colposa  che l'abbia
cagionato.   ove   per   danno   deve   intendersi  ogni  conseguenza
dell'illecito  secondo  il  disposto  di cui all'art. 1223 del codice
civile.
   Ed  all'uopo (e forse non a torto), la previsione normativa de qua
parla di indennizzo, non di risarcimento!!!
   In  particolare  l'indennizzo (o risarcimento) che dovrebbe essere
corrisposto al danneggiato, nel caso in cui sia lamentata una lesione
all'integrita'  fisica  (danno  biologico)  non  viene piu' calcolato
sotto l'aspetto della compromissione soggettiva del bene alla salute,
inteso   in   senso  ampio  e  di  costituzionale  tutela,  ma  viene
paramentrato  a  criteri  di fatto preordinati. Pertanto ad una certa
lesione  corrispondera'  sempre e comunque una somma uguale per tutti
ed  evidentemente inferiore a quella che l'ordinamento giuridico e la
giurisprudenza riconosce in rapporto al valore uomo. Con la procedura
dell'indennizzo  diretto,  quindi, si passa da una soggettivizzazione
del  danno  ad  una  obiettivizzazione  dello stesso, con conseguente
appiattimento  dei  principi  del  sistema risarcitorio in uno schema
precostituito   ove   l'individualita'   lascia   il   posto  ad  una
schematizzazione  paracontrattuale  associabile,  come da qualcuno e'
stato detto, a qualunque polizza infortuni.
   E'  evidente, poi, alla luce di tali deduzioni, che resta precluso
ogni ristoro del danno morale ed esistenziale, danni che si collegano
alla   compromissione   di   pozioni   soggettive  costituzionalmente
garantite.  Cio' proprio perche' per l'accertamento e la liquidazione
degli  stessi  non  si  puo'  prescindere  dalla verificazione di una
condotta  illecita, sebbene non necessariamente integrante ipotesi di
reato  secondo  le  piu'  recenti  pronunce  della Cassazione e della
Consulta.  A  tal  proposito  giova ricordare che la liquidazione del
danno morale presume l'esistenza di un fatto illecito, ovvero che sia
violato  il  principio  del  nemimen laedere. Precisamente per la sua
liquidazione   e'   necessario   che  venga  accertata.  un  condotta
colpevole,  che  si  ponga  in  rapporto di causa ed effetto rispetto
all'evento  dannoso  secondo  il  principio  di cui all'art. 2043 del
codice civile.
   L'assicurato  perde  il  diritto a farsi assistere da un legale di
sua  fiducia,  affidando  la  pratica  ad  un  soggetto,  il  proprio
assicuratore  che, in palese conflitto di interessi dovrebbe tutelare
la  sua  posizione  e contemporaneamente quella del contraente. Nello
specifico  l'art.  9  del  d.P.R. n. 254/2006 testualmente stabilisce
"l'impresa,   nell'adempimento   degli   obblighi   contrattuali   di
correttezza  e  buona  fede,  fornisce al danneggiato ogni assistenza
informativa  e  tecnica  utile per consentire la migliore prestazione
del servizio e la piena realizzazione del diritto al risarcimento del
danno.  Tali  obblighi  comprendono,  in  particolare, oltre a quanto
stabilito  espressamente  dal  contratto,  il  supporto tecnico nella
compilazione  della  richiesta  di  risarcimento, anche ai fini della
quantificazione  dei  danni  a  cose e ai veicoli, il suo controllo e
l'eventuale  integrazione,  l'illustrazione  e  la  precisazione  dei
criteri di responsabilita' di cui all'allegato A.2 nel caso in cui la
somma   offerta   dall'impresa   di   assicurazione   sia   accettata
dall'assicurato, sugli importi corrisposti non sono dovuti i compensi
per la consulenza o assistenza professionale di cui si sia avvalso il
danneggiato  diversa da quella medico legale per danni alla persona":
Tutto   cio'   risulta  ancora  piu'  grave  alla  luce  del  dettato
costituzionale  che  garantisce  ad  ogni  cittadino  il diritto alla
difesa  in ogni suo stato prevedendo, altresi', il compimento di tale
difesa  attraverso la figura del professionista forense. Tale diritto
e'  stato  da  ultimo confermato dalla suprema Corte la quale, con la
recente  sentenza  n. 11606/2005, ha ribadito il principio secondo il
quale il danneggiato ha diritto, in ragione del suo diritto di difesa
costituzionalmente  garantito,  di  farsi  assistere anche nella fase
stragiudiziale  da  un professionista di sua fiducia e ad ottenere il
rimborso del relativo onorario.
   Ai  sensi  dell'art.  13  del  suddetto  d.P.R.,  con  particolare
riferimento   alle   ipotesi  di  franchigia,  l'assicurato  dovrebbe
accettare, sin dal momento della stipula della polizza, di subire una
decurtazione  fissa  e predeterminata degli indennizzi che potrebbero
eventualmente  spettargli.  In questo caso, peraltro si violerebbe il
principio  comunitario  che  vuole  l'integrale riparazione del danno
patito.  Ma  soprattutto in ipotesi di cui all'art. 13 il danneggiato
dovrebbe   rinunciare   preventivamente  ad  un  diritto  futuro  non
disponibile. E rinunciando al diritto al risarcimento del danno prima
che questo venga ad esistenza, si aggirerebbe il disposto di un norma
imperativa, l'art. 1229 del codice civile, esonerando preventivamente
il  danneggiante  da  responsabilita', anche nel caso di dolo o colpa
grave.   Cio'  proprio  perche'  l'eventuale  franchigia  rischia  di
trasformarsi  in  una sorta di rinunzia del danneggiato non in favore
del  proprio  assicuratore,  ma  del  danneggiante  e  della  di  lui
compagnia.
   L'assicurato  si  troverebbe a dover accettare, ai sensi dell'art.
14  d.P.R.  clausole che in via preventiva obblighino al risarcimento
in forma specifica.
