N. 321 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 luglio 2008

dell'8  luglio  2008  emessa dal Tribunale di Biella nel procedimento
penale a carico di Pastormerlo Francesco

Processo  penale  -  Citazione del responsabile civile - Procedimento
  penale  per  il  reato  di  lesioni  personali colpose derivanti da
  infortunio  sul  lavoro  a  carico  di datore di lavoro dichiarato,
  nelle  more,  fallito - Citazione, quale responsabile civile, della
  compagnia  di assicurazione della responsabilita' civile del datore
  di  lavoro  in  forza  di  contratto di assicurazione facoltativo -
  Preclusione   -   Violazione  del  principio  di  ragionevolezza  -
  Disparita'  di trattamento rispetto a situazioni analoghe - Lesione
  del diritto di azione - Lesione del diritto al lavoro e del diritto
  al  ristoro del danno in conseguenza del pregiudizio all'integrita'
  personale  - Violazione dei principi di concentrazione delle tutele
  e    della    ragionevole   durata   dell'attesa   della   risposta
  giurisdizionale.
- Codice di procedura penale, art. 83, comma 1, in combinato disposto
  con l'art. 1917, comma secondo, codice civile.
- Costituzione,  artt.  3,  comma secondo, 24, commi primo e secondo,
  32, primo comma, 35, primo comma, e 111, commi primo e secondo.
(GU n.43 del 15-10-2008 )
                            IL TRIBUNALE
   Letti  gli  atti  ed  i  documenti  contenuti nel fascicolo per il
dibattimento,  con  particolare riguardo alla memoria, depositata dal
Difensore di Luca Strona, parte civile costituita, all'udienza del 24
giugno  2008,  avente  ad  oggetto  la richiesta di citazione di Toro
Assicurazioni  S.p.A.  nella dedotta qualita' di responsabile civile,
siccome compagnia assicuratrice della responsabilita' civile di Cappa
S.r.l., impresa datrice di lavoro dello Strona;
   Sentite la parti, osserva quanto segue.
   Nell'ambito   del   procedimento  penale  in  epigrafe,  che  vede
Francesco  Pastormerlo.  legale  rappresentante della Cappa, imputato
del   delitto  di  cui  all'art.  590,  comma  3  c.p.  e  di  talune
contravvenzioni  previste  da  leggi  speciali  in materia di diritto
penale  del lavoro, per aver in tesi cagionato allo Strona, intento a
spostare  altrove,  nel  corso  dell'attivita' lavorativa, una coclea
tubolare   non   adeguatamente   protetta   sull'apertura  di  carico
inferiore,  lesioni  personali  gravissime  alla  mano  sinistra,  il
difensore   dello   Strona   medesimo,   costituitosi  parte  civile,
rappresenta  che,  dopo  l'infortunio,  la  Cappa e' stata dichiarata
fallita.
   Alla  luce  di cio', egli, fatte proprie le argomentazioni con cui
la  sezione  lavoro della Corte di cassazione, con ordinanza addi' 12
febbraio  2008,  n. 11921,  ha sollevato la questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  1917, comma 2 c.c., chiede citarsi la Toro
Assicurazioni  quale  responsabile civile, sottolineando, da un lato,
l'impossibilita', stante l'intervenuto fallimento, di agire contro la
Cappa  in  quanto  tale,  e  dall'altro  lato,  di sottrarre la somma
eventualmente  risarcenda  dalla  Toro  Assicurazioni alle regole del
concorso.   In   subordine   solleva   eccezione   di  illegittimita'
costituzionale  dell'art.  83, comma 1 c.p.p. per le medesime ragioni
che,   secondo   la   sezione   lavoro  della  Corte  di  cassazione,
affliggerebbero di illegittimita' l'art. 1917, comma 2 c.c.
   Il  pubblico  ministero ed il difensore dell'imputato si oppongono
alla  richiesta  del  difensore  della  parte  civile, richiamando il
consolidato  orientamento  della  Corte  costituzionale a termini del
quale  l'art. 83, comma 1 c.p.p. muove da un obbligo risarcitorio che
la  legge,  e  soltanto  la legge, fa gravare sul responsabile civile
direttamente in favore di terzi lesi dal fatto ingiusto altrui.
