N. 318 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 dicembre 2007
del 19 dicembre 2007 emessa dal Giudice di pace di Marano di Napoli nel procedimento civile promosso da Caruso Pietro contro Progress assicurazioni S.p.A. Responsabilita' civile - Risarcimento del danno derivante da sinistro stradale - Azione proposta da soggetto danneggiato da sinistro stradale nei confronti della propria compagnia di assicurazione - Disciplina del sistema di risarcimento diretto introdotto dal Codice delle assicurazioni private - Ritenuta preclusione della possibilita' di esercitare la pretesa risarcitoria nei confronti del danneggiante e della sua compagnia di assicurazione, in linea con il principio generale del neminem laedere - Estraneita' ai principi e ai criteri direttivi della delega conferita al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di assicurazioni - Eccesso di delega - Denunciata violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza, sotto il profilo dell'ingiustificata disparita' di trattamento dei danneggiati in situazioni normativamente assimilabili - Incidenza sul diritto di difesa. - Decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, artt. 149 e 150. - Costituzione, artt. 3, 24 e 76, in relazione all'art. 4 della legge delega 29 luglio 2003, n. 229.(GU n.43 del 15-10-2008 )
IL GIUDICE DI PACE Letta la comparsa di costituzione e risposta depositata dalla Progress Assicurazioni S.p.A. nel giudizio per risarcimento danni da incidente stradale iscritto al n. r.g. 11892, con il quale Caruso Pietro deduceva di essere proprietario del veicolo Piaggio Beverly tg. CX 54090 e che il giorno 8 luglio 2002 alle ore 11,30 circa in Marano di Napoli alla via Adda, veniva urtato e danneggiato dalla Fiat Panda tg. FO 823792 il cui conducente, proveniente da senso opposto di marcia, effettuava una manovra di inversione ad «U». Tanto premesso Caruso Pietro conveniva in giudizio la Progress S.p.A. nella qualita' di compagnia che copre i rischi derivanti dalla circolazione del veicolo di sua proprieta', al fine di sentir dichiarare essa Progress S.p.A. tenuta al risarcimento dei danni subiti nella misura di € 3.000,00. Rilevato che alla prima udienza il convenuto sollevava eccezione preliminare ai sensi degli artt. 134 Cost., art. 23, legge n. 87/1953, ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla convenuta degli artt. 149 e 150 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 per contrasto con gli artt. 3-24-76 della Costituzione della Repubblica italiana nella parte in cui prevede, che il danneggiato possa proporre azione, diretta nei soli confronti della propria impresa di assicurazione, ed ove non si prevede che debba essere convenuto in giudizio anche il presunto responsabile civile, e nella parte in cui prevede l'inserimento di clausole abusive per il consumatore e nella parte in cui non determina gli eventuali vantaggi conseguibili dal consumatore-assicurato. Rilevato, altresi', che la convenuta chiedeva conseguentemente di sospendere il presente giudizio, provvedendo l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Osservato che ad avviso di questo giudice le menzionate norme - art. 149 e 150 del d.lgs. n. 209/2005 - acquistano rilievo sotto il profilo dell'incostituzionalita', riportandosi in diritto integralmente alla memoria difensiva di costituzione della convenuta Progress S.p.A. e cioe': «1) Validita' ed efficacia delle clausole del contratto assicurativo in concernenti la procedura risarcitoria di cui agli artt. 149 e 150 d.lgs. n. 209/2005. E' pacifico che principio cardine dell'ordinamento giuridico, del diritto civile e' quello dell'autonomia contrattuale come palesato dall'art. 1322 del codice civile ai sensi del quale "le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto, nei limiti imposti dalla legge". Strumento privilegiato mediante le quali si esplica l'autonomia privata e' il negozio giuridico. Ovvero la dichiarazione di volonta' diretta ad uno scopo pratico riconosciuto dall'ordinamento e ritenuto meritevole di tutela, cui l'ordinamento ricollega effetti giuridici conformi, idonei a proteggere ed assicurare il raggiungimento dello scopo pratico. Elementi del negozio sono quindi la causa, la forma e la volonta'. Fermi tali principi, inoltre, e' da rilevare che, nell'ambito dei contratti conclusi tra professionista e consumatore, il legislatore in particolare nel codice del consumo, riserva particolare tutela al contraente piu' debole, prevedendo all'uopo che la conclusione e l'esecuzione di siffatti contratti si ispiri ai criteri di trasparenza correttezza e buona fede. Cio' affinche' il consenso prestato dal consumatore si formi su clausole ben chiare ed affatto pregiudizievoli dei suoi interessi. Precisamente il legislatore, nazionale e comunitario, tende a dare tutela al contraente piu' debole all'atto della conclusione di contratti con soggetti economicamente piu' forti. Il codice civile, all'art. 1341, in tema di condizioni generali di contratto regola due tipi di clausole predisposte da una parte, in relazione alla possibile debolezza del contraente aderente. Il comma 1 infatti disciplina il regime delle cosiddette condizioni generali di contratto e stabilisce la regola, secondo la quale le condizioni generali predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell'altro se al momento della conclusione del contratto erano da questi conosciute o conoscibili, mediante l'ordinaria diligenza. Il comma 2, invece, disciplina la situazione specifica nella quale le condizioni stesse sono vessatorie e stabilisce che le stesse, per essere vincolanti nei confronti dell'altro contraente, debbono essere approvate particolarmente per iscritto, nella consapevolezza di assumere un obbligo oggettivamente gravoso. A livello comunitario, la tutela del contraente piu' debole si e' svolta con l'emanazione di diverse ed importanti direttive, fino ad arrivare alla direttiva CEE 93/13, di portata generale, concernente specificamente le clausole abusive nei contratti col consumatore. Principio ispiratore e' da intravedersi chiaramente nella tutela del contraente piu' debole, ovvero nel riequilibrio delle posizioni giuridiche delle parti al fine di evitare il rafforzamento del contraente economicamente piu' forte. L'orientamento comunitario e' stato recepito dal nostro ordinamento ove si e' compiuta una trasformazione, un'evoluzione del sistema contrattualistico, dapprima con l'innesto codicistico operato dalla legge n. 52/1996, che ha introdotto il capo XIV-bis intitolato "dei contratti del consumatore", e poi con l'emanazione del nuovo codice del consumo d.lgs. n. 206/2005. Alla luce della nuova normativa, hanno trovato applicazione nel nostro ordinamento nuovi principi: quello del neoformalismo, quello della maggiore ingerenza e controllo del giudice sul regolamento contrattuale, quello della "nullita' di protezione", quello dell'affermazione di un quarto vizio del volere, quello dell'istituzione della categoria soggettiva della classificazione dei contratti. Neoformalismo. Il