   Sono  evidenti quindi le restrizioni inerenti i diritti soggettivi
dei danneggiati.
   Bisogna  quindi  valutare  se  a tale restrizione corrisponda, per
altro  verso,  il  conseguimento di reali vantaggi, in caso contrario
non puo' non evidenziarsi l'abusivita' della clausole che contemplano
la procedura dell'indennizzo diretto.
   Ebbene  nel contratto assicurativo, talvolta, il legislatore parla
generalmente  di  diminuzione  dei  premi.  Ma  la  previsione non e'
esplicita,  o  meglio  essendovi  una  previa  rinuncia  dei  diritti
dell'assicurato,   il   legislatore  dovrebbe  precisamente  indicare
l'ammontare  preciso dell'agevolazione che si intende far conseguire.
In  secondo  luogo  la  previsione  non dovrebbe rimanere un'astratta
promessa,  ma  dovrebbe  essere  gia'  compiutamente e nel suo esatto
ammontare inserita nel contratto.
   Allo  stato emerge che i contratti non contemplano clausole in cui
sia  specificata  e  quantizzata la riduzione dei premi assicurativi.
Per  altro  verso  non  puo'  che evidenziarsi che la diminuzione dei
premi  assicurativi,  allo  stato solo millantata, non potra' trovare
realizzazione in un sistema che obbliga l'assicuratore a risarcire il
proprio  assicurato  prescindendo  da  indagini inerenti i profili di
responsabilita'  nella produzione del sinistro, che non permette alle
assicurazioni  un  dialogo produttivo, che fomenta, anziche' ridurre,
le  azioni  giudiziarie (aspetti che saranno chiariti nel corso della
trattazione).
   Ne  risulta  la  determinazione  a  carico  del  consumatore di un
significativo  squilibrio  dei diritti e degli obblighi derivanti dal
contratto  e  pertanto la vessatorieta' delle clausole de quibus. Per
tale  ragione  le stesse devono essere specificatamente approvate per
iscritto,  secondo la disciplina codicistica. Ma non solo: secondo la
normativa  trasnazionale  versata ora nel codice del consumo, per non
essere  dichiarate  inefficaci  tali  clausole  devono  anche  essere
oggetto  di  specifiche  trattative.  Ed  in  particolare il consenso
dell'aderente  deve  formarsi previo esatto chiarimento della portata
(nel  caso  degli  svantaggi)  della  clausola  stessa, ovvero previa
esatta  informazione  secondo  i  principi della trasparenza e, della
codificabilita'  del  suo contenuto. In caso contrario si conclude un
accordo  abusivo  o  iniquo e si verifica indubbiamente un'ipotesi di
"ingiustizia   contrattuale".   Ed   in   tali   casi,   per   quanto
precedentemente  sostenuto,  il giudice dovra' dichiarare la nullita'
della  clausole  o  delle  clausole abusive (nullita' di protezione).
Ferme  tali considerazioni non vi e' dubbio che la procedura prevista
dagli   artt.   149  e  150  potra'  trovare  applicazione  solo  con
riferimento  ai  contratti  stipulati  dopo  l'entrata  in vigore del
d.lgs. n. 209/2005 (artt. 354 e 355 COD ASS.).
     2) Legittimazione passiva e questioni processuali.
   L'art.  149  cod.ass.  testualmente  dispone "i danneggiati devono
rivolgere   la   loro   richiesta   di  risarcimento  all'impresa  di
assicurazione  che  ha  stipulato  il  contratto  relativo al veicolo
utilizzato".
   Il  comma  6  dello  stesso  articolo,  considerando  l'ipotesi di
mancato  accordo,  dispone  "il  danneggiato  puo'  proporre l'azione
diretta di cui all'art. 145, comma 2 nei soli confronti della propria
impresa di assicurazione ...".
   Ebbene,  nella  fase  stragiudiziale,  il  danneggiato, che non si
ritenga  responsabile,  deve rivolgere la richiesta risarcitoria alla
propria impresa di assicurazione. Questa, priva di qualsiasi garanzia
e  difesa,  specie  in  riferimento  alla  possibilita' di verificare
l'assunto      di      "non     responsabilita'"     del     presunto
danneggiato-assicurato  deve,  stando  alla  normativa,  risarcire il
danno.
   L'impresa     dovrebbe     quindi    rivalersi    nei    confronti
dell'assicuratore  del  responsabile......  mediante un meccanismo di
compensazione.  E' di tutta evidenza, pero', che difficilmente le due
imprese  potrebbero  addivenire  ad  una  soluzione,  in  primo luogo
perche'  il rapporto tra le stesse, da svolgersi in un breve lasso di
tempo,  e' puramente telematico, in secondo luogo perche' comunque il
mancato   accertamento   delle  condotte  illecite  non  consente  di
individuare  il responsabile e quindi quale impresa debba, alla fine,
essere tenuta indenne.
   E,  d'altra  parte, la previsione di criteri di determinazione del
grado  di  responsabilita' delle parti, fondata su ipotesi astratte e
non perfettamente emblematiche delle reali dinamiche di verificazione
degli  incidenti,  non  facilita,  anzi  complica  il  meccanismo  di
risarcimento.
   Ma  vieppiu'.  E' di comune esperienza che, chi si trova coinvolto
in   un   sinistro   quasi   mai  prontamente  riconosce  la  propria
responsabilita'.  Pertanto  ben  puo'  accadere  che, verificatosi un
incidente,  i  proprietari  di entrambi i veicoli coinvolti inoltrino
richiesta   di  risarcimento  alla  propria  compagnia  assicurativa,
asserendosi   non   responsabili.   Le   imprese   a   questo   punto
diligentemente  provvederebbero  ad effettuare i pagamenti richiesti,
ma al momento della "compensazione" cosa accadrebbe?
   Queste,  in  estrema  sintesi, le problematiche connesse alla fase
precontenziosa.