   Orbene,  l'art.  83,  comma 1 c.p.p., la cui portata va apprezzata
anzitutto  sul  piano processuale, ossia sul piano della possibilita'
che  un  soggetto  ulteriore,  rispetto  all'imputato,  sia chiamato,
nell'ambito  del  processo  penale, a rispondere civilisticamente del
fatto  dell'imputato,  e'  per  costante  giurisprudenza  della Corte
costituzionale  interpretato  nel senso della necessaria esistenza di
una  norma di legge intesa a configurare un vero e proprio obbligo di
detto soggetto verso il danneggiato.
   Tale  premessa  costituisce il filo conduttore della nota sentenza
addi'  22  aprile  1998, n. 112, che, nel dichiarare l'illegittimita'
costituzionale  della  disposizione  di  cui odiernamente si discute,
laddove  non  prevedeva, nel caso di responsabilita' civile derivante
dall'assicurazione  obbligatoria  prevista  dalla  legge  24 dicembre
1969,  n. 990,  che l'assicuratore potesse essere citato nel processo
penale  a  richiesta  dell'imputato,  ha  valorizzato,  nel  contesto
giust'appunto  dell'obbligatorieta' dell'assicurazione, i due profili
peculiari  della  previsione  dell'azione diretta del danneggiato nel
confronti  dell'assicuratore  e  quella del litisconsorzio necessario
del  responsabile  del  danno  nel  giudizio  civile  promosso contro
l'assicuratore:    «Nella    legge   n. 990   del   1969,   istituiva
dell'assicurazione    obbligatoria   della   responsabilita'   civile
derivante  dalla  circolazione  dei  veicoli  a motore e dei natanti,
interessano, ai fini del giudizio di comparazione devoluto alla Corte
attraverso  l'ordinanza di rimessione, gli articoli 18 e 23, Il primo
comma  dell'art.  18  stabilisce  che  "il  danneggiato  per sinistro
causato  dalla circolazione di un veicolo o di un natante per i quali
a  norma  della  presente  legge  vi e' l'obbligo di assicurazione ha
azione   diretta   per   il  risarcimento  del  danno  nei  confronti
dell'assicuratore,  entro  i limiti delle somme per le quali e' stata
stipulata  l'assicurazione''.  L'art.  23 statuisce che "nel giudizio
promosso  contro  l'assicuratore  a  norma dell'art. 18, comma primo,
della  presente  legge,  deve  essere  chiamato nel processo anche il
responsabile  del  danno''.  Queste  due  disposizioni, ovviamente da
inquadrarsi nel complesso della legge a cui appartengono, bastano, ad
avviso  di questa Corte, per collocare la particolare responsabilita'
civile  in  questione tra i casi di responsabilita' civile ex lege ai
quali  si  riferisce  il  comma  secondo  dell'art.  185 c.p., quando
stabilisce  il  principio per cui "ogni reato, che abbia cagionato un
danno  patrimoniale  o  non  patrimoniale, obbliga al risarcimento il
colpevole  e  le  persone  che,  a  norma delle leggi civili, debbono
rispondere per il fatto di lui'': ovviamente nel processo civile, ove
l'azione  di  responsabilita' per danno sia esercitata, per qualsiasi
motivo,  indipendentemente  o separatamente dall'azione penale, e nel
processo  penale  ove vi sia (e finche' vi sia) costituzione di parte
civile  del  danneggiato».  Di particolare importanza, ai fini che ne
occupano,  l'ulteriore precisazione a termini della quale, «quando la
Corte  di  cassazione esclude l'azione civile diretta del danneggiato
contro  l'assicuratore  in sede civile (e conseguentemente esclude la
citazione  dell'assicuratore  medesimo  come  responsabile civile nel
processo   penale),  cio'  avviene  solo  con  riferimento  a  quelle
assicurazioni  che  hanno  la  loro  fonte  esclusiva  nel contratto,
osservandosi  che  in  questi  casi l'assicuratore e' soltanto tenuto
verso l'assicurato, ovviamente nei limiti del capitale assicurato. Ma
la  stessa  Corte  di  cassazione riconosce invece esplicitamente che
l'assicurazione  obbligatoria  della responsabilita' civile derivante
da  circolazione  di  autoveicoli a motore e di natanti configura una
responsabilita'  civile  dell'assicuratore  ex  lege,  da inquadrarsi
nell'ambito di applicazione dell'art. 185 c.p.».