neoformalismo si riferisce all'importanza assegnata dal legislatore trasnazionale alla forma scritta del contratto, quale requisito di validita' dell'atto. La ratio e' quella di informare la parte contrattuale piu' debole. All'uopo si stabilisce un vero e proprio obbligo giuridico di informare ai sensi dell'art. 21 della Costituzione, al quale corrisponde un diritto ad essere informati sulla natura del contratto e su tutte la clausole in esso contenute, al fine di poter esplicare effettivamente il diritto di autodeterminazione del singolo nell'ambito delle relazioni negoziali ai sensi degli art 2 e 24 Cost. In tal senso, infatti, il codice del consumo tutela il diritto fondamentale ad un'adeguata informazione e ad una corretta pubblicita'. Ingerenza e controllo del giudice sul regolamento contrattuale. Il suddetto principio concerne la verifica della natura abusiva della clausola negoziale o del comportamento approfittatore del contraente piu' forte. In particolare, nella nuova disciplina, il giudice non si limita piu' a verificare se le clausole vessatorie siano state sottoscritte ex art. 1341 del codice civile, ma e' chiamato pure a verificare la nature di quelle pattuizioni e la reale volonta' della parte piu' debole di aderirvi. Pertanto, il giudice, laddove verifichi l'abusivita' l'iniquita' dell'accordo, dovra' dichiarare la nullita' della clausola abusiva. Nullita' di protezione. Conseguenza del principio di cui sopra e' l'introduzione, nel nostro ordinamento, di una nuova categoria di invalidita', la nullita' relativa o di "protezione" che si pone a livello intermedio tra la nullita' e l'annullabilita' tradizionali e che ha quali elementi caratteristici la radicale inefficacia dell'atto nullo, la sua insanabilita', se non in ipotesi del tutto eccezionali, l'assolutezza e la sua rilevabilita' d'ufficio. Ne e' applicazione l'art. 33 del codice del consumo che impone che le clausole inserite nei contratti tra il consumatore ed il professionista devono essere chiare e comprensibili. L'articolo de quo, quindi, impone un obbligo ben preciso che riguarda l'informazione contrattuale sul piano della trasparenza e della decodificabilita' del contenuto del contratto. L'art. 36 del codice del consumo, invece, sanziona la nullita' di protezione delle clausole abusive che innescano un significativo squilibrio a danno di una parte ed al vantaggio dell'altra. Nella specie l'ordinamento sanziona l'ingiustizia non del contratto in quanto tale, ma del contratto in quanto frutto di un abuso perpetrato dalla parte piu' forte ai danni dell'antagonista piu' debole. A ben guardare siffatta nullita' si differenzia dalla nullita' contrattuale disciplinata dal codice civile all'art. 1418, in quanto flessibile, legata alla singola regolamentazione e strettamente legata alla verifica che il patto si atteggi come iniquo. Si puo' pertanto affermare che la nullita' comunitaria sposti il baricentro dall'aspetto strutturale, che e' quello proprio della nullita' codicistica, a quello funzionale, centrando tutta la sua attenzione sul regolamento degli interessi. Ingiustizia contrattuale. L'aspetto concerne la sproporzione tra le prestazioni dei contraenti e la situazione di disequilibrio economico e giuridico fra le parti. La categoria de qua e' espressa sia nella legislazione speciale che in quella di derivazione contrattuale. Ne e' riprova l'art. 1469-bis, comma 1 ove campeggia la formula de "significativo squilibrio del diritto e degli obblighi derivanti dal contratto". Orbene nel caso in specie l'introduzione della procedura risarcitoria di cui agli artt. 149 e 150 del nuovo codice delle assicurazioni incide inequivocabilmente sulla qualificazione e sulla natura del contratto assicurativo, tradizionalmente ricondotto entro il paradigma di cui all'art. 1917 del codice civile, rispetto al quale rivela l'identita' di causa. Ed invero la procedura in esame segna il passaggio da un'assicurazione della responsabilita' civile ad un'assicurazione diretta, ovvero da un sistema di assicurazione incardinato sui fondamentali principi civilisti di cui agli artt. 2043, 2052, 2054, 2055, ad un sistema che impone al danneggiato di rivolgere la sua richiesta, stragiudizialmete come giudizialmente, direttamente al proprio assicuratore, indipendentemente dall'accertamento delle reali responsabilita', e quindi rinunciando in definitiva ad un risarcimento realmente satisfattivo dei pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali, a fronte di privilegi allo stato presunti. Ebbene sorgono dubbi sulla validita' dei contratti in cui sia inserita la clausola che impone di effettuare la richiesta di risarcimento direttamente alla propria compagnia. Va innanzitutto rilevato, infatti, che il d.lgs. n. 209/2005 e' stato emanato in forza della legge delega n. 229/2003, pertanto la delega doveva esercitarsi entro il termine prefissato e nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi della legge delega. Orbene in alcun punto questa entra specificamente nel merito del risarcimento dei danni e nella liquidazione del sinistro, se non alla lettera b ove impone al Governo di rispettare i principi e criteri direttivi a tutela del consumatore e, in generale dei contraenti piu' deboli, limitatamente al profilo della trasparenza delle condizioni contrattuali, nonche' dell'informativa preliminare, contestuale e successiva alla conclusione del contratto, avendo riguardo anche al processo di liquidazione del sinistro. Il criterio informatore era chiaramente quello di tutelare il consumatore-contraente piu' debole, non certamente quello di modificare i principi generali di risarcimento del danno. Piu' in particolare la protezione andava riservata al contraente, non al titolare di un'obbligazione risarcitoria extracontrattuale. Invece l'art. 149 considera il soggetto nella sua qualita' di vittima di un sinistro stradale, non in quella di contraente-consumatore. Ed invero il soggetto nella veste di danneggiato, secondo i ben noti principi in tema di responsabilita' civile, non diventa titolare di alcun rapporto contrattuale, ma controparte di un altro soggetto, il quale commettendo un fatto illecito ha causato un danno ingiusto che deve risarcire in virtu' degli artt. 2043, 2054 del codice civile. Pertanto il decreto legislativo ha modificato sia sostanzialmente che proceduralmente i diritti del danneggiato, facolta' questa non concessa dalla legge delega. Di tutta evidenza, quindi l'incostituzionalita' degli artt. 149 e 150 per eccesso di delega ex art. 76 Cost. Ma per quel che piu' interessa non si puo' non evidenziare che le clausole che si contestano, hanno, secondo la loro formulazione, natura obbligatoria (e ci chiediamo che fine faccia l'autonomia negoziale !) nonche' vessatoria, ovvero comprimono i diritti degli assicurati (nella loro qualita' di danneggiati) vale a dire di quei soggetti che la legge delega mirava a tutelare. Ed infatti sottoscrivendo siffatte polizze contrattuali le "vittime" subiscono indubbi pregiudizi: l'assicurato