   Questione  particolarmente  spinosa e complessa e' quella relativa
all'individuazione   del  soggetto  legittimato  passivo  nella  fase
giudiziale della procedura di indennizzo diretto.
   Si  ribadisce  all'uopo  che  il comma 6 dell'art. 149, in caso di
fallimento   delle   trattative   stragiudiziali,   precisa   che  il
danneggiato  puo',  proporre  azione ai sensi dell'art. 145 comma nei
soli  confronti della propria impresa di assicurazione. E' necessario
innanzitutto  intendere l'intento del legislatore. Sono state fornite
della norma diverse soluzioni interpretative, dato che il senso della
stessa non e' di facile comprensione.
   Soprattutto  considerando  che  altrove,  ed  in  particolare  nel
disciplinare   la   richiesta   di  risarcimento  stragiudiziale,  il
legislatore  impone  al  danneggiato  di rivolgersi direttamente alla
propria  assicurazione  utilizzando  all'uopo  l'espressione  "deve".
Innanzitutto  c'e'  da  chiedersi  cosa  il  legislatore abbia voluto
significare  con  la  locuzione "puo'". Forse che la procedura de qua
non  e'  obbligatoria  e  che  quindi  il danneggiato puo' esercitare
anche,  in  alternativa, quella di cui alla legge n. 990/1969 che non
e'  stata  espressamente  abrogata?  Forse  che,  data  l'ipotesi del
fallimento  della  trattativa  stragiudiziale,  il  legislatore abbia
inteso   facultare   il   danneggiato  di  agire  contro  il  proprio
assicuratore  asserendone una responsabilita' contrattuale? Forse che
in  effetti,  non  considerando  le conseguenze giuridiche e fattuali
della  previsione,  abbia voluto che il danneggiato dovesse, anche in
giudizio, continuare a dialogare con la propria assicurazione? Ancora
alcune  considerazioni  devono  essere  svolte intorno alla locuzione
"soli"  (confronti  della  propria  assicurazione). Il legislatore in
altre   parole   ha   inteso   identificare   il   soggetto   passivo
dell'eventuale azione giudiziaria solo con l'assicuratore del veicolo
danneggiato,  escludendo  tanto il responsabile civile, quanto la sua
compagnia  assicurativa, oppure ha inteso solo escludere dal giudizio
la compagnia assicurativa del veicolo antagonista?
   La  lettura dell'art. 149 in combinato con l'art. 144 cod ass. che
al  terzo comma impone che "nel giudizio promosso contro l'impresa di
assicurazione  e'  chiamato  anche  il  responsabile  del danno", non
facendo  differenza  fra  azione  contro  il  proprio assicuratore ed
azione  contro  l'assicuratore che ha stipulato il contratto relativo
al  veicolo  danneggiante,  induce  a ritenere che parte del giudizio
debba  essere  necessariamente  anche il responsabile civile. D'altra
parte, come si precisera' al punto successivo, non potrebbe ritenersi
valido un giudizio in cui non sia parte anche il danneggiante.
   Orbene.  Le  ipotesi  rappresentate  ci  portano necessariamente a
considerare  che  il  soggetto danneggiato e' al contempo titolare di
un'obbligazione   risarcitoria   extracontrattuale,  e  parte  di  un
contratto  assicurativo.  Pertanto  egli potrebbe astrattamente avere
interesse  ad  agire  ai  sensi  dell'art.  2043  del  codice civile,
deducendo l'illecito extracontrattuale, o ai sensi dell'art. 1218 del
codice  civile,  avendo riguardo al rapporto contrattuale che lo lega
al  proprio  assicuratore,  nel  caso asserito inadempiente, o ancora
potrebbe invocare un'ipotesi di mala gestio.
   Ovviamente  la  precisazione  del rapporto giuridico che si pone a
fondamento  dell'azione  e' d'obbligo, dal momento che muta l'oggetto
del   giudizio,  il  thema  probandum  e  decidendum,  la  competenza
dell'adito giudice, i termini di prescrizione.
   Ebbene  questa  difesa  assume  che  l'azione  intrapresa ai sensi
dell'art. 149 cod. assicurazione induce necessariamente ad instaurare
giudizi  invalidi  ed  improcedibili  e  cio'  sia nel caso in cui si
agisce  facendo  valere  una  responsabilita'  extracontrattuale, sia
nell'ipotesi  in  cui  si  invochi una responsabilita' contrattuale o
un'ipotesi di mala gestio.
   E  cio' in primo luogo perche', come si avra' modo di argomentare,
salvo   interpretazioni   estensive,   la   normativa   de   qua   e'
inesorabilmente  incostituzionale, ed i contratti assicurativi, nelle
parti in cui la richiamano sono nulli e/inefficaci.
Azione risarcimento del danno extracontrattuale.
   In   particolare,  nel  caso  in  cui  la  vittima  intenda  agire
asserendosi   vittima  di  un  illecito  extracontrattuale,  si  pone
nuovamente  l'interrogativo su quale significato il legislatore abbia
inteso  attribuire  alla  previsione di cui all'art. 149, comma 6: il
danneggiato  deve  agire nei soli confronti del proprio assicuratore,
l'azione   diretta   e'  facoltativa  e  pertanto  rimane  inalterato
l'assetto  previgente,  l'assicurato  non  ha piu' azione diretta nei
confronti  dell'assicuratore  del  danneggiante,  il danneggiato deve
convenire   in  giudizio  il  proprio  assicuratore  ed  il  presunto
responsabile civile?