   La  diretta  conseguenza  dell'impostazione seguita nella sentenza
teste'    citata    trovasi   espressa   nelle   battute   conclusive
dell'ulteriore   sentenza  addi'  28  marzo  2001,  n. 75,  che,  nel
dichiarare  manifestamente  infondata  la  questione  di legittimita'
costituzionale  dell'art.  83, comma 1 c.p.p., nella parte in cui non
consente  all'imputato  di  ottenere la citazione nel processo penale
del  proprio  assicuratore  della  responsabilita' civile in forza di
contratto di assicurazione facoltativo, per supposta irragionevolezza
della  differenza  con  il  processo  civile, dove il danneggiante e'
facoltizzato  alla  chiamata  in  causa dell'assicuratore ex art. 106
c.p.c.,   evidenzia   l'erroneita'  dell'assunto  di  partenza:  «Con
l'ordinario  contratto  di assicurazione, infatti, l'assicuratore non
assume  alcun  obbligo  di  risarcimento  nei confronti dei terzi. ma
soltanto  un  obbligo  di  tenere  indenne l'assicurato che ne faccia
richiesta  ai  sensi  dell'art.  1917,  secondo  comma,  c.c. Mancano
pertanto nel processo penale sia il presupposto oggettivo-sostanziale
(obbligo    del   risarcimento   ex   lege),   sia   il   presupposto
soggettivo-processuale  (destinatario del diritto all'indennizzo) per
l'esercizio  diretto dell'azione civile da parte del danneggiato: con
l'ovvia conseguenza di rendere la posizione dell'assicuratore diversa
rispetto a quella che caratterizza la figura del responsabile civile,
a  norma  dell'art.  185  c.p.  La  richiesta  pronuncia, quindi, non
soltanto  finisce per radicarsi su di una ipotesi eccentrica rispetto
alla  fattispecie  esaminata  nella  sentenza  [addi' 22 aprile 1998,
n. 112]  di  questa  Corte,  pure  evocata  dal  giudice  a  quo; ma,
addirittura, si risolve in una prospettiva profondamente innovativa e
riservata  alla  scelta  discrezionale  del legislatore, mirando tale
richiesta  a  consentire  l'inserimento eventuale di una nuova figura
processuale  nel procedimento penale, in evidente contrasto con i ben
diversi assetti sistematici [dello stesso]».
   Le superiori considerazioni rendono ragione del motivo per cui, la
richiesta  del  difensore  dello  Strona di autorizzarsi la citazione
della  Toro Assicurazioni non puo' essere accolta: invero, atteso che
quest'ultima   assume  la  veste  di  compagnia  assicuratrice  della
responsabilita'  civile del datore di lavoro in forza di contratto di
assicurazione  facoltativo, allo stato attuale della legislazione, lo
Strona  non  vanta  alcun  diritto nei suoi confronti, essa rimanendo
invece obbligata esclusivamente nei confronti del datore di lavoro.
   Nondimeno,  volta  considerato  che  il  datore di lavoro e' medio
tempore  fallito,  diventa,  a  sommesso  avviso  di  questo giudice,
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  83,  comma 1 c.p.p., in combinato disposto
con  l'art.  1917,  comma 2 c.c., per contrasto, nell'ordine, con gli
articoli  3,  secondo  comma;  24,  primo  e secondo comma; 32, primo
comma; 35, primo comma e 111 commi primo e secondo Cost., nella parte
in  cui, intervenuto il fallimento del datore di lavoro, non consente
l'autorizzazione  alla citazione nel processo penale, alla stregua di
responsabile    civile,    della    compagnia   assicuratrice   della
responsabilita'  civile  del datore medesimo in forza di contratto di
assicurazione  facoltativo,  non  essendo  a  priori  prevista azione
diretta del danneggiato nei suoi confronti.
   Sul requisito della rilevanza non v'e' molto da aggiungere.
   Il  difensore  dello Strona chiede autorizzarsi la citazione della
Toro  Assicurazioni  per  modo  che  gli effetti civili del giudicato
penale  possano  fare stato anche nei suoi confronti, con conseguente
sua    condanna,    nell'ipotesi    di    riconosciuta   colpevolezza
dell'imputato,   a  corrispondere  allo  Strona  medesimo  una  somma
integralmente  ristoratrice  del  danno, siccome da effettuarsi al di
fuori  della  procedura  fallimentare  e,  quindi,  del  concorso dei
creditori insinuati al passivo. Riguardo specificamente a tale ultimo
profilo, v'e' solo da aggiungere che, dalla documentazione depositata
dal  medesimo difensore all'odierna udienza, consta avere il curatore
del  fallimento  rag. Paolo Lebole, con diffida del 20 febbraio 2008,
richiesto   alla  Toro  Assicurazioni  il  pagamento  del  dovuto  in
conformita'  ai  conteggi  effettuati,  giusta  missiva del 25 luglio
2007,   dal   danneggiato  in  vista  dell'insinuazione  al  passivo:
nondimeno e' evidente che sussiste l'interesse concreto ed attuale di
quest'ultimo di vedersi eventualmente rifuso, per intero, il dovuto.