precedentemente, nel caso di sinistro stradale, diventava creditore di due distinti rapporti giuridici, uno ex delicto col danneggiante, l'altro ex lege con l'assicuratore di quest'ultimo. La previsione normativa de qua, stando ad una interpretazione letterale, sembrerebbe escludere l'azione extracontrattuale nei confronti del danneggiante, con chiara limitazione del diritto di difesa della vittima. Letteralmente l'art. 149 dispone "In caso di sinistro tra due veicoli a motore identificati ed assicurati per la responsabilita' civile obbligatoria, dal quale siano derivati danni ai veicoli coinvolti o ai loro conducenti, i danneggiati devono rivolgere la richiesta di risarcimento all'impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato". E' chiaro, poi, che una volta inoltrata la richiesta alla propria compagnia, prima in fase stragiudiziale, e poi instaurando un giudizio ordinario, rimane precluso ogni accertamento sulle reali responsabilita' nella produzione dell'evento dannoso. Secondo il fondamentale principio del nostro ordinamento, il danno risarcibile e' quello ingiusto, ossia quello che ravvisi la sua causa efficiente nella condotta illecita altrui di talche' si verifichi la previsione di cui all'art. 2043 del codice civile (condotta-evento-nesso causale). Per cui, logica vuole che non possa essere risarcito il danno se non venga accertata una condotta colposa che l'abbia cagionato. ove per danno deve intendersi ogni conseguenza dell'illecito secondo il disposto di cui all'art. 1223 del codice civile. Ed all'uopo (e forse non a torto), la previsione normativa de qua parla di indennizzo, non di risarcimento!!! In particolare l'indennizzo (o risarcimento) che dovrebbe essere corrisposto al danneggiato, nel caso in cui sia lamentata una lesione all'integrita' fisica (danno biologico) non viene piu' calcolato sotto l'aspetto della compromissione soggettiva del bene alla salute, inteso in senso ampio e di costituzionale tutela, ma viene paramentrato a criteri di fatto preordinati. Pertanto ad una certa lesione corrispondera' sempre e comunque una somma uguale per tutti ed evidentemente inferiore a quella che l'ordinamento giuridico e la giurisprudenza riconosce in rapporto al valore uomo. Con la procedura dell'indennizzo diretto, quindi, si passa da una soggettivizzazione del danno ad una obiettivizzazione dello stesso, con conseguente appiattimento dei principi del sistema risarcitorio in uno schema precostituito ove l'individualita' lascia il posto ad una schematizzazione paracontrattuale associabile, come da qualcuno e' stato detto, a qualunque polizza infortuni. E' evidente, poi, alla luce di tali deduzioni, che resta precluso ogni ristoro del danno morale ed esistenziale, danni che si collegano alla compromissione di pozioni soggettive costituzionalmente garantite. Cio' proprio perche' per l'accertamento e la liquidazione degli stessi non si puo' prescindere dalla verificazione di una condotta illecita, sebbene non necessariamente integrante ipotesi di reato secondo le piu' recenti pronunce della Cassazione e della Consulta. A tal proposito giova ricordare che la liquidazione del danno morale presume l'esistenza di un fatto illecito, ovvero che sia violato il principio del nemimen laedere. Precisamente per la sua liquidazione e' necessario che venga accertata. un condotta colpevole, che si ponga in rapporto di causa ed effetto rispetto all'evento dannoso secondo il principio di cui all'art. 2043 del codice civile. L'assicurato perde il diritto a farsi assistere da un legale di sua fiducia, affidando la pratica ad un soggetto, il proprio assicuratore che, in palese conflitto di interessi dovrebbe tutelare la sua posizione e contemporaneamente quella del contraente. Nello specifico l'art. 9 del d.P.R. n. 254/2006 testualmente stabilisce "l'impresa, nell'adempimento degli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede, fornisce al danneggiato ogni assistenza informativa e tecnica utile per consentire la migliore prestazione del servizio e la piena realizzazione del diritto al risarcimento del danno. Tali obblighi comprendono, in particolare, oltre a quanto stabilito espressamente dal contratto, il supporto tecnico nella compilazione della richiesta di risarcimento, anche ai fini della quantificazione dei danni a cose e ai veicoli, il suo controllo e l'eventuale integrazione, l'illustrazione e la precisazione dei criteri di responsabilita' di cui all'allegato A.2 nel caso in cui la somma offerta dall'impresa di assicurazione sia accettata dall'assicurato, sugli importi corrisposti non sono dovuti i compensi per la consulenza o assistenza professionale di cui si sia avvalso il danneggiato diversa da quella medico legale per danni alla persona": Tutto cio' risulta ancora piu' grave alla luce del dettato costituzionale che garantisce ad ogni cittadino il diritto alla difesa in ogni suo stato prevedendo, altresi', il compimento di tale difesa attraverso la figura del professionista forense. Tale diritto e' stato da ultimo confermato dalla suprema Corte la quale, con la recente sentenza n. 11606/2005, ha ribadito il principio secondo il quale il danneggiato ha diritto, in ragione del suo diritto di difesa costituzionalmente garantito, di farsi assistere anche nella fase stragiudiziale da un professionista di sua fiducia e ad ottenere il rimborso del relativo onorario. Ai sensi dell'art. 13 del suddetto d.P.R., con particolare riferimento alle ipotesi di franchigia, l'assicurato dovrebbe accettare, sin dal momento della stipula della polizza, di subire una decurtazione fissa e predeterminata degli indennizzi che potrebbero eventualmente spettargli. In questo caso, peraltro si violerebbe il principio comunitario che vuole l'integrale riparazione del danno patito. Ma soprattutto in ipotesi di cui all'art. 13 il danneggiato dovrebbe rinunciare preventivamente ad un diritto futuro non disponibile. E rinunciando al diritto al risarcimento del danno prima che questo venga ad esistenza, si aggirerebbe il disposto di un norma imperativa, l'art. 1229 del codice civile, esonerando preventivamente il danneggiante da responsabilita', anche nel caso di dolo o colpa grave. Cio' proprio perche' l'eventuale franchigia rischia di trasformarsi in una sorta di rinunzia del danneggiato non in favore del proprio assicuratore, ma del danneggiante e della di lui compagnia. L'assicurato si troverebbe a dover accettare, ai sensi dell'art. 14 d.P.R. clausole che in via preventiva obblighino al risarcimento in forma specifica. Sono evidenti quindi le restrizioni inerenti i diritti soggettivi dei danneggiati. Bisogna quindi valutare se a tale restrizione corrisponda, per altro verso, il conseguimento di reali vantaggi, in caso contrario non puo' non evidenziarsi l'abusivita' della clausole che contemplano la procedura dell'indennizzo diretto. Ebbene nel contratto assicurativo, talvolta, il legislatore parla generalmente di diminuzione dei premi. Ma la previsione non e' esplicita, o meglio essendovi una previa rinuncia dei diritti