   Una  prima  interpretazione  della norma, parrebbe escludere tra i
litisconsorti   tanto   il   responsabile   civile,   quanto  il  suo
assicuratore,  con  un  netto cambiamento di impostazione rispetto al
principio   codicistico  della  responsabilita'  diretta  del  danno,
principio   cardine  del  nostro  ordinamento  giuridico,  da  sempre
incontestabilmente  sancito  negli  artt. 2043, 2054, 1681 del codice
civile. Sotto questo profilo, peraltro, si pongono legittimi dubbi di
costituzionalita'  della  norma,  sia  con riferimento all'eccesso di
delega,  sia in riferimento all'art. 24 Cost., giacche', ad eccezione
dell'ipotesi,  alquanto  improbabile,  di  intervento  volontario  in
giudizio  dell'assicuratore  del veicolo antagonista, da una parte si
determinerebbe  una  forte limitazione della facolta' di agire contro
il  soggetto  responsabile  o  corresponsabile nella produzione di un
dato  incidente,  dall'altra  il preteso responsabile civile vedrebbe
accertata  a  suo  carico  una  responsabilita',  magari  anche  solo
concorsuale,  con tutte le conseguenze del caso (si pensi ai malus di
polizza)  senza  aver  preso  parte  in  giudizio,  ove  e' chiara la
violazione  del  principio  dei  limiti  soggettivi del giudicato. Ma
soprattutto  l'assicuratore  del veicolo attore o sarebbe costretto a
subire  un  giudizio  ove  per  definizione dovrebbe resistere ad una
pretesa  senza  poter  usufruire  di  idonei strumenti processuali ed
istruttori   per   difendersi,  senza  in  definitiva  poter  provare
l'eventuale  infondatezza  della  pretesa  risarcitoria,  perche'  in
siffatto  giudizio  non potrebbero accertasi le reali responsabilita'
nella produzione dell'evento dannoso.
   Piu'  precisamente  un giudizio incardinato nei soli confronti del
proprio assicuratore non consente un corretto ed efficace svolgimento
della vicenda processuale.
   Ed  infatti siffatto giudizio e', per forza di cose, abdicativo di
basilari principi e ed istituti processuali:
     A)  Competenza  territoriale  (artt.  18,  19,  20  c.p.c.).  La
mancanza  del responsabile civile, innanzitutto, priva il danneggiato
della  possibilita'  di  scelta  di  uno  dei  fori  territorialmente
competenti  di  cui  prima  godeva, e cioe' del foro di residenza del
responsabile civile;
     B)  Costituzione  del convenuto e domanda riconvenzionale. (Art.
416  c.p.c.)  venendo  a  mancare  il  responsabile  civile, ossia il
proprietario  del  veicolo  antagonista,  e'  evidente che questi non
potra'  piu'  svolgere  nel  giudizio  promosso  dal  danneggiante la
domanda   riconvenzionale.   Quindi   per  avere  ristoro  del  danno
eventualmente   patito,  sara'  obbligato  a  promuovere  un'autonoma
azione, con effetto tutt'altro che deflativo del numero di cause. Ma,
cosa  ancor  piu' grave, in tale ipotesi potrebbe aversi l'emanazione
di due sentenze con prevedibile rischio di giudicati contraddittori;
     C)  Costituzione  del  convenuto  e  onere  di contestazione con
specifico  riguardo al rito del lavoro (art. 426 c.p.c.). E' pacifico
che  sul  convenuto grava un onere di contestazione sugli elementi di
fatto  e  di  diritto  posti a fondamento della domanda attorea. Tale
onere e' particolarmente rigido nel rito speciale del lavoro, sicche'
il  convenuto  non  puo'  limitarsi ad una contestazione generica dei
fatti  affermati  dall'attore,  ma  deve  prendere  posizione in modo
netto,  con  una  contestazione  il  cui livello di specificita' deve
necessariamente   rapportarsi   al   livello  di  specificita'  delle
allegazioni  di controparte. Una contestazione non adeguata, difatti,
comporta l'applicazione del principio di non contestazione, in virtu'
del  quale  i  fatti  non  puntualmente  controbattuti possono essere
ritenuti  come provati. E' palese che nel giudizio promosso in regime
di risarcimento diretto la portata applicativa del suddetto principio
finisca  col  perdere tutta la sua efficacia. Il danneggiante che non
e'  parte  del  giudizio  chiaramente non puo' impugnare l'assunto di
controparte.   E   l'unico   contraddittore,   ossia   la   compagnia
assicurativa   dell'attore,   nella  propria  memoria  difensiva  non
potrebbe  addurre  elementi  volti a consentire un accertamento sulla
responsabilita' del sinistro in ordine alle deduzioni attoree;
     D)  Interrogatorio  formale  e  giuramento decisorio (artt. 230,
232,  233  c.pc.).  altro istituto processuale che non potra' provare
applicazione  nel  giudizio  di  cui  si  tratta  e' l'interrogatorio
formale  del  convenuto-responsabile civile, non essendo questi parte
del giudizio. Ugualmente non sara' possibile deferire al responsabile
del danno il giuramento decisorio, ne' si potra' effettuare il libero
interrogatorio  delle parti e ne' il tentativo di conciliazione (art.
420 c.p.c).
     E)  Solidarieta'  passiva (art. 2055 c.c.). E' chiaro, altresi',
che  non  potrebbe farsi ricorso alla solidarieta' dei coautori di un
fatto   illecito   (2055),  che  in  linea  di  principio  garantisce
pienamente  la soddisfazione del creditore da una parte ed il diritto
di difesa del debitore dall'altra.
   Orbene  non e' difficile ipottizzare lo svolgimento di un giudizio
promosso solo contro l'assicuratore: l'attore prepara il proprio atto
di  citazione,  la  convenuta  in  comparsa  ed in corso di causa non
potra'  efficacemente  prendere  posizione sulle circostanze di fatto
inerenti   le   Responsablita'   nella  verificazione  del  sinistro,
l'accertamento  e la fondatezza dell'assunto attoreo viene, pertanto,
demandato  ad  una  prova  testimoniale congegnata ad arte, e che non
consente repliche!!!
   E'  chiaro  allora  che  non potrebbe ritenersi valido un giudizio
instaurato  nei soli confronti del proprio assicuratore, e' chiara la
violazione   del   diritto  di  difesa  soprattutto  della  compagnia
assicurativa, e' palese altresi' l'incosituzionalita', per violazione
degli  artt.  3,  24  Cost., della norma che consente la citazione in
giudizio  della  sola  compagnia  ed  ove  non  prevede che parte del
giudizio sia anche il responsabile del danno.