   Devesi  dunque  affrontare  la vicenda relativa al requisito della
non manifesta infondatezza.
   Vero  e',  come  ribadito dalla Corte costituzionale nella ridetta
sentenza  addi'  28 marzo 2001, n. 75, che riproduce, pressoche' alla
lettera, la massima della sentenza addi' 10 aprile 1997 n. 4940 della
sezione  IV  penale  della  Corte  di  cassazione,  che,  nel caso di
contratto  di  assicurazione  facoltativo,  giusta  il  secondo comma
dell'art.  1917  c.c.,  si  configura  un  obbligo  dell'assicuratore
esclusivamente  verso l'assicurato che ne faccia richiesta di tenerlo
indenne  dalla  pretesa del danneggiato, senza che quest'ultimo vanti
alcuna  legittimazione ad agire contro l'assicuratore in quanto terzo
al  fatto  illecito; ma, con riguardo segnatamente al caso di specie,
e' anche vero che, come sottolineato dalla sezione lavoro della Corte
di  cassazione nella citata ordinanza del 12 febbraio 2008, n. 11921,
stante  il  fallimento  della  Cappa,  il lavoratore si vede a priori
conculcato  il proprio diritto all'immediato ed integrale ristoro del
danno.  Egli,  infatti,  pacifico  che non puo' esperire un'azione di
condanna  contro il fallimento per via dell'art. 52, comma 2 l. fall,
si  vede  costretto,  anzitutto,  ad  insinuare il proprio credito al
passivo   e,  secondariamente,  a  subire  il  concorso  di  tutti  i
creditori, pur con l'attenuazione del privilegio ex articoli 2751-bis
e 2767 c.c.
   La  menomazione,  almeno  nell'opinione di questo giudice, del suo
diritto   d'azione   si   evidenzia   in  cio';  non  tanto  per  via
dell'impossibilita   di   esperire   un'azione   di  condanna,  quale
pacificamente  deve  considerarsi  quella autorizzanda ex 83 numero 1
c.p.p.,  contro  il  fallimento, posto che l'opzione eletta dall'art.
52,  comma  2  l.  fall.  di  tutelare  la par condicio creditorum in
applicazione  esclusiva delle regole, e prima ancora delle forme, del
Capo  V  della  medesima  legge risponde a ragionevolezza, intendendo
garantire  la  verifica  simultanea  e totalitaria di tutti i crediti
verso il fallito, nell'ottica della liquidazione parimenti simultanea
e  totalitaria  del  suo  patrimonio:  quanto piuttosto della duplice
impossibilita',   in   primo   luogo,  di  sollecitare  la  compagnia
assicuratrice  al  pagamento diretto e, in secondo luogo, di porre il
datore  di  lavoro  nelle  condizioni  di chiedere esso medesimo alla
compagnia  assicuratrice  detto pagamento, facendo cosi' insorgere un
autentico  obbligo,  ai  sensi  dell'ultima  parte  del secondo comma
dell'art. 1917 c.c., in capo alla medesima.
   La situazione che si viene a determinare e' chiara: il danneggiato
non  puo'  chiedere  l'autorizzazione  alla  citazione  del datore di
lavoro  come responsabile civile nel processo penale perche' fallito,
con  conseguente  preclusione ex art. 52, comma 2 l. fall., e, oltre,
volta  attivate  le  idonee iniziative in sede fallimentare, non puo'
sottrarsi  alla regola del concorso, pur riconosciuto un collocamento
poziore   nell'ordine   di   graduazione  in  virtu'  del  richiamato
privilegio:  sotto  distinto,  ma  correlato  angolo  visuale, ne' la
compagnia  assicuratrice puo' in ipotesi determinarsi al risarcimento
diretto,   perche',   cosi'   facendo,  violerebbe  la  par  condicio
creditorum,  ne'  il fallimento puo' farsi promotore di un'iniziativa
in  tal  senso,  perche'  qualsivoglia  credito  del fallito deve, in
difetto  di  espressa  statuizione derogatrice, confluire nella cassa
comune per il successivo riparto.