dell'assicurato, il legislatore dovrebbe precisamente indicare l'ammontare preciso dell'agevolazione che si intende far conseguire. In secondo luogo la previsione non dovrebbe rimanere un'astratta promessa, ma dovrebbe essere gia' compiutamente e nel suo esatto ammontare inserita nel contratto. Allo stato emerge che i contratti non contemplano clausole in cui sia specificata e quantizzata la riduzione dei premi assicurativi. Per altro verso non puo' che evidenziarsi che la diminuzione dei premi assicurativi, allo stato solo millantata, non potra' trovare realizzazione in un sistema che obbliga l'assicuratore a risarcire il proprio assicurato prescindendo da indagini inerenti i profili di responsabilita' nella produzione del sinistro, che non permette alle assicurazioni un dialogo produttivo, che fomenta, anziche' ridurre, le azioni giudiziarie (aspetti che saranno chiariti nel corso della trattazione). Ne risulta la determinazione a carico del consumatore di un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto e pertanto la vessatorieta' delle clausole de quibus. Per tale ragione le stesse devono essere specificatamente approvate per iscritto, secondo la disciplina codicistica. Ma non solo: secondo la normativa trasnazionale versata ora nel codice del consumo, per non essere dichiarate inefficaci tali clausole devono anche essere oggetto di specifiche trattative. Ed in particolare il consenso dell'aderente deve formarsi previo esatto chiarimento della portata (nel caso degli svantaggi) della clausola stessa, ovvero previa esatta informazione secondo i principi della trasparenza e, della codificabilita' del suo contenuto. In caso contrario si conclude un accordo abusivo o iniquo e si verifica indubbiamente un'ipotesi di "ingiustizia contrattuale". Ed in tali casi, per quanto precedentemente sostenuto, il giudice dovra' dichiarare la nullita' della clausole o delle clausole abusive (nullita' di protezione). Ferme tali considerazioni non vi e' dubbio che la procedura prevista dagli artt. 149 e 150 potra' trovare applicazione solo con riferimento ai contratti stipulati dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 209/2005 (artt. 354 e 355 COD ASS.). 2) Legittimazione passiva e questioni processuali. L'art. 149 cod.ass. testualmente dispone "i danneggiati devono rivolgere la loro richiesta di risarcimento all'impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato". Il comma 6 dello stesso articolo, considerando l'ipotesi di mancato accordo, dispone "il danneggiato puo' proporre l'azione diretta di cui all'art. 145, comma 2 nei soli confronti della propria impresa di assicurazione ...". Ebbene, nella fase stragiudiziale, il danneggiato, che non si ritenga responsabile, deve rivolgere la richiesta risarcitoria alla propria impresa di assicurazione. Questa, priva di qualsiasi garanzia e difesa, specie in riferimento alla possibilita' di verificare l'assunto di "non responsabilita'" del presunto danneggiato-assicurato deve, stando alla normativa, risarcire il danno. L'impresa dovrebbe quindi rivalersi nei confronti dell'assicuratore del responsabile...... mediante un meccanismo di compensazione. E' di tutta evidenza, pero', che difficilmente le due imprese potrebbero addivenire ad una soluzione, in primo luogo perche' il rapporto tra le stesse, da svolgersi in un breve lasso di tempo, e' puramente telematico, in secondo luogo perche' comunque il mancato accertamento delle condotte illecite non consente di individuare il responsabile e quindi quale impresa debba, alla fine, essere tenuta indenne. E, d'altra parte, la previsione di criteri di determinazione del grado di responsabilita' delle parti, fondata su ipotesi astratte e non perfettamente emblematiche delle reali dinamiche di verificazione degli incidenti, non facilita, anzi complica il meccanismo di risarcimento. Ma vieppiu'. E' di comune esperienza che, chi si trova coinvolto in un sinistro quasi mai prontamente riconosce la propria responsabilita'. Pertanto ben puo' accadere che, verificatosi un incidente, i proprietari di entrambi i veicoli coinvolti inoltrino richiesta di risarcimento alla propria compagnia assicurativa, asserendosi non responsabili. Le imprese a questo punto diligentemente provvederebbero ad effettuare i pagamenti richiesti, ma al momento della "compensazione" cosa accadrebbe? Queste, in estrema sintesi, le problematiche connesse alla fase precontenziosa. Questione particolarmente spinosa e complessa e' quella relativa all'individuazione del soggetto legittimato passivo nella fase giudiziale della procedura di indennizzo diretto. Si ribadisce all'uopo che il comma 6 dell'art. 149, in caso di fallimento delle trattative stragiudiziali, precisa che il danneggiato puo', proporre azione ai sensi dell'art. 145 comma nei soli confronti della propria impresa di assicurazione. E' necessario innanzitutto intendere l'intento del legislatore. Sono state fornite della norma diverse soluzioni interpretative, dato che il senso della stessa non e' di facile comprensione. Soprattutto considerando che altrove, ed in particolare nel disciplinare la richiesta di risarcimento stragiudiziale, il legislatore impone al danneggiato di rivolgersi direttamente alla propria assicurazione utilizzando all'uopo l'espressione "deve". Innanzitutto c'e' da chiedersi cosa il legislatore abbia voluto significare con la locuzione "puo'". Forse che la procedura de qua non e' obbligatoria e che quindi il danneggiato puo' esercitare anche, in alternativa, quella di cui alla legge n. 990/1969 che non e' stata espressamente abrogata? Forse che, data l'ipotesi del fallimento della trattativa stragiudiziale, il legislatore abbia inteso facultare il danneggiato di agire contro il proprio assicuratore asserendone una responsabilita' contrattuale? Forse che in effetti, non considerando le conseguenze giuridiche e fattuali della previsione, abbia voluto che il danneggiato dovesse, anche in giudizio, continuare a dialogare con la propria assicurazione? Ancora alcune considerazioni devono essere svolte intorno alla locuzione "soli" (confronti della propria assicurazione). Il legislatore in altre parole ha inteso identificare il soggetto passivo dell'eventuale azione giudiziaria solo con l'assicuratore del veicolo danneggiato, escludendo tanto il responsabile civile, quanto la sua compagnia assicurativa, oppure ha inteso solo escludere dal giudizio la compagnia assicurativa del veicolo antagonista? La lettura dell'art. 149 in combinato con l'art. 144 cod ass. che al terzo comma impone che "nel giudizio promosso contro l'impresa di assicurazione e' chiamato anche il responsabile del danno", non facendo differenza fra azione contro il proprio assicuratore ed azione contro l'assicuratore che ha stipulato il contratto relativo al veicolo danneggiante, induce a ritenere che parte del giudizio debba essere necessariamente anche il responsabile civile. D'altra parte, come si precisera' al punto successivo, non potrebbe ritenersi valido un giudizio in cui non sia parte anche il