   Pertanto  la  dottrina piu' lungimirante e la prima giurisprudenza
di  merito  (g.d.p. Napoli 16 luglio 2007, sez. IX, dott. Romano), ha
ritenuto  che  necessariamente in caso di azione diretta ai sensi del
comb.  disp.  degli  artt. 133, comma 3, 145, comma 2 e 149, comma 6,
debba  essere  convenuto  in giudizio anche il responsabile civile. E
questo perche':
     1)   se   si  volesse  intendere  letteralmente  ed  in  maniera
restrittiva la disciplina di cui indennizzo diretto, non potrebbe non
considerarsi incostituzionale l'art. 149 cod. ass.;
     2)  la  responsabilita'  in  ordine alla produzione di un evento
dannoso  non  puo' essere accertata se non nel contraddittorio fra le
parti.  Si darebbe luogo, in caso contrario, alle conseguenze abnormi
di  cui  sopra,  ovvero  si  incardinerebbe  un  giudizio invalido ed
inefficace;
     3)  il  responsabile  civile  non potrebbe legittimamente essere
escluso  da un giudizio incardinato ai sensi dell'art. 149 cos. ass.,
in   quanto  soggetto  legittimato  al  giudizio  perche'  avente  un
interesse in causa;
     4)1'art.  144  cod. ass. al terzo comma impone che «nel giudizio
promosso  contro  l'impresa  di  assicurazione  e'  chiamato anche il
responsabile   del   danno.  La  norma,  che  ricalca  fedelmente  il
previdente art. 23, legge n. 990/1969, risponde ad un'esigenza logica
di  consentire  al  danneggiante di esercitare in giudizio le proprie
difese  e  quindi di non subire, ignaro, gli effetti di un giudizio a
cui  non  ha  preso  parte.  L'art. 144, non fa differenza fra azione
contro il proprio assicuratore ed azione contro l'assicuratore che ha
stipulato il contratto relativo al veicolo danneggiante.
   Alla   luce  di  suddette  argomentazioni  non  e'  proponibile  e
procedibile  un  giudizio  in cui non sia parte anche il responsabile
civile.
Azione  di  risarcimento  danni  per  violazione  delle  obbligazioni
contrattuali.
   Orbene,  come gia' precedentemente rilevato, il medesimo soggetto,
nel  caso di scontro fra veicoli, nella sua qualita' di vittima di un
sinistro e proprietario di un veicolo per il quale e' stata stipulata
regolare  polizza  assicurativa,  diventa titolare di un interesse ad
agire  in  virtu'  di  un  illecito  extracontrattuale ed al contempo
creditore  di  un'obbligazione  contrattuale  nascente  dal contratto
assicurativo.
   In  riferimento  a  tale  ultimo  aspetto,  l'art.  9  del  d.P.R.
n. 254/2006   testualmente  stabilisce  "l'impresa,  nell'adempimento
degli  obblighi contrattuali di correttezza e buona fede, fornisce al
danneggiato   ogni   assistenza   informativa  e  tecnica  utile  per
consentire   la   migliore   prestazione  del  servizio  e  la  piena
realizzazione  del  diritto  al risarcimento del danno. Tali obblighi
comprendono,  in  particolare, oltre a quanto stabilito espressamente
dal contratto, il supporto tecnico nella compilazione della richiesta
di risarcimento, anche ai fini della quantificazione dei danni a cose
e   ai   veicoli,   il  suo  controllo  e  l'eventuale  integrazione,
1'illustrazione  e  la precisazione dei criteri di responsabilita' di
cui  all'allegato  A. 2 nel caso in cui la somma offerta dall'impresa
di   assicurazione   sia  accettata  dall'assicurato,  sugli  importi
corrisposti non sono dovuti i compensi per la consulenza o assistenza
professionale  di cui si sia avvalso il danneggiato diversa da quella
medico-legale per danni alla persona".
   L'art.  149,  comma  6, consente al danneggiato di adire l'AGO, in
caso di fallimento delle trattative stragiudiziali. Pertanto nel caso
in  cui  il  danneggiato  lamenti inadempienze dell'assicuratore, che
abbiano  compromesso il buon esito della procedura precontenziosa, ha
interesse  ed  e'  legittimato  ad  agire  in  giudizio  invocando la
responsabilita'  dell'obbligato  ai  sensi  dell'art. 1218 del codice
civile.
   Cio',  posto  che  si  facciano  valere  diritti  nascenti  da  un
contratto valido ed efficace.
   Pertanto  e'  necessario  innanzitutto  che  esista  un  contratto
assicurativo  che  sia  stato  stipulato dopo l'entrata in vigore del
nuovo codice delle assicurazioni.
   E'   necessario  altresi'  che  le  clausole  che  rimandano  alla
procedura di cui agli artt. 149 e 150 siano espressamente previste ed
accettate  dal soggetto aderente. Ovvero, per loro natura vessatoria,
che  siano  state espressamente approvate e sottoscritte, e che siano
state  oggetto  di  una  specifica trattativa. In caso contrario, per
quanto,  detto  e' palese che le clausole stesse sarebbero affette da
nullita'   e/o  inefficacia.  Inoltre  l'attore  dovrebbe  dimostrare
l'esistenza  dei  requisiti previsti per la proponiblita' dell'azione
di risarcimento diretto.
   La mancanza delle suddette condizioni rende l'azione improponibile
ed improcedibile.
   Ebbene  e'  palese  che l'azione contrattuale presenta sostanziali
differenze rispetto a quella extracontrattuale in ordine:
     alla  competenza per valore del giudice. Infatti l'art. 7 c.p.c.
dispone  "Il  giudice  di  pace e' competente per le cause relative a
beni  mobili  di  valore  non superiore a euro 2.582,28, quando dalla
legge  non  sono  attribuite  alla competenza di altro giudice" 2) il
giudice  di  pace e' altresi' competente per le cause di risarcimento
del  danno  prodotto dalla circolazione di veicoli a motore e natanti
purche'  il  valore  della  controversia  non  superi euro 15.493,71.