   Donde    la    non    manifesta   infondatezza   del   dubbio   di
costituzionalita' gia' paventato dalla citata ordinanza della sezione
lavoro  della  Corte  di  cassazione,  per  le medesime ragioni che i
Giudici  di  legittimita'  compiutamente  analizzano  e  per  altra e
diversa ragione che ci si permettera' di aggiungere.
   Nel  dettaglio, detti giudici, depurata l'illustrazione dei motivi
dai  rilievi  che,  su  questione identica, fondarono la decisione di
manifesta    inammissibilita'   resa   dalla   Corte   costituzionale
nell'ordinanza    del    13   dicembre   2006,   n. 457,   denunziano
l'irragionevolezza  dell'art.  1917, comma 2 c.c., nella parte in cui
non  prevede  l'azione  diretta  del  lavoratore che subisca danno da
infortunio,  per  disparita'  di  trattamento  rispetto  a situazioni
analoghe, siccome sorrette dall'eadem ratio, in cui, al contrario, e'
concessa  al  creditore azione diretta contro il debitore del proprio
debitore,   con  conseguente  violazione  dell'art.  3,  segnatamente
secondo comma, Cost.
   Inutile ripercorrere in questa sede, per la dovizia di particolari
e  la  limpidezza  dell'esposizione,  che  non si eguaglierebbero, il
ragionamento  dei  giudici  remittenti,  al  quale ci si limita a far
rinvio, essendo sufficiente richiamare che, sul versante propriamente
lavoristico, l'art. 1676 c.c. gia' prevede l'azione diretta in favore
dei  dipendenti  dell'appaltatore  sul  debito  del  committente  nei
confronti  di quest'ultimo e che gli articoli 23, comma 3 e 29, comma
2,  d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, gia' prevedono, rispettivamente
per il contratto di somministrazione di manodopera e per il contratto
di  appalto,  la  responsabilita'  solidale, con il datore di lavoro,
dell'utilizzatore  e  del  committente  (cosi'  legittimando l'azione
contro   questi   ultimi   per  titolo  autonomo  rispetto  a  quello
dell'azione  contro  il  primo);  mentre,  sul  versante propriamente
aquiliano,  l'art.  18,  comma 1, 1egge 24 dicembre 1969, n. 990, del
pari  gia'  introduce  l'azione  diretta  del  danneggiato (fondante,
secondo   quanto   anticipato,  la  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale in parte qua dell'art. 83, comma 1 c.p.p.).
   Merita  soltanto  di  evidenziare  che,  reputata preminente, come
tradiscono  le  disposizioni teste' evocate in materia di diritto del
lavoro,  la  necessita' di un'integrale protezione delle possibilita'
satisfattorie del credito del lavoratore, detta preminenza, stante la
perentorieta' del primo comma dell'art. 35 Cost., non puo' non valere
a  maggior  ragione nel caso di infortunio sul lavoro, allorquando la
lesione   ricevuta   dal   lavoratore   riguarda,   non  puramente  e
semplicemente  il  diritto  alla  percezione  di  somme  in forza del
rapporto  sinallagmatico di prestazione lavorativa, ma addirittura il
diritto  al ristoro del danno, di necessita' solo per equivalente, in
conseguenza    del   pregiudizio   all'integrita'   personale,   bene
prioritario  rispetto  allo  stesso  diritto  al  lavoro  e  comunque
autonomamente protetto dall'art. 32, primo comma Cost.
   Non  solo:  sotto  il  parallelo  profilo  del titolo dell'obbligo
dell'assicuratore   della   responsabilita'  civile  derivante  dalla
circolazione  dei  veicoli  a  motore, con l'introduzione del secondo
comma dell'art. 144, d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, che, prevedendo
l'impossibilita'   per  l'impresa  di  assicurazione  di  opporre  al
danneggiato eccezioni derivanti dal contratto «per l'intero massimale
di  polizza»,  ha  innovato il dettato del secondo comma dell'art. 18
della  1egge  24  dicembre 1969, n. 990, secondo cui l'impossibilita'
per l'assicuratore di opporre eccezioni era confinata al limite delle
«somme minime per cui l'assicurazione e' obbligatoria», il necessario
fondamento  legale  del  titolo  stesso  viene  compresso dal rilievo
attribuito  all'ammontare  del  massimale, quest'ultimo evidentemente
pattuito dalle parti.