danneggiante. Orbene. Le ipotesi rappresentate ci portano necessariamente a considerare che il soggetto danneggiato e' al contempo titolare di un'obbligazione risarcitoria extracontrattuale, e parte di un contratto assicurativo. Pertanto egli potrebbe astrattamente avere interesse ad agire ai sensi dell'art. 2043 del codice civile, deducendo l'illecito extracontrattuale, o ai sensi dell'art. 1218 del codice civile, avendo riguardo al rapporto contrattuale che lo lega al proprio assicuratore, nel caso asserito inadempiente, o ancora potrebbe invocare un'ipotesi di mala gestio. Ovviamente la precisazione del rapporto giuridico che si pone a fondamento dell'azione e' d'obbligo, dal momento che muta l'oggetto del giudizio, il thema probandum e decidendum, la competenza dell'adito giudice, i termini di prescrizione. Ebbene questa difesa assume che l'azione intrapresa ai sensi dell'art. 149 cod. assicurazione induce necessariamente ad instaurare giudizi invalidi ed improcedibili e cio' sia nel caso in cui si agisce facendo valere una responsabilita' extracontrattuale, sia nell'ipotesi in cui si invochi una responsabilita' contrattuale o un'ipotesi di mala gestio. E cio' in primo luogo perche', come si avra' modo di argomentare, salvo interpretazioni estensive, la normativa de qua e' inesorabilmente incostituzionale, ed i contratti assicurativi, nelle parti in cui la richiamano sono nulli e/inefficaci. Azione risarcimento del danno extracontrattuale. In particolare, nel caso in cui la vittima intenda agire asserendosi vittima di un illecito extracontrattuale, si pone nuovamente l'interrogativo su quale significato il legislatore abbia inteso attribuire alla previsione di cui all'art. 149, comma 6: il danneggiato deve agire nei soli confronti del proprio assicuratore, l'azione diretta e' facoltativa e pertanto rimane inalterato l'assetto previgente, l'assicurato non ha piu' azione diretta nei confronti dell'assicuratore del danneggiante, il danneggiato deve convenire in giudizio il proprio assicuratore ed il presunto responsabile civile? Una prima interpretazione della norma, parrebbe escludere tra i litisconsorti tanto il responsabile civile, quanto il suo assicuratore, con un netto cambiamento di impostazione rispetto al principio codicistico della responsabilita' diretta del danno, principio cardine del nostro ordinamento giuridico, da sempre incontestabilmente sancito negli artt. 2043, 2054, 1681 del codice civile. Sotto questo profilo, peraltro, si pongono legittimi dubbi di costituzionalita' della norma, sia con riferimento all'eccesso di delega, sia in riferimento all'art. 24 Cost., giacche', ad eccezione dell'ipotesi, alquanto improbabile, di intervento volontario in giudizio dell'assicuratore del veicolo antagonista, da una parte si determinerebbe una forte limitazione della facolta' di agire contro il soggetto responsabile o corresponsabile nella produzione di un dato incidente, dall'altra il preteso responsabile civile vedrebbe accertata a suo carico una responsabilita', magari anche solo concorsuale, con tutte le conseguenze del caso (si pensi ai malus di polizza) senza aver preso parte in giudizio, ove e' chiara la violazione del principio dei limiti soggettivi del giudicato. Ma soprattutto l'assicuratore del veicolo attore o sarebbe costretto a subire un giudizio ove per definizione dovrebbe resistere ad una pretesa senza poter usufruire di idonei strumenti processuali ed istruttori per difendersi, senza in definitiva poter provare l'eventuale infondatezza della pretesa risarcitoria, perche' in siffatto giudizio non potrebbero accertasi le reali responsabilita' nella produzione dell'evento dannoso. Piu' precisamente un giudizio incardinato nei soli confronti del proprio assicuratore non consente un corretto ed efficace svolgimento della vicenda processuale. Ed infatti siffatto giudizio e', per forza di cose, abdicativo di basilari principi e ed istituti processuali: A) Competenza territoriale (artt. 18, 19, 20 c.p.c.). La mancanza del responsabile civile, innanzitutto, priva il danneggiato della possibilita' di scelta di uno dei fori territorialmente competenti di cui prima godeva, e cioe' del foro di residenza del responsabile civile; B) Costituzione del convenuto e domanda riconvenzionale. (Art. 416 c.p.c.) venendo a mancare il responsabile civile, ossia il proprietario del veicolo antagonista, e' evidente che questi non potra' piu' svolgere nel giudizio promosso dal danneggiante la domanda riconvenzionale. Quindi per avere ristoro del danno eventualmente patito, sara' obbligato a promuovere un'autonoma azione, con effetto tutt'altro che deflativo del numero di cause. Ma, cosa ancor piu' grave, in tale ipotesi potrebbe aversi l'emanazione di due sentenze con prevedibile rischio di giudicati contraddittori; C) Costituzione del convenuto e onere di contestazione con specifico riguardo al rito del lavoro (art. 426 c.p.c.). E' pacifico che sul convenuto grava un onere di contestazione sugli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della domanda attorea. Tale onere e' particolarmente rigido nel rito speciale del lavoro, sicche' il convenuto non puo' limitarsi ad una contestazione generica dei fatti affermati dall'attore, ma deve prendere posizione in modo netto, con una contestazione il cui livello di specificita' deve necessariamente rapportarsi al livello di specificita' delle allegazioni di controparte. Una contestazione non adeguata, difatti, comporta l'applicazione del principio di non contestazione, in virtu' del quale i fatti non puntualmente controbattuti possono essere ritenuti come provati. E' palese che nel giudizio promosso in regime di risarcimento diretto la portata applicativa del suddetto principio finisca col perdere tutta la sua efficacia. Il danneggiante che non e' parte del giudizio chiaramente non puo' impugnare l'assunto di controparte. E l'unico contraddittore, ossia la compagnia assicurativa dell'attore, nella propria memoria difensiva non potrebbe addurre elementi volti a consentire un accertamento sulla responsabilita' del sinistro in ordine alle deduzioni attoree; D) Interrogatorio formale e giuramento decisorio (artt. 230, 232, 233 c.pc.). altro istituto processuale che non potra' provare applicazione nel giudizio di cui si tratta e' l'interrogatorio formale del convenuto-responsabile civile, non essendo questi parte del giudizio. Ugualmente non sara' possibile deferire al responsabile del danno il giuramento decisorio, ne' si potra' effettuare il libero interrogatorio delle parti e ne' il tentativo di conciliazione (art. 420 c.p.c). E) Solidarieta' passiva (art. 2055 c.c.). E' chiaro, altresi', che non potrebbe farsi ricorso alla solidarieta' dei coautori di un fatto illecito (2055), che in linea di principio garantisce pienamente la soddisfazione del creditore da una parte ed il diritto di difesa del debitore dall'altra. Orbene non e' difficile ipottizzare lo svolgimento di un giudizio promosso solo contro l'assicuratore: l'attore prepara il proprio atto di citazione, la