"Mentre  ai sensi dell'art. 9 c.p.c.". Il tribunale e' competente per
tutte le cause che non siano di competenza di altro giudice!
     ai  termini  di prescrizione. Ai sensi dell'art. 2946 del codice
civile, infatti, salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i
diritti  si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni.
L'art. 2947 del codice civile dispone al comma 2 "per il risarcimento
del  danno  prodotto  dalla circolazione di veicoli di ogni specie il
diritto si prescrive in due anni";
     alla distribuzione dell'onere probatorio. Ed infatti, in caso di
azione  esercitata  ai  sensi  dell'art.  1218  del codice civile, la
compagnia  assicurativa  sara'  tenuta a dimostrare di aver adempiuto
esattamente agli obblighi delineati nel contratto.
   Azione  per  mala gestio. Il contraente-danneggiato potrebbe avere
altresi'  interesse ad agire invocando la mala gestio della compagnia
e/o  del  liquidatore.  Ma  in  tal caso e' ovvio che non si potrebbe
prescindere  da  un  giudizio  in  cui  siano  gia'  state  accertate
definitivamente   le   responsabilita'   in  ordine  alla  produzione
dell'evento dannoso.
     3)  Profili  di incostituzionalita' degli artt. 149 e 150 d.lgs.
n. 209/2005.
   L'esposizione  di  cui ai punti precedenti ha evidenziato tutte le
problematiche  connesse  alla  disciplina  contenuta nel nuovo codice
delle assicurazioni concernente la procedura dell'indennizzo diretto.
   Ed  invero sorgono fondati dubbi sulla legittimita' costituzionale
degli artt. 149 e 150 in ordine ai seguenti motivi:
Mancato parere del consiglio di Stato.
   La  legge  delega  (legge  n. 229/2003), obbligava alla preventiva
richiesta  del  parere  al Consiglio di Stato. Ebbene il Consiglio di
Stato  in data 14 febbraio 2005 ha emesso il parere n. 11603, ma allo
stesso  e' stato sottoposto uno schema di codice parzialmente diverso
da quello poi emanato e, soprattutto, assolutamente privo delle norme
relative all'indennizzo diretto.
   Per tale ragione gli articoli relativi all'indennizzo diretto sono
da  ritenersi incostituzionali, in quanto inseriti all'ultimo momento
senza   il  rigoroso  rispetto  della  legge  delega  che  richiedeva
l'obbligatorieta' del parere del Consiglio di Stato.
Eccesso di delega ex art. 76 della Costituzione.
   La  legge  delega  in nessun punto entra specificamente nel merito
del  risarcimento  dei  danni  e  nella liquidazione dei sinistri, ed
infatti  alla  lettera  b e' semplicemente indicato quale principio e
criterio  direttivo  "la  tutela  dei consumatori e, in generale, dei
contraenti  piu'  deboli,  sotto  il  profilo della trasparenza delle
condizioni   contrattuali,   nonche'   dell'informativa  preliminare,
contestuale  e  successiva  alla  conclusione  del  contratto, avendo
riguardo  anche  alla  correttezza  dei  messaggi  pubblicitari e del
processo   di   liquidazione   dei  sinistri,  compresi  gli  aspetti
strutturali  di  tale  servizio".  E' palese che il Parlamento non ha
conferito delega alcuna circa l'eventuale modifica dei diritti-doveri
dei  danneggiati-danneggianti  e delle imprese assicurative, mediante
lo  stravolgimento  del principio generale del neminem laedere, e dei
canoni basilari del diritto civile e del diritto processuale civile.
   Pertanto  e'  evidente l'incostituzionalita' delle norme de quibus
per  violazione dell'art. 76 Cost., giacche' il governo e' andato ben
oltre i principi ed i criteri direttivi della legge delega.
Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
   Gli  artt.  149  e  150  cod.  ass.  disattendono  il principio di
uguaglianza  davanti alla legge di cui all'art. 3 della Costituzione,
in   quanto  per  il  medesimo  fatto  illecito  i  cittadini  devono
sottostare   a   norme   giuridiche,  risarcimento,  attribuzione  di
responsabilita' ed a comportamenti differenti.
   In  tal  senso  e'  palese l'incostituzionalita' degli artt. 149 e
150, creando gli stessi una differenza di trattamento fra danneggiati
in casi molto simili fra di loro.
Violazione dell'art. 24 della Costituzione.
   Le  norme de quibus violano, in fase precontenziosa, cosi' come in
giudizio, il diritto di difesa del danneggiato, dell'assicurato e del
presunto responsabile civile.
   Ed  infatti  il danneggiato, da una parte, in fase precontenziosa,
stando all'intento del legislatore perde il diritto a farsi assistere
da  un  difensore di sua fiducia, dall'altra perde la possibilita' di
avvalersi  dell'azione  ex delicto ai sensi dell'art. 2043 del codice
civile  nei  confronti  del  danneggiante,  nonche'  un  risarcimento
realmente  satisfattivo  del  pregiudizio  subito. L'assicuratore del
veicolo  della presunta vittima prima in fase stragiudiziale e poi in
contenzioso  si  trova  a dover resistere ad una pretesa altrui senza
poter in alcun modo contestare le circostanze di fatto addotte, senza
poter  usufruire  di  fondamentali  principi e strumenti processuali,
come  specificato  ai  punti  precedenti.  Il  presunto danneggiante,
invece,  si trova a subire le conseguenze di un processo al quale non
ha preso parte.
   E'  palese  pertanto  l'illegittimita'  degli  artt. 149 e 150 per
violazione  del  diritto di difesa del danneggiato, del danneggiante,
ma soprattutto dell'assicuratore del danneggiato».