   Cio'  detto,  non  sfugge  che  la  sezione  lavoro della Corte di
cassazione  solleva il dubbio di costituzionalita' anche in relazione
agli articoli 24, commi 1 e 2 e 111, commi primo e secondo Cost.
   Pienamente  condivisibili  le  sue considerazioni sul principio di
concentrazione  delle  tutele  e  sul principio di ragionevole durata
dell'attesa della risposta giurisdizionale.
   In relazione al primo punto, il riconoscimento dell'azione diretta
del danneggiato contro il responsabile civile nel processo penale gli
varrebbe  di  non dover moltiplicare le proprie iniziative, e in seno
al  processo  penale con la costituzione di parte civile a valere nei
soli  confronti dell'imputato per l'ipotesi che egli ritorni in bonis
e  in  seno  alla procedura fallimentare alla stregua di un ordinario
creditore  insinuantesi  al  passivo,  ottenendo  il beneficio di una
«risposta  giudiziaria contestuale e coordinata alla [sua] domanda di
giustizia» (cosi', espressamente, l'ordinanza cit.).
   In  relazione  al  secondo  punto,  la  sopravvenienza, come nella
specie,  del  fallimento  del datore di lavoro all'avvio del processo
penale  non si ritorcerebbe in danno del danneggiato, con inevitabile
allungamento  dei  tempi della risposta giurisdizionale, potendo egli
valutare  l'opportunita'  di  coltivare  azione  autonoma  nella sede
processuale  piu' celere (persino, se del caso, radicando un autonomo
giudizio civile).
   Ma  v'e'  dell'altro, che in certo qual modo si aggiunge al tenore
dell'ordinanza  della  sezione  lavoro  della Corte di cassazione: si
rappresentava   poc'anzi   la  situazione  del  danneggiato,  cui  e'
precluso,  non solo di citare nel processo penale il datore di lavoro
e,  per  esso,  il  fallimento,  ma addirittura di provocare, in seno
indifferentemente  allo  stesso  processo  penale  o  alla  procedura
fallimentare,  un'iniziativa  del fallimento che, a termini dell'art.
1917,  comma 2 c.c., sia intesa a favorire il risarcimento diretto da
parte della compagnia assicuratrice.
   Cio'  realizza,  ad  avviso  di  questo giudice, un vero e proprio
disconoscimento  del  suo  diritto d'azione ex art. 24, commi primo e
secondo  Cost.,  risultando  per  contro  egli  esposto,  come  dice,
tuttavia  in  relazione  alla  denunziata  irragionevolezza dell'art.
1917,   comma  2  c.c.,  anche  la  sezione  lavoro  della  Corte  di
cassazione,  al  «libito»  dell  'assicurato  e  dell'assicuratore, i
quali,  in  ragione  del  tempo  in cui decidono di dare seguito alle
pretese  risarcitorie, possono o meno sottrarre la somma elargenda al
concorso dei creditori. Osservazione, questa, non di poco momento nel
caso  che ne occupa, posto che, tra i documenti odiernamente prodotti
dal  difensore  della  parte  civile,  figura  un processo verbale di
mancata  conciliazione  nanti  la  Direzione  provinciale  del lavoro
risalente  al  25  ottobre  2006  e,  dunque,  a  data anteriore alla
dichiarazione di fallimento della Cappa.
                              P. Q. M.
   Visto l'art. 23, commi 2, 3 e 4, legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'   costituzionale   dell'art.  83,  comma  1  c.p.p.,  in
combinato  disposto  con  l'art.  1917,  comma 2 c.c., per contrasto,
nell'ordine,  con  gli articoli 3, secondo comma; 24, primo e secondo
comma;  32, primo comma; 35, primo comma e 111, commi primo e secondo
Cost.,  nella  parte  in cui, intervenuto il fallimento del datore di
lavoro,  non  consente  l'autorizzazione  alla citazione nel processo
penale,   alla   stregua  di  responsabile  civile,  della  compagnia
assicuratrice  della  responsabilita'  civile  del datore medesimo in
forza di contratto di assicurazione facoltativo, non essendo a priori
prevista azione diretta del danneggiato nei suoi confronti;
   Dispone  la  trasmissione  degli  atti  alla Corte costituzionale,
sospendendo il processo;
   Ordina  che  la  presente ordinanza sia, a cura della cancelleria,
notificata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai
Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
   Cosi'  deciso  a  Biella,  all'esito  della  Camera  di  consiglio
nell'udienza dell'8 luglio 2008.
                         Il giudice: Salemme