convenuta in comparsa ed in corso di causa non potra' efficacemente prendere posizione sulle circostanze di fatto inerenti le Responsablita' nella verificazione del sinistro, l'accertamento e la fondatezza dell'assunto attoreo viene, pertanto, demandato ad una prova testimoniale congegnata ad arte, e che non consente repliche!!! E' chiaro allora che non potrebbe ritenersi valido un giudizio instaurato nei soli confronti del proprio assicuratore, e' chiara la violazione del diritto di difesa soprattutto della compagnia assicurativa, e' palese altresi' l'incosituzionalita', per violazione degli artt. 3, 24 Cost., della norma che consente la citazione in giudizio della sola compagnia ed ove non prevede che parte del giudizio sia anche il responsabile del danno. Pertanto la dottrina piu' lungimirante e la prima giurisprudenza di merito (g.d.p. Napoli 16 luglio 2007, sez. IX, dott. Romano), ha ritenuto che necessariamente in caso di azione diretta ai sensi del comb. disp. degli artt. 133, comma 3, 145, comma 2 e 149, comma 6, debba essere convenuto in giudizio anche il responsabile civile. E questo perche': 1) se si volesse intendere letteralmente ed in maniera restrittiva la disciplina di cui indennizzo diretto, non potrebbe non considerarsi incostituzionale l'art. 149 cod. ass.; 2) la responsabilita' in ordine alla produzione di un evento dannoso non puo' essere accertata se non nel contraddittorio fra le parti. Si darebbe luogo, in caso contrario, alle conseguenze abnormi di cui sopra, ovvero si incardinerebbe un giudizio invalido ed inefficace; 3) il responsabile civile non potrebbe legittimamente essere escluso da un giudizio incardinato ai sensi dell'art. 149 cos. ass., in quanto soggetto legittimato al giudizio perche' avente un interesse in causa; 4)1'art. 144 cod. ass. al terzo comma impone che «nel giudizio promosso contro l'impresa di assicurazione e' chiamato anche il responsabile del danno. La norma, che ricalca fedelmente il previdente art. 23, legge n. 990/1969, risponde ad un'esigenza logica di consentire al danneggiante di esercitare in giudizio le proprie difese e quindi di non subire, ignaro, gli effetti di un giudizio a cui non ha preso parte. L'art. 144, non fa differenza fra azione contro il proprio assicuratore ed azione contro l'assicuratore che ha stipulato il contratto relativo al veicolo danneggiante. Alla luce di suddette argomentazioni non e' proponibile e procedibile un giudizio in cui non sia parte anche il responsabile civile. Azione di risarcimento danni per violazione delle obbligazioni contrattuali. Orbene, come gia' precedentemente rilevato, il medesimo soggetto, nel caso di scontro fra veicoli, nella sua qualita' di vittima di un sinistro e proprietario di un veicolo per il quale e' stata stipulata regolare polizza assicurativa, diventa titolare di un interesse ad agire in virtu' di un illecito extracontrattuale ed al contempo creditore di un'obbligazione contrattuale nascente dal contratto assicurativo. In riferimento a tale ultimo aspetto, l'art. 9 del d.P.R. n. 254/2006 testualmente stabilisce "l'impresa, nell'adempimento degli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede, fornisce al danneggiato ogni assistenza informativa e tecnica utile per consentire la migliore prestazione del servizio e la piena realizzazione del diritto al risarcimento del danno. Tali obblighi comprendono, in particolare, oltre a quanto stabilito espressamente dal contratto, il supporto tecnico nella compilazione della richiesta di risarcimento, anche ai fini della quantificazione dei danni a cose e ai veicoli, il suo controllo e l'eventuale integrazione, 1'illustrazione e la precisazione dei criteri di responsabilita' di cui all'allegato A. 2 nel caso in cui la somma offerta dall'impresa di assicurazione sia accettata dall'assicurato, sugli importi corrisposti non sono dovuti i compensi per la consulenza o assistenza professionale di cui si sia avvalso il danneggiato diversa da quella medico-legale per danni alla persona". L'art. 149, comma 6, consente al danneggiato di adire l'AGO, in caso di fallimento delle trattative stragiudiziali. Pertanto nel caso in cui il danneggiato lamenti inadempienze dell'assicuratore, che abbiano compromesso il buon esito della procedura precontenziosa, ha interesse ed e' legittimato ad agire in giudizio invocando la responsabilita' dell'obbligato ai sensi dell'art. 1218 del codice civile. Cio', posto che si facciano valere diritti nascenti da un contratto valido ed efficace. Pertanto e' necessario innanzitutto che esista un contratto assicurativo che sia stato stipulato dopo l'entrata in vigore del nuovo codice delle assicurazioni. E' necessario altresi' che le clausole che rimandano alla procedura di cui agli artt. 149 e 150 siano espressamente previste ed accettate dal soggetto aderente. Ovvero, per loro natura vessatoria, che siano state espressamente approvate e sottoscritte, e che siano state oggetto di una specifica trattativa. In caso contrario, per quanto, detto e' palese che le clausole stesse sarebbero affette da nullita' e/o inefficacia. Inoltre l'attore dovrebbe dimostrare l'esistenza dei requisiti previsti per la proponiblita' dell'azione di risarcimento diretto. La mancanza delle suddette condizioni rende l'azione improponibile ed improcedibile. Ebbene e' palese che l'azione contrattuale presenta sostanziali differenze rispetto a quella extracontrattuale in ordine: alla competenza per valore del giudice. Infatti l'art. 7 c.p.c. dispone "Il giudice di pace e' competente per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a euro 2.582,28, quando dalla legge non sono attribuite alla competenza di altro giudice" 2) il giudice di pace e' altresi' competente per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli a motore e natanti purche' il valore della controversia non superi euro 15.493,71. "Mentre ai sensi dell'art. 9 c.p.c.". Il tribunale e' competente per tutte le cause che non siano di competenza di altro giudice! ai termini di prescrizione. Ai sensi dell'art. 2946 del codice civile, infatti, salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni. L'art. 2947 del codice civile dispone al comma 2 "per il risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli di ogni specie il diritto si prescrive in due anni"; alla distribuzione dell'onere probatorio. Ed infatti, in caso di azione esercitata ai sensi dell'art. 1218 del codice civile, la compagnia assicurativa sara' tenuta a dimostrare di aver adempiuto esattamente agli obblighi delineati nel contratto. Azione per mala gestio. Il contraente-danneggiato potrebbe avere altresi' interesse ad agire invocando la mala gestio della compagnia e/o del liquidatore. Ma in tal caso e' ovvio che non si potrebbe prescindere da un giudizio in cui siano gia' state accertate definitivamente le responsabilita' in ordine alla produzione dell'evento dannoso. 