   Ritenuto,  pertanto,  che  nella  fattispecie,  ricorrono  tutti i
presupposti  per la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale
e precisamente:
A) Rilevanza della questione.
   Nel  caso  de  quo  il  collegamento  giuridico e non gia' di mero
fatto,  tra  la  res  iuridicancte  e  la  norma di legge ritenuta in
contrasto  con  il  dettato costituzionale si evidenzia ictu oculi ed
appare  fondamentale  ai  fini sostanziali, atteso che, in assenza di
detto  articolo,  l'azione  sarebbe  stata proposta nei confronti del
responsabile  del  danno  e  della  relativa  compagnia assicurativa,
soggetti diversi dagli odierni convenuti e pertanto l'aderenza o meno
al  detta  costituzionale  di detto art. 149 appare indiscutibilmente
rilevante  ai  fini  decisori:  infatti  ove si ritenesse il suddetto
disposto  normativo  in  contrasto  con  la  Costituzione  la domanda
risarcitoria  dovrebbe essere rivolta al responsabile del sinistro ed
alla relativa Compagnia.
B) La non manifesta infondatezza.
   Il (mancato) parere del Consiglio di Stato.
   Il  primo  comma  dell'art.  4  della legge n. 229/2003 rimanda ai
«principi e criteri direttivi di cui all'art. 20 della legge 15 marzo
1997, n. 59, come sostituito dall'art. 1 della legge delega in esame,
e nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi»: fra questi
vi  e'  l'obbligatorieta'  della  preventiva  richiesta  di parere al
Consiglio  di  Stato,  che,  in  effetti in data 14 febbraio 2005, ha
emesso  il  parere n. 11603. Occorre evidenziare che, al Consiglio di
Stato,  e' stato sottoposto uno schema di codice che era parzialmente
diverso  da  quello  poi  emanato e, soprattutto, assolutamente privo
delle  norme  relative  al risarcimento diretto. Ora, non e' come chi
non   veda   che,   quando   il  Governo  ha  deciso  di  modificare,
radicalmente,  il  codice delle assicurazioni inserendo i nuovi artt.
141,  149  e 150, in virtu' degli artt. 4 e 1 della legge n. 229/2003
ed  in  applicazione  all'art.  76 della Costituzione, avrebbe dovuto
risottoporre al consiglio di Stato il codice, onde ottenerne un nuovo
parere.  Ma  cosi'  non  e' stato, anche perche', altrimenti, sarebbe
«scaduta»  la  delega  conferita.  E'  evidente, quindi, che gia' per
questi   motivi   gli  articoli  relativi  al  risarcimento  (rectius
indennizzo)  del  terzo  trasportato  da  ritenersi  incostituzionali
essendo  stati inseriti all'ultimo momento senza il rigoroso rispetto
del  dettato della legge delega il quale richiedeva l'obbligatorieta'
del parere del consiglio di Stato.
1)   L'eccesso  di  delega  ex  art.  76  della  Costituzione  ed  il
risarcimento del danno.
   Il potere normativo delegato, essendo testualmente limitato ad una
funzione   di   riassetto   delle  disposizioni  vigenti  in  materia
assicurativa,   anche   se   inteso   non   come  attivita'  di  mera
compilazione,  non puo' estendersi sino all'innovazione sostanziale o
all'abrogazione  di  fatto  di  norme  esistenti,  operazione  questa
istituzionalmente sottoposta alla decisione del Parlamento.
   Gia'  si e' visto come, la mancata richiesta preventiva del parere
del  consiglio di Stato, configuri ipotesi di eccesso di delega. Ora,
limitiamoci  invece  ad esaminare il contenuto della legge delega, in
tema di risarcimento del danno e liquidazione dei sinistri.
   La   legge   delega,   in   realta',   in   nessun   punto   entra
specificatamente  nel  merito  del  risarcimento  dei  danni  e nella
liquidazione  dei  sinistri,  se  non  alla  lettera b) ove impone al
Governo  di  rispettare  i  principi e criteri direttivi a tutela del
consumatore e, in generale, dei contraenti piu' deboli, limitatamente
al  profilo  della trasparenza delle condizioni contrattuali, nonche'
dell'informativa   preliminare,   contestuale   e   successiva   alla
conclusione  del  contratto,  avendo  riguardo  anche  al processo di
liquidazione  dei  sinistri, compresi gli aspetti strutturali di tale
servizio.
   E'  chiaro che il legislatore intendeva tutelare due soggetti ben,
precisi:  il  consumatore  ed  il  contraente piu' debole e non certo
modificare   i  principi  generali  di  risarcimento  dei  danni.  Il
consumatore,   come   veniva   definito   dall'art.   2  della  legge
n. 281/1998,  altri  non  e'  se non la persona fisica che acquista o
utilizza  beni  o  servizi  per  scopi  non  riferibili all'attivita'
imprenditoriale  e  professionale eventualmente svolta. Analogamente,
il  contraente  altri  non  e' se non chi ha contratto una polizza di
assicurazioni.  Pertanto, la tutela doveva essere riservata a tutti i
rapporti   contrattuali   (e  non  extra-contrattuali),  ovvero  alle
cosiddette       garanzie      dirette,      a      favore      degli
assicurati-consumatori-contraenti.   L'art.  149,  del  codice  delle
assicurazioni  non  prende assolutamente in considerazione i soggetti
sopra   descritti/   ma   bensi'  i  danneggiati  o,  dando  un'altra
definizione,  le  vittime  di un sinistro stradale. Il danneggiato in
conseguenza  di  un  sinistro  non e' nella fattispecie consumatore e
tanto  meno  contraente, ma bensi' controparte di un altro soggetto -
col  quale  non  vi  e'  nessun  rapporto contrattuale o di obbligo a
contrarre  -  il  quale  commettendo un fatto illecito ha causato dei
danni  ingiusti  che  debbono  essere risarciti ai sensi degli, artt.
2043 e 2054 del codice civile. In virtu' dell'art. 149 i danneggiati,
che  rientrino  in  uno  dei  casi ivi previsti, sono ora obbligati a
chiedere  il  risarcimento  del danno non a chi e' responsabile dello
stesso, ai termini del codice civile, ma bensi' ad un altro soggetto;
ovvero  alla compagnia assicuratrice del proprio veicolo. E' pertanto
chiaro  che il decreto legislativo ha modificato, sia sostanzialmente
sia  proceduralmente,  i diritti dei danneggiati, facolta' questa non
concessa dalla legge delega.
   Ma  non  solo. Il codice delle assicurazioni ha altresi' ridotto i
doveri  anche  dei  responsabili  dei  sinistri  stradali  datosi che
costoro  non dovranno piu' neppure essere convenuti in giudizio ed in
prima  persona  non  saranno  piu'  tenuti a rispondere in solido del
danno  cagionato.  Infatti,  l'art.  141,  punto  3,  prevede  che il
danneggiato  possa proporre l'azione diretta di cui all'art. 145, nei
soli  confronti  dell'impresa  di assicurazione del vettore senza far
menzione  alcuna anche al responsabile del sinistro (in contrasto con
quanto  previsto  dall'art.  144  dello  stesso  codice oltre che dei
principi  generali  dell'ordinamento  giuridico)  ed  ovviamente alla
compagnia  del civile responsabile. Responsabile che, del resto, fino
ad  allora potrebbe, anzi dovrebbe, non aver mai neppure ricevuto una
richiesta di risarcimento visto il richiamo operato all'art. 148.
   Cio'  posto e' evidente che il Parlamento, conferendo la delega al
Governo,  voleva  tutelare i consumatori-contraenti come sopra meglio
definiti  e  non  agevolare  (o favorire) i responsabili dei sinistri
(come  avviene  con  l'indennizzo  diretto  del  terzo trasportato) o
modificare  i  diritti dei danneggiati. E, comunque, non ha conferito
delega  alcuna  circa  l'eventuale  modifica  dei  diritti-doveri dei
danneggiati-danneggianti  mediante  lo  stravolgimento  del principio
generale   del   neminem   ledere   e   del  codice  civile  (nonche'
processuale).  L'emanazione  dell'art. 149 dimostra invece il diverso
comportamento del legislatore delegato e pertanto e' evidente come il
Governo sia andato ben oltre alla delega conferita.
   Non meno grave e' la violazione del diritto comunitario laddove si
e', con il risarcimento diretto, disattesa la V Direttiva, eliminando
l'azione diretta nei confronti dell'impresa del civile responsabile e
pertanto,  a breve, e' facile prevedere sin da ora anche ricorsi alla
Corte europea.
2) Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
   Un  principio  fondamentale  della  nostra carta costituzionale e'
quello dell'uguaglianza davanti alla legge.
   Con l'introduzione del sistema risarcitorio previsto dall'art. 149
del  codice  delle  assicurazioni l'indennizzo diretto tale principio
viene  meno  in  quanto,  per il medesimo fatto illecito, i cittadini
devono  sottostare  a norme giuridiche, risarcimento, attribuzione di
responsabilita' ed a comportamenti differenti.
   La norma sembrerebbe, infatti, escludere il ricorso alla procedura
nel  caso  di  pluralita'  di veicoli coinvolti nel sinistro, nonche'
nelle  ipotesi  di  interevento del Fondo di garanzia di cui all'art.
283  lettera  a  e  b;  i  danni  alla persona del conducente qualora
superino i limiti di cui all'art. 139 (c.d. lesioni di lieve entita);
i  danni subiti dal trasportato attesa la specifica previsione di cui
all'art.   141   ed  i  danni  conseguenti  a  sinistri  con  veicoli
immatricolati all'estero.
   Infine:  la  norma  esclude la possibilita' di agire nei confronti
dell'impresa  del  responsabile civile laddove, nel caso in cui venga
comunicata dalla compagnia del danneggiato l'esistenza di circostanze
che  impediscono  l'indennizzo diretto, rinvia alla previsione di cui
all'art.   145,   comma   2,   che   attiene   ai  presupposti  della
proponibilita'  della  domanda e non all'art. 144 che attiene appunto
all'azione   diretta  del  danneggiato  e  che  prevede,  invece,  la
partecipazione   del  responsabile  al  giudizio  nella  qualita'  di
litisconsorte  necessario,  sottraendo  cosi'  al  creditore  uno dei
debitori in solido.
   In  tal  senso  e'  palese l'incostituzionalita' degli artt. 149 e
150, creando gli stessi una differenza di trattamento fra danneggiati
in casi molto simili fra di loro.
3) Violazione dell'art. 24 della Costituzione.
   Le  norme de quibus violano, in fase precontenziosa, cosi' come in
giudizio, il diritto di difesa del danneggiato, dell'assicurato e del
presunto responsabile civile e dell'assicuratore del danneggiato.
   Considerato  pertanto  che  la  questione appare rilevante ai fini
della decisione nel giudizio per sospetta incostituzionalita', la cui
decisione  scaturira'  dalla  decisione  che  la Corte costituzionale
dara'  alla questione, visto l'art. 23, comma 3, legge 11 marzo 1957,
n. 3, solleva la questione di legittimita' costituzionale degli artt.
149  e  150  del  decreto  legislativo  7 settembre 2005, n. 209, per
contrasto con gli artt. 3-24-76 della Costituzione.
                              P. Q. M.
   Sospende il presente giudizio in corso;
   Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale in Roma;
   Ordina  alla  cancelleria  di  notificare  con urgenza la presente
ordinanza  alle parti in causa e al sig. Presidente del Consiglio dei
ministri,  nonche' di comunicarla al sig. Presidente del Senato della
Repubblica e al sig. Presidente della Camera dei deputati.
     Cosi' deciso in Marano di Napoli, in data 19 dicembre 2007.
                     Il giudice di pace: Iodice