3) Profili di incostituzionalita' degli artt. 149 e 150 d.lgs. n. 209/2005. L'esposizione di cui ai punti precedenti ha evidenziato tutte le problematiche connesse alla disciplina contenuta nel nuovo codice delle assicurazioni concernente la procedura dell'indennizzo diretto. Ed invero sorgono fondati dubbi sulla legittimita' costituzionale degli artt. 149 e 150 in ordine ai seguenti motivi: Mancato parere del consiglio di Stato. La legge delega (legge n. 229/2003), obbligava alla preventiva richiesta del parere al Consiglio di Stato. Ebbene il Consiglio di Stato in data 14 febbraio 2005 ha emesso il parere n. 11603, ma allo stesso e' stato sottoposto uno schema di codice parzialmente diverso da quello poi emanato e, soprattutto, assolutamente privo delle norme relative all'indennizzo diretto. Per tale ragione gli articoli relativi all'indennizzo diretto sono da ritenersi incostituzionali, in quanto inseriti all'ultimo momento senza il rigoroso rispetto della legge delega che richiedeva l'obbligatorieta' del parere del Consiglio di Stato. Eccesso di delega ex art. 76 della Costituzione. La legge delega in nessun punto entra specificamente nel merito del risarcimento dei danni e nella liquidazione dei sinistri, ed infatti alla lettera b e' semplicemente indicato quale principio e criterio direttivo "la tutela dei consumatori e, in generale, dei contraenti piu' deboli, sotto il profilo della trasparenza delle condizioni contrattuali, nonche' dell'informativa preliminare, contestuale e successiva alla conclusione del contratto, avendo riguardo anche alla correttezza dei messaggi pubblicitari e del processo di liquidazione dei sinistri, compresi gli aspetti strutturali di tale servizio". E' palese che il Parlamento non ha conferito delega alcuna circa l'eventuale modifica dei diritti-doveri dei danneggiati-danneggianti e delle imprese assicurative, mediante lo stravolgimento del principio generale del neminem laedere, e dei canoni basilari del diritto civile e del diritto processuale civile. Pertanto e' evidente l'incostituzionalita' delle norme de quibus per violazione dell'art. 76 Cost., giacche' il governo e' andato ben oltre i principi ed i criteri direttivi della legge delega. Violazione dell'art. 3 della Costituzione. Gli artt. 149 e 150 cod. ass. disattendono il principio di uguaglianza davanti alla legge di cui all'art. 3 della Costituzione, in quanto per il medesimo fatto illecito i cittadini devono sottostare a norme giuridiche, risarcimento, attribuzione di responsabilita' ed a comportamenti differenti. In tal senso e' palese l'incostituzionalita' degli artt. 149 e 150, creando gli stessi una differenza di trattamento fra danneggiati in casi molto simili fra di loro. Violazione dell'art. 24 della Costituzione. Le norme de quibus violano, in fase precontenziosa, cosi' come in giudizio, il diritto di difesa del danneggiato, dell'assicurato e del presunto responsabile civile. Ed infatti il danneggiato, da una parte, in fase precontenziosa, stando all'intento del legislatore perde il diritto a farsi assistere da un difensore di sua fiducia, dall'altra perde la possibilita' di avvalersi dell'azione ex delicto ai sensi dell'art. 2043 del codice civile nei confronti del danneggiante, nonche' un risarcimento realmente satisfattivo del pregiudizio subito. L'assicuratore del veicolo della presunta vittima prima in fase stragiudiziale e poi in contenzioso si trova a dover resistere ad una pretesa altrui senza poter in alcun modo contestare le circostanze di fatto addotte, senza poter usufruire di fondamentali principi e strumenti processuali, come specificato ai punti precedenti. Il presunto danneggiante, invece, si trova a subire le conseguenze di un processo al quale non ha preso parte. E' palese pertanto l'illegittimita' degli artt. 149 e 150 per violazione del diritto di difesa del danneggiato, del danneggiante, ma soprattutto dell'assicuratore del danneggiato». Ritenuto, pertanto, che nella fattispecie, ricorrono tutti i presupposti per la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e precisamente: A) Rilevanza della questione. Nel caso de quo il collegamento giuridico e non gia' di mero fatto, tra la res iuridicancte e la norma di legge ritenuta in contrasto con il dettato costituzionale si evidenzia ictu oculi ed appare fondamentale ai fini sostanziali, atteso che, in assenza di detto articolo, l'azione sarebbe stata proposta nei confronti del responsabile del danno e della relativa compagnia assicurativa, soggetti diversi dagli odierni convenuti e pertanto l'aderenza o meno al detta costituzionale di detto art. 149 appare indiscutibilmente rilevante ai fini decisori: infatti ove si ritenesse il suddetto disposto normativo in contrasto con la Costituzione la domanda risarcitoria dovrebbe essere rivolta al responsabile del sinistro ed alla relativa Compagnia. B) La non manifesta infondatezza. Il (mancato) parere del Consiglio di Stato. Il primo comma dell'art. 4 della legge n. 229/2003 rimanda ai «principi e criteri direttivi di cui all'art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, come sostituito dall'art. 1 della legge delega in esame, e nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi»: fra questi vi e' l'obbligatorieta' della preventiva richiesta di parere al Consiglio di Stato, che, in effetti in data 14 febbraio 2005, ha emesso il parere n. 11603. Occorre evidenziare che, al Consiglio di Stato, e' stato sottoposto uno schema di codice che era parzialmente diverso da quello poi emanato e, soprattutto, assolutamente privo delle norme relative al risarcimento diretto. Ora, non e' come chi non veda che, quando il Governo ha deciso di modificare, radicalmente, il codice delle assicurazioni inserendo i nuovi artt. 141, 149 e 150, in virtu' degli artt. 4 e 1 della legge n. 229/2003 ed in applicazione all'art. 76 della Costituzione, avrebbe dovuto risottoporre al consiglio di Stato il codice, onde ottenerne un nuovo parere. Ma cosi' non e' stato, anche perche', altrimenti, sarebbe «scaduta» la delega conferita. E' evidente, quindi, che gia' per questi motivi gli articoli relativi al risarcimento (rectius indennizzo) del terzo trasportato da ritenersi incostituzionali essendo stati inseriti all'ultimo momento senza il rigoroso rispetto del dettato della legge delega il quale richiedeva l'obbligatorieta' del parere del consiglio di Stato. 1) L'eccesso di delega ex art. 76 della Costituzione ed il risarcimento del danno. Il potere normativo delegato, essendo testualmente limitato ad una funzione di riassetto delle disposizioni vigenti in materia assicurativa, anche se inteso non come attivita' di mera compilazione, non puo' estendersi sino all'innovazione sostanziale o all'abrogazione di fatto di norme esistenti, operazione questa istituzionalmente sottoposta alla decisione del Parlamento. Gia' si e' visto come, la mancata richiesta preventiva del parere del consiglio di Stato, configuri ipotesi di eccesso di delega. Ora, limitiamoci invece ad esaminare il contenuto della legge delega, in tema di risarcimento del danno e liquidazione dei sinistri. La legge delega, in realta', in nessun punto entra specificatamente nel merito del risarcimento dei danni e nella liquidazione dei sinistri, se non alla lettera b) ove impone al Governo di rispettare i principi e criteri direttivi a tutela del consumatore e, in generale, dei contraenti piu' deboli, limitatamente al profilo della trasparenza delle condizioni contrattuali, nonche' dell'informativa preliminare, contestuale e successiva alla conclusione del contratto, avendo riguardo anche al processo di liquidazione dei sinistri, compresi gli aspetti strutturali di tale servizio. E' chiaro che il legislatore intendeva tutelare due soggetti ben, precisi: il consumatore ed il contraente piu' debole e non certo modificare i principi generali di risarcimento dei danni. Il consumatore, come veniva definito dall'art. 2 della legge n. 281/1998, altri non e' se non la persona fisica che acquista o utilizza beni o servizi per scopi non riferibili all'attivita' imprenditoriale e professionale eventualmente svolta. Analogamente, il contraente altri non e' se non chi ha contratto una polizza di assicurazioni. Pertanto, la tutela doveva essere riservata a tutti i rapporti contrattuali (e non extra-contrattuali), ovvero alle cosiddette garanzie dirette, a favore degli assicurati-consumatori-contraenti. L'art. 149, del codice delle assicurazioni non prende assolutamente in considerazione i soggetti sopra descritti/ ma bensi' i danneggiati o, dando un'altra definizione, le vittime di un sinistro stradale. Il danneggiato in conseguenza di un sinistro non e' nella fattispecie consumatore e tanto meno contraente, ma bensi' controparte di un altro soggetto - col quale non vi e' nessun rapporto contrattuale o di obbligo a contrarre - il quale commettendo un fatto illecito ha causato dei danni ingiusti che debbono essere risarciti ai sensi degli, artt. 2043 e 2054 del codice civile. In virtu' dell'art. 149 i danneggiati, che rientrino in uno dei casi ivi previsti, sono ora obbligati a chiedere il risarcimento del danno non a chi e' responsabile dello stesso, ai termini del codice civile, ma bensi' ad un altro soggetto; ovvero alla compagnia assicuratrice del proprio veicolo. E' pertanto chiaro che il decreto legislativo ha modificato, sia sostanzialmente sia proceduralmente, i diritti dei danneggiati, facolta' questa non concessa dalla legge delega. Ma non solo. Il codice delle assicurazioni ha altresi' ridotto i doveri anche dei responsabili dei sinistri stradali datosi che costoro non dovranno piu' neppure essere convenuti in giudizio ed in prima persona non saranno piu' tenuti a rispondere in solido del danno cagionato. Infatti, l'art. 141, punto 3, prevede che il danneggiato possa proporre l'azione diretta di cui all'art. 145, nei soli confronti dell'impresa di assicurazione del vettore senza far menzione alcuna anche al responsabile del sinistro (in contrasto con quanto previsto dall'art. 144 dello stesso codice oltre che dei principi generali dell'ordinamento giuridico) ed ovviamente alla compagnia del civile responsabile. Responsabile che, del resto, fino ad allora potrebbe, anzi dovrebbe, non aver mai neppure ricevuto una richiesta di risarcimento visto il richiamo operato all'art. 148. Cio' posto e' evidente che il Parlamento, conferendo la delega al Governo, voleva tutelare i consumatori-contraenti come sopra meglio definiti e non agevolare (o favorire) i responsabili dei sinistri (come avviene con l'indennizzo diretto del terzo trasportato) o modificare i diritti dei danneggiati. E, comunque, non ha conferito delega alcuna circa l'eventuale modifica dei diritti-doveri dei danneggiati-danneggianti mediante lo stravolgimento del principio generale del neminem ledere e del codice civile (nonche' processuale). L'emanazione dell'art. 149 dimostra invece il diverso comportamento del legislatore delegato e pertanto e' evidente come il Governo sia andato ben oltre alla delega conferita. Non meno grave e' la violazione del diritto comunitario laddove si e', con il risarcimento diretto, disattesa la V Direttiva, eliminando l'azione diretta nei confronti dell'impresa del civile responsabile e pertanto, a breve, e' facile prevedere sin da ora anche ricorsi alla Corte europea. 2) Violazione dell'art. 3 della Costituzione. Un principio fondamentale della nostra carta costituzionale e' quello dell'uguaglianza davanti alla legge. Con l'introduzione del sistema risarcitorio previsto dall'art. 149 del codice delle assicurazioni l'indennizzo diretto tale principio viene meno in quanto, per il medesimo fatto illecito, i cittadini devono sottostare a norme giuridiche, risarcimento, attribuzione di responsabilita' ed a comportamenti differenti. La norma sembrerebbe, infatti, escludere il ricorso alla procedura nel caso di pluralita' di veicoli coinvolti nel sinistro, nonche' nelle ipotesi di interevento del Fondo di garanzia di cui all'art. 283 lettera a e b; i danni alla persona del conducente qualora superino i limiti di cui all'art. 139 (c.d. lesioni di lieve entita); i danni subiti dal trasportato attesa la specifica previsione di cui all'art. 141 ed i danni conseguenti a sinistri con veicoli immatricolati all'estero. Infine: la norma esclude la possibilita' di agire nei confronti dell'impresa del responsabile civile laddove, nel caso in cui venga comunicata dalla compagnia del danneggiato l'esistenza di circostanze che impediscono l'indennizzo diretto, rinvia alla previsione di cui all'art. 145, comma 2, che attiene ai presupposti della proponibilita' della domanda e non all'art. 144 che attiene appunto all'azione diretta del danneggiato e che prevede, invece, la partecipazione del responsabile al giudizio nella qualita' di litisconsorte necessario, sottraendo cosi' al creditore uno dei debitori in solido. In tal senso e' palese l'incostituzionalita' degli artt. 149 e 150, creando gli stessi una differenza di trattamento fra danneggiati in casi molto simili fra di loro. 3) Violazione dell'art. 24 della Costituzione. Le norme de quibus violano, in fase precontenziosa, cosi' come in giudizio, il diritto di difesa del danneggiato, dell'assicurato e del presunto responsabile civile e dell'assicuratore del danneggiato. Considerato pertanto che la questione appare rilevante ai fini della decisione nel giudizio per sospetta incostituzionalita', la cui decisione scaturira' dalla decisione che la Corte costituzionale dara' alla questione, visto l'art. 23, comma 3, legge 11 marzo 1957, n. 3, solleva la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 149 e 150 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per contrasto con gli artt. 3-24-76 della Costituzione.
P. Q. M. Sospende il presente giudizio in corso; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale in Roma; Ordina alla cancelleria di notificare con urgenza la presente ordinanza alle parti in causa e al sig. Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di comunicarla al sig. Presidente del Senato della Repubblica e al sig. Presidente della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Marano di Napoli, in data 19 dicembre 2007. Il giudice